Diritto del Lavoro
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19951 - pubb. 14/06/2018
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e violazione dell’obbligo del c.d. 'repechage'
Tribunale Trento, 27 Aprile 2018. Est. Benini.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Obbligo di repechage – Onere di allegazione, limiti – Riparto dell’onere della prova – Ragionevolezza
Qualora sia dedotta la violazione dell’obbligo del c.d. “repechage”, grava sul soggetto datoriale l’onere di dare dimostrazione dell’impossibilità di adibire il dipendente licenziato a mansioni diverse nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 2103 c.c.
Detto onere probatorio, deve essere peraltro contenuto, nonostante la sua rigorosità, entro limiti di ragionevolezza, nonché nell’ambito delle contrapposte deduzioni delle parti e può considerarsi assolto anche mediante il ricorso a risultanze probatorie di natura presuntiva ed indiziaria. Nell’ottica di allentare il rigore dell’onere probatorio datoriale, si è ritenuto di onerare a sua volta anche il lavoratore che impugni il licenziamento di allegare circostanze idonee a far presumere l’esistenza in seno all’azienda di posti di lavoro cui poter essere ancora utilmente adibito.
Se è vero che la prova dell’impossibilità di un diverso impiego in ambito aziendale non può trasferirsi neppure in parte a carico del lavoratore licenziato, gravando per intero sul datore di lavoro, tuttavia, fermo rimanendo detto principio, il lavoratore deve allegare i fatti, sui quali il datore di lavoro è chiamato a replicare, dai quali risulterebbe l’esistenza di mansioni equivalenti, affinché l’onere della prova a carico del datore di lavoro non si risolva in una prova negativa. (cfr. Cass. 2.4.2004 n. 6556, secondo cui “ai fini della prova della sussistenza del giustificato motivo obiettivo, l’onere della dimostrazione dell’impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, pur gravando interamente sul datore di lavoro e non potendo essere posto a carico del lavoratore, implica comunque per quest’ultimo un onere di deduzione ed allegazione della possibilità di essere adibito ad altre mansioni sicché, ove il lavoratore ometta di prospettare nel ricorso tale possibilità, non insorge per il datore di lavoro l’onere di offrire la prova sopraindicata”).
Ne discende in sostanza una diversa ampiezza dell’onere della prova che incombe sul datore di lavoro, nel senso che tanto più analitiche saranno le allegazioni del lavoratore, tanto maggiormente articolate dovranno essere le deduzioni che il datore di lavoro dovrà formulare e tanto maggiormente mirati i mezzi di prova che dovrà indicare per dare dimostrazione dell’impossibilità del c.d. “repechage”.
Tale principio affermato dalla Cassazione non fa venir meno il fatto che, sia pur in difetto di allegazioni, l’onere della prova non debba comunque essere assolto dal datore di lavoro, anche se potrà essere adempiuto mediante il ricorso a risultanze probatorie che (nel caso di doglianza generica) potranno essere anche soltanto di natura presuntiva ed indiziaria.
Deve osservarsi inoltre che una cosa è l’onere della prova, altro e ben differente è l’onere della allegazione (da valutarsi tenendo conto del fatto che il lavoratore licenziato si trova ormai estromesso dall’organizzazione aziendale e quindi in una situazione di evidente difficoltà nell’acquisizione di dati di fatto e circostanze da allegare), sicché porre a carico del lavoratore l’onere della allegazione non significa anche addossargli l’onere della prova che resta a carico del datore di lavoro. (Francesco Fontana) (riproduzione riservata)
Segnalazione dell'Avv. Francesco Fontana
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