Diritto Tributario


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20877 - pubb. 04/12/2018

Legittimo l’accertamento induttivo: a condizione che il contribuente possa contestare, sulla base di tutte le prove contrarie di cui disponga, le risultanze derivanti da tale metodo

Corte Giustizia UE, 21 Novembre 2018. Est. Juhasz.


Rinvio pregiudiziale – Imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Articolo 273 – Accertamento tributario – Metodo di accertamento della base imponibile in via induttiva – Detraibilità dell’IVA – Presunzione – Principi di neutralità e di proporzionalità – Normativa nazionale che fonda la determinazione dell’IVA sul volume d’affari presunto



La direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, nonché i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che consenta all’Amministrazione finanziaria, a fronte di gravi divergenze tra i redditi dichiarati ed i redditi stimati sulla base di studi di settore, di ricorrere ad un metodo induttivo, basato sugli studi di settore stessi, al fine di accertare il volume d’affari realizzato dal contribuente e procedere, di conseguenza, a rettifica fiscale con imposizione di una maggiorazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), a condizione che tale normativa e la sua applicazione permettano al contribuente stesso, nel rispetto dei principi di neutralità fiscale, di proporzionalità nonché del diritto di difesa, di contestare, sulla base di tutte le prove contrarie di cui disponga, le risultanze derivanti da tale metodo e di esercitare il proprio diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi delle disposizioni contenute nel titolo X della direttiva 2006/112, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

21 novembre 2018

«Rinvio pregiudiziale – Imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Articolo 273 – Accertamento tributario – Metodo di accertamento della base imponibile in via induttiva – Detraibilità dell’IVA – Presunzione – Principi di neutralità e di proporzionalità – Normativa nazionale che fonda la determinazione dell’IVA sul volume d’affari presunto»


Nella causa C‑648/16,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria (Italia), con sentenza del 3 maggio 2016, pervenuta in cancelleria il 16 dicembre 2016, nel procedimento

Fortunata Silvia Fontana

contro

Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Reggio Calabria,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da T. von Danwitz, presidente della settima sezione, facente funzione di presidente della quarta sezione, K. Jürimäe, C. Lycourgos, E. Juhász (relatore) e C. Vajda, giudici,

avvocato generale: N. Wahl

cancelliere: V. Giacobbo-Peyronnel, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 18 gennaio 2018,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da R. Guizzi, avvocato dello Stato,

–        per la Commissione europea, da F. Tomat e R. Lyal, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 marzo 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»).

2        Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di una controversia insorta tra la sig.ra Fortunata Silvia Fontana e l’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Reggio Calabria (Italia), (in prosieguo: l’«Amministrazione finanziaria») in merito ad un avviso d’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA).

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3        Il considerando 59 della direttiva IVA così recita:

«È opportuno che, entro certi limiti e a certe condizioni, gli Stati membri possano adottare o mantenere misure speciali che derogano alla presente direttiva, al fine di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune forme di evasione o elusione fiscale».

4        L’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva medesima così dispone:

«Sono soggette all’IVA le operazioni seguenti:

a)      le cessioni di beni effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;

b)      gli acquisti intracomunitari di beni effettuati a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro:

i)      da un soggetto passivo che agisce in quanto tale o da un ente non soggetto passivo, quando il venditore è un soggetto passivo che agisce in quanto tale che non beneficia della franchigia per le piccole imprese prevista agli articoli da 282 a 292 e che non rientra nelle disposizioni previste agli articoli 33 e 36;

ii)      quando si tratta di mezzi di trasporto nuovi, da un soggetto passivo, o da un ente non soggetto passivo, i cui altri acquisti non sono soggetti all’IVA in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, o da qualsiasi altra persona non soggetto passivo;

iii)      quando si tratta di prodotti soggetti ad accisa, per i quali le accise relative sono esigibili nel territorio dello Stato membro a norma della direttiva 92/12/CEE, da un soggetto passivo o da un ente non soggetto passivo i cui altri acquisti non sono soggetti all’IVA, in forza dell’articolo 3, paragrafo 1;

c)      le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;

d)      le importazioni di beni».

5        L’articolo 73 della direttiva medesima prevede quanto segue:

«Per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui agli articoli da 74 a 77, la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni».

6        Ai sensi dell’articolo 242 della direttiva stessa:

«Ogni soggetto passivo deve tenere una contabilità che sia sufficientemente dettagliata per consentire l’applicazione dell’IVA e il suo controllo da parte dell’Amministrazione [finanziaria]».

7        Il successivo articolo 244 così dispone:

«Ogni soggetto passivo deve provvedere all’archiviazione di copie delle fatture emesse da lui stesso, dall’acquirente o dal destinatario, oppure in suo nome e per suo conto, da un terzo, nonché delle fatture che ha ricevuto».

8        A termini dell’articolo 250, paragrafo 1, della direttiva IVA:

«Ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione IVA in cui figurino tutti i dati necessari per determinare l’importo dell’imposta esigibile e quello delle detrazioni da operare, compresi, nella misura in cui sia necessario per la determinazione della base imponibile, l’importo complessivo delle operazioni relative a tale imposta e a tali detrazioni, nonché l’importo delle operazioni esenti».

9        Il successivo articolo 273 così recita:

«Gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera.

(…)».

Diritto italiano

10      L’articolo 39, primo comma, del Decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973, n. 600, recante disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (GURI n. 268 del 16 ottobre 1973), così dispone:

«Per i redditi d’impresa delle persone fisiche l’ufficio [dell’Agenzia delle Entrate] procede alla rettifica:

(…)

d)      se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio [dell’Agenzia delle Entrate] nei modi previsti dall’articolo 32. L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.».

11      Il Decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973, n. 633, recante istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto (GURI n. 292 dell’11 novembre 1972) disciplina le modalità di rettifica delle dichiarazioni dell’IVA. L’articolo 54 di tale decreto prevede, sostanzialmente, che la verifica delle veridicità delle dichiarazioni relative a detta imposta può essere operata mediante revisione formale della dichiarazione presentata ovvero in modo più approfondito, sulla base sia dei dati di cui dispone l’Amministrazione finanziaria, sia di quelli raccolti dall’amministrazione medesima mediante i propri poteri istruttori.

12      L’articolo 62 bis del Decreto legge n. 331/93 (GURI n. 203 del 30 agosto 1993), convertito dalla legge del 29 ottobre 1993, n. 427 (GURI n. 255 del 29 ottobre 1993), così recita:

«Gli uffici del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze, sentite le associazioni professionali e di categoria, elaborano, entro il 31 dicembre 199[5], in relazione ai vari settori economici, appositi studi di settore al fine di rendere più efficace l’azione accertatrice e di consentire una più articolata determinazione dei coefficienti presuntivi di cui all’articolo 11 del decreto‑legge 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154, e successive modificazioni. A tal fine gli stessi uffici identificano campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori da sottoporre a controllo allo scopo di individuare elementi caratterizzanti l’attività esercitata. (...) Gli studi di settore sono approvati con decreti del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 1995, possono essere soggetti a revisione ed hanno validità ai fini dell’accertamento a decorrere dal periodo di imposta 1995».

13      L’articolo 62 sexies, terzo comma, del decreto legge n. 331/93 prevede quanto segue:

«Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e 54 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62‑bis del presente decreto».

14      L’articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n.146 (GURI n.110 del 14 maggio 1998, supplemento ordinario alla GURI n. 93), così dispone:

«1.      Gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui all’articolo 62-sexies del decreto-legge 30 agosto 1993, n.331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, sono effettuati nei confronti dei contribuenti con le modalità di cui al presente articolo qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi.

(…)

3 bis)            Nelle ipotesi di cui al comma 1 l’ufficio, prima della notifica dell’avviso di accertamento, invita il contribuente a comparire, ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.

3 ter)      In caso di mancato adeguamento ai ricavi o compensi determinati sulla base degli studi di settore, possono essere attestate le cause che giustificano la non congruità dei ricavi o compensi dichiarati rispetto a quelli derivanti dall’applicazione degli studi medesimi. Possono essere attestate, altresì, le cause che giustificano un’incoerenza rispetto agli indici economici individuati dai predetti studi. Tale attestazione è rilasciata, su richiesta dei contribuenti, dai soggetti indicati alle lettere a) e b) del comma 3 dell’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni, dai responsabili dell’assistenza fiscale dei centri costituiti dai soggetti di cui alle lettere a), b) e c) dell’articolo 32, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e dai dipendenti e funzionari delle associazioni di categoria abilitati all’assistenza tecnica di cui all’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

(…)

5)      Ai fini dell’[IVA], all’ammontare dei maggiori ricavi o compensi, determinato sulla base dei predetti studi di settore, si applica, tenendo conto della esistenza di operazioni non soggette ad imposta ovvero soggette a regimi speciali, l’aliquota media risultante dal rapporto tra l’imposta relativa alle operazioni imponibili, diminuita di quella relativa alle cessioni di beni ammortizzabili, e il volume d’affari dichiarato.

(…)

7)      Con decreto del Ministro delle finanze è istituita una commissione di esperti, designati dallo stesso Ministro tenuto anche conto delle segnalazioni delle organizzazioni economiche di categoria e degli ordini professionali. La commissione, prima dell’approvazione e della pubblicazione dei singoli studi di settore, esprime un parere in merito alla idoneità degli studi stessi a rappresentare la realtà cui si riferiscono. Non è previsto alcun compenso per l’attività consultiva dei componenti della commissione.

(…)».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

15      La sig.ra Fontana, soggetta ad IVA, era oggetto di accertamento tributario con riguardo all’esercizio 2010.

16      L’Amministrazione finanziaria notificava alla ricorrente nel procedimento principale, in data 14 maggio 2014, un invito a comparire da cui derivava l’avvio di un procedimento di accertamento in contraddittorio.

17      Nell’ambito di tale procedimento, la sig.ra Fontana contestava il quantum dell’accertamento che le sarebbe stato notificato e che era stato determinato sulla base di uno studio di settore relativo alla categoria dei commercialisti e consulenti tributari.

18      In data 24 dicembre 2014 l’Amministrazione finanziaria notificava alla sig.ra Fontana un avviso di liquidazione per l’imposta sui redditi delle persone fisiche, l’imposta regionale sulle attività produttive e l’IVA dovute per l’esercizio 2010.

19      La ricorrente nel procedimento principale ricorreva quindi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria (Italia) contestando, segnatamente, il quantum dell’IVA arretrata reclamato dall’Amministrazione finanziaria. In particolare, affermava che l’Amministrazione finanziaria avrebbe erroneamente applicato alla sua situazione lo studio di settore relativo ai commercialisti e consulenti tributari, anziché lo studio relativo all’attività dei consulenti del lavoro, attività che la ricorrente medesima ritiene costituire la propria occupazione prevalente, deducendo, inoltre, che l’importo dell’IVA sarebbe stato calcolato sulla base di uno studio di settore che non consentirebbe di fornire un’adeguata rappresentazione dei redditi prodotti dalla propria impresa in termini di proporzionalità e di coerenza.

20      La Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria fa presente che le contestazioni sollevate dalla ricorrente nel procedimento principale ed attinenti al fatto che l’Amministrazione finanziaria avrebbe erroneamente ricondotto le attività della ricorrente medesima a quelle dei commercialisti e dei consulenti tributari risultano infondate, «non rivelan[dosi] sorrette da una condivisibile base di fatto».

21      Il giudice medesimo esprime, tuttavia, dubbi, per quanto attiene al metodo di valutazione dell’IVA arretrata, basato su uno studio di settore, con riguardo ai principi di neutralità fiscale e di proporzionalità.

22      Il giudice del rinvio sottolinea, a tal riguardo, che tale metodo di valutazione tiene unicamente conto del reddito complessivo, senza prendere in considerazione le singole operazioni economiche realizzate dal contribuente e il suo diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte.

23      Ciò premesso, la Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se [sia] o meno compatibile con gli articoli 113 e 114 TFUE nonché con la [direttiva IVA] la normativa nazionale italiana costituita dagli articoli 62 sexies, comma 3 e 62 bis, del [decreto legge n. 331/1993], convertito in legge 29 ottobre 1993, n. 427, nella parte in cui consente l’applicazione dell’IVA ad un volume d’affari globale induttivamente accertato, sotto il profilo del rispetto della detrazione e dell’obbligo di rivalsa e, più in generale, in relazione al principio di neutralità e traslazione dell’imposta».

Sulla questione pregiudiziale

Sulla ricevibilità

24      A parere del governo italiano, la questione sollevata è ipotetica, considerato che la contestazione della ricorrente nel procedimento principale, vertente essenzialmente sull’erronea classificazione applicata alla propria attività professionale nell’ambito degli studi di settore, è stata respinta dal giudice del rinvio il quale avrebbe, di fatto, escluso che lo studio di settore oggetto del procedimento principale non rappresenti la realtà dell’attività economica in questione.

25      A tal riguardo, occorre ricordare che le questioni relative al diritto dell’Unione godono di una presunzione di rilevanza. Il diniego, da parte della Corte, di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile solo qualora risulti manifestamente che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione non abbia alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni sottoposte al suo esame (sentenza del 26 ottobre 2017, BB construct, C‑534/16, EU:C:2017:820, punto 16 e la giurisprudenza ivi citata).

26      Nella specie, la ricorrente nel procedimento principale contesta le risultanze dello studio di settore in base al rilievo che essi non rifletterebbero la realtà della propria attività economica, il che ha indotto il giudice del rinvio ad interrogarsi sulla questione se il metodo di valutazione, fondato sullo studio di settore de quo, basato sul volume d’affari complessivo, senza prendere in considerazione le singole operazioni economiche realizzate dal contribuente, sia conforme o meno con il Trattato FUE, con la direttiva IVA nonché con i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità.

27      Conseguentemente, la questione sollevata dal giudice del rinvio non appare priva di relazione con la realtà o con l’oggetto del procedimento principale, ragion per cui dev’essere dichiarata ricevibile.

Nel merito

28      Si deve rilevare, in limine, che gli articoli 113 e 114 TFUE, richiamati dal giudice a quo nella questione posta, non sono pertinenti nella specie, considerato che essi riguardano le modalità istituzionali di adozione delle misure di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri nell’ambito dell’Unione europea.

29      Alla luce di tale rilievo, la questione sollevata dal giudice del rinvio dev’essere sostanzialmente intesa nel senso che detto giudice chiede se la direttiva IVA nonché i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità debbano essere interpretati nel senso che ostino ad una normativa nazionale, del genere di quella oggetto del procedimento principale, che consente all’Amministrazione finanziaria di ricorrere, ai fini dell’accertamento del volume d’affari realizzato da un contribuente, ad un metodo induttivo fondato su studi di settore, approvati con decreto ministeriale, e di procedere, conseguentemente, a rettifica tributaria che imponga il pagamento di una maggiorazione dell’IVA

30      A tal riguardo va sottolineato che, conformemente alla regola generale sancita all’articolo 73 della direttiva TVA, la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio effettuate a titolo oneroso è costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto a tal fine dal soggetto passivo (sentenza del 7 novembre 2013, Tulicã e Plavoºin, C‑249/12 e C‑250/12, EU:C:2013:722, punto 33 nonché la giurisprudenza ivi citata).

31      Al fine di consentire l’applicazione dell’IVA e la sua verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria, gli articoli 242 e 244 nonché l’articolo 250, paragrafo 1, della direttiva IVA impongono ai soggetti passivi debitori dell’imposta di tenere una contabilità sufficientemente dettagliata, archiviando copia delle fatture emesse nonché delle fatture pagate e, infine, di presentare all’Amministrazione finanziaria una dichiarazione in cui siano riportati tutti i dati necessari ai fini della determinazione dell’IVA esigibile.

32      Al fine di garantire l’esatta riscossione dell’IVA e di evitare le evasioni, l’articolo 273, primo comma, della direttiva IVA consente agli Stati membri di stabilire obblighi ulteriori rispetto a quelli previsti dalla direttiva da essi ritenuti necessari a tali fini, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra gli Stati membri da soggetti passivi, e a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra gli Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera. Inoltre, la direttiva IVA, a termini del suo considerando 59, intende consentire agli Stati membri di adottare, entro taluni limiti ed a determinate condizioni, misure speciali che deroghino alla direttiva stessa, al fine di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune forme di evasione o elusione fiscale.

33      La Corte ha precisato che dall’articolo 273, primo comma, nonché dall’articolo 2, dall’articolo 250, paragrafo 1, della direttiva IVA e dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE discende per ogni Stato membro l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel suo territorio e a lottare contro l’evasione (sentenze del 5 ottobre 2016, Maya Marinova, C‑576/15, EU:C:2016:740, punto 41 e giurisprudenza citata, nonché del 20 marzo 2018, Menci, C‑524/15, EU:C:2018:197, punto 18).

34      A tal riguardo, si deve sottolineare che l’omessa dichiarazione da parte di un contribuente del volume d’affari complessivo realizzato non può ostacolare la riscossione dell’IVA e che spetta alle istituzioni nazionali competenti ripristinare la situazione quale sarebbe sussistita in assenza di tale comportamento del contribuente medesimo (v., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 2016, Maya Marinova, C‑576/15, EU:C:2016:740, punto 42).

35      La Corte ha inoltre affermato che le disposizioni di cui all’articolo 273 della direttiva IVA, al di fuori dei limiti da esse fissati, non precisano né le condizioni né gli obblighi che gli Stati membri possono prevedere e conferiscono dunque agli Stati membri un margine discrezionale circa i mezzi idonei a raggiungere gli obiettivi di assicurare la riscossione dell’IVA e di evitare l’evasione. Essi sono tuttavia tenuti ad esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi generali e, segnatamente, nel rispetto dei principi di proporzionalità e di neutralità fiscale (v., in tal senso, in particolare, sentenze del 5 ottobre 2016, Maya Marinova, C‑576/15, EU:C:2016:740, punti 43 e 44 e la giurisprudenza citata, nonché del 17 maggio 2018, Vámos, C‑566/16, EU:C:2018:321, punto 41).

36      L’articolo 273 della direttiva IVA non osta quindi, in linea di principio, ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che, al fine di garantire l’esatta percezione dell’IVA e di prevenire l’evasione fiscale, determini l’importo dell’IVA dovuta da un soggetto passivo sulla base del volume d’affari complessivo, accertato induttivamente sulla scorta di studi settoriali approvati con decreto ministeriale.

37      Tuttavia, tale normativa nazionale e l’applicazione che ne viene fatta possono essere conformi al diritto dell’Unione solamente a condizione di rispettare i principi di neutralità dell’imposta e di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 2016, Maya Marinova, C‑576/15, EU:C:2016:740, punto 44).

38      Spetta al giudice del rinvio valutare la compatibilità delle misure nazionali controverse nel procedimento principale con le esigenze indicate al punto precedente. Tuttavia, la Corte può fornirgli indicazioni utili alla definizione della controversia sottoposta al suo esame (v., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 2016, Maya Marinova, C‑576/15, EU:C:2016:740, punto 46).

39      Per quanto attiene al principio di neutralità fiscale, secondo la giurisprudenza della Corte, il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA. Il regime delle detrazioni è volto a sollevare interamente l’imprenditore dall’onere dell’IVA dovuta o versata in relazione a tutte le sue attività economiche, subordinatamente alla condizione che tali attività siano anch’esse soggette, in linea di principio, all’IVA (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2015, Salomie e Oltean, C‑183/14, EU:C:2015:454, punti 56 e 57, nonché la giurisprudenza citata).

40      Come ripetutamente precisato dalla Corte, il diritto alla detrazione costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere limitato (v. sentenza del 26 aprile 2018, Zabrus Siret, C‑81/17, EU:C:2018:283, punto 33 e giurisprudenza citata).

41      Dall’applicazione del principio di neutralità fiscale discende che, laddove l’Amministrazione finanziaria intenda procedere ad una rettifica dell’IVA il cui importo risulti da un maggior volume d’affari complessivo accertato induttivamente, il soggetto passivo interessato deve disporre del diritto di detrarre l’IVA assolta a monte, secondo le modalità previste al riguardo nel titolo X della direttiva IVA.

42      Per quanto attiene al principio di proporzionalità, tale principio non osta a che una normativa nazionale preveda che solamente a fronte di rilevanti divergenze tra l’importo del volume d’affari dichiarato dal contribuente e quello determinato in base al metodo induttivo, sulla scorta del volume d’affari realizzato da soggetti esercenti la stessa attività del contribuente, possa avviarsi il procedimento di rettifica fiscale. Gli studi di settore utilizzati ai fini della determinazione induttiva del volume d’affari devono essere esatti, affidabili ed aggiornati. Divergenze di tal genere possono solamente far sorgere presunzioni relative, confutabili dal contribuente mediante prova contraria.

43      In tale contesto, si deve rilevare che il diritto di difesa del soggetto passivo dev’essere garantito durante tutto il corso del procedimento di rettifica fiscale, il che implica, in particolare, che ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto lesivo per il medesimo, questi dev’essere posto in condizione di manifestare utilmente il proprio punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intenda fondare la propria decisione (sentenza del 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, C‑129/13 e C‑130/13, EU:C:2014:2041, punto 30).

44      Il soggetto passivo deve quindi disporre, da un lato, della possibilità di contestare, ai fini della valutazione della propria specifica situazione, tanto l’esattezza quanto la pertinenza dello studio di settore in questione. Dall’altro, il soggetto passivo dev’essere in grado di far valere le circostanze per le quali il volume d’affari dichiarato, benché inferiore a quello determinato in base al metodo induttivo, corrisponda alla realtà della propria attività nel periodo interessato. Laddove l’applicazione di uno studio di settore implichi per il soggetto passivo medesimo di dover eventualmente provare fatti negativi, il principio di proporzionalità esige che il livello di prova richiesto non sia eccessivamente elevato.

45      Ciò detto, va osservato che il meccanismo in questione nel procedimento principale, alla luce della sua natura, della sua struttura e delle regole che concretamente lo disciplinano, non sembra violare il principio di proporzionalità, la cui verifica spetta tuttavia al giudice del rinvio.

46      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve rispondere alla questione sollevata dichiarando che la direttiva IVA nonché i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che consenta all’Amministrazione finanziaria, a fronte di gravi divergenze tra i redditi dichiarati ed i redditi stimati sulla base di studi di settore, di ricorrere ad un metodo induttivo, basato sugli studi di settore stessi, al fine di accertare il volume d’affari realizzato dal contribuente e procedere, di conseguenza, a rettifica fiscale con imposizione di una maggiorazione dell’IVA, a condizione che tale normativa e la sua applicazione permettano al contribuente stesso, nel rispetto dei principi di neutralità fiscale, di proporzionalità nonché del diritto di difesa, di contestare, sulla base di tutte le prove contrarie di cui disponga, le risultanze derivanti da tale metodo e di esercitare il proprio diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi delle disposizioni contenute nel titolo X della direttiva IVA, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

Sulle spese

47      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

La direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, nonché i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che consenta all’Amministrazione finanziaria, a fronte di gravi divergenze tra i redditi dichiarati ed i redditi stimati sulla base di studi di settore, di ricorrere ad un metodo induttivo, basato sugli studi di settore stessi, al fine di accertare il volume d’affari realizzato dal contribuente e procedere, di conseguenza, a rettifica fiscale con imposizione di una maggiorazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), a condizione che tale normativa e la sua applicazione permettano al contribuente stesso, nel rispetto dei principi di neutralità fiscale, di proporzionalità nonché del diritto di difesa, di contestare, sulla base di tutte le prove contrarie di cui disponga, le risultanze derivanti da tale metodo e di esercitare il proprio diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi delle disposizioni contenute nel titolo X della direttiva 2006/112, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.