Persone e Misure di Protezione


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20153 - pubb. 12/07/2018

L’interdetto può presentare domanda di separazione dalla moglie

Cassazione civile, sez. I, 06 Giugno 2018, n. 14669. Est. Cristiano.


Interdizione – Interdetto – Domanda di separazione – Ammissibilità – Rappresentanza del tutore – Sussiste



Secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 357 e 414 c., all’interdetto è consentito, per il tramite del rappresentante legale, il compimento anche di atti personalissimi, come la presentazione della domanda di separazione personale (a meno che, come nel caso dell’art. 85 c.c., non gli siano espressamente vietati), ben potendo l’esercizio del corrispondente diritto rendersi necessario per assicurare la sua adeguata protezione. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


Fatti di causa

1. La Corte d’appello di Venezia ha respinto l’appello proposto da C.A. contro la sentenza non definitiva del Tribunale di Padova che aveva accolto la domanda di separazione giudiziale avanzata nei suoi confronti dall’avv. N.A. , nella sua qualità di tutore e legale rappresentante del marito K.A. , dichiarato interdetto nel 2004, dopo circa un anno di matrimonio, per il gravissimo danno cerebrale riportato a seguito di un incidente stradale.

La corte del merito ha ritenuto che l’autorizzazione rilasciata dal giudice tutelare all’avv. N. , conforme alla richiesta di questi di "dar corso allo scioglimento del matrimonio", fosse certa mente comprensiva dell’ autorizzazione a promuovere il preliminare giudizio di separazione; ha inoltre escluso che il tutore non potesse procedere ad attivare detto giudizio e che, a tal fine, fosse necessaria la nomina di un curatore speciale dell’interdetto.

2. La sentenza, pubblicata il 6.6.2016, è stata impugnata da C.A. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui l’avv. N. , nella qualità, ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando la violazione dell’art. 81 c.p.c., lamenta che la corte d’appello abbia ritenuto ammissibile la domanda di separazione proposta, in nome e per conto del marito interdetto, dal tutore N.A. nonostante quest’ultimo si fosse limitato a richiedere al giudice tutelare di essere autorizzato a conferire a due avvocati del foro di Padova mandato al fine "di dar corso al procedimento di scioglimento del matrimonio contratto in (omissis) fra i signori K.A. ed C.A. " ed il giudice si fosse limitato ad "autorizzare quanto richiesto".

Osserva, inoltre, che l’autorizzazione non poteva in nessun caso ritenersi comprensiva della domanda di addebito, autonoma rispetto a quella di separazione, e si duole che tale specifica questione, dedotta in sede di gravame, non sia stata esaminata dal giudice d’appello.

2. Col secondo motivo - che denuncia violazione dell’art. 85 c.c. e delle norme dalle quali si desume il divieto per il tutore di assumere, in nome e per conto dell’interdetto, iniziative giudiziali non specificamente contemplate - C. rileva che il nostro ordinamento consente all’incapace di agire per la tutela di alcuni suoi diritti personalissimi (artt. 119, 245, 264, 273 c.c., 13 l. n. 194/78) ma non per ottenere la separazione o il divorzio, atteso che la l. n. 898/70, all’art. 4, 5 co., prevede unicamente che egli possa essere convenuto in giudizio e che, in tal caso, venga nominato un curatore speciale che rappresenti i suoi interessi. Deduce, ancora, che a tale conclusione dovrebbe giungersi anche in considerazione del disposto dell’art. 85 c.c., che preclude all’interdetto per infermità di mente di contrarre matrimonio. Contesta poi che il diritto dell’interdetto a richiedere la separazione possa essere affermato in via di applicazione analogica del citato art. 4, 5 comma l. divorzile, senza sollevare una questione di legittimità costituzionale della norma, e sostiene che, in ogni caso, l’interdetto dovrebbe essere rappresentato in giudizio da un curatore speciale nominato dal giudice, il quale sarebbe tenuto a far precedere la nomina "dall’assunzione delle opportune informazioni e possibilmente sentendo le persone interessate".

3. Con il terzo motivo, che denuncia violazione dell’art. 100 c.p.c., la ricorrente contesta che il tutore potesse rendersi "interprete" della volontà del marito, il quale non era in grado di svolgere alcuna valutazione circa l’impossibilità di prosecuzione della propria vita coniugale. Assume, inoltre, che l’istanza di autorizzazione a promuovere la separazione (depositata dopo oltre sette anni dalla dichiarazione d’interdizione e solo all’esito del giudizio promosso dall’avv. N. per il risarcimento del danno subito dal proprio rappresentato, conclusosi con una transazione e con il versamento al tutore, da parte dell’assicurazione del danneggiante, di una somma di cui le è stato sempre taciuto l’effettivo ammontare) è stata avanzata senza alcuna concreta motivazione, al solo fine di soddisfare le pressanti richieste in tal senso provenienti dalle sorelle di K. , evidentemente interessate ad evitare che, in caso di morte dell’interdetto, ella possa beneficiare della sua eredità.

4) Il primo motivo è inammissibile.

4.1) Nella sua prima parte si risolve, infatti, nella pretesa di un’interpretazione del decreto autorizzativo del giudice tutelare (che non risulta essere stato impugnato) diversa da quella, del tutto logica, che ne hanno dato i giudici del merito, ma non illustra compiutamente il contenuto (integralmente, ancorché implicitamente, recepito nel provvedimento) dell’istanza avanzata dall’avv. N. , che certamente non si esauriva nella richiesta conclusiva di dar corso allo scioglimento del matrimonio, né precisa in quale esatta sede processuale tale istanza, non allegata specificamente al ricorso, sia rintracciabile, onde dar modo a questa Corte, che non ha accesso diretto agli atti di causa, di esaminarla al fine di valutare se davvero essa dovesse considerarsi volta unicamente ad ottenere l’autorizzazione a promuovere il giudizio di divorzio.

4.2) Nella sua seconda parte attiene invece ad una questione astrattamente fondata (la domanda di addebito è autonoma rispetto a quella di separazione e dunque per la sua proposizione sarebbe stato indubbiamente necessario uno specifico provvedimento autorizzativo) sulla quale, però, la sentenza non definitiva non aveva pronunciato e che pertanto non poteva formare oggetto di esame nel successivo grado di appello.

5) Il secondo motivo è infondato.

5.1) L’art. 4, 5 comma, della l. n. 898/70 ha rappresentato una prima risposta del legislatore al problema della tutela processuale dell’incapace. La norma, probabilmente dando per presupposto che il tutore non potesse rappresentare l’interdetto negli atti personalissimi, ha accomunato la posizione del malato di mente, privo di protezione, a quella dell’infermo già dichiarato incapace di intendere e di volere, stabilendo che anche quest’ultimo, ancorché già sottoposto a tutela, debba essere rappresentato nel procedimento di divorzio da un curatore speciale: ciò, peraltro, in un’ottica meramente difensiva, atteso che la nomina è espressamente prevista per il solo caso in cui l’incapace sia convenuto in giudizio.

La disposizione è stata però ritenuta applicabile da questa Corte (Cass. n. 9582/2000) anche all’ipotesi in cui interessato ad ottenere il divorzio sia il soggetto incapace, al quale è stata perciò riconosciuta la legittimazione ad agire ed a promuovere il relativo giudizio per il tramite di un curatore speciale, nominato su istanza del tutore.

La sentenza ha affermato che la prospettata interpretazione analogica dell’art. 4 cit. appare costituzionalmente obbligata per evitare che l’interdetto infermo di mente sia privato dell’esercizio di un diritto di particolare rilievo e sia sottoposto ad una disparità di trattamento rispetto all’altro coniuge ed ha, in particolare, sottolineato: i) che nell’ordinamento è configurabile il diritto di ciascun coniuge a chiedere ed ottenere il divorzio nei casi previsti dalla legge; ii) che l’interesse al divorzio può sussistere per l’interdetto infermo di mente indipendentemente dalla posizione assunta dall’altro coniuge, ovvero qualora quest’ultimo non sia d’accordo sul divorzio o non intenda avviare la relativa iniziativa giudiziale; iii) che il divorzio può realizzare una forma di protezione per l’interdetto rispetto al mantenimento del vincolo coniugale; iv) che lo stato di interdizione per infermità di mente non esclude che la tutela degli specifici interessi dell’interdetto in tema di divorzio possa essere rimessa ad altro soggetto.

5.2) I principi appena enunciati, che il collegio pienamente condivide, non possono ritenersi inapplicabili alla separazione per il solo fatto che l’ordinamento non contempla, in materia, un’espressa previsione, analoga a quella dettata per il divorzio.

Già con la sentenza n. 5652/89 questa Corte aveva infatti rilevato che l’incapacità di provvedere ai propri interessi, richiesta dall’art. 414 c.c. ai fini dell’interdizione dell’infermo di mente, deve essere riferita anche agli interessi non patrimoniali suscettibili di subire un pregiudizio; d’altro canto, ritenere che l’interdetto per infermità non possa farsi sostituire da chi è tenuto a rappresentarlo nel porre in essere un atto personalissimo equivarrebbe a sostenere che egli ha perso, in concreto, il relativo diritto, non avendone più l’esercizio.

Deve allora concludersi, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 357 e 414 c., che all’interdetto è consentito, per il tramite del rappresentante legale, il compimento di tali atti (a meno che, come nel caso dell’art. 85 c.c., non gli siano espressamente vietati), ben potendo l’esercizio del corrispondente diritto rendersi necessario per assicurare la sua adeguata protezione.

Non v’è dubbio, poi, e neppure la ricorrente lo contesta, che fra le situazioni giuridiche soggettive che realizzano la personalità dell’individuo si collochi anche "il diritto alla separazione" (cfr. Cass. nn. 21099/07, 2183/2013).

5.3) Diversa questione, che pure si pone nel presente giudizio, è se la rappresentanza dell’incapace nell’esercizio di un diritto personalissimo possa spettare al tutore o debba invece essere sempre affidata ad un curatore speciale, nominato ad istanza del primo o su iniziativa del giudice tutelare.

Va premesso che le conclusioni raggiunte sul punto dalla richiamata Cass. n. 9582/2000 non costituiscono vero e proprio precedente, atteso che la sentenza ha ritenuto che il diritto dell’interdetto ad agire per il divorzio dovesse essere affermato non in forza dei principi generali dell’ordinamento, ma sulla scorta di un’interpretazione analogica dell’art. 4, 5 comma, della l. 898/70, il quale richiede, per l’appunto, la nomina di un curatore speciale.

Ritiene per contro questo collegio che - una volta ammesso che, in mancanza di un espresso divieto, in nome e per conto dell’interdetto per infermità possa essere compiuto anche un atto personalissimo (sempre che sia accertato che l’atto corrisponda al suo interesse e volto effettivamente a dare attuazione alle sue esigenze di protezione) - la designazione di un soggetto terzo, nominato ad hoc, che, insieme al giudice tutelare, valuti l’opportunità di promuovere la connessa azione e ne determini il contenuto, per essere poi autorizzato ad esperirla, si prospetti necessaria solo nel caso di conflitto di interessi fra il tutore ed il proprio rappresentato, risolvendosi, altrimenti, in un inutile formalismo.

La soluzione non trova ostacoli sotto il profilo sostanziale, non evincendosi dal nostro sistema di diritto civile un principio di generale e tassativa preclusione al compimento di atti di straordinaria amministrazione da parte del legale rappresentante dell’incapace: al contrario, il tutore può impugnare il matrimonio dell’interdetto (art. 119 c.c.), può promuovere l’azione per ottenere che ne sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità (art. 273 u. comma c.c.), può presentare la richiesta di interruzione volontaria della gravidanza in luogo della propria rappresentata (art. 13 l. n. 194/78); per altro verso, l’art. 420 u. comma (sia pur con riferimento ad atti di straordinaria amministrazione a contenuto patrimoniale) richiede la nomina di un curatore speciale solo se il legale rappresentante non possa o non voglia compiere uno o più di tali atti.

Sotto il profilo processuale la soluzione trova poi pieno conforto nell’art. 78 c.p.c., che stabilisce, al 1 comma, che "se manca la persona a cui spetta la rappresentanza o l’assistenza" può essere nominato all’incapace un curatore speciale che lo rappresenti e lo assista in giudizio "finché subentri colui al quale spetta l’assistenza o la rappresentanza" ed, al 2 comma, che si deve procedere alla nomina di un curatore speciale al rappresentato "quando vi è conflitto di interessi con il rappresentante".

Nel caso di specie non consta la ricorrenza di un conflitto di interessi fra K.A. e l’avv. N. : ne consegue che quest’ultimo, nella sua qualità di tutore, era pienamente legittimato a proporre la domanda di separazione in nome e per conto del primo.

5.4) Resta assorbita la ragione di censura con la quale, nel terzo motivo, si contesta che il tutore potesse rendersi interprete della volontà del proprio rappresentato.

6) Le ulteriori censure illustrate nel terzo mezzo, attinenti a questioni di fatto che non risultano essere state sottoposte all’esame della corte del merito e che, comunque, avrebbero dovuto essere dedotte in sede di reclamo al provvedimento autorizzativo del giudice tutelare, vanno invece dichiarate inammissibili.

7) La novità della questione di diritto trattata giustifica la declaratoria di integrale compensazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omessi i nominativi delle parti e degli altri soggetti in essa menzionati.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.P.R. n. 115/2002, introdotto dall’art. 1, 17 comma, della l. n. 228 del 24.12.2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.