Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6284 - pubb. 01/08/2010

.

Cassazione civile, sez. III, 12 Novembre 2004, n. 21520. Est. Chiarini.


Società - Di persone fisiche - Società semplice - Rapporti con i terzi - Della società - Rappresentanza della società - In genere - Spettanza ai soci amministratori - Fondamento - Spendita del nome della società - Uso di formule sacramentali - Necessità - Esclusione - Fattispecie.



Nelle società in nome collettivo, in base al combinato disposto degli artt. 2293, 2266 cod. civ., la rappresentanza dell'ente spetta, disgiuntamente, a ciascun socio e - salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo - si estende a tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale, in quanto la legge presume che la volontà dichiarata dal rappresentante nell'interesse della società corrisponda alla volontà sociale. A tal fine non è necessario che per manifestare il rapporto rappresentativo ("contemplatio domini") il socio amministratore usi formule sacramentali, ma è sufficiente che dalle modalità e dalle circostanze in cui ha svolto l'attività negoziale e dalla struttura e dall'oggetto del negozio, i terzi possano riconoscerne l'inerenza all'impresa sociale, sì da poter presumere che l'attività è espletata nella qualità di socio amministratore. (Nella specie, relativa ad un contratto con il quale era stato pattuito il subentro nella locazione di un esercizio commerciale, la S.C ha ritenuto che il comportamento della socia amministratrice fosse idoneo a portare a conoscenza della controparte il fatto che ella agiva in rappresentanza della società, in quanto costei era amministratrice unica della medesima, la s.n.c. era titolare del rapporto di locazione e l'oggetto del contratto ineriva all'impresa sociale). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto - Presidente -
Dott. VARRONE Michele - Consigliere -
Dott. LO PIANO Michele - Consigliere -
Dott. DURANTE Bruno - Consigliere -
Dott. CHIARINI Maria Margherita - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BEDUSCHI ANNA MARIA, in proprio e in qualità di liquidatore legale rappresentante della SOCIETÀ LA PELLE di REBUSCI ANNA MARIA & c. snc., elettivamente domiciliata in ROMA VIA CUBONI 12, presso lo studio dell'avvocato CLAUDIO VISCO, che la difende unitamente all'avvocato ALESSANDRO TRAISCI, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
FORNI FRANCO, ALBANESE GIOACCHINO, CENTRO ORAFO MANTOVANO SRL IN LIQ;
- intimati -
e sul 2^ ricorso n. 24251/01 proposto da:
FORNI FRANCO, ALBANESE GIOACCHINO, CENTRO ORAFO MANTOVANO SRL IN LIQUIDAZIONE in persona dei medesimi Forni F. Albanese G., elettivamente domiciliati in ROMA LUNGOTEVERE MELLINI 7, presso lo Studio dell'avvocato LUCIA ZACCAGNINI, che li difende unitamente all'avvocato MARCO DELLA LUNA, giusta delega in atti;
- controricorrenti e ricorrenti incidentali -
e contro
LA PELLE DI BEDUSCHI ANNA MARIA in proprio e in qualità di liquidatore legale rappresentante della società LA PELLE di BEDUSCHI ANNA MARIA & C. Snc, elettivamente domiciliati in ROMA VIA G CUBONI 12, presso lo studio dell'avvocato CLAUDIO VISCO, che li difende unitamente all'avvocato ALESSANDRO TRAISCI, giusta delega in atti;
- controricorrenti al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 248/01 della Corte d'Appello di BRESCIA, SEZIONE SECONDA CIVILE emessa il 7/2/2001, depositata il 04/04/01;
rg. 84/99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/09/04 dal Consigliere Dott. Maria Margherita CHIARINI;
udito l'Avvocato MARCO DELLA LUNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 21 giugno 1991 Beduschi Anna Maria conveniva dinanzi al Tribunale di Mantova la s.r.l. Centro Orafo Mantovano, Forni Franco e Albanese Gioacchino deducendo: a) con scrittura privata del 10 novembre 1989 - intitolata "contratto di subentro", aveva ceduto ai convenuti i diritti concernenti l'esercizio di un negozio situato a Mantova, corso Umberto Primo n. 63, per il corrispettivo di L. 122.000.000; b) l'efficacia del contratto era subordinata a due condizioni sospensive: che il subentrante ottenesse il rilascio della tabella merceologica comunale e l'autorizzazione amministrativa per la vendita di metalli preziosi e che il canone per il nuovo contratto di locazione, da stipulare dal primo gennaio 1990, non superasse L. 1.500.000 più IVA; c) successivamente il Forni e l'Albanese avevano costituito la s.r.l. Centro Orafo per esercitare l'attività commerciale nel negozio ceduto; c) le predette condizioni si erano verificate e quindi il corrispettivo residuo, come pattuito, doveva esser pagato. Concludeva pertanto per la condanna in solido dei convenuti all'adempimento del contratto.
Costituitisi i convenuti, deducevano che il contratto era nullo o annullabile per mancanza di causa, di oggetto, di corrispettività, nonché per errore essenziale o dolo perché l'attrice non aveva ceduto l'azienda ne' un bene esistente in natura - tale non essendo il "posto commerciale" - e pertanto non vi era diminuzione del suo patrimonio, giustificativa dell'attribuzione di un corrispettivo. Aggiungevano l'inefficacia della cessione perché la locazione stipulata era superiore a L. 1.500.000; comunque la s.r.l. Centro Orafo Mantovano era carente di legittimazione passiva perché non aveva mai ratificato l'operato del Forni e dell'Albanese e la Beduschi di legittimazione attiva perché conduttore dell'immobile era la s.n.c. La Pelle. Chiedevano pertanto in via riconvenzionale la restituzione della somma versata a titolo di caparra ed il rigetto della domanda avversaria.
Interveniva volontariamente la s.n.c. La Pelle, in persona del legale rappresentante Beduschi Anna Maria, formulando le medesime domande avanzate da quest'ultima.
Con sentenza del 6 agosto 1998 il Tribunale di Mantova accoglieva la domanda principale condannando Forni ed Albanese, in solido, al pagamento del residuo corrispettivo a favore della s.n.c. La Pelle in quanto: 1) il contratto era valida espressione dell'autonomia privata poiché l'oggetto di esso era la cessione all'aspirante nuovo conduttore delle facoltà e dei diritti della s.n.c. La Pelle relativi e conseguenti al rapporto di locazione con la proprietaria dell'immobile; 2) le condizioni di efficacia del medesimo si erano verificate perché il canone di locazione pattuito tra la locatrice Immobiliare Corso Umberto I e la società costituita da Forni e Albanese era di poco superiore a quello previsto e le autorizzazioni erano state ottenute; 3) la legittimazione attiva della s.n.c. La Pelle, titolare delle predette facoltà e diritti, sussisteva sia sotto il profilo dell'utilità della gestione, sia della ratifica per facta concludentia, sia della negotiorum gestio da parte della Beduschi; 4) la cancellazione di detta società dal registro delle imprese non comportava la sua incapacità di far valere i propri crediti; 5) la legittimazione passiva spettava soltanto a Forni ed Albanese perché nessuna ratifica del loro operato era stata effettuata dalla s.r.l. Centro Orafo, ancorché dagli stessi costituita, i quali quindi restavano personalmente responsabili ai sensi dell'art. 2331, secondo comma, cod. civ..
Interponevano appello questi ultimi e la s.r.l. Centro Orafo per aver il giudice di primo grado disposto la compensazione delle spese anche nei suoi confronti ancorché non avesse dato causa al giudizio. Con sentenza del 4 aprile 2001 la Corte di Appello di Brescia accoglieva il gravame di Forni e Albanese sulle seguenti considerazioni: 1) la s.n.c. La Pelle, la cui liquidazione e cancellazione dal registro delle imprese non ne determinava l'estinzione fino a quando vi erano rapporti giuridici pendenti, era legittimata attivamente perché l'attività della Beduschi, amministratrice unica di detta società, era riconducibile alla negotiorum gestio; 2) la s.r.l. Centro Orafo Mantovano invece era carente di legittimazione passiva perché all'epoca del contratto - novembre 1989 - non era ancora costituita la società - sorta nel gennaio 1990 - e questa non aveva mai ratificato l'opera del Forni e dell'Albanese; 3) le condizioni dedotte nel contratto di cessione si erano verificate per le ragioni evidenziate dal Tribunale, condivisibili; 4) ai sensi dell'art. 1346 cod. civ. il contratto, per la sua validità, doveva esser possibile e, ai sensi dell'art. 1347 cod. civ., se la prestazione era inizialmente impossibile doveva divenire possibile prima dell'avveramento della condizione; 5) oggetto della cessione era il "posto" ove la società La Pelle esercitava la propria attività e quindi era impossibile sia al momento del contratto e sia almeno fino a quando si erano verificate le condizioni in esso dedotte, perché soltanto la locatrice poteva disporre del predetto posto cedendolo in locazione ad altri, mentre d'altro canto mancava la prova che essa avesse aderito al contratto di cessione o comunque si fosse obbligata a renderlo possibile; 6) pertanto il contratto era nullo.
Avverso questa sentenza ricorre in via principale Beduschi Anna Maria, in proprio e nella qualità di liquidatore legale della s.n.c. La Pelle, per un motivo, cui resistono Forni Franco, Albanese Gioacchino e la s.r.l. Centro Orafo Mantovano in liquidazione, che hanno altresì proposto ricorso incidentale per sei motivi, cui resiste Beduschi Anna Maria in proprio e nella qualità; i ricorrenti incidentali hanno depositato note di udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- I ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza, devono esser riuniti ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ..
2.- Preliminare è l'esame dei motivi 3-4-5 del ricorso incidentale perché attengono alla regolare instaurazione del contraddittorio. 3.- Con il terzo motivo Forni, Albanese ed la s.r.l. Centro Orafo Mantovano deducono: "Omessa motivazione su punto decisivo della controversia e violazione e falsa applicazione degli artt. 100 c.p.c., 1387, 1398, 1399, 1401-1403, 2028-2032 c.c. Erronea supposizione dell'applicabilità degli istituti della rappresentanza, della negotiorum gestio, della rati habitio. Omessa motivazione sulle relative eccezioni costituenti punto decisivo della controversia". La Beduschi aveva stipulato il contratto in nome proprio e senza menzionare la s.n.c. La Pelle; in proprio aveva incassato la caparra che non aveva versato nel patrimonio sociale, tant'è che nel relativo bilancio non era stato menzionato il preteso credito della società. La ratifica di un atto compiuto da un terzo in nome proprio non esiste. Altrettanto la negotiorum gestio, tanto più che il danaro lo ha intascato la Beduschi - che pertanto è anche in conflitto di interessi con la società che rappresenta - ed infatti la s.n.c. è intervenuta in giudizio soltanto dopo la pronuncia del difetto di legittimazione della Beduschi: tutte tali argomentazioni sono state ignorate dai giudici di appello per cui sussiste anche il vizio di motivazione.
Il motivo va respinto, ma la motivazione della sentenza di appello va integrata e corretta, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ..
3.1- Per il combinato disposto degli artt. 2293 e 2266, primo comma, cod. civ., la società in nome collettivo acquista diritti ed assume obbligazioni nei confronti dei terzi per mezzo dei soci che, nell'ambito del mandato - rapporto che si instaura tra il socio amministratore e la società di persone (artt. 2293 e 2260 cod. civ.), - ne hanno la rappresentanza. Tale potere, normalmente incluso in quello di amministrare - salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo - si estende a tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale (art. 2266, secondo comma, cod.civ.), in quanto la legge presume che la volontà dichiarata dal rappresentante nell'interesse della società corrisponda alla volontà sociale. Quanto poi alla spendita del nome della rappresentata (ed, contemplatio domini) affinché l'attività negoziale compiuta nel suo interesse possa esser immediatamente efficace nella sua sfera giuridica ed il negozio compiuto le sia direttamente imputabile, per manifestare il rapporto rappresentativo non è necessario che il socio amministratore usi formule sacramentali, ma è sufficiente che dalle modalità e dalle circostanze in cui ha svolto l'attività negoziale, e dalla struttura e dall'oggetto del negozio, i terzi possano riconoscerne l'inerenza all'impresa sociale, sì da poter presumere, secondo i criteri correnti nella vita degli affari, che l'attività è espletata nella qualità di socio amministratore. Ed infatti, in termini più generali, se un soggetto, abilitato ad agire in nome e per conto di un ente (sia esso persona giuridica, sia organizzazione con autonomia patrimoniale) , compia, anche senza dichiarare tale sua qualità, un atto che rientra nella sfera di attività dell'ente medesimo, sussiste una presunzione che esso sia stato compiuto nell'ambito di quel potere, ed è per questo che l'art. 2208 cod. civ. consente al terzo di agire nei confronti della società anche quando non sia stata spesa la ragione sociale, purché l'atto rientri nell'oggetto sociale.
3.2- Se invece manchino i requisiti esteriori del negozio rappresentativo, ma questo costituisce esecuzione del mandato - negozio il cui elemento essenziale è costituito dall'attuazione dell'interesse del mandante - questi può esercitare i diritti di credito che ne derivano, sostituendosi al mandatario (art. 1705, secondo comma, cod. civ.).
3.3- Per la configurabilità della gestione di affari altrui (art. 2028 cod.civ.) è necessario che non vi sia ne' un obbligo legale ne' convenzionale del cooperatore di intervenire nella sfera giuridica altrui - ovvero che l'attività negoziale sia espletata con la consapevolezza del gerente di esorbitare dai limiti dell'obbligo - ma con l'"animus aliena negotia gerendi" (Cass. 4623/2001), e se il dominus ratifica il negozio assume gli obblighi di un mandante (art. 2032 cod. civ, ), e cioè deve tenere indenne il gestore dalle obbligazioni da lui assunte in nome proprio e rimborsargli le spese necessarie o utili. Ma se la gestione non è rappresentativa - nel senso innanzi precisato, e cioè indicativa, anche per facta concludentia, del gestito quale destinatario degli effetti dell'attività posta in essere dal gestor - la predetta ratifica non fa subentrare il "dominus" in luogo del gestore nel rapporto costituito da quest'ultimo in nome proprio con il terzo, per cui i soggetti del rapporto restano quelli originari, e tale situazione permane anche sul piano processuale nel caso di giudizio tra gestore e terzo sulla base del contratto tra i medesimi concluso, e dunque il dominus non è legittimato ad esperire nessun tipo di intervento nel processo (Cass. 11637/1991; 12102/2003).
Così integrata la motivazione della sentenza di appello, il decisum secondo il quale il comportamento della socia amministratrice Beduschi, per univocità e concludenza - qualità di amministratrice unica della medesima nell'esercitare il potere di formare la volontà della società e manifestarla all'esterno; intestazione del contratto concernente il rapporto di locazione, di cui era titolare la s.n.c. La Pelle; inerenza dell'oggetto di esso all'impresa sociale - è stato idoneo a portare a conoscenza di Forni ed Albanese che ella agiva per la s.n.c. La Pelle, parte sostanziale del "Contratto di subentro nel posto", è giuridicamente corretto.
3.4- Nè ad inficiare tale interpretazione della volontà contrattuale può valere la circostanza che la Beduschi si sia dichiarata conduttrice dell'immobile ed obbligata a lasciare il posto ove era ubicato il negozio, poiché all'atto della stipula del contratto ef-fettivamente la medesima aveva concentrato in sè le posizioni soggettive della titolarità del predetto rapporto di locazione e dell'attività commerciale svolta, essendo rimasta l'unica socia della s.n.c. La Pelle a decorrere dal 29 luglio 1989, data in cui era deceduto l'altro socio Cagna Mario, come emerge dalla scrittura autenticata da notaio in data 24 aprile 1990 per la liquidazione della società, il cui esame è imposto dalla denunciata carenza di legitimatio ad causam della stessa.
Dunque il motivo va respinto.
4.- Con il quarto motivo i ricorrenti incidentali deducono: "Omessa motivazione su punto decisivo della controversia e violazione e falsa applicazione degli artt. 100 c.p.c., 1387, 1398, 1399, 1401-1403, 2028-2032 c.c. Erroneamente, e omettendo motivazione, la Corte de qua ha ritenuto la s.n.c. capace di agire".
La società non poteva agire per recuperare i crediti, non costituenti neppure sopravvenienza attiva perché anteriori allo scioglimento, senza un previo provvedimento di cancellazione, non potendo i soci della società cancellata incassare direttamente i crediti di questa. Su queste eccezioni il Tribunale ha omesso la motivazione. La motivazione della sentenza impugnata che rinvia alla negotiorum gestio e a quella del Tribunale è solo apparente. La censura è infondata.
I giudici di appello hanno correttamente applicato il fermissimo principio secondo il quale la cancellazione dal registro delle imprese di una società registrata determina l'estinzione della stessa solo quando non sopravvivono rapporti di debito e di credito da definirsi con terzi, perché l'organizzazione sociale cessa di esistere soltanto con l'estinzione in concreto di tutti i rapporti giuridici costituiti con l'attività della società. Conseguentemente l'atto formale di cancellazione della società dal relativo registro non fa venir meno la legittimazione sostanziale e processuale della stessa ad agire per detti rapporti attraverso i soggetti che la rappresentano, e cioè i liquidatori, quale nella specie è Anna Maria Beduschi.
Pertanto il motivo va respinto.
5.- Con il quinto motivo i ricorrenti incidentali deducono: "Omessa motivazione su punto decisivo della controversia e violazione e falsa applicazione degli artt. 1387, 1398, 1399, 1401-1403, cc Contraddizione. Erroneamente il giudice a quo ha ritenuto la legittimazione passiva degli odierni appellanti Forni e Albanese verso la s.n.c.".
La relativa eccezione non è stata esaminata dai giudici di appello. Non vi è collegamento giuridico tra il contratto di subentro stipulato tra la Beduschi ed il Forni e l'Albanese e quello successivo di locazione stipulato tra la s.r.l. Centro Orafo Mantovano e la locatrice. L'eccezione formulata era di carenza di legittimazione passiva verso la s.n.c., non verso la Beduschi, ne' questa le ha ceduto la sua posizione contrattuale, avendo anzi trattenuto l'acconto ricevuto ed agito in proprio per il saldo, liquidando la s.n.c. senza menzionare il petitum. Inoltre sussiste contraddizione nella statuizione secondo la quale da un lato il contratto obbliga Forni ed Albanese a pagare, in quanto il Centro Orafo ha stipulato un contratto di locazione, ma non ha ratificato l'operato di costoro, dall'altro invece la dualità Beduschi - s.n.c., sarebbe superata dalla ratifica di quest' ultima. Viceversa la s.r.l. ha stipulato un nuovo contratto con la proprietaria dell'immobile, estraneo al contratto intercorso tra Forni - Albanese e la Beduschi, che è una vicenda indipendente e rimasta senza attuazione. Erroneamente in tale nuovo contratto è stato ravvisato l'avveramento delle condizioni previste nell'altro contratto a cui è rimasta estranea la s.r.l., non avendolo ratificato. Il motivo è infondato.
Per quanto attiene all'esser la s.n.c. La Pelle divenuta soggetto del negozio posto in essere dalla Beduschi, valgono le considerazioni espresse nell'esame del terzo motivo. Quanto poi all'obbligo di Forni ed Albanese di adempiere alle obbligazioni assunte con il contratto di subentro, anche dopo la costituzione della s.r.l. Centro Orafo Mantovano, la relativa statuizione dei giudici di appello è giuridicamente corretta perché costituisce applicazione dell'art. 2475, penultimo comma, cod. civ., che richiama espressamente l'art. 2331, secondo comma cod. civ., secondo il quale "Coloro i quali, avendo in animo di costituire una società, contraggono in suo nome delle obbligazioni in vista della prossima costituzione e del successivo conseguimento della personalità giuridica assumono verso i terzi una responsabilità personale e diretta che permane anche dopo che la società abbia conseguito la personalità giuridica e ratificato le operazioni compiute a suo nome" (Cass. 1795/1972;
8127/1996). Ed infatti, pacifico che la rappresentanza non richiede necessariamente l'esistenza attuale del rappresentato, per effetto della chiara predetta disposizione normativa chi opera però per il rappresentato risponde in proprio e se agiscono più soggetti tutti rispondono solidalmente e tale responsabilità permane inalterata (salvol' contrario) anche dopo la costituzione della società. Il principio - sul quale la giurisprudenza è unanime - deve essere ribadito in quanto, come innanzi precisato, è imposto dall'art. 2331 secondo comma cod. civ., che non consente di ritenere, sia che si inquadri la fattispecie normativa in quella della rappresentanza senza rappresentato, sia che la si inquadri in quella della rappresentanza senza poteri, in ogni caso che la responsabilità di coloro che agiscono per la costituenda società sia temporanea, e ciò in quanto la norma mira a tutelare l'affidamento dei terzi i quali, non essendo in grado di conoscere la consistenza patrimoniale dell'organismo sociale prima della pubblicazione del suo atto costitutivo, non possono che avere negoziato sulla fiducia della solvibilità di coloro che hanno agito per il medesimo. Dunque, anche se la s.r.l. Centro Orafo - costituita da Forni e Albanese - avesse ratificato il contratto di cui si discute - ed infatti ha stipulato il contratto di locazione dedotto in esso come condizione - costoro non sarebbero comunque stati liberati dall'obbligo assunto. Pertanto il motivo va respinto.
5.- Deve ora esser esaminato il ricorso principale.
Con l'unico motivo la s.n.c. La Pelle deduce: "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1346 e 1347 cod. civ.). Contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.)."
La sentenza che ha statuito l'impossibilità dell'oggetto del contratto e la nullità del medesimo ai sensi degli artt. 1346 e 1347 cod. civ., è erronea e contraddittoria perché esso non era la locazione tra la s.n.c. La Pelle e Forni - Albanese, che ovviamente poteva esser stipulata soltanto dalla proprietaria del locale, la società Immobiliare Corso Umberto, e che costituiva una delle condizioni di efficacia del contratto di subentro, bensì la cessione del posto, nel senso che la s.n.c. La Pelle rinunciava ai diritti di conduttrice del contratto di locazione ancora in corso per agevolare la stipula di un nuovo contratto di locazione tra Forni e Albanese, come correttamente aveva individuato il Tribunale. La contraddizione dei giudici di secondo grado è evidente laddove dapprima afferma che l'oggetto del contratto era impossibile e poi che la condizione della stipula di una nuova locazione si era verificata, e questo proprio per effetto della cessione della s.n.c. La Pelle.
Il motivo va accolto.
I diritti che il conduttore ha nei confronti del locatore per effetto di un contratto di locazione sono determinati, attuali ed hanno contenuto patrimoniale. Essi inoltre, mentre sono insuscettivi di un'elusione di tipo preventivo tra conduttore e locatore (art. 79, legge 27 luglio 1978 n. 392, applicabile ratione temporis), una volta sorti sono invece disponibili e quindi possono essere oggetto di rinunzia, con o senza corrispettivo, a favore del locatore come di un terzo.
Pertanto il relativo capo della sentenza impugnata deve esser cassato ed il giudice di rinvio, nel procedere a nuovo esame della volontà espressa dalle parti nel "contratto di subentro", dovrà adeguarsi al principio di diritto innanzi esposto per valutare se la cessione del posto ove si svolgeva l'attività commerciale che la s.n.c. La Pelle, rappresentata dalla Beduschi, si è obbligata a porre in essere, configura appunto una rinuncia, verso corrispettivo, a far valere il suo diritto di conduttrice alla prosecuzione nel godimento di tale immobile e manifesta la sua non opposizione alla stipula di un nuovo contratto di locazione con un terzo, anticipatamente rispetto alla scadenza del suo contratto, resa possibile dall'estinzione del suo diritto, per effetto di detta rinuncia "al posto".
6.- Con il primo motivo del ricorso incidentale Forni Franco, Albanese Gioacchino ed il Centro Orafo Mantovano s.r.l., deducono:
"Infondatezza del ricorso - Nullità - Inesistenza dell'oggetto e del contratto. Il documento de quo non è un contratto - Violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1325, 1346 c.c.". Il contratto è nullo ed il suo oggetto impossibile, anzi il contratto non ha neppure un oggetto e quindi non è neppure un contratto. L'oggetto è impossibile perché inesistente, in quanto le parole non esprimono nessun oggetto. Il contratto di subentro è apparente, chimerico, non- contratto poiché non vi è alcuna prestazione della s.n.c. La Pelle o della Beduschi. "Cedere il posto" non significa nulla. Con la scrittura controparte non rinuncia ne' trasferisce, ne' si impegna a rinunciare o a trasferire alcun diritto. Anche il Tribunale, a cui la sentenza di appello rinvia, aveva posto a fondamento della sua decisione una serie di controsensi ed errori. I diritti e le garanzie che la legge riconosce al conduttore non sono beni determinati di cui egli può disporre, soprattutto verso corrispettivo, bensì sono oggetto di un regime vincolistico e sono validi soltanto tra conduttore e locatore. L'indennità di avviamento non è stata oggetto di disposizione ed il giudice a quo se ne è occupato d'ufficio e comunque il contratto di subentro non la toglie alla s.n.c. La Pelle - ne' potrebbe farlo - ed in ogni caso non la trasferisce a terzi. La s.n.c. - e non la Beduschi i avrebbe potuto cedere l'azienda e con essa il contratto di locazione, mentre invece la sua azienda cessò di esistere per morte dell'altro socio e quindi comunque la società avrebbe dovuto rinunciare al contratto, mentre d'altro canto non trasmise neppure i mobili al Centro Orafo, che voleva impiantarvi una gioielleria, ma non potè farlo per mancanza di autorizzazione della Questura e così vi impiantò una bigiotteria. Mancano dunque sia l'oggetto, sia la causa iuris, sia la corrispettività del contratto. Questo inoltre non contiene alcuna astensione dall'esercizio delle facoltà inerenti la durata ed il rinnovo di esso, ne' l'adesione alla instaurazione di un nuovo rapporto contrattuale tra la proprietaria dell'immobile e l'aspirante subentrante, come invece erroneamente ritenuto dal Tribunale. Peraltro, anche se fosse così interpretabile il contratto, non sarebbe valido ne' verso la proprietaria, ne' verso l'aspirante subentrante, e non avrebbe l'efficacia di impedire alla s.n.c. La Pelle di esercitare i suoi diritti. Il presupposto dell'ipotetico debito di Forni ed Albanese è un fatto negoziale futuro tra la ditta ed. subentrante ed il terzo proprietario, ne' la Beduschi o la Pelle promettono il fatto del terzo perché questo è dedotto in condizione, e quindi non vi è alcuna loro prestazione. Inoltre il contratto è stato sottoscritto dalla Beduschi in proprio e senza menzionare la s.n.c. La Pelle e non contiene alcun subentro nel contratto, previsto dall'art. 36 della legge sulla locazione. Del resto anche controparte ammette che non vi è stato subentro e per questo definisce il contratto atipico. Il consenso della s.n.c. al con-tratto di locazione, senza il quale la proprietaria non avrebbe potuto stipularlo, non è neppure dedotto in contratto e comunque avrebbe dovuto esser rivolto alla proprietaria sotto forma di rinuncia al contratto di locazione o all'indennità di avviamento, e quindi solo questa poteva esser ipoteticamente obbligata a corrispondere un corrispettivo. Nè la stipula del contratto di locazione poteva rendere possibile il contratto di subentro, restando un fatto indipendente da esso.
Il motivo, sulla questioni di diritto, è assorbito dalle considerazioni svolte per il rigetto del primo motivo del ricorso incidentale e per l'accoglimento del ricorso principale. Per il resto può aggiungersi che da un lato le ragioni per le quali la s.n.c. anziché cedere l'azienda, cede il "posto", son rese evidenti dall'interesse, manifestato nel contratto di subentro, come evidenziano gli stessi ricorrenti incidentali, alla conclusione di un nuovo contratto di locazione, che quindi anche per la durata fosse svincolato da quello precedente, mentre i motivi che hanno indotto la cedente alla stipula del contratto sono del tutto irrilevanti, in applicazione del generale principio secondo il quale al fine dell'indagine sulla causa e sul contenuto del contratto è irrilevante il motivo perseguito dal singolo contraente, e, cioè sul movente che ne abbia determinato la volontà negoziale, ove non si sia esteriorizzato in una condizione o patto del contratto medesimo (art. 1345 cod. civ.).
7.- Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali deducono:
"Violando l'art. 1353 c.c. erroneamente e con difettiva motivazione la Corte ha ritenute avverate le condizioni sospensive". Le condizioni dedotte non si sono avverate e le forzature interpretative non sono ammissibili. L'autorizzazione per la vendita di preziosi non esiste ed è stata confusa con quella per oggetti usati. Il termine - 1 gennaio 1990 - entro il quale doveva esser stipulata la locazione non sarebbe essenziale, secondo il Tribunale perché nel contratto è stata usata la parola " indicativamente". Ma il termine ha un fine commerciale perché è necessario per il conduttore sapere se potrà disporre dell'immobile entro il medesimo e ad un certo canone. Nemmeno quest'ultima condizione si è avverata perché il canone imposto è stato superiore del 20% rispetto al limite previsto: L. 1.800.000 a fronte di L. 1.500.000 e il Tribunale non poteva sostituirsi alle parti nella relativa determinazione, come ha fatto qualificando la differenza irrilevante, ne' vi è prova della tesi formulata in appello secondo la quale la differenza in più sarebbe stata compensata dallo sconto di L. 10.000.000 sul canone.
Il motivo è infondato.
Come evidenziato in narrativa, e dagli stessi ricorrenti incidentali, la motivazione della sentenza di appello richiama per relationem quella del Tribunale. Da questa sentenza emerge che la volontà contrattuale, interpretata secondo buona fede, avuto riguardo all'interesse della parte subentrante, era nel senso di ottenere un nuovo contratto di locazione, di durata legale, "indicativamente" da stipulare entro il 10 gennaio 1990, sì che la stipula avvenuta il 1 marzo 1990, di durata legale, ancorché per un canone leggermente superiore, era idonea a soddisfare gli interessi perseguiti dalle parti. A questa ragione la Corte di Appello, che sul punto ha condiviso la motivazione del Tribunale, a cui ha rinviato, ne ha aggiunto un'altra e cioè che, mentre nel contratto di subentro il canone previsto di L. 1500.000 era al netto di IVA - e quindi complessivamente era pari a L. 1.785.000 - nel contratto stipulato tra la proprietaria ed il Centro Orafo non era chiarito se il canone di L. 1.800.000 fosse o meno comprensivo di IVA.
Tale interpretazione della volontà negoziale, come quella concernente il carattere essenziale o meno del termine fissato dai contraenti è incensurabile in questa sede perché è adeguatamente e logicamente motivata, e nessuna censura di violazione delle regole di ermeneutica contrattuale è stata neppure prospettata. Pertanto la censura va respinta.
Quanto poi all'avveramento dell'altra condizione e cioè l'autorizzazione alla vendita di oggetti preziosi, la Corte di Appello, che anche sul punto ha rinviato alla motivazione del Tribunale, l'ha ritenuta verificata in base al doc. 4 di parte attrice e i ricorrenti incidentali, nell'affermare che ne' il Tribunale ne' la Corte di Appello si sono accorti che il documento prodotto atteneva invece all'autorizzazione alla vendita di oggetti usati, implicitamente ammettono di non aver censurato in appello l'erronea interpretazione di tale documento da parte del Tribunale e quindi il vizio di motivazione è ormai precluso. Pertanto il motivo va respinto.
8.- Con il sesto motivo la ricorrente deduce: " Violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c: errore nel governo delle spese: la Corte doveva attribuire la vittoria nelle spese di ambo i gradi al Centro Orafo Mantovano s.r.l. e ai sigg. Forni e Albanese. Difetto di motivazione".
Il Centro Orafo è venuto ad esistenza dopo la stipula dello pseudo contratto e anche la Corte ammette che non lo ha ratificato e dunque non ha legittimazione passiva in questa causa ne' è stato soccombente di fronte ad altre domande attoree, e quindi aveva diritto al rimborso delle spese.
Anche le altre due parti ne avevano diritto mentre la supposta ambiguità della difesa, posta a fondamento della disposta compensazione, era inesistente avendo invece sempre insistito per la nullità del contratto.
Il motivo è assorbito.
Infatti la cassazione anche di un solo capo della sentenza impugnata, per il principio fissato dall'art. 336 cod. proc. civ. - secondo il quale la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti da quella cassata (cosiddetto effetto espansivo) - si estende alla disposizione sulle spese processuali e quindi travolge la relativa statuizione che il giudice del rinvio ha il potere di regolamentare totalmente ex novo, alla stregua dell'esito finale della lite( Cass. 12233/1992) .
9.- Concludendo va accolto il ricorso principale.
Il giudice del rinvio, nell'adeguarsi al principio di diritto esposto in relazione al motivo accolto, provvedere altresì a liquidare le spese anche del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso incidentale; accoglie il ricorso principale;
dichiara assorbiti il primo ed il sesto motivo e rigetta il secondo motivo del ricorso incidentale. Cassa in relazione e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di Brescia, anche per le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 20 settembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2004