Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6259 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. I, 15 Aprile 1992, n. 4569. Est. Senofonte.
Società - Di persone fisiche - Società irregolare e di fatto - Costituzione - Contratto costitutivo - Conferimento di beni immobili - Mancanza - Forma scritta - Necessità - Esclusione.
Il contratto costitutivo di società in nome collettivo, che non abbia per oggetto il conferimento di beni immobili, può essere concluso anche oralmente, essendo il documento scritto richiesto solo in funzione dell'eventuale iscrizione della società nel registro delle imprese (art. 2296 cod. civ.). Tale documento è, pertanto, superfluo per le società irregolari, alle quali si applica, in forza del rinvio di cui all'art. 2293 cod. civ., la disposizione del precedente art. 2251, secondo il quale il contratto di società (personali) non è soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Italo BOLOGNA Presidente
" Pellegrino SENOFONTE Rel. Consigliere
" Giancarlo BIBOLINI "
" Antonio CATALANO "
" Simonetta SOTGIU "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
CAPELLI CARLO, res. in Brescia, elett. dom. in Roma, via F. Corridoni; 7, c-o l'avv. Carmine Monaco, Sorge, che lo rapp.ta e difende con gli avv.ti Alberto Airoldi e Sisto Salotti, giusta delega a margine del ricorso.
Ricorrente
contro
AMORE UMBERTO, elett. dom. in Roma, c-o la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione rapp.to e difeso dall'avv.to Alfredo Profeta. giusta delega in calce al c-ricorso.
Controricorrente
e contro
FROSIO CESARINA ved. SIMONI,
FROSIO LUIGIA,
BOYER CARLO,
BOYER ROBERTO,
FROSIO ANTONIA in PELLINI
Intimati
Avverso la sentenza della C.A. di Brescia del 24-6-87;
Sono presenti per il ric. l'avv. Monaco Sorge
Il Cons. dr. Senofonte svolge la relazione
la difesa del ric. chiede accoglimento
il P.M. Antonio Leo conclude per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 23 ottobre 1982 Mario Capelli - premesso: che egli aveva accettato la proposta, fattagli, nei primi mesi dell'anno 1981, da Umberto Amore, di gestire insieme un affare consistente nell'acquisto, per il prezzo di L. 550.000.000 e nella successiva commercializzazione di un fabbricato in Lovere appartenente in comproprietà ad Antonia, Cesarina e Luigia Frosio, nonché a Carlo e Roberto Boyer; che egli aveva versato metà del prezzo, oltre a L. 6.000.000, quale quota a suo carico della provvigione spettante al mediatore; che l'Amore aveva stipulato il preliminare di acquisto a nome proprio comportandosi, poi, come titolare esclusivo dei connessi diritti; che il contratto da lui stipulato con l'Amore era nullo, in quanto non rivestito di forma scritta, pur avendo ad oggetto l'acquisto di un bene immobile, per cui egli aveva diritto alla restituzione delle somme indebitamente versate; che egli intendeva surrogarsi all'Amore, ex art. 2900 c.c., nell'esercizio dei diritti derivanti dal preliminare nei confronti dei promittenti venditori - chiese al Presidente del tribunale di Bergamo l'autorizzazione a sequestrare conservativamente i beni immobili di proprietà dell'Amore e del gruppo Frosio-Boyer. Autorizzato ed eseguito il sequestro, il Capelli convenne in giudizio le altre parti, chiedendo la convalida della misura cautelare e, nel merito, la condanna dell'Amore alla restituzione di L. 275.000.000 con interessi e rivalutazione, nonché il trasferimento coattivo in favore dello stesso del fabbricato promesso in vendita.
Istituito il contraddittorio, i convenuti contestarono, nel rispettivo interesse, la fondatezza delle domande. L'Amore dedusse, tra l'altro, che per la conclusione dell'affare aveva costituito con l'attore una società di fatto, per la costituzione della quale non è richiesta la forma scritta; mentre gli altri convenuti chiesero la condanna del Capelli al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata (art. 96 c.p.c.).
Con sentenza del 13 maggio 1985, il tribunale di Bergamo accolse la domanda proposta dall'Amore nei confronti dell'Amore e convalidò il sequestro avente ad oggetto i beni di quest'ultimo, mentre rigettò la domanda di convalida nei confronti degli altri convenuti e dispose la rimessione della causa in istruttoria quanto all'esperita azione surrogatoria.
Con la sentenza del 24 giugno 1987, qui impugnata, la Corte d'appello di Brescia, ha rigettato tutte le domande proposte dal Capelli nei confronti dell'Amore; ha rigettato, altresì l'appello proposto dal capelli nei confronti dei Frosio-Boyer e lo ha condannato al pagamento in favore dei questi ultimi, della somma di L. 5.000.000 per responsabilità aggravata.
La Corte si è, anzitutto, posta il problema del tipo di contratto intercorso tra il Capelli e l'Amore, risolvendolo, attraverso un'articolata disamina, nel senso che, escluse le ipotesi di mandato all'acquisto dell'immobile o di mera comunione a scopo di godimento del medesimo, le parti intesero stipulare un contratto di società irregolare perfezionatosi con l'accettazione da parte del Capelli della proposta fattagli dell'Amore e diretto all'acquisto (e successiva commercializzazione) del bene col denaro rispettivamente conferito dai contraenti.
E tale contratto la Corte ha ritenuto valido, ancorché non rivestito di forma scritta, in quanto oggetto, dei conferimenti non era l'immobile da acquistare, bensì il denaro necessario per l'acquisto costituente il fine della società.
Per questo la Corte ha respinto le domande del Capelli e, ritenendolo, inoltre, responsabile ex art. 96 c.p.c. nei confronti dei promittenti venditori, lo ha condannato al risarcimento dei danni.
Contro questa sentenza il Capelli ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria e resistiti, con controricorso, dall'Amore.
I rimanenti intimati non si sono costituiti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo, il ricorrente denuncia violazione degli artt. 2249, 2295, 2296 e 2297 c.c., in relazione all'art. 2251 s.c. Premesso che una società c.d. di fatto avente (come nella specie) per oggetto l'esercizio di attività commerciale va qualificata come società in nome collettivo irregolare, sostiene che essa deve costituirsi, a norma degli artt. 2295 e 2296 citt. con atto scritto, sì che avrebbe errato la Corte bresciana nel ritenere, al contrario, quest'ultimo non necessario nel caso concreto e nel considerare, perciò, valido il contratto di società concluso dalle parti. Il motivo non è fondato.
La premessa dalla quale muove il ricorrente è sicuramente esatta, ma non si può condividere la conseguenza che egli ne trae. Il contratto costitutivo di società in nome collettivo è, infatti, valido, ove non abbia per oggetto il conferimento di beni immobili, anche se (come nel caso specifico) concluso oralmente, essendo, riguardo ad esso, il documento scritto richiesto solo in funzione della eventuale iscrizione della società nel registro delle imprese (artt. 2296 cit.) ed essendo, quindi, necessario solo per le società previste come regolari, mentre è superfluo per le società irregolari alle quali si applica, in forza del rinvio di cui all'art. 2293 c.c., la disposizione del precedente art. 2251, secondo la quale il contratto di società (personali) non è soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti. Con il secondo e il terzo motivo, il ricorrente deduce, nell'ordine: a) violazione degli artt. 1350 e 1351 c.c., in relazione agli artt. 2247 e 2251 s.c., nonché omessa motivazione su punto decisivo, in quanto la Corte di appello avrebbe, altresì, errato nel ritenere perfezionato tra le parti il contratto di società a seguito dell'accettazione, da parte del Capelli, della proposta fatta dall'Amore, mentre "Quando due o più persone si accordano per il futuro acquisto di un immobile, da gestire in comune allo scopo di trarre utili, la società (occasionale) si costituisce solo al momento in cui esse acquistano effettivamente l'immobile", prima del cui acquisto, pertanto, l'accordo si configurerebbe come contratto preliminare di società ("pactum de ineunda societate"), da stipulare in forma scritta, avendo per oggetto il conferimento non già, come stabilito dalla Corte territoriale, del denaro necessario per l'acquisto, ma dell'immobile da acquistare ovvero, in concreto, il conferimento, da parte dell'Amore, del diritto all'acquisto derivante dal preliminare stipulato con i promittenti venditori prima ancora che il Capelli versasse il proprio denaro;
b) violazione degli artt. 1346, 1351, 2247 e 1418 c.c., per non aver la Corte di appello considerato che il contratto preliminare di società sarebbe, comunque, nullo, non essendo stato specificato il tipo della costituenda società ed essendo, perciò, privo della indicazione di un oggetto determinato o, per lo meno, determinabile. Neppure questi motivi sono fondati.
Il primo di essi è radicalmente viziato da evidente mancanza di discernimento tra il momento della nascita della società e quello del concreto esercizio della pertinente attività.
È ampiamente noto, infatti, che il contratto di società è un contratto consensuale, che si perfeziona, dunque, con l'assunzione dell'obbligo dei conferimenti (artt. 2247, 2253 c.c.) indipendentemente dalla sua esecuzione, la quale attiene alla concreta attività del gruppo prefigurata dal contratto costitutivo e al momento contrattuale rimane, quindi, estranea. Sulla base di questo principio (relativamente al quale non si registrano apprezzabili dissensi), devesi convenire con la Corte del merito che, nella specie, il contratto (definitivo) di società si è perfezionato tra le parti al momento dell'accettazione, da parte del Capelli, della proposta di concorrere, col conferimento della metà del prezzo, all'acquisto dell'immobile e, quindi, alla realizzazione dello scopo sociale costituito, appunto, dall'acquisto del bene e dalla successiva commercializzazione, che, proprio perché attinenti al fine (o oggetto) sociale, non sono identificabili con gli inerenti mezzi finanziari e, dunque, con i conferimenti delle somme di denaro destinati al conseguimento del particolare scopo. Di qui l'ulteriore errore (lucidamente enucleato dalla sentenza impugnata) del ricorrente secondo il quale oggetto del conferimento sarebbe stato, invece, il futuro acquisto del fabbricato (o il diritto ad acquistarlo per effetto del relativo preliminare), con la conseguenza - neppure essa, ovviamente, condivisibile - che l'accordo vi sarebbe dovuto stipulare, a pena di nullità, in forma scritta. Dal rigetto del mezzo ora esaminato e dal ripudio, quindi, della tesi che le parti avrebbero concluso (non un contratto definitivo, ma) un preliminare di società deriva, infine, l'infondatezza anche del residuo (e ultimo) motivo, in ordine al quale conviene, comunque, aggiungere che, come già ritenuto da autorevole dottrina, l'espressa enunciazione del tipo non costituisce, in linea di principio, elemento essenziale del contratto di società, dovendosi questo qualificare come contratto di società semplice, se ha per oggetto l'esercizio di attività non commerciale, e come contratto di società in nome collettivo se ha per oggetto l'esercizio di attività commerciale e non risulta che le parti abbiano inteso adottare un diverso tipo di società (commerciale).
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questa fase in favore del controricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questa fase, liquidate in L. 36.500 oltre L. 4.000.000 (quattromilioni) per onorario;
Così deciso in Roma il 17 aprile 1991.