Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2304 - pubb. 20/07/2010
Locazione finanziaria, allocazione a valori di mercato del bene e insinuazione tardiva
Cassazione civile, 01 Marzo 2010, n. 4862. Est. Fioretti.
Fallimento – Effetti sui rapporti preesistenti – Contratto di leasing – Fallimento dell'utilizzatore – Art. 72-Quater della legge fall. – Opzione del curatore per lo scioglimento del contratto – Effetti – Diritto del concedente alla restituzione del bene – Sussistenza – Canoni non ancora scaduti alla data del fallimento – Ammissione integrale al passivo – Esclusione – Insinuazione al passivo per la sola differenza positiva tra canoni non scaduti e valore di allocazione del bene nel mercato – Ammissibilità – Fondamento. (20/07/2010)
In tema di effetti del fallimento su preesistente rapporto di leasing, ai sensi dell'art. 72-quater della legge fall. (introdotto dall'art. 59 del d.lgs. n. 5 del 2006 e modificato dall'art. 4, ottavo comma, del d.lgs. n. 169 del 2007), il concedente, in caso di fallimento dell'utilizzatore e di opzione del curatore per lo scioglimento del vincolo contrattuale, non può richiedere subito, mediante l'insinuazione al passivo ed ex art. 93 legge fall., anche il pagamento dei canoni residui che l'utilizzatore avrebbe dovuto corrispondere nell'ipotesi di normale svolgimento del rapporto di locazione finanziaria, in quanto con la cessazione dell'utilizzazione del bene viene meno l'esigibilità di tale credito, ma ha esclusivamente diritto alla restituzione immediata del bene ed un diritto di credito eventuale, da esercitarsi mediante successiva insinuazione al passivo, nei limiti in cui, venduto o altrimenti allocato a valori di mercato il bene oggetto del contratto di leasing, dovesse verificarsi una differenza tra il credito vantato alla data del fallimento e la minor somma ricavata dalla allocazione del bene cui è tenuto il concedente stesso, secondo la nuova regolazione degli interessi fra le parti direttamente fissata dalla legge. (fonte CED – Corte di Cassazione)
In data 15 ottobre 2001 la L. s.p.a. acquistava dalla Immobiliare G. L. s.r.l. per il prezzo di L. 1.350.000.000 - ora Euro 697.217,00 - un immobile, sito in N., via * n. * - che poi, in forza di contratto di leasing, concedeva in locazione finanziaria alla C. E. per il canone di L. 10.152.000 mensili, ora Euro 5.243,07. Il Tribunale di Torino, con sentenza del 26 settembre 2006, dichiarava il fallimento della società utilizzatrice C. E., a seguito del quale la L. s.p.a. chiedeva la restituzione ed immissione in possesso dell'immobile oggetto della locazione finanziaria e l'ammissione al passivo del fallimento per l'importo dei canoni scaduti e per l'intero valore residuo del bene. Il giudice delegato ammetteva la istante al passivo in chirografo per la sola somma di Euro 17.890,54, corrispondente all'importo dei canoni scaduti prima della sentenza dichiarativa di fallimento, accoglieva la istanza di restituzione dell'immobile, essendo intervenuta da parte del curatore, previo parere favorevole del comitato dei creditori, la dichiarazione di scioglimento dal contratto di leasing, con obbligo della L. s.p.a. di allocare il bene anche nell'interesse e senza pregiudizio del fallimento, comunicando allo stesso il ricavato della nuova allocazione e con obbligo di corrispondere al fallimento l'eventuale differenza ai sensi della L. Fall., art. 72 quater, comma 2. La L. s.p.a., ritenendo errato il provvedimento di accoglimento parziale della istanza di ammissione allo stato passivo per la sola somma di Euro 17.890,54, pari all'ammontare dei canoni scaduti alla data del fallimento, proponeva opposizione al provvedimento di ammissione al passivo per il solo importo di detti canoni, chiedendo che fosse riconosciuto il maggiore suo credito da finanziamento nella misura di Euro 465.794,09, in quanto corrispondente, unitamente alla somma di Euro 17.890,54 per canoni scaduti e rimasti insoluti, all'intero credito residuale della società concedente risultante dal contratto di leasing. Il Tribunale di Torino respingeva l'opposizione osservando che il concedente, avendo il curatore optato per lo scioglimento del contratto di leasing, aveva diritto alla restituzione del bene concesso in locazione finanziaria, ma non di insinuarsi al passivo del fallimento dell'utilizzatore per l'intero valore residuo del bene stesso, del quale era tenuto a curare la realizzazione per eventualmente corrispondere alla curatela la differenza in esubero del valore del bene rispetto all'ammontare del capitale residuo o chiedere la ammissione al passivo, qualora il ricavato dalla nuova allocazione fosse risultato inferiore all'importo del capitale residuo; che la società L. non aveva proposto opposizione avverso il provvedimento relativo alla restituzione del bene, che, quindi, risultava ormai incontestabile; che la domanda di ammissione al passivo del credito di Euro 442.371,35, a titolo di importo capitale, residuo doveva ritenersi estranea ai principi stabiliti dalla nuova disciplina prevista dall'art. 72 quater, L. Fall. (introdotta con il D.Lgs. n. 5 del 2006); che la società L., in virtù di tale disciplina, aveva soltanto il diritto (fino al momento dell'esaurimento di tutte le ripartizioni dell'attivo fallimentare) di insinuare al passivo l'eventuale credito ancora sussistente per capitale residuo, nella ipotesi in cui il ricavato dalla nuova allocazione del bene oggetto del leasing fosse risultato inferiore all'importo del capitale residuo. Avverso detto decreto la L. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. Il Fallimento di C. E. s.r.l. ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo la ricorrente denuncia violazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 93, 72 e 72 quater in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Deduce la ricorrente che il giudice a quo avrebbe errato nel limitare l'ammissione al passivo del credito della L. s.p.a. all'ammontare dei soli canoni rimasti insoluti, non avendo detto giudice considerato che l'ammissione allo stato passivo anche del credito finanziario esistente al momento della dichiarazione di fallimento, coincidente con la quota di finanziamento ancora non pagata, costituisce il presupposto necessario per la successiva determinazione finale delle rispettive posizioni residuali di debito e credito al fine dell'applicazione della L. Fall., art. 72 quater. Il Tribunale, nell'adottare la decisione censurata, avrebbe equivocato tra il diritto della società concedente ad insinuarsi allo stato passivo come previsto dalla L. Fall., art. 72 quater, comma 3 ed il più generale diritto di qualsiasi creditore di veder riconosciuto il proprio credito nello stato passivo avvalendosi di quanto previsto dall'art. 93, L. Fall.. La previsione dell'art. 72 quater, comma 3 riguarderebbe soltanto l'ipotesi di perdita su cespite da parte della società finanziaria dopo la riallocazione o vendita del bene e non già l'unico mezzo per far valere il proprio credito, non potendo sostenersi che solo in tale ipotesi la società di leasing avrebbe la possibilità di chiedere la insinuazione allo stato passivo dell'effettivo suo credito residuo, coincidente con il credito finanziario ancora esistente al momento della dichiarazione di fallimento. Conclusivamente la società ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: "Dica l'Ecc.ma Corte di Cassazione se la Società concedente in leasing abbia, in relazione a quanto disposto dall'art. 72 quater, diritto ad insinuare immediatamente nel passivo fallimentare ai sensi dell'art. 93, L. Fall. l'intero suo credito corrispondente alla quota residuale del finanziamento risultante impagata alla data della sentenza dichiarativa del fallimento dell'Utilizzatore, in aggiunta al credito eventualmente maturato per canoni scaduti ed impagati a tale data, ovvero possa far valere il proprio credito limitatamente a tale minor causale". Il ricorso è infondato. La cassazione in numerosissime pronunce ha individuato due forme di leasing: il leasing cosiddetto di godimento, pattuito con funzione di finanziamento rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto (con conseguentemente marginalità della eventuale opzione di acquisto) e dietro canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell'uso dei beni stessi; il leasing cosiddetto traslativo, pattuito con riferimento a beni atti a conservare alla scadenza del rapporto un valore residuo superiore all'importo convenuto per l'opzione di acquisto e dietro canoni che scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto (rispetto a cui la concessione in godimento assume funzione strumentale) (cfr. per tutte Cass. n. 65 del 1993 resa a sezioni unite). In tema di effetti del fallimento su preesistente rapporto di leasing e ai fini della disciplina delle conseguenze dell'eventuale scioglimento del relativo contratto (con riferimento a fattispecie verificatesi prima della entrata in vigore della riforma delle procedure concorsuali del 2006) questa Suprema Corte ha affermato che occorre distinguere l'ipotesi del leasing di godimento dalla ipotesi del leasing traslativo; e che nel primo caso, trattandosi di contratto ad esecuzione continuata o periodica, la risoluzione non incide retroattivamente sulle prestazioni già eseguite (art. 1458 c.c., comma 1), per cui la società di leasing non è tenuta a restituire al fallimento i canoni percepiti; che, nel secondo caso, invece si verifica tale retroattività, per cui la società di leasing deve ritenersi tenuta alla restituzione dei pagamenti riscossi, salva la compensazione per il suo credito per l'equo compenso, che va riconosciuto in applicazione analogica del disposto di cui all'art. 1526 cod. civ. (cfr. per tutte Cass. n. 8919 del 1993). Il D.Lgs. n. 5 del 2006, che ha riformato la disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, all'art. 72 quater non ha dato rilievo alla distinzione del contratto di leasing formulata dalla giurisprudenza di legittimità, ma ha dettato una identica disciplina della locazione finanziaria, valevole tanto per il cd. leasing di godimento che per il cd. leasing traslativo. Detta norma stabilisce che al contratto di locazione finanziaria, si applica, in caso di fallimento dell'utilizzatore, l'art. 72, il quale, con riferimento ai rapporti pendenti, attribuisce al curatore una duplice facoltà: 1) di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendone tutti i relativi obblighi; 2) di sciogliersi dal contratto medesimo. L'art. 72 quater stabilisce altresì che in caso di scioglimento del contratto (ed è il caso di specie) il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l'eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra allocazione del bene stesso rispetto al credito residuo in linea capitale e che per le somme già riscosse si applica l'art. 67, comma 3, lett. a), vale a dire ne è esclusa la revocabilità; che il concedente ha diritto di insinuarsi nello stato passivo per la differenza del credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene. In virtù del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 4, comma 8, l"art. 74 quater è stato modificato stabilendo che la eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra allocazione del bene rispetto al credito residuo in linea capitale deve essere determinata con riferimento a vendite od allocazioni avvenute a valori di mercato. La ricorrente sostiene di avere diritto, nonostante la nuova disciplina, di essere ammessa al passivo per l'importo del credito vantato alla data del fallimento, vale a dire per tutti i canoni ancora non corrisposti e che l'utilizzatore avrebbe dovuto corrispondere qualora il contratto avesse avuto piena e completa esecuzione sulla base di quanto pattuito. Tale tesi non è condivisibile per le seguenti considerazioni. Dalla norma in esame si evince chiaramente che il concedente, qualora il curatore opti per lo scioglimento del contratto, non ha alcun diritto alla restituzione dei canoni residui, che l'utilizzatore stesso avrebbe dovuto corrispondere nell'ipotesi di normale svolgimento del rapporto di locazione finanziaria; ha soltanto diritto alla restituzione del bene ed un diritto eventuale (per il quale vi è incertezza sul se verrà ad esistenza e su quale eventualmente ne sarà il preciso ammontare) di insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato, o meglio la minore somma ricavata rispetto a detto credito dalla nuova allocazione del bene. Pertanto, intervenuto lo scioglimento del contratto, il concedente non ha alcun potere di chiedere l'ammissione al passivo per una somma corrispondente all'importo dei canoni, che l'utilizzatore avrebbe dovuto corrispondere in una situazione di normale svolgimento del contratto, trattandosi di un credito del quale, con la cessazione della utilizzazione del bene concesso il locazione finanziaria, viene meno la esigibilità, subentrando al regolamento contrattuale un diverso assetto degli interessi delle parti regolato direttamente dalla legge, per cui residua al concedente il solo diritto di insinuarsi al passivo in un secondo momento qualora, al L. o nuovamente il bene oggetto del contratto di leasing, dovesse verificarsi una differenza a suo favore fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato a seguito della nuova allocazione del bene. Potrebbe verificarsi che il ricavato derivante dalla nuova allocazione del bene pareggi o addirittura risulti superiore alla entità dei canoni residui. In tal ultimo caso il concedente sarebbe tenuto addirittura a versare alla curatela l'eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale. Pertanto è illegittima la pretesa del concedente di ottenere l'ammissione al passivo dell'intero importo dei canoni non ancora scaduti al momento della dichiarazione di fallimento, di canoni cioè la cui maturazione presuppone il permanere della utilizzazione e, quindi, il godimento di un bene, che, invece, con lo scioglimento del contratto, viene restituito al concedente e rientra così nella sua disponibilità, tant'è vero che questi può immediatamente provvedere ad una nuova allocazione dello stesso. Per quanto precede il ricorso deve essere respinto e la società ricorrente deve essere condannata a rimborsare al Fallimento resistente le spese del giudizio di legittimità, che, tenuto conto del valore della controversia, appare giusto liquidare in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre le spese generali e gli accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 8.200,00 (ottomiladuecento), di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge. Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2009. Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2010