Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 33960 - pubb. 02/12/2025

L'insolvenza transitoria nel codice della crisi: la valutazione prognostica tra crisi di liquidità e dissesto irreversibile alla luce di un caso pratico

Tribunale Ravenna, 07 Luglio 2025. Pres. Trerè. Est. Gilotta.


Insolvenza – Liquidazione Giudiziale – Nozione di insolvenza dinamica – Crisi transitoria di liquidità – Valutazione prognostica – Rilevanza dei crediti litigiosi



In tema di apertura della liquidazione giudiziale, per una società che non si trovi in stato di liquidazione, la nozione di insolvenza deve essere interpretata in senso dinamico o funzionale. Pertanto, la sussistenza del presupposto oggettivo non può essere desunta dalla mera presenza di inadempimenti o da un deficit finanziario, ma richiede un giudizio prognostico sulla capacità dell'impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato.


Non integra lo stato di insolvenza una condizione di grave squilibrio finanziario con caratteri di temporaneità, qualora il debitore dimostri, con elementi concreti, la realistica prospettiva di superamento della crisi.


A tal fine, il giudice deve valorizzare, nella sua valutazione complessiva, anche la presenza di attivi non prontamente liquidi, come i consistenti crediti litigiosi, se il loro potenziale realizzo, anche parziale, appare idoneo quantomeno a coprire le suddette passività e a finanziare un ciclo economico che appare idoneo a remunerare i fattori produttivi e consentire la ripresa della continuità d’impresa.


La mera illiquidità e litigiosità di tali crediti non ne esclude la rilevanza, a condizione che il debitore provi di aver intrapreso concrete azioni per il loro recupero, delineando così un percorso credibile di risanamento. (1) (Mario Pio Contessa) (riproduzione riservata)




(1) L'insolvenza transitoria nel codice della crisi: la valutazione prognostica tra crisi di liquidità e dissesto irreversibile alla luce di un caso pratico

di Mario Pio Contessa

 

1. Introduzione: la nozione di insolvenza e la ratio del nuovo Codice. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (di seguito "CCI") ha introdotto un mutamento paradigmatico nell'approccio ordinamentale al dissesto, privilegiando la diagnosi precoce della crisi e la salvaguardia della continuità aziendale rispetto alla logica meramente liquidatoria e sanzionatoria che permeava la precedente disciplina fallimentare.

In tale rinnovato contesto, la nozione di "insolvenza", pur ricalcando nella sua formulazione letterale quella preesistente, assume una valenza ermeneutica differente, da leggersi in stretta connessione con il concetto di "crisi".

L'art. 2, comma 1, lett. b) del CCI definisce l'insolvenza come «lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni»

La giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, ha da tempo intrapreso un percorso di affinamento di tale concetto, superando una visione puramente statica e contabile, basata sul mero raffronto tra attivo e passivo patrimoniale.

L'accertamento del presupposto oggettivo per l'apertura della liquidazione giudiziale impone al giudice un'indagine complessa e una valutazione prognostica sulla capacità dell'impresa di superare le difficoltà finanziarie.

Un recente decreto del Tribunale di Ravenna offre un'esemplare applicazione di tali principi, tracciando con lucidità il confine tra una crisi di liquidità, seppur grave ma di natura transitoria, e uno stato di insolvenza strutturale e irreversibile, l'unico idoneo a giustificare il ricorso all'extrema ratio della liquidazione.[1]

 

2. L'insolvenza "dinamica" nell'interpretazione giurisprudenziale. La Suprema Corte ha consolidato un orientamento secondo cui, per le società che non si trovino in stato di liquidazione, l'insolvenza deve essere intesa in senso "dinamico" [2]o "funzionale".

Non è sufficiente un'analisi statica del patrimonio, ma occorre valutare la capacità dell'impresa di «continuare ad operare proficuamente sul mercato, fronteggiando con mezzi ordinari le proprie obbligazioni dal lato passivo»[3]

Lo stato di insolvenza si configura, pertanto, come situazione d’impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare, regolarmente e con mezzi normali, le proprie obbligazioni, a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività.

Gli inadempimenti, pur costituendo il principale "fatto esteriore" sintomatico, non sono di per sé sufficienti a fondare una declaratoria di insolvenza.

Essi devono essere valutati nel contesto di un giudizio complessivo sull'idoneità solutoria del debitore.

Come affermato dalla Cassazione, «non è detto che gli inadempimenti comportino necessariamente l’insolvenza, potendo l’imprenditore non aver onorato il debito volontariamente, ad esempio perché trattasi di debito contestato, prescritto o estinto per compensazione» [4]

La giurisprudenza di merito ha ulteriormente precisato la distinzione tra "transitorietà" e "reversibilità" dello stato di insolvenza. [5]

La transitorietà, che esclude il presupposto oggettivo della liquidazione, si verifica quando il debitore è in grado di recuperare la capacità di adempimento in un lasso di tempo ragionevole.

La reversibilità, invece, attiene alla possibilità di rimuovere l'insolvenza mediante interventi strutturali, ma non ne esclude, di per sé, l'attuale sussistenza.

 

3. Il caso pratico: deficit finanziario e prospettive di risanamento. Il caso esaminato dal Tribunale di Ravenna trae origine dal ricorso di una società creditrice (di seguito, "la ricorrente") per l'apertura della liquidazione giudiziale di una società debitrice operante nel settore edile (di seguito, "la resistente"), fondato su un credito, derivante da decreto ingiuntivo non opposto, di importo inferiore alla soglia di cui all'art. 49, comma 5, CCI.

A sostegno della propria istanza, la ricorrente deduceva, oltre al proprio credito, l'esistenza di ulteriori inadempimenti verso altri creditori, comprovati da plurimi ricorsi monitori, e la sostanziale cessazione dell'attività d'impresa della resistente, priva di beni utilmente aggredibili.

La società resistente, costituendosi in giudizio, non contestava l'inadempimento ma ne negava la valenza di sintomo di un'insolvenza strutturale.

La difesa della resistente argomentava, infatti, che la società si trovasse in una mera, seppur significativa, "tensione finanziaria" transitoria, causata dal mancato incasso di ingenti commesse da parte di terzi.

A riprova della propria solvibilità di fondo, la resistente produceva dati di bilancio positivi, indici di solidità patrimoniale favorevoli e, soprattutto, documentazione attestante l'esistenza di consistenti crediti verso terzi, oggetto di contenziosi giudiziali già incardinati e di richieste di rimborso IVA .

La strategia difensiva si incentrava sulla dimostrazione che l'attivo patrimoniale, sebbene in parte illiquido e litigioso, fosse ampiamente capiente e che le azioni di recupero intraprese avrebbero consentito di ripristinare l'equilibrio finanziario e di onorare le passività.

Il Tribunale, con il decreto di rigetto, ha pienamente recepito tale impostazione.[6]

Il Collegio, pur riconoscendo l'esistenza di un «deficit finanziario, legato all’insufficienza del capitale circolante netto», testimoniato dagli inadempimenti e dalla prassi di definire le posizioni debitorie "a saldo e stralcio", ha escluso che tale situazione integrasse una «condizione irreversibile di insolvenza» [7]

Il passaggio decisivo del percorso argomentativo del Tribunale risiede nella valutazione prognostica degli elementi forniti dalla resistente:

"Altrettanto indubbio, tuttavia, è il dato relativo alla sussistenza di consistenti (in rapporto alle posizioni debitorie scadute rilevate) crediti litigiosi, il cui accertamento, anche parziale, per via giudiziale o stragiudiziale, tuttora in corso, appare idoneo quantomeno a coprire le suddette passività e a finanziare un ciclo economico che [...] appare idoneo a remunerare i fattori produttivi e consentire la ripresa della continuità d’impresa." [8]

Il Tribunale qualifica quindi la condizione della resistente non come insolvenza, bensì come «grave squilibrio finanziario con caratteri di temporaneità, legata agli esiti dei contenziosi pendenti», aderendo esplicitamente all'«accezione di insolvenza in senso c.d. dinamico» richiamando la giurisprudenza di legittimità.[9]

 

4. Il valore degli attivi "illiquidi" nella valutazione prognostica. La pronuncia in commento è di particolare interesse per il ruolo attribuito ai crediti litigiosi.

La giurisprudenza ha in passato sottolineato come un attivo patrimoniale composto prevalentemente da beni non prontamente liquidabili (come le immobilizzazioni) possa, in realtà, non escludere, ma anzi celare, uno stato di insolvenza, qualora l'impresa non disponga della liquidità necessaria per far fronte regolarmente ai propri debiti. [10]

Nel caso di specie, il Tribunale opera un'inversione di prospettiva.

I crediti, pur essendo illiquidi e non certi nell'esito, non sono visti come un elemento neutro o negativo, ma come la potenziale chiave di volta per il superamento della crisi.

Tale valutazione non è astratta o meramente possibilista, ma si fonda su elementi concreti forniti dalla parte debitrice: l'avvenuta instaurazione dei giudizi di recupero, la documentazione a supporto delle pretese creditorie e una strategia aziendale, seppur prudenziale, volta a consolidare l'attivo prima di intraprendere nuove iniziative.

Ciò dimostra che, nell'ambito del giudizio prognostico sull'insolvenza, il giudice deve valutare non solo la consistenza quantitativa dell'attivo, ma anche la sua "qualità" in prospettiva, ponderando la probabilità e la potenziale tempistica di realizzo.

La concretezza delle azioni intraprese dal debitore per trasformare l'attivo potenziale in liquidità effettiva diventa un fattore discriminante per distinguere una speranza velleitaria da una realistica prospettiva di risanamento.

 

5. Conclusioni

Il decreto del Tribunale di Ravenna si pone in perfetta coerenza con la filosofia del Codice della Crisi, che considera la liquidazione giudiziale qualeultima ratio regum. 

La decisione riafferma che il compito del giudice non è quello di un mero notaio del dissesto, chiamato a certificare una situazione di difficoltà sulla base di singoli inadempimenti, ma quello di un attento analista della dinamica aziendale, capace di compiere una valutazione prognostica sulla vitalità residua dell'impresa.

In presenza di una crisi di liquidità, anche acuta, la procedura liquidatoria non è una conseguenza automatica.

Se il debitore è in grado di dimostrare, con elementi concreti e non con mere asserzioni, l'esistenza di un percorso credibile di risanamento, fondato su attivi potenzialmente realizzabili e su una strategia gestionale coerente, l'ordinamento privilegia la conservazione dei valori aziendali e la continuità.

Il caso esaminato costituisce evidentemente un importante paradigma applicativo di come, attraverso un contraddittorio pieno e un'istruttoria approfondita, sia possibile discernere l'insolvenza strutturale e irreversibile da una difficoltà temporanea, per quanto grave, garantendo così l'effettività dei nuovi principi del diritto concorsuale. (Mario Pio Contessa)



[1] Decreto ex Art 50 CCI – del 15 luglio 2025 -  del Tribunale Ordinario di Ravenna  - Uff. Concorsuale e per la regolazione della Crisi e dell'Insolvenza – Pres. Giovanni Trerè; Giudice Rel. Dott. Paolo Gillotta.

[2] Cfr ex multis Cass. 30284/2022 “Ai fini della dichiarazione di fallimento di una società non in liquidazione, l'accertamento dello stato di insolvenza è desumibile, più che dal rapporto tra attivo e passivo, dalla possibilità dell'impresa  di continuare ad operare proficuamente”

[3] Cfr. ex multis Ordinanza n. 64 del 3 gennaio 2023, VI Sezione Civile della Corte di Cassazione (Pres. Bisogni, Rel. Ferro), che conferma l'orientamento già espresso in Cass. 7087/2022 e Cass. 29913/2018, secondo cui “lo stato di insolvenza della società, che non siano in liquidazione, deve essere desunto dall'impossibilità dell'impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato”.

[4] Cfr ex multis Cass.Civ. 7 aprile 2015 n. 6911

[5] Cfr ex multis Tribunale di Larino – Sentenza del 9.05.2024 – Pres. Estensore Giudice Dott. Rinaldo D'Alonzo.

[6] Decreto ex Art 50 CCI – del 15 luglio 2025 -  del Tribunale Ordinario di Ravenna  - Uff. Concorsuale e per la regolazione della Crisi e dell'Insolvenza – Pres. Giovanni Trerè; Giudice Rel. Dott. Paolo Gillotta.

[7] Ibidem

[8] Ibidem

[9] Cfr ex multis Cass. 30284/2022 “Ai fini della dichiarazione di fallimento di una società non in liquidazione, l'accertamento dello stato di insolvenza è desumibile, più che dal rapporto tra attivo e passivo, dalla possibilità dell'impresa  di continuare ad operare proficuamente”

[10] Cfr ex multis Cass., Sez. 1, 14 ottobre 2022, n. 30284, Pres. Scaldaferri, Est. Vannucci  “Ai fini della dichiarazione di fallimento di una società non in liquidazione, l’accertamento dello stato di insolvenza è desumibile, più che dal rapporto tra attivo e passivo, dalla possibilità dell’impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato fronteggiando con mezzi ordinari le proprie obbligazioni, sicché i beni e i crediti che compongono il patrimonio sociale vanno considerati non solo per il loro valore contabile e di mercato, ma anche in rapporto all’attitudine ad essere adoperati per estinguere tempestivamente i debiti, senza compromissione – di regola – dell’operatività dell’impresa”.



Segnalazione dell'Avv. Mario Pio Contessa


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