Diritto della Famiglia e dei Minori


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 12509 - pubb. 30/04/2015

Comunione legale e comunione ordinaria: differenza in punto di quote

Appello Catania, 12 Marzo 2015. Pres., est. Francola.


Comunione legale - Comunione senza quote - Conseguenze



Nella comunione legale la quota ha soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari (art. 189 c.c.), la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione (art. 190 c.c.) nonchè la proporzione in cui, sciolta la comunione, l’attivo e il passivo saranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194 c.c.). Inoltre, diversamente da quanto avviene nella comunione ordinaria, nella comunione legale il singolo coniuge non ha il diritto potestativo di ottenere la divisione, atteso che per lo scioglimento della comunione è necessaria o la volontà di entrambi i coniugi o la ricorrenza di una delle ipotesi previste dall’art. 191 c.c.. La diversità di disciplina e di struttura si spiega col fatto che la comunione legale e la comunione ordinaria assolvono ad una funzione diversa. Quest’ultima, essendo finalizzata al godimento dei beni in comune, ha una funzione statica mentre quella legale ha una funzione dinamica perché, da un lato, tende a garantire la parità dei coniugi sotto il profilo patrimoniale e, dall’altro, tende ad assicurare alla famiglia uno strumento di arricchimento volto sia al soddisfacimento dei propri bisogni sia all’accumulo di ricchezza. Di conseguenza, il coniuge non può trasferire a terzi la propria quota mentre può disporre per intero del bene comune, salva la ratifica da parte dell’altro coniuge che può manifestare il suo dissenso entro un termine di decadenza. Pertanto: la comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza di quella ordinaria, è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei. Nei rapporti con i terzi ciascun coniuge, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell’intero bene comune, ponendosi il consenso dell’altro coniuge (richiesto dal comma 2 dell’art. 180 c.c. per gli atti di straordinaria amministrazione) come negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene” e che rappresenta un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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