Diritto della Famiglia e dei Minori


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20272 - pubb. 26/07/2018

Adozione particolare: dissenso manifestato dal genitore titolare della responsabilità genitoriale

Cassazione civile, sez. I, 16 Luglio 2018, n. 18827. Est. Campese.


Adozione particolare - Dissenso del genitore titolare della relativa potestà - Efficacia preclusiva ai sensi dell'art. 46 L. N. 184 del 1983 - Limiti



In tema di adozione particolare, il dissenso manifestato dal genitore titolare della responsabilità genitoriale, anche se non convivente con il figlio minore, ha efficacia preclusiva ai sensi dell'art. 46, comma 2, della I n. 184 del 1983, salvo che non sia stata accertata una situazione di disgregazione del contesto familiare d'origine del minore in conseguenza del protratto venir meno del concreto esercizio di un rapporto effettivo con il minore stesso da parte del genitore esercente la responsabilità. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano - Presidente -

Dott. VALITUTTI Antonio - Consigliere -

Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere -

Dott. IOFRIDA Giulia - Consigliere -

Dott. CAMPESE Eduardo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

1. La Corte di appello di Roma, Sezione per i Minorenni, con sentenza del 12 luglio 2016, n. 4433, statuendo sul corrispondente gravame proposto da M.P. e E.L., confermò la decisione del Tribunale per i Minorenni di quella stessa città nella parte in cui aveva respinto la loro domanda di adozione, ex art. 44, comma 1, lett. d), di Z.A., evidenziando come la stessa non potesse trovare accoglimento in virtù dell'efficacia preclusiva del dissenso opposto dalla madre del minore. Inoltre, in ragione dell'evidente disagio psicologico manifestato da quest'ultimo, desunto dalla relazione della ASL Roma (*) del 13 maggio 2016, modificò la sentenza di primo grado, revocando gli incontri liberi tra il minore e la madre, nonchè i suoi pernottamenti presso la stessa, ed incaricando la ASL Roma (*) - (*) di predisporre un progetto della durata di un anno "diretto a superare l'attuale situazione di disagio psicologico del minore Z.A. e di conflittualità fra gli affidatari e la madre del bambino, mediante incontri protetti madre-figlio ed incontri di mediazione tra le parti (affidatari e madre) al fine di pervenire al ricomponimento dell'attuale conflitto nel superiore interesse del minore, nonchè un percorso di sostegno alla genitorialità per la madre A.H., segnalando alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Roma eventuali condotte pregiudizievoli per il minore".

2. Avverso la descritta decisione, non notificata, ricorrono il M. e la E., formulando cinque motivi, resistiti dalla A., mentre non ha spiegato difese la Procura Generale presso la suddetta corte di appello. Entrambe le parti costituite hanno depositato memorie ex art. 380-bis c.p.c., comma 1, mentre va ritenuto inammissibile l'ulteriore deposito di quanto allegato alla nota della A. datata 4 giugno 2018, trattandosi di documento non attinente alla nullità della decisione impugnata e/o alla ammissibilità del ricorso e del controricorso, come invece richiesto dall'art. 372 c.p.c., comma 1.

2.1. Il primo motivo, rubricato "Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, nella specie la L. n. 184 del 1983, art. 46, comma 2, come modificata dalla L. n. 173 del 2015, e degli artt. 29 e 30 Cost.", ascrive alla corte distrettuale di aver ritenuto insindacabile il dissenso della madre naturale facendo riferimento ad un orientamento giurisprudenziale restrittivo e minoritario, laddove un valido dissenso deve necessariamente provenire "dal genitore che non sia mero titolare della potestà genitoriale, ma ne abbia altresì il concreto esercizio, grazie ad un rapporto effettivo con il minore, caratterizzato di regola dalla convivenza, in ragione della centralità attribuita dagli artt. 29 e 30 Cost. alla effettività del rapporto genitore-figlio".

2.2. Il secondo motivo, intitolato "Art. 360, nn. 3 e 5. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare della L. n. 184 del 1983, art. 44 nonchè della L. n. 173 del 2015, art. 1. Omessa valutazione dello stato di semiabbandono permanente del minore, successivamente nuovamente evolutosi in abbandono, e della continuità dei rapporti affettivi tra il minore e la famiglia affidataria", critica la decisione impugnata per aver focalizzato la propria attenzione esclusivamente sulla ritenuta, a torto, efficacia preclusiva del dissenso della madre naturale, senza valutare ogni altro aspetto della vicenda, compreso l'interesse preminente del minore. In particolare, si enfatizza il contesto sociale e familiare di grande soddisfazione in cui quest'ultimo vive da almeno sette anni ed il forte legame intercorrente tra lui ed i ricorrenti, contestualmente stigmatizzandosi l'assenza di un rapporto affettivo costante tra il medesimo e la madre naturale.

2.3. Il terzo motivo, recante "Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare della L. n. 184 del 1983, art. 44, lett. d) e art. 46, comma 2, della L. n. 173 del 2015, art. 1, dell'art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, dell'art. 3, comma 1, art. 18, comma 1 e art. 21, comma 1, della Convenzione di New York. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Omessa valutazione dell'interesse del minore", imputa alla corte distrettuale di aver anteposto l'interesse della madre naturale a quello del minore; di non aver offerto alcuna valutazione in ordine alla richiesta di adozione "mite"; di non aver considerato i numerosi periodi di abbandono del figlio da parte della madre.

2.4. Il quarto motivo prospetta, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la "Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell'art. 99 c.p.c.. Ultrapetizione", ed invoca la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui si è pronunciata in ordine agli incontri protetti madre bambino.

2.5. Il quinto motivo, infine, rubricato "Art. 360, n. 3. Violazione di legge (e) di norme di diritto, in particolare dell'art. 2697 c.c., artt. 356, 115 e 116 c.p.c., nonchè della L. n. 184 del 1983, art. 15, comma 2. Valutazione erronea delle prove e mancata ammissione di prove addotte dalla difesa dei coniugi M.", lamenta che la corte capitolina aveva assunto a fondamento del proprio convincimento la relazione dei servizi sociali del 17 settembre 2015, non redatta in contraddittorio delle parti, ed aveva omesso di motivare in ordine alla richiesta consulenza tecnica d'ufficio psicodiagnostica sul minore ed in relazione alla richiesta di prova per testi e di ascolto del minore medesimo, così incorrendo in una insanabile nullità della procedura.

3. Ritiene il Collegio di poter scrutinare congiuntamente, attesa la evidente connessione tra loro esistente, i motivi primo, secondo, terzo e quinto, il cui esame ne rivela, nel complesso, la infondatezza per le ragioni tutte di seguito esposte.

3.1. La Corte di appello di Roma, Sezione per i Minorenni, ha respinto la domanda di adozione, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44, lett. d), del minore Z.A., formulata dal M. e dalla E., attribuendo rilevanza determinante al diniego di consenso al riguardo manifestato dalla madre di detto minore.

La Corte territoriale ha affermato, in proposito, che, "poichè, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 46 assume decisivo rilievo il rifiuto dell'assenso all'adozione da parte dei "genitori esercenti la potestà", deve tenersi conto dell'incidenza sull'art. 317-bis c.c. (evidentemente nel testo ante riforma di cui al D.Lgs. n. 154 del 2013, ndr), secondo cui l'esercizio della potestà genitoriale spetta congiuntamente ad entrambi genitori qualora siano conviventi, ovvero, se non convivono, a quello con il quale i figlio convive, della modifica apportata all'art. 155 c.c. dalla L. n. 54 del 2006 (la quale prevede, all'art. 4, la sua applicabilità ai procedimenti relativi ai figli di minori non coniugati), con particolare riferimento all'attribuzione della potestà genitoriale ad entrambi i genitori, anche dopo la cessazione della convivenza" (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata). Pertanto, richiamando i principi espressi da Cass. n. 10265 del 2011, da Corte cost. n. 182 del 1998 e da Cass. n. 9795 del 2000, ha concluso che, nella specie, la A., benchè non fosse attualmente convivente con il figlio minore, non aveva comunque perduto l'esercizio della responsabilità genitoriale sullo stesso (posto che, con la sentenza del 9 maggio 2014, il Tribunale per i Minorenni di Roma ne aveva revocato la sospensione e la nomina del tutore provvisorio nella persona della E., disponendo l'affidamento del minore alla coppia M. - E. per la durata di due anni), sicchè il suo diniego di assenso all'adozione predetta doveva considerarsi assolutamente ostativo ad essa, precludendo al giudice ogni valutazione circa la sua giustificabilità, o meno, e la sua rispondenza all'interesse del minore (cfr. pag. 10-11 della menzionata sentenza).

3.2. La sentenza impugnata, dunque, ha interpretato la L. n. 184 del 1983, art. 46, comma 2, nel senso che il rifiuto dell'assenso all'adozione da parte del genitore esercente la responsabilità sul minore, benchè nella specie non convivente con quest'ultimo, "deve considerarsi assolutamente ostativo all'adozione, precludendo al giudice ogni valutazione circa la giustificabilità o meno di tale rifiuto e la rispondenza di esso all'interesse del minore".

3.3. Questa Corte si è già pronunciata sulla questione con la sentenza n. 18575 del 21 settembre 2015, la quale - nel ricordare che già nella precedente decisione della medesima Corte n. 11604 del 26 ottobre 1992 si legge che "l'aver conferito effetti ostativi alla sola volontà dei genitori esercenti la potestà, escludendoli nel caso in cui l'assenso sia stato rifiutato dal genitore che quella potestà non esercita, trova ragion d'essere nella considerazione che solo la comunanza di vita e la conseguente conoscenza degli interessi e delle esigenze del minore rendono rilevante il dissenso - ha affermato che "in tema di adozione particolare, ha efficacia preclusiva ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 46, comma 2, il dissenso manifestato dal genitore che non sia mero titolare della responsabilità genitoriale, ma ne abbia altresì il concreto esercizio grazie ad un rapporto effettivo con il minore, caratterizzato di regola dalla convivenza, in ragione della centralità attribuita dagli artt. 29 e 30 Cost. all'effettività del rapporto genitore-figlio".

Come rilevato in precedenza, a tale orientamento si sono riportati i ricorrenti nel censurare la sentenza impugnata.

3.4. Ritiene il Collegio di dare continuità al principio secondo cui non ha efficacia preclusiva, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 46, comma 2, il dissenso manifestato dal genitore che sia meramente titolare della responsabilità genitoriale, senza averne il concreto esercizio grazie a un rapporto effettivo con il minore, e che, tuttavia, detto principio debba essere meglio puntualizzato con le precisazioni e le limitazioni che seguono.

3.4.1. Al riguardo, va in primo luogo rilevato che quel principio fu enunciato con riferimento ad una fattispecie concreta in cui il genitore (la madre) non esercitava in concreto, da molti anni, la responsabilità genitoriale sulla figlia, con la quale non intratteneva alcun effettivo rapporto, se non quello esplicantesi, in epoca più recente, negli incontri protetti. In particolare, la richiamata sentenza n. 18575 del 2015 riguardò una fattispecie in cui il giudice di appello, respingendo il gravame della madre di una minore, confermò la sentenza di primo grado che aveva pronunciato l'adozione particolare, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d), della minore stessa da parte di una coppia di coniugi escludendo l'illegittimità dell'adozione per difetto di consenso della madre dell'adottanda, non avendo ella mai instaurato un rapporto con la figlia, che sin da tenera età era stata inserita in un istituto per minori e poi assegnata in affidamento preadottivo ai coniugi suddetti, attuali adottanti, ed era stata nuovamente affidata ai predetti anche dopo che il medesimo giudice d'appello aveva revocato la dichiarazione di adottabilità con sentenza passata in giudicato; sentenza che si basava sulla sopravvenuta condotta del padre della bambina - che tuttavia si era poi convinto della opportunità dell'adozione particolare, non opponendovisi - e confermava, invece, il disinteresse della madre. In considerazione della inesistenza di rapporti, sia attuali che pregressi, fra madre e figlia, e quindi della non conoscenza degli interessi e delle esigenze della seconda da parte della prima, evincibile anche dalle dichiarazioni rese da questa nel corso del giudizio, il dissenso materno era superabile, rivelandosi, infatti, pienamente conforme al preminente interesse della minore l'adozione da parte di quei coniugi, i quali avevano amorevolmente accudito, educato ed istruito sia l'indicata minore che sua sorella, assecondandone le inclinazioni naturali e facendole vivere per la prima volta in un ambiente familiare sereno e rassicurante.

3.4.2. La Suprema Corte in quell'occasione, respingendo il corrispondente motivo di ricorso della madre, giunse alla conclusione di cui si è precedentemente detto ricordando che la ricorrente, al momento dell'adozione, non esercitava in concreto, da molti anni, la responsabilità genitoriale sulla figlia adottanda, con la quale pacificamente non intratteneva alcun effettivo rapporto se non quello esplicantesi, in epoca più recente, negli incontri protetti; pertanto, il dissenso della stessa all'adozione ben poteva essere superato in base alla valutazione del preminente interesse della minore in concreto operata dalla corte di merito.

3.5. Si trattava, dunque, di fattispecie concreta affatto diversa da quella su cui è intervenuta la sentenza in questa sede impugnata, la quale, invece, alla stregua di quanto risulta da una lettura doverosamente unitaria e complessiva della motivazione (e non frammentata, come avvenuto da parte del sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta), ha posto in rilievo che la madre naturale non si è mai completamente disinteressata del figlio (nato nel settembre 2008, e, fin dal successivo luglio 2009, accolto presso l'abitazione dei coniugi M. - E. che avevano offerto il loro aiuto per sopperire alle condizioni di precarietà del nucleo familiare, estendendo, dall'aprile 2010, l'ospitalità anche alla A.), non sussistendo, pertanto, un effettivo mancato esercizio della genitorialità, e, soprattutto, che la coppia di adottanti ha tenuto un comportamento non conforme allo spirito dell'affido e dell'adozione speciale, creando progressivamente una situazione di fatto che ha scavato un solco di incomunicabilità ed avversione tra madre e figlio: un atteggiamento, quindi, volto non a favorire il coinvolgimento della madre naturale nel rapporto con il figlio, ma ad estrometterla progressivamente dalla vita affettiva del minore.

3.5.1. Significative, in proposito, sono le affermazioni della corte distrettuale in cui si evidenzia che: i) nel corso di un precedente procedimento volto all'accertamento dello stato di abbandono del minore (conclusosi con una dichiarazione di non luogo a provvedere), era emerso che sua madre aveva continuato a vivere con lui presso la famiglia M., lavorando presso una pizzeria nei pressi di (*) fino al novembre 2012, allorquando aveva iniziato a convivere, nel Comune di Carsoli, con il nuovo compagno, T.A., con cui aveva instaurato una relazione affettiva dal luglio 2012, sfociata in un successivo matrimonio dal quale erano nati altri due figli (cfr. pag. 2-3);

ii) nel periodo successivo al novembre 2012, la A. si era recata con stabilità (1 -2 volte a settimana) a visitare il figlio A., che era sempre molto contento di trascorrere del tempo con lei, sicchè non poteva dirsi che la madre avesse realizzato un abbandono di quel figlio (cfr. pag. 3);

iii) nella motivazione del provvedimento impugnato innanzi ad essa, il Tribunale per i Minorenni di Roma aveva rilevato "che la sfiducia degli affidatari nelle risorse materne non permette loro di favorire il legame tra la madre H. ed A., come sarebbe nello spirito dell'affido, ponendosi più come sostituti genitoriali che come persone favorenti il rapporto ed il rientro presso la madre e la sua famiglia ricostituita; che i coniugi M. - E., nel corso del periodo di affidamento, non hanno aiutato il bambino a recuperare e consolidare il rapporto con la madre, venendo meno allo spirito ed al significato dell'affido e ponendo il bambino in una trama ansiosa, dannosa alla già provata serenità del bambino che, infatti, presenta allo stato segnali di disagio psicologico" (cfr. pag. 4); iv) "Nella relazione di aggiornamento sulla condizione psicologica del minore del 13.05.2016, la ASL Roma (*) ha riferito che A., apparso in evidente condizione di angoscia e prostrazione, ha assunto un ruolo attivo di contrapposizione alla richiesta materna e la sua posizione di rifiuto non è dovuta solo agli ultimi eventi, in quanto già nel novembre 2014 aveva, manifestato il suo rifiuto della sola idea di andare a vedere dove viveva la madre. Di fronte alla minaccia di essere portato via da quello che negli anni è stato il suo contesto familiare, il bambino reagisce con l'esasperazione degli atteggiamenti di rifiuto e con la determinazione di spogliarsi dell'identità di figlio di H. per rimanere solo figlio degli attuali affidatari. Rileva, al riguardo, il servizio che questa posizione, se, attualmente, protegge il bambino da vissuti di dolore e separazione, comporta, a livello prognostico, dei rischi nella crescita psichica del bambino, da cui lo stesso va tutelato, prevedendo che gli adulti coinvolti, nelle rispettive responsabilità, gli garantiscano la possibilità di ricostruire con la madre una relazione di fiducia" (cfr. pag. 11).

3.5.2. Va altresì rilevato che il riferimento operato nella sentenza n. 18575 del 2015 alla convivenza tra genitore biologico e minore quale elemento caratterizzante "di regola" il concreto esercizio del rapporto affettivo con il minore sembra porsi in contrasto con il diverso orientamento espresso dalla Corte di legittimità nella sentenza n. 10265 del 10 maggio 2011, nella quale si è affermato che "in tema di adozione in casi particolari, ha efficacia preclusiva, ai sensi della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 46 il dissenso manifestato dal genitore naturale non convivente all'adozione del figlio minore a norma dell'art. 44, lett. b) della legge richiamata, dovendo egli ritenersi comunque "esercente la potestà", pur quando lo stesso non sia mai stato convivente con il minore". Può pertanto affermarsi che non sia la convivenza l'elemento sintomatico necessario, di regola, per verificare la sussistenza del concreto esercizio di un effettivo rapporto con il minore, potendosi e dovendosi desumere tale concreto esercizio dalle reali e qualificanti modalità di svolgimento delle relazioni tra genitore e minore anche se non conviventi tra loro.

3.5.3. Ritiene di conseguenza il collegio che debbano essere delimitati la portata ed il perimetro applicativo del principio enunciato dalla sentenza n. n. 18575 del 2015, anche per evitare che, nella assolutezza della sua formulazione, esso rischi di porsi in dissonanza con le linee guida che governano i presupposti e ispirano la disciplina dell'adozione - in forza dei quali l'interesse prevalente del minore è quello "di vivere, per quanto possibile, con i propri genitori e di essere allevato nell'ambito della propria famiglia" di origine (Cass. n. 13435 del 2016), con la conseguenza che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità deve rappresentare la "extrema ratio" (Cass. n. 23979 del 2015; n. 3915 del 2018), richiedendosi al giudice di merito di operare un giudizio prognostico teso, in primo luogo, a verificare l'effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali (Cass. n. 7559 del 2018) - e di rovesciare, invece, i termini di confronto con riferimento all'adozione speciale di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d), in cui il consenso del genitore biologico rileva solo se conforme all'interesse del minore e solo se sorretto da un rapporto effettivo con lui, caratterizzato di regola dalla convivenza.

3.5.4. Il principio enunciato dalla sentenza n. 18575 del 2015 deve essere anche più specificamente raccordato con la funzione propria del particolare tipo di adozione speciale oggetto del presente giudizio, la quale, come esattamente rilevato dal giudice di appello, consente di formalizzare il rapporto affettivo instaurato dal minore con i soggetti impegnati nella sua cura, creando uno status personale tra adottante e adottato, senza però far venir meno il vincolo esistente con i genitori biologici e la famiglia di origine. Diversamente ragionando, si rischia di svilire il preminente interesse del minore alla piena tutela delle relazioni familiari "effettive", parimenti riducendo a mera declamazione verbale, ma smentita nei fatti, il carattere "funzionale" della potestà, il suo essere oggi "responsabilità" e non diritto.

4. Sembra, dunque, necessario guardare alla realtà effettiva delle relazioni familiari. E' su questa via, d'altra parte, che si muove la giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo (cfr. Wagner c. Lussemburgo, 28 giugno 2007; Schneider v. Germany, 15 settembre 2011, c. 17080/7), secondo la quale, per vita familiare ai sensi dell'art. 8 CEDU, si devono intendere non solo i vincoli formali di genitorialità e parentela, ma, ancor prima, le relazioni di fatto esistenti, intese come ambiente familiare che soddisfa i bisogni esistenziali del minore.

4.1. Se, dunque, si considerano le relazioni familiari nella loro effettività e l'interesse del minore alla salvaguardia di quelle non meramente formali, ma realmente esistenti nella sua esperienza di vita, si comprende anche che cosa debba intendersi per "esercizio della potestà (oggi "responsabilità"). Non un'investitura formale da parte del legislatore - che non può mai mancare quando ad essere attribuito è un potere che ha senso in quanto si abbia la possibilità di esercitarlo - ma effettivo esercizio delle responsabilità. Questo, sì, può mancare quando il genitore, pur formalmente investito del potere, in concreto non lo eserciti. In questi casi l'intervento del giudice che valuti la corrispondenza dell'adozione all'interesse del minore si giustifica e si apprezza come momento di bilanciamento degli interessi in gioco: del genitore a conservare un rapporto privilegiato con il figlio, e di quest'ultimo ad essere inserito a tutti gli effetti, con pieno riconoscimento di diritti e doveri, nella famiglia che si prende cura di lui (cfr., ad esempio, Cass. n. 6633 del 2002).

4.2. Non può sottacersi, peraltro, che, nella sentenza n. 182 del 1988, con la quale è stata dichiarata l'incostituzionalità della L. n. 184 del 1983, art. 45, comma 2 e art. 56, comma 2, nella parte in cui prevedevano (prima delle modifiche introdotte dalla L. 28 marzo 2001, n. 149) la necessità, in vista dell'adozione particolare, del consenso anzichè della mera audizione del legale rappresentante del minore, la Corte costituzionale ha svolto anche importanti considerazioni circa la giustificazione dell'ulteriore limite alla valutazione dell'interesse dell'adottando, da parte del giudice, costituito dalla insuperabilità del dissenso dei genitori esercenti la potestà (ora responsabilità) o del coniuge convivente. "Siffatto limite", ha osservato, "ha una giustificazione in valori costituzionalmente garantiti, quali quello della conservazione della compagine familiare e della società coniugale effettivamente vissute, di cui agli artt. 29 e 30 Cost., che prevalgono anche in presenza degli opposti consensi manifestati dall'adottante e dall'adottando. L'interesse dell'adottando si deve intendere qui considerato in via definitiva dai genitori o dal coniuge, i quali dalla richiesta di adozione da parte di un determinato adottante o dalla richiesta di aggiunzione di un qualunque rapporto adottivo al vincolo originario di filiazione o a quello di coniugio, l'uno e l'altro attualmente ed effettivamente convissuti, possono ritenere di ricevere pregiudizio o presumere di soffrire turbamento o semplicemente interferenza non gradita nella propria vita di relazione con il minore figlio o consorte".

4.3. Nel passo sopra riportato è evidente il ruolo centrale attribuito alla effettività del rapporto genitore-figlio. Non già l'astratta spettanza della responsabilità genitoriale, bensì la effettività del vincolo familiare giustificano, secondo la Corte costituzionale, la speciale protezione attribuita a tale vincolo dalla L. n. 184 del 1983, art. 46, in applicazione dei principi di cui agli artt. 29 e 30 Cost..

4.4. Proprio alla stregua di tali considerazioni, dunque, il Collegio ritiene, da un lato, di dare continuità al principio generale desumibile da Cass. n. 18575 del 2015, ribadendo, così, che, per genitori esercenti la responsabilità genitoriale, il cui dissenso, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 46, comma 2, impedisce l'adozione particolare, debbano intendersi i genitori che non siano meri titolari della responsabilità stessa, ma ne abbiano, altresì, il concreto esercizio, grazie a un rapporto effettivo con il minore; dall'altro, però, reputa che la L. n. 184 del 1983, art. 46, comma 2, laddove sancisce che il dissenso all'adozione ex art. 44 della medesima legge manifestato dal genitore esercente la responsabilità genitoriale osti alla pronuncia di quell'adozione, debba comunque configurarsi come una norma di salvaguardia, trovando un siffatto limite la sua giustificazione in valori costituzionalmente garantiti, quali quello della conservazione della compagine familiare e della società coniugale effettivamente vissute, di cui agli artt. 29 e 30 Cost., che prevalgono anche in presenza di opposti consensi manifestati dall'adottante e dall'adottando.

5. Il dissenso espresso dal genitore titolare della responsabilità genitoriale, ed esercente la stessa benchè, come nella specie, non convivente con il proprio figlio minorenne, mantiene, dunque, il suo valore preclusivo all'adozione L. n. 184 del 1983, ex art. 44 salvo che non si sia già manifestata - come era palesemente accaduto nella fattispecie all'attenzione della menzionata sentenza n. 18575 del 2015 - una situazione di disgregazione del contesto familiare d'origine del minore.

Deve conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto: "In tema di adozione particolare, il dissenso manifestato dal genitore titolare della responsabilità genitoriale, anche se non convivente con il figlio minore, ha efficacia preclusiva ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 46, comma 2, salvo che non sia stata accertata una situazione di disgregazione del contesto familiare d'origine del minore in conseguenza del protratto venir meno del concreto esercizio di un rapporto effettivo con il minore stesso da parte del genitore esercente la responsabilità".

5.1. Nella vicenda all'esame di questa Corte, come si è ricordato in precedenza, la sentenza impugnata ha chiaramente riferito che, dalle relazioni dei servizi sociali, risulta che la A. ha continuato a manifestare interesse al recupero del rapporto con il figlio minore, in ciò certamente non agevolata dalla condotta assunta, nel corso degli anni, dagli odierni ricorrenti, i quali, nel corso del periodo di affidamento, non hanno aiutato il bambino a recuperare e consolidare il rapporto con la madre, venendo meno allo spirito ed al significato dell'affido e ponendo il bambino, che presenta segnali di disagio psicologico, in una trama ansiosa, dannosa alla sua già provata serenità. Non è, dunque, ravvisabile, nella specie, quella situazione di disgregazione del contesto familiare di origine del minore che, per quanto si è fin qui detto, avrebbe consentito al giudice di merito di non tener conto del dissenso all'adozione manifestato dalla madre.

5.2. La Corte di appello di Roma, Sezione per i Minorenni, pertanto, nel respingere la domanda di adozione formulata dal M. e dalla E., L. n. 184 del 1983, ex art. 44, comma 1, lett. d), attribuendo esclusiva rilevanza al diniego di consenso al riguardo manifestato dalla madre naturale del minore Z.A. ("la domanda di adozione degli appellanti non può essere accolta in ragione dell'efficacia preclusiva del dissenso manifestato dalla madre del minore", pag. 11), non ha statuito in conformità al principio di diritto enunciato al precedente p. 5, in ragione dell'efficacia preclusiva attribuita al dissenso manifestato dalla madre, senza in alcun modo attribuire rilievo alla verifica dell'inesistenza di una situazione di disgregazione del contesto familiare d'origine del minore, in conseguenza del protratto venir meno, da parte del genitore esercente la responsabilità, del concreto esercizio di un effettivo rapporto con il minore medesimo.

5.3. Pertanto, la sentenza impugnata risulta erroneamente motivata in diritto, ma il suo dispositivo, per quanto riguarda la conferma della sentenza appellata nella parte relativa al rigetto della domanda di adozione speciale formulata da M.P. e E.L., è conforme al diritto, risultando accertato in atti, per le ragioni già illustrate nei precedenti p.p. 3.5 e 3.5.1., che la madre naturale non si è mai completamente disinteressata del figlio, non potendosi, pertanto, ravvisare nella specie un effettivo mancato esercizio della genitorialità da parte sua.

La motivazione in diritto della sentenza impugnata va conseguentemente corretta sulla base del principio in precedenza enunciato al p. 5, secondo quanto previsto dal disposto dell'art. 384 c.p.c., u.c..

5.4. Quanto al lamentato mancato ascolto del minore in appello, dedotto nel quinto motivo, rileva il collegio che il medesimo è certamente stato ascoltato in primo grado (udienza del 26.10.2015. Cfr. pag. 3 del ricorso), mentre non risulta, stando al tenore delle conclusioni dell'atto di appello riprodotte alla pag. 8 dell'odierno ricorso, che la relativa questione sia stata prospettata al giudice del gravame ed in questa sede di legittimità i ricorrenti non hanno indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, se ed in quale atto del giudizio di appello la richiesta di ascolto del minore sia stata effettuata.

5.5. In ordine alle istanze istruttorie formulate ma non accolte in grado di appello (estromissione della relazione dei servizi sociali del 17 settembre 2015, ammissione di una consulenza tecnica d'ufficio psicodiagnostica diretta ad accertare lo stato psicologico del minore e ammissione di prova testimoniale), la doglianza deve ritenersi inammissibile nella fase di legittimità, costituendo censura sull'esercizio dei poteri istruttori del giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza (cfr. Cass. n. 19547 del 2017). Anche il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d'ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità (cfr. Cass. n. 7472 2017). Nel caso di specie, la corte di appello ha fatto riferimento non alla relazione dei servizi sociali del 17 settembre 2015, di cui i ricorrenti hanno chiesto "l'estromissione", ma alla relazione della ASL Roma (*), del 13 maggio 2016, dettagliatamente richiamata e posta alla base della motivazione della propria decisione, con implicito rigetto della richiesta di prova per testi e di consulenza tecnica formulata dagli appellanti, prova per testi e consulenza cui i giudici di appello hanno preferito, nell'interesse del minore e nell'esercizio dei loro poteri istruttori non sindacabile in questa sede di legittimità, - tenuto anche conto della genericità delle argomentazioni addotte dai ricorrenti a sostegno della censura sulla mancata ammissione delle richieste istruttorie, fondate, quelle relative alla consulenza, esclusivamente su soggettive valutazioni di merito tese a confutare, senza riscontri, l'attendibilità della citata relazione del 13 maggio 2016 - l'affidamento ad una struttura pubblica (Asl Roma 2 (*)) della predisposizione di "un progetto - della durata di un anno - diretto a superare l'attuale disagio psicologico del minore Z.A. e di conflittualità fra gli affidatari e la madre del bambino, mediante incontri protetti madre-figlio ed incontri di mediazione fra le parti (affidatari e madre) al fine di pervenire al ricomponimento dell'attuale conflitto nel superiore in interesse del minore nonchè un percorso di sostegno alla genitorialità per la madre A.H., segnalando alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Roma eventuali condotte pregiudizievoli per il minore".

6. Analoga negativa sorte, merita, infine, il quarto motivo.

6.1. Giova, in proposito, ricordare che, con la sentenza del 30 dicembre 2015/29 gennaio 2016, n. 34, il Tribunale per i minorenni di Roma, oltre a respingere la domanda di adozione ex art. 44, lett. d), proposta dagli odierni ricorrente, già affidatari, dal 2009, di Z.A., incaricò i Servizi Sociali del 7^ Municipio di Roma "di seguire, in tempi ravvicinati, il minore perchè ne sia favorito il rapporto libero, senza presenza di alcun elemento delle rete familiare affidataria, con la madre e con i fratelli e ne sia consentito il pernottamento presso la casa materna per almeno tre fine settimana al mese, e di relazionare entro e non oltre il 15 maggio 2016".

6.2. Contro quella sentenza proposero appello i coniugi M. - E., deducendo, su questo specifico punto, che: i) il tribunale "si era pronunciato anche sui rapporti tra A. e la madre biologica, sul marito di quest'ultima e sui figli nati dal loro matrimonio, nonostante i ricorrenti avessero limitato la domanda all'adozione "mite", statuendo anche sul pernottamento e sugli incontri "liberi" in assenza dei componenti della famiglia M." (cfr. pag. 6-7 dell'odierno ricorso), così incorrendo nel vizio di ultrapetizione, posto che le questioni dell'affidamento e delle frequentazioni con la madre biologica erano già oggetto di altro e specifico procedimento pendente innanzi al Tribunale per i Minorenni di Roma (n.r.g. 76/2010); ii) in ogni caso, l'affidamento e la frequentazione predetti "non potevano e non dovevano essere regolate in forma libera, introducendo, per di più, il pernottamento del minore presso la madre, senza alcuna pregressa preparazione psicologica del minore" (cfr. pag. 7 del citato ricorso).

6.3. La Corte di appello di Roma, sezione per i minorenni, con la decisione oggi impugnata, modificò, come si è già detto, solo su questo aspetto la sentenza di primo grado, revocando gli incontri liberi tra il minore e la madre, nonchè i suoi pernottamenti presso la stessa, e incaricando la ASL Roma (*) - (*) di predisporre il progetto cui si è fatto riferimento al precedente.

6.4 Fermo quanto precede, ritiene il Collegio che i provvedimenti diversi dalla statuizione sulla domanda di adozione L. n. 184 del 1983, ex art. 44, lett. d), nella specie resi dal tribunale per i minorenni, erano, sebbene formalmente adottati unitamente alla sentenza pronunciata da quest'ultimo, da essa distinti e non si differenziavano dai provvedimenti provvisori che, in ogni tempo, il tribunale medesimo può adottare dopo l'apertura del procedimento innanzi ad esso.

6.4.1. Questi ulteriori provvedimenti erano appellabili da chi avesse avuto interesse ad impugnare anche la sentenza cui gli stessi accedevano (cfr. Cass. n. 15341 del 2012, nonchè la più recente Cass. n. 5134 del 2014), e costituisce giudizio di merito riservato al giudice di appello l'avvenuta l'interpretazione del complessivo contenuto della riportata doglianza formulata in sede di gravame, nel senso di ritenere, nell'interesse del minore, che la censura degli appellanti comportasse la rivalutazione dei provvedimenti provvisori adottati dal giudice di primo grado.

6.5. Ne consegue, dunque, l'insussistenza del vizio di ultrapetizione lamentato dagli odierni ricorrenti.

7. Il ricorso va, dunque, respinto, ma le spese di questo giudizio di legittimità possono essere interamente compensate tra le parti in ragione della peculiarità della fattispecie trattata e della non completa univocità della riscontrata giurisprudenza in materia.

8. Non sussistono i presupposti per l'applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, stante l'esplicita esenzione dei procedimenti riguardante la prole sancita dall'art. 10, comma 2, medesimo D.P.R..

9. Va, disposta, da ultimo, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Dispone, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2018.