Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6382 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. III, 07 Febbraio 1991, n. 1274. Est. Favara.
Contratti agrari - Impresa familiare coltivatrice - In genere - Debiti o crediti di terzi nei confronti dell'impresa - Rapporti con i debiti o crediti nei confronti di singoli componenti dell'impresa.
Il principio stabilito dall'art. 2271 cod. civ. che esclude la compensazione fra il debito che un terzo ha verso la società ed il credito che egli ha verso un socio, trova applicazione pure con riguardo all'impresa familiare coltivatrice, di cui all'art. 48 della legge n. 203 del 1982, ed opera anche, osservate le norme contenute negli artt. 2267 e 2268, nel caso inverso di un terzo che sia creditore della detta impresa e debitore del singolo suo componente. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Aldo SCHERMI Presidente
" Marcello TADDEUCCI Consigliere
" Gioacchino DE ROSA "
" Angelo GIULIANO "
" Ugo FAVARA Rel. "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
CIONE ANIELLO - elett. dom. in Roma, Via Baldo degli Ubaldi n. 66 presso l'avv. Vincenzo Rinaldi, rapp. e difeso dall'avv. Antonio Cecere per mandato a margine del ricorso.
Ricorrente
contro
BELLO ANIELLO, LORENZA, ROSINA; PATRONE MARIA CONCETTA - elett. dom.ti in Roma, Via Sistina n. 123 presso l'avv. Ciro Centore, rapp.ti e difesi dall'avv. Salvatore Dragone Montella per mandato a margine del controricorso.
Ricorrenti
Visto il ricorso avverso la sentenza della C.A. di Napoli - Sez. Agraria - del 2.12.87-13.2.88 (R.G. 1928-86);
Udito il Cons. Rel. dr. U. Favara nella pubblica udienza del 30.3.90;
È comparso l'avv. Cicere che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
Udito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Scala che ha concluso:
Rigetto del ricorso con assorbimento dell'incidentale condizionato. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 7.1.77 i germani Aniello, Lorenzo e Rosina Bello, proprietari di un fondo in S. Lorenzo di Bagnoli Irpino, Patrone Maria Concetta, usufruttuaria, convenivano in giudizio dinanzi il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi Cione Aniello, affittuario del predetto fondo, per sentirlo condannare, previa risoluzione del contratto di affitto agrario, al rilascio del terreno, al pagamento dei canoni non corrisposti ed al risarcimento dei danni, assumendo:
di volere direttamente coltivare il fondo, morosità nel pagamento dei canoni, tagli di alberi senza il loro consenso.
Radicatosi il contraddittorio, il Cione contestava il contenuto della domanda attorea, deducendo di avere corrisposto regolarmente i canoni, che, comunque, andavano determinati ai sensi della legge n. II-71, di non aver commesso abusi, che in ogni caso l'eventuale credito degli attori andava compensato con il credito che la moglie Bello Maddalena vantava nei loro confronti in forza dell'atto di divisione ereditaria del Novembre 1975. All'esito della istruttoria, l'adita sezione agraria con sentenza del 17.6.86 dichiarava risolto per grave inadempimento del conduttore il contratto di affitto "de quo", condannando il Cione al rilascio del fondo.
Avverso detta sentenza proponeva appello il Cione, insistendo per il rigetto della domanda, in subordine per la concessione di nuovo termine per sanare la mora. Resistevano al gravame i germani Bello che con impugnazione incidentale chiedevano la condanna del Cione al pagamento dei canoni scaduti ed al risarcimento dei danni, da accertarsi mediante consulenza, per gli abusi commessi dallo stesso Cione.
Con sentenza del 13.2.88 la sezione agraria della Corte di Appello di Napoli rigettava entrambi gli appelli, compensando le spese. Avverso detta decisione ha proposto ricorso per Cassazione il Cione sulla base di tre motivi.
Hanno resistito con controricorso i germani Bello e la Patrone che hanno presentato ricorso incidentale condizionato sulla base di un unico motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi ex art. 335 cpc, trattandosi di impugnazioni avverso la stessa sentenza.
Con il primo mezzo di impugnazione il Cione, denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 420 e 426 cpc, nonché insufficiente motivazione della sentenza in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 cpc, lamenta che la Corte territoriale avrebbe violato i diritti della difesa per non avere concesso il termine perentorio per la eventuale integrazione degli atti introduttivi e per la mancata osservanza del rito speciale dopo il passaggio dal rito ordinario. La doglianza non ha fondamento.
È noto che in tema di passaggio dal rito ordinario al rito speciale ai sensi dell'art. 426 cpc, la circostanza che nell'ordinanza di fissazione della udienza di discussione manchi l'assegnazione alle parti di un termine perentorio per la eventuale integrazione degli atti mediante memorie o documenti, non determina alcun vizio del procedimento ove non risulti che tale omissione abbia in concreto comportato pregiudizi o limitazioni del diritto di difesa (Cass. 807-77).
Nel caso in esame, nella motivazione della sentenza impugnata la Corte ha rilevato che la difesa del Cione non ha, da detta omissione, subito alcun pregiudizio potendo la stessa depositare memorie integrative con richiesta di mezzi istruttori alla udienza stabilita per la discussione o, comunque, potendo chiedere la fissazione di un termine ex art. 420 cpc.
Al predetto principio si è uniformata la sezione agraria della Corte di Napoli, facendo, pertanto, corretta applicazione delle norme di rito, dando, nello stesso tempo, esauriente ed appagante motivazione del suo convincimento, in ordine alla decisione adottata. Con il secondo motivo di ricorso il Cione, denunziata violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della legge 814-73, nonché degli artt. 46 e 53 della legge 203-82, omessa ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata con riferimento rispettivamente ai numeri 3 e 5 dell'art. 360 cpc, lamenta che il G.I., non essendo stato specificato in citazione a quali anni si riferisse la morosità non poteva emettere la ordinanza di purgazione della mora in applicazione del citato articolo 4, che fa riferimento solo ai canoni relativi alle annate agrarie 970-73.
La doglianza va disattesa, essendo il Cione carente di interesse alla impugnazione per essere il termine di purgazione della mora stato concesso dal giudice comunque a suo esclusivo vantaggio, di guisa che viene a cadere il presupposto per presentare gravame che deve essere sempre giustificato da una situazione sfavorevole al ricorrente. Nè è fondato l'altro profilo di censura secondo il quale, non potendo, a dire del ricorrente, trovare applicazione l'art. 4 della legge 814-73 per mancata precisazione della annualità di morosità, il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi avrebbe dovuto applicare gli artt. 46 e 53 della legge 203-82 regolanti i giudizi in corso. Infatti, la disposizione di cui all'art. 46 della legge 203-82, che consente l'assegnazione alla prima udienza di un termine per la purgazione della mora, ha natura processuale e non sostanziale ed, analogamente al tentativo di conciliazione regolato dallo stesso articolo, non è applicabile, per il principio dalla "lex temporis" in materia processuale, nelle controversie già pendenti alla data di entrata in vigore della nuova disciplina dei contratti agrari (Cass. 6.3.89 n. 1220).
I giudici di merito, applicando detto principio, hanno, di conseguenza, correttamente operato, per cui la doglianza mossa dal ricorrente non può che essere respinta.
Con il terzo mezzo di impugnazione, il Cione, denunziata violazione e falsa applicazione dell'art. 4, lettera A, del DL 157-46 e dell'art. 2 della legge 508-73, nonché degli artt. 5 e 48 della legge 203-82 in riferimento all'art. 360 n. 3 CPC, lamenta che i secondo i giudici non avrebbe tenuto conto che, nella domanda giudiziale era stata chiesta la condanna al pagamento dei frutti o corresponsione dei canoni di affitto senza alcuna specifica precisazione e dell'ammontare e delle annualità di riferimento per cui erroneamente sarebbe stato concesso il termine di grazia.
La doglianza è priva di fondamento, in quanto il canone di affitto agrario è, comunque, determinabile alla stregua delle tabelle, per cui l'importo dello stesso sarebbe stato facilmente ricostruibile da parte dello stesso ricorrente.
Assume ancora, il ricorrente che il termine di grazia non poteva, per altro, essere concesso, in quanto le annualità scadute erano successive alla annata agraria 76-77, che esso Cione non avrebbe dovuto fornire prove in ordine alla distruzione della casa colonica ed alla sottrazione di parte del fondo per avvenuto esproprio, che, infine, nessuna conseguenza ha tratto la Corte di Napoli dal mancato interrogatorio della Petrone in ordine al versamento dei canoni. Le predette doglianze sono infondate.
Si è già avuto modo di porre in evidenza la insussistenza di qualsiasi interesse ad impugnare, da parte del Cione, il punto riguardante la concessione del termine di grazia, mentre, con riferimento agli altri profili di censura, deve osservarsi che nessuna ammissione, anche implicita, è deducibile dalle difese dei resistenti che possano esonerare il ricorrente dall'onere della prova, come hanno posto in rilievo i giudici di secondo grado, e che le mancate conseguenze in diritto in ordine all'interrogatorio formale non reso dalla Petrone sono, come, altresì, rettamente ritenuto dai giudici di merito, dovute alla totale assenza di elementi probatori di riscontro.
Va, da ultimo, respinto l'ulteriore profilo della censura proposta dal ricorrente Cione relativa al rigetto da parte della Corte di merito di richiesta di compensazione del credito della moglie con i canoni scaduti sul rilievo, desumibile dalla sentenza impugnata, che trattandosi di credito non di essa Cione, ne' della sua famiglia colonica, ma personali della consorte, ne deriverebbe la impossibilità di una loro compensazione, in quanto contrastante a dire del Cione medesimo, con la disposizione di cui all'art. 48 della legge 203-82 in forza della quale tutti i componenti della famiglia colonica sarebbero titolari del contratto agrario. La tesi del ricorrente deve essere, tuttavia, disattesa, avendo la Corte di merito fatto corretta applicazione delle norme di legge escludendo, ripetesi, ogni ragione di compensazione tra il debito del Cione e l'asserito credito della moglie verso i resistenti. A tale decisione può giungersi anche con il richiamo, che questa Corte ritiene potersi fare, del contenuto dell'art. 2271 CC che, come è noto, esclude la compensazione fra il debito che un terzo ha verso la società ed il credito che egli ha verso un socio; ovviamente il principio vale anche, osservate le norme contenute negli artt. 2267 e 2268 CC, nel caso inverso di un terzo che sia creditore della società e debitore del singolo socio, dovendosi l'impresa familiare coltivatrice di cui all'art. 48 L. 203-82 equiparare a società venuta ad esistenza per volontà di legge.
Rettamente, infine, i giudici di appello, sulla base di valutazioni di merito, incensurabili in questa sede, in quanto ampiamente motivate, hanno ritenuto la sussistenza della morosità nei pagamenti da parte del Cione pervenendo alla declaratoria di risoluzione del contratto di affittanza agraria per accertato e grave inadempimento. Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato presentato dai germani Bello (ulteriori motivi di risoluzione).
Le spese processuali seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale condizionato.
Condanna il ricorrente Cione Aniello al pagamento delle spese liquidate in lire 26.500= e degli onorari liquidati in lire 800.000. Così deciso in Roma il 30.3.1990.