La Responsabilità del Medico


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21133 - pubb. 26/01/2019

Responsabilità medica e applicazione retroattiva della legge Gelli-Bianco

Tribunale Latina, 27 Novembre 2018. Est. Piccialli.


Responsabilità medica – Applicazione retroattiva della legge Gelli-Bianco – Bipartizione della responsabilità civile della struttura sanitaria e dell'esercente la professione sanitaria – Prescrizione – Onere della prova – Distinzione



Le disposizioni della legge Gelli – Bianco in tema di responsabilità medica (le quali, come è noto, creano una bipartizione della responsabilità civile, differenziando la posizione della struttura sanitaria da quella dell'esercente la professione sanitaria), trovano applicazione anche nei processi in corso.

La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose. La medesima disciplina si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina.

In altre parole, la struttura sanitaria risponderà dei fatti illeciti compiuti dagli esercenti la professione sanitaria secondo le regole della responsabilità contrattuale, con importanti conseguenze in termini di prescrizione, onere della prova e danno risarcibile: il termine prescrizionale sarà infatti di dieci anni e il danneggiato dovrà semplicemente provare il titolo da cui deriva l'obbligazione (ad es. c.d. contratto di spedalità) rimanendo in capo alla struttura sanitaria la prova dell'esatto adempimento ovvero dell'inadempimento non imputabile, ed il danno risarcibile è limitato al danno che poteva prevedersi al tempo in cui è sorta l'obbligazione, salvo che in caso di dolo.

L'esercente la professione sanitaria, invece, sarà chiamato a rispondere del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile (salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente, ipotesi non ricorrente nel caso di specie), cioè secondo le norme sulla responsabilità extracontrattuale, che prevedono un termine prescrizionale di "soli" cinque anni ed un gravoso onere della prova in capo al danneggiato, che dovrà non solo allegare ma provare il fatto illecito, il danno, l'elemento soggettivo ed il nesso eziologico tra condotta ed evento.

Va inoltre considerato che con riferimento alla posizione del Sanitario, la limitazione di responsabilità professionale ai soli casi di dolo o colpa grave ai sensi dell'art. 2236 c.c. attiene esclusivamente alla perizia nella soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà che trascendono la preparazione media, o perché' la particolare complessità discende dal fatto che il caso non è stato ancora studiato a sufficienza o perché non è stato ancora dibattuto con riferimento ai metodi da adottare. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


Segnalazione del Dott. Michele Ferrari


Tribunale di Latina

sezione seconda

sentenza del 27.11.2018

 

Il Tribunale di Latina, Sezione II, in composizione monocratica in persona del giudice Dr. Alfonso Piccialli, ha emesso la seguente

 

SENTENZA

omissis

 

OGGETTO: azione risarcitoria per responsabilità medica. Occorre premettere brevemente in fatto che il thema decidendum della presente controversia ha ad oggetto l'azione risarcitoria per responsabilità medica proposta dalla sig* per i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti nei confronti del dott. T * , nonché dell' A * In particolare, nell'atto introduttivo l'attrice rappresentava che in data 19.09.2008 veniva sottoposta ad un intervento di tiroidectomia totale effettuato dal dott. S.T. presso la Struttura Complessa di Chirurgia Universitaria dell' Ospedale di T., in seguito al quale, come da CTP allegata, si riscontravano dei disturbi disponoici e disfonici con postumi in termini di I.P. pari al 30%. Evidenziava quindi la responsabilità del Sanitario convenuto nella causazione dell' evento e dell' *, alla quale era riconducibile, quale struttura organizzativa sul territorio il presidio -ospedaliero di T.

Si costituiva sia la * che resistendo alla domanda e chiedendone il rigetto, chiedevano in ogni caso la la chiamata in garanzia delle Compagni Assicurative con le quali erano assicurati per essere manlevati degli eventuali danni da risarcire in favore dell' attrice in caso di accertata responsabilità sanitaria. Si costituivano le Compagnie terze chiamate sollevando eccezioni preliminari relative alla sussistenza della copertura assicurativa e, comunque, nel merito associandosi alla difesa dei convenuti in punto di assenza di qualsivoglia responsabilità sanitaria. La causa è stata istruita mediante CTU medico-legale e prove orali.

Tanto premesso in punto di fatto, va rilevato che la responsabilità della Struttura Sanitaria per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica ha, in ogni caso, natura contrattuale di tipo professionale, mentre quella del sanitario è, qualificabile come di natura extracontrattuale. Sul punto va richiamato il recente intervento chiarificatore da parte del legislatore, atteso che l'articolo 7 della Legge G.B. (L. n. 24 del 2017) prevede una bipartizione della responsabilità civile, differenziando la posizione della struttura sanitaria da quella dell'esercente la professione sanitaria. Va premesso che tali disposizioni trovano piena applicazioni nel caso di specie, in quanto, in punto di qualificazione della responsabilità del sanitario e della struttura, la normativa sopravvenuta è di carattere sostanziale e non processuali e dunque trova applicazione anche nei processi in corso, sia in quanto previsioni aventi valore interpretativo (qualificazione della natura della responsabilità sanitaria) e dunque comunque applicabile retroattivamente. In particolare, la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose. La medesima disciplina si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina. In altre parole, la struttura sanitaria risponderà dei fatti illeciti compiuti dagli esercenti la professione sanitaria secondo le regole della responsabilità contrattuale, con importanti conseguenze in termini di prescrizione, onere della prova e danno risarcibile: il termine prescrizionale sarà infatti di dieci anni, il danneggiato dovrà semplicemente provare il titolo da cui deriva l'obbligazione (ad es. c.d. contratto di spedalità) rimanendo in capo alla struttura sanitaria la prova dell'esatto adempimento ovvero dell'inadempimento non imputabile, ed il danno risarcibile è limitato al danno che poteva prevedersi al tempo in cui è sorta l'obbligazione, salvo che in caso di dolo. L'esercente la professione sanitaria, invece, sarà chiamato a rispondere del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile (salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente, ipotesi non ricorrente nel caso di specie), cioè secondo le norme sulla responsabilità extracontrattuale, che prevedono - per quanto qui di interesse - un termine prescrizionale di "soli" cinque anni ed un gravoso onere della prova in capo al danneggiato, che dovrà non solo allegare ma provare il fatto illecito, il danno, l'elemento soggettivo ed il nesso eziologico tra condotta ed evento. Va inoltre considerato che con riferimento alla posizione del Sanitario, la limitazione di responsabilità professionale ai soli casi di dolo o colpa grave ai sensi dell'art. 2236c.c. attiene esclusivamente alla perizia nella soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà che trascendono la preparazione media (Cass4152/'95), o perché' la particolare complessità discende dal fatto che il caso non e' stato ancora studiato a sufficienza o perché non è stato ancora dibattuto con riferimento ai metodi da adottare.

Tanto premesso, con specifico riferimento al caso di specie va osservato tenuto conto delle risultanze della CTU medico-legale allegata e dalla copiosa documentazione in atti, ( relazione medico legale di parte, cartelle cliniche, referti e certificati medici), ritiene questo giudicante che non può essere affermata la responsabilità tanto della * quanto del medico convenuto che, in data 19.09.2008, ha eseguito, in equipe, l' intervento di tiroidectomia totale. Va preliminarmente rigettata l' istanza di rinnovazione della CTU pe omessa risposta alle osservazioni dei CTP ex art. 195 c.p.c., in quanto il consulente ha allegato alla perizia definitiva le citate note critiche, prese in considerazione ed implicitamente disattese come si rileva dalle esaustive argomentazioni di cui all' elaborato tecnico. Analogamente, ad avviso di questo giudicante non costituisce un valido motivo di astensione la circostanza che il consulente sia parte convenuta in un giudizio di responsabilità sanitaria, non essendovi alcuna connessione con la vicenda oggetto d' esame né con le parti della presente causa. Venendo al merito della CTU, va rilevato che in base alla consulenza tecnica d'ufficio, logicamente motivata in base ad argomentazioni scientifiche e condivisibile nelle conclusioni è stata accertata: a) la correttezza della diagnosi effettuata dal T.; 2) l'adeguatezza del trattamento sanitario ricevuto; 3) la competenza tecnica del medico convenuto in relazione alla tipologia di intervento eseguito. Più in particolare, osserva il CTU che il trattamento chirurgico effettuato era in conformità alle metodiche medico-chirurgiche stabilite dalla prassi e dalla scienza medica di diversi autori della letteratura nazionale ed internazionale; rileva inoltre l' ausiliare del giudice che, per quanto fosse astrattamente possibile adottare altre tecniche chirurgiche di preservazione dei nervi laringei, in ogni caso, qualsiasi opzione tecnica si fosse adottata per la salvaguardia della integrità anatomica dei nervi, nessuna era in grado di garantirne la funzionalità. Osserva il CTU, richiamando sul punto copiosa letteratura scientifica internazionale, come le paralisi bilaterali delle corde vocali vere dopo la tiroidectomia totale hanno una incidenza intorno al 2,3%-6,2% dei casi. Con riferimento al nesso causale tra i pregiudizi lamentati ed il suddetto intervento ( a prescindere dalla sussistenza di una responsabilità sanitaria che per le ragioni sopra esposte il CTU esclude) evidenzia il Prof. M. che non esiste un nesso causale tra l' intervento chirurgico e la dispnea riferita dalla paziente in quanto la spirometria è nella norma; diverso è il dato riguardante la disfonia determinata dalla corda vocale vera di destra ipomobile con corda vocale vera di sinistra in motilità adeguata, la cui origine post operatoria risulta evidente con necessità di trattamento riabilitativo. Le considerazioni che precedono non consentono a questo giudicante di ritenere provata la responsabilità del dott. T. né conseguentemente quella della A. convenute, atteso che i danni subiti dall' attrice rientrano nelle possibili ed inevitabili complicanze post-operatorie non riconducibili ad una malpratice sanitaria. Con riferimento alla responsabilità derivante da una non corretta e completa informazione in merito al trattamento sanitario ricevuto, va preliminarmente osservato che tale domanda è stata formulata per la prima volta dall' attrice con la I memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c.. Invero, in materia di responsabilità sanitaria, l'inadempimento dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute posto che, se nel primo caso l'omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell'interesse all'autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo l'incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell'atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall'opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è ¨ configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l'allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell'onere della prova - che, in applicazione del criterio generale di cui all'art. 2697 c.c., grava sul danneggiato - del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito con la quale era stata respinta la domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale sul presupposto che non solo gli attori non avevano allegato il presunto dissenso del congiunto, ma dalle risultanze istruttorie erano emersi elementi, come l'assenza di soluzioni terapeutiche alternative e il fatto che in precedenza il paziente si era sottoposto ad interventi analoghi, che deponevano per la presunzione di consenso al trattamento sanitario) ( Cass. civ. n.19199/2018). Sotto tale secondo profilo , va osservato come l' attore non abbia in alcun modo allegato e dedotto tempestivamente che, qualora adeguatamente informato non avrebbe prestato il consenso in merito all' esecuzione dell'intervento, sicché ne consegue il rigetto della domanda in relazione ai pregiudizi subiti in nesso di causalità con l' intervento di asportazione della tiroide. Con riferimento invece all' eventuale lesione " tout court" del diritto di autodeterminazione della volontà negoziale, compromesso secondo l' attrice da una lacunosa e deficitaria informazione, va osservato che la domanda, pur volendola così qualificare in assenza di specifiche allegazioni sul punto, appare tardiva in quanto proposta per la prima volta con la I memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c. e qualificabile come domanda diversa ed autonoma rispetto a quelle relativa alla lesione del diritto alla salute ( Cfr Cass. civ, n. 11950/2013). Sul punto va evidenziato che nel caso in cui l'attore abbia chiesto con l'atto di citazione il risarcimento del danno da colpa medica per errore nell'esecuzione di un intervento chirurgico (e, quindi, per la lesione del diritto alla salute), e domandi poi in corso di causa anche il risarcimento del danno derivato dall'inadempimento, da parte dello stesso medico, al dovere di informazione necessario per ottenere un consenso informato (inerente al diverso diritto alla autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento terapeutico), si verifica una "mutatio libelli" e non una mera "emendatio", in quanto nel processo viene introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, che altera l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza ( Cass. Civ. 24072/2017). Tale principio è pienamente condivisibile in quanto mentre qualora l' omessa informazione viene dedotta come causa della scelta di sottoporsi comunque all' intervento e c' è una correlazione tra la lesione del diritto alla salute dedotto con il libello introduttivo e la violazione del dovere informativo connesso all' eventuale dissenso (non potuto prestare consapevolmente) all' esecuzione dell’intervento generatore del danno, collegamento eziologico tale da giustificare l' estensione del thema decidendum anche ai profili risarcitori derivanti dall' omessa o incomplete informazione, nel secondo caso, diversamente, essendo dedotto l' omessa prestazione di un consenso informato "tout court "come lesione del diritto ad una consapevole formazione della volontà negoziale (a prescindere dalla lesione del diritto alla salute), tale correlazione non c' è con la domanda risarcitoria originariamente proposta per errore nell'esecuzione dell'intervento chirurgico. Ne consegue sotto tale profilo l' inammissibilità della domanda. Alla luce di quanto sopra la domanda attorea non può essere accolta. Assorbita ogni ulteriore questione relative all' an o al quantum debeatur. Dal rigetto della domanda principale consegue inoltre l' assorbimento delle azioni di garanzia proposte dai convenuti nei confronti delle rispettive Compagnie Assicurative. Le spese di lite, in ragione della controvertibilità delle questioni trattate e del difficile accertamento delle circostanze di fatto sottese alla domanda proposta, implicanti valutazioni di carattere strettamente tecnico di tipo medico-legale, giustificano l' integrale compensazione delle spese di lite. Non sussistono per le medesime ragioni sopra illustrate i presupposti per la condanna dell' attore ai sensi dell' art. 96 c.p.c.

Le spese di CTU appare equo porle a carico di parte attrice e convenuta in solido.

 

p.q.m.

il Tribunale, in funzione monocratica, nella persona del dott. A., definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione disattesa, così provvede:

-Rigetta la domanda proposta da …. nei confronti della * di Latina e del dott. *.;

-Dichiara assorbita la domanda di garanzia proposta dai convenuti c nei confronti della * e *;

-Compensa le spese di causa tra tutte le parti;

-Pone le spese di CTU, già liquidate con separato decreto, a carico di parte attrice e convenuta in solido.

Così deciso in Latina, il 23 novembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 27 novembre 2018