Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6326 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 01 Ottobre 2008, n. 24376. Est. Salmè.


Associazione in partecipazione - Utili e perdite - Partecipazione - In genere - Divieto del patto leonino - Applicabilità - Esclusione - Conseguenze - Partecipazione alle perdite - Commisurazione - Criteri.



Al contratto di associazione in partecipazione non si applica il divieto del patto leonino, dettato in materia societaria dall'art. 2265 cod. civ., ai sensi del quale è vietato che uno o più soci siano esclusi in modo totale e costante dagli utili o dalle perdite; quanto alla posizione dell'associato, l'unica regola inderogabile consiste nel divieto, posto dall'art. 2553 cod. civ., di porre a carico del medesimo perdite in misura superiore al suo apporto, potendo invece le parti determinare tale onere in misure diverse dalle partecipazioni agli utili o anche escluderlo del tutto, come avviene nella cosiddetta cointeressenza impropria. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente -
Dott. SALMÈ Giuseppe - rel. Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - Consigliere -
Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere -
Dott. GILARDI Gianfranco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
QUATTRINI PIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI VILLINI 4, presso l'avvocato ANTONUCCI ARTURO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato VASSALLE ROBERTO, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
STIRPE MARINA, STIRPE SERENA, STIRPE BRUNA, GAUDIELLO ALFONSA, tutte nella qualità di eredi di STIRPE LIDIO, elettivamente domiciliate in ROMA VIA CONFALONIERI 5, presso l'avvocato IOANNUCCI MATTIA, rappresentate e difese dagli avvocati BUSSOLETTI MARIO, CARINCI PIETRO, DEL GIUDICE ARTURO, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrenti -
e sul 2^ ricorso n 06575/05 proposto da:
STIRPE MARINA, STIRPE SERENA, STIRPE BRUNA, GAUDIELLO ALFONSA, tutte nella qualità di eredi di STIRPE LIDIO, elettivamente domiciliate in ROMA VIA CONFALONIERI 5, presso l'avvocato IOANNUCCI MATTIA, rappresentate e difese dagli avvocati BUSSOLETTI MARIO, CARINCI PIETRO, DEL GIUDICE ARTURO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- ricorrenti incidentali -
contro
QUATTRINI PIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI VILLINI 4, presso l'avvocato ANTONUCCI ARTURO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato VASSALLE ROBERTO, giusta procura a margine del ricorso principale;
- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 1306/04 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 17/03/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/04/2008 dal Consigliere Dott. Giuseppe SALMÈ;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato ANTONUCCI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale, il rigetto del ricorso incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico che ha concluso per il rigetto dei ricorsi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con scrittura privata del 28 novembre 1966 Pio Quattrini e Stirpe Lidio hanno convenuto di associarsi nella forma di cui all'art. 2549 c.c. nella gestione di un'attività di vendita di autovetture nuove svolta dal primo, prevedendo che l'apporto del secondo sarebbe consistito nel prestare fideiussione per consentire all'associante di ottenere un fido bancario di L. 20.000.000 e un scoperto di conto corrente di L.. 5.000.000. L'associato avrebbe partecipato agli utili nella misura del 30% dell'utile lordo. Cessato il rapporto di associazione in partecipazione lo Stirpe ha chiesto e ottenuto dal presidente del tribunale di Frosinone decreto ingiuntivo per la somma di L. 39.587.454 portata da undici effetti cambiar a favore della Banca della Ciociaria. Con sentenza del 19 agosto 1988 il tribunale di Frosinone, adito con opposizione del Quattrini, ha condannato lo stesso al pagamento della somma di L. 42.019.104, di cui L. 5.312.900 per utili dell'associazione in partecipazione.
Con sentenza del 15 aprile 1997 la corte d'appello di Roma, previa rinnovazione della c.t.u. espletata In primo grado, ha ridotto la condanna del Quattrini al pagamento della somma di L. 21.271.203. Tale sentenza è stata cassata da questa corte con sentenza n. 5737 del 1999, sul rilievo che erano state condivise le conclusioni del c.t.u. fondate su premesse giuridiche che la corte territoriale non aveva espressamente valutate, omettendo, in particolare, di accertare se le parti nel contratto di associazione in partecipazione avessero limitato le spese detraibili dall'utile lordo ad alcune analiticamente indicate.
In esito al giudizio di rinvio, iniziato con atto di citazione del 12 giugno 2000, la corte d'appello di Roma ha condannato il Quattrini al pagamenti di Euro 10.985,66, oltre agli interessi legali. La corte territoriale ha affermato che le parti avevano precisato nella scrittura privata del 28 novembre 1966 che sull'utile lordo ricavato dalla vendita delle auto dovevano essere detratte alcune spese specificamente indicate e la quota del 30% spettante all'associato doveva essere calcolata sull'utile risultante dopo avere effettuato le detrazioni indicate. Secondo un'interpretazione letterale e logica della clausola, l'utile lordo non poteva che essere quello risultante dalla differenza tra ricavato dalla vendita delle auto e costo delle stesse, da tale somma, tuttavia, secondo l'intenzione delle parti, per pervenire all'utile sul quale calcolare la quota da corrispondere all'associato, potevano essere detratti non tutti i costi di gestione ma solo alcune voci di costi analiticamente indicate. A tale conclusione la corte d'appello è pervenuta anche sul rilievo che altrimenti, e se cioè si fosse tenuto conto di tutti i costi di gestione, l'indicazione analitica delle spese da detrarre all'utile lordo non avrebbe avuto senso e si sarebbero aggiunte al contratto pattuizioni non previste e comunque non risultanti dal contratto stesso. E poiché il c.t.u. aveva proceduto ai conteggi ritenendo esattamente che le spese detraibili erano solo quelle elencate nel contratto e sulla base di rilievi analitici e condivisibili, le conclusioni raggiunte potevano essere condivise. La corte territoriale ha infine escluso che sulle somme accertate potesse essere concessa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non essendo stata fornita dal creditore la prova del maggior danno.
Avverso la sentenza della corte d'appello di Roma il Quattrini ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, ai quali resistono gli eredi di Lidio Stirpe, che hanno anche proposto ricorso incidentale affidato a un unico motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale e quello incidentale, proposti nei confronti della stessa sentenza, debbono essere riuniti.
1. Deducendo la violazione dell'art. 2553 c.c. e vizio di motivazione, il ricorrente lamenta che la corte territoriale da un lato abbia tenuto conto del costo della autovetture, pur non essendo espressamente indicato nell'elenco di quelli detraibili e, dall'altro abbia escluso la detrazione degli oneri finanziari e delle spese di gestione, necessari per l'esercizio dell'impresa sulla base del rilievo della tassatività dell'elenco dei costi detraibili ai fini della determinazione dell'utile. In tal modo sarebbero stati attribuiti all'associato utili inesistenti.
Il motivo non è fondato. La dedotta contraddittorietà di motivazione, in realtà, non sussiste perché il costo delle autovetture nuove da versare alla casa costruttrice non è stato detratto dall'utile lordo, ma dal ricavo, proprio al fine di individuare quale fosse l'utile lordo, partendo dal quale, per effetto delle detrazioni degli ulteriori costi, convenzionalmente individuati, la corte territoriale è pervenuta all'individuazione dell'utile netto su cui ha calcolato la percentuale di utili spettante all'associato.
Nè il ricorrente ha mosso specifiche censure alla motivazione sulla base della quale la corte d'appello è arrivata alla conclusione che l'elencazione dei costi detraibili dall'utile lordo era tassativa, limitandosi a contrapporre la propria diversa interpretazione della volontà contrattuale delle parti.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 2265 c.c. sostenendo che, per effetto dell'interpretazione del contratto accolta, la corte ha finito per escludere ogni partecipazione agli utili da parte dell'associante, in quanto, gravando esclusivamente sullo stesso tutti i costi non previsti nell'elencazione, mentre l'associato avrebbe conseguito utili, seppure in misura modesta, egli non ne avrebbe percepito affatto. Il motivo, a parte che sembra prospettare una questione nuova non dibattuta nel giudizio di merito, non è fondato.
Il divieto del patto con il quale uno o più soci sono esclusi, in modo totale e costante (Cass. n. 642/2000) dagli utili o dalle perdite non è applicabile al contratto di associazione in partecipazione, per il quale l'unica regola inderogabile è quella del divieto di partecipazione dell'associato alle perdite in misura superiore al suo apporto, mentre le parti hanno facoltà di determinare la partecipazione alle perdite in misura diversa da quella della partecipazione agli utili ovvero di escludere del tutto la partecipazione alle perdite, come avviene nel contratto di cosiddetta cointeressenza impropria (Cass. n. 503/1996, 4473/1993, 5759/1985, 197/1982, 6750/1981).
3. Con l'unico motivo del ricorso incidentale lo Stirpe, deducendo la violazione dell'art. 1224 c.c. e vizio di motivazione, lamenta che non sia stata accolta la domanda di rivalutazione monetaria in quanto non provato il maggior danno, mentre egli aveva specificamente dedotto la propria qualità di risparmiatore e investitore e tale deduzione era sufficiente a giustificare la presunzione di esistenza del maggior danno.
Il motivo non può essere accolto.
La corte territoriale ha confermato il rigetto della domanda di rivalutazione monetaria in quanto non è stata fornita la prova del maggior danno.
Per contrastare tale affermazione il ricorrente incidentale deduce di avere allegato nell'atto di riassunzione del giudizio di rinvio la propria qualità di investitore e risparmiatore. Tale allegazione è certamente tardiva e, comunque, non è di per sè sola sufficiente a giustificare ne' la censura di violazione di legge ne' quella di vizio di motivazione.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese. P.Q.M.
La corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese. Così deciso in Roma, il 11 aprile 2008.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2008