Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6377 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. III, 20 Aprile 2010, n. 9326. Est. Amendola.
Società - Di persone fisiche - Società in nome collettivo - In genere (nozione, caratteri, distinzioni) - Norme applicabili - Ingresso di un nuovo socio - Responsabilità di quest'ultimo per le obbligazioni sociali anteriori - Sussistenza - Fondamento - Risultanza di dette obbligazioni nelle scritture contabili sociali - Necessità - Esclusione.
In tema di società di persone, il soggetto che entri a far parte di una società in nome collettivo già costituita risponde con gli altri soci - in base a quanto disposto dall'art. 2269 cod. civ., dettato in materia di società semplice, ma applicabile anche alla società in nome collettivo in forza del richiamo operato dall'art. 2293 cod. civ. - per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio, non essendo una tale responsabilità condizionata dal fatto che dette obbligazioni risultino dalle scritture contabili della società. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NANNI Luigi Francesco - Presidente -
Dott. AMATUCCI Alfonso - Consigliere -
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere -
Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3726/2006 proposto da:
RUSCONI MARIELLA RSCMLL37H46E507M, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI 146, presso lo studio dell'avvocato SPAZIANI TESTA Ezio, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato SPREAFICO RICCARDO giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
RICCI LUIGI ECCLGU50B21F403T, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 38, presso lo studio dell'avvocato CANESTRELLI Roberto, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato GROSSI CARLO ENRICO giusta delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1598/2005 della CORTE D'APPELLO di TORINO, Sezione Prima Civile, emessa il 14/10/2005, depositata il 19/10/2005, R.G.N. 2276/2003;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 11/03/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;
udito l'Avvocato EZIO SPAZIANI TESTA;
udito l'Avvocato ROBERTO CANESTRELLI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'iter processuale può così essere ricostruito sulla base della sentenza impugnata.
Luigi Ricci conveniva in giudizio Mirella Rusconi chiedendone la condanna alla restituzione della somma di L. 101.500.000 per mutui e fideiussioni da lui effettuati in favore di RE.VA. s.n.c., società di cui la stessa era diventata socia il 19 giugno 1986. Resisteva la convenuta, che contestava l'avversa pretesa, specificamente eccependo, tra l'altro, la prescrizione dei crediti vantati dall'attore, siccome azionati dopo il decorso del termine decennale di prescrizione.
Con sentenza depositata il 21 maggio 2003 il Tribunale di Alessandria condannava Mariella Rusconi a restituire a Luigi Ricci la somma di Euro 15.493,71 (pari a L. 30.000.000), oltre interessi e rivalutazione dal versamento al saldo.
Proposto gravame da Mariella Rusconi, la Corte d'appello di Torino, con sentenza depositata il 19 ottobre 2005, confermava la decisione impugnata, modificando solo la misura della rivalutazione monetaria dovuta sull'importo riconosciuto dal giudice di prime cure. Avverso detta pronuncia Mariella Rusconi propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi e illustrato da memoria. Resiste con controricorso Luigi Ricci.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Col primo motivo l'impugnante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2947 e 1310 cod. civ., in relazione all'art. 2312 cod. civ., insufficienza e contraddittorietà della motivazione. Evidenzia che il diritto fatto valere dal Ricci L. per ottenere la restituzione della somma corrisposta all'Istituto Bancario San Paolo in forza della prestata garanzia, era sorto il 19 luglio 1985, quando la fideiussione era stata estinta, laddove l'atto di citazione era stato notificato il 15 giugno 1996 alla Rusconi M., nella sua qualità di socia illimitatamente responsabile di REVA s.n.c., società dalla quale ella era receduta in data 8 luglio 1988. Sostiene quindi che, benché, in base al disposto dell'art. 2312 cod. civ., la responsabilità solidale del socio receduto permane con quella della società, una volta che questa sia stata cancellata, verrebbe meno la solidarietà e con essa la possibilità di fare riferimento al disposto dell'art. 1310 cod. civ..
1.2 Le critiche sono prive di ogni fondamento.
Il giudicante ha motivato la scelta decisoria adottata rilevando che al momento dell'inoltro, da parte del Ricci L., delle richieste di restituzione dei propri crediti (di cui alle lettere raccomandate in data 10 e 27 dicembre 1986), la Rusconi M. era già socia di RE.VA, di modo che l'interruzione della prescrizione, posta in essere nei confronti della società, aveva prodotto effetti, ex artt. 2291, 2312 e 1310 cod. civ., anche nella sfera giuridica dei singoli soci. A fronte di tali lineari e persuasive argomentazioni, la ricorrente, pur non smentendo che le lettere di messa in mora vennero notificate alla società prima dello scioglimento del suo rapporto sociale, prospetta, in maniera confusa e nebulosa, il venir meno della solidarietà, ora a seguito del suo recesso dalla compagine, ora per effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese e il venir meno, insieme alla stessa, degli effetti degli atti interruttivi notificati all'ente collettivo.
Trattasi tuttavia di assunto giuridicamente errato. Premesso che la responsabilità solidale e illimitata per i debiti sociali anteriori al recesso permane a carico del socio receduto (confr. Cass. civ., 6 settembre 2006, n. 19188; Cass. civ. 4 giugno 1999, n. 5479), è in dubbio che l'interruzione produce effetti permanenti, destinati come tali a perdurare fino al maturare di un nuovo termine prescrizionale (confr. Cass. civ. 6 dicembre 2000, n. 15511). Del resto, se con l'interruzione viene meno l'inerzia del titolare del diritto, che costituisce il fondamento dell'istituto della prescrizione, non si vede come possa quell'inerzia rivivere, malgrado l'atto interruttivo, perciò solo che uno dei debitori in solido sia, in ipotesi, venuto meno.
2.1 Col secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2312 cod. civ., insufficienza e contraddittorietà della motivazione. Sostiene che l'obbligazione di cui il Ricci L. aveva chiesto l'adempimento non aveva natura di debito sociale, non risultando esso dalle scritture contabili della società e dai documenti che le erano stati esibiti al momento dell'acquisto della partecipazione. Erroneamente poi la Corte d'appello aveva motivato il suo convincimento sulla base della convenzione tra soci prodotta in giudizio, laddove il tenore letterale di questa rimandava al mutuo contratto dal Ricci L. che, benché avesse la finalità di finanziare la società, non era evidentemente un debito sociale.
2.2 Le censure sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondate.
Il giudice di merito, precisato che risultava documentalmente provato l'adempimento, da parte del Ricci L., della fideiussione prestata in favore della società, ha rilevato che la Rusconi M., entrata a far parte della compagine in data 19 giugno 1986, era tenuta all'adempimento dell'obbligazione sorta anteriormente all'acquisto della qualità di socia, in base al comb. disp. degli artt. 2269 e 2293 cod. civ., senza che potesse avere rilievo la circostanza della mancata indicazione del predetto debito nelle scritture sociali, essendo tale tesi contraria al disposto dell'art. 2267 cod. civ.. In ogni caso dai documenti versati in atti risultava che la Rusconi M. era a conoscenza anche dei debiti non risultanti dalle scritture, come emergeva dalla Convenzione tra soci in data 18 giugno 1986, sottoscritta dalla Rusconi M., in cui si faceva segnatamente riferimento al mutuo ipotecario di L. 35.000.000 contratto dal Ricci L. per finanziare la società.
2.3 Tale apparato motivazionale resiste alle critiche della ricorrente, la quale torna ora a ribadire che il credito del Ricci L. non risultava dalle scritture contabili, senza considerare che, come evidenziato dal giudice a quo, l'art. 2269 cod. civ., dettato in tema di società semplice, ma applicabile anche alla società in nome collettivo, in virtù del richiamo operato dall'art. 2293 cod. civ., nello stabilire che chi entra a far parte di una società già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio, non pone affatto la condizione che esse risultino dalle scritture contabili. E tale silenzio è tanto più significativo in un sistema in cui, nella disciplina del trasferimento di azienda, trovasi invece esplicitato il principio per cui l'acquirente risponde dei debiti relativi all'esercizio dell'impresa, (solo) se risultino dai libri contabili obbligatori (art. 2560 cod. civ., comma 2).
2.4 Le critiche svolte nel motivo sono poi prive di autosufficienza laddove denunciano l'erronea valutazione della portata della scrittura in data 19 giugno 1986 e della situazione patrimoniale allegata, dalla quale risulterebbe che il credito del Ricci L. non era compreso tra le passività sociali. Si ricorda in proposito che, con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, ad integrare il requisito della cosiddetta autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione concernente la valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali, è necessario non solo che tale contenuto sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione è avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d'ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità essa è rinvenibile (confr. Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12239). Ne deriva che il motivo è r sotto questo profilo, anche inammissibile.
Il ricorso deve in definitiva essere rigettato.
Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge. Così deciso in Roma, il 11 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2010