Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6252 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 14 Febbraio 2000, n. 1613. Est. Salmè.


Società - Di persone fisiche - Società semplice - Contratto sociale - Forma - Conferimento di un immobile in società - Rispetto delle forme richieste dalla natura del bene - Necessità.



Il conferimento di un immobile in società deve avvenire con il rispetto delle forme richieste dalla natura del bene conferito, anche se la legge non richiede alcuna forma per la costituzione del rapporto sociale (nella specie, è stato escluso il conferimento in società di fatto di un suolo acquistato da parte dei soci "uti singuli"). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Angelo GRIECO - Presidente -
" Enrico PAPA - Consigliere -
" Giovanni VERUCCI "
" Giuseppe SALMÈ rel. "
" Bruno SPAGNA MUSSO "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
TORNESE ROSA ANTONIETTA, CAPORALE LAURA PIA, elettivamente domiciliate in Roma, viale Mazzini 117, presso l'avv. Guido Varano, rappresentati e difesi dall'avv. Nicola Fantini, per procura speciale a margine del ricorso,
ricorrenti
contro
D'ALONZO CAMILLO ANTONIO, elettivamente domiciliato a Roma, via dei Prati Fiscali 258, presso lo studio dell'avv. Piergiorgio Berardi, rappresentato e difeso dall'avv. Nicola Sisti, per procura speciale a margine del controricorso,
controricorrente
e
FALLIMENTO di D'ORAZIO VINCENZO & C., s.n.c.
intimato
avverso la sentenza della corte d'appello di L'Aquila del 18 settembre 1996.
Sentita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 16 aprile 1999 dal Con. Dott. Giuseppe Salmè;
sentito il p.m., in persona del sost. proc. gen. Dott. Fulvio Uccella, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione dell'8 aprile 1988 Antonio Camillo D'Alonzo ha convenuto in giudizio davanti al tribunale di Lanciano la società in nome collettivo Vincenzo D'Orazio & c., i soci Vincenzo D'Orazio e Daniele Camillo in proprio, nonché Rosa Antonietta Tomese e Laura Pia Caporale, mogli, rispettivamente, del D'Orazio e del Daniele, chiedendo che fosse dichiarata l'invalidità della vendita avvenuta nel 1988, senza il suo consenso, di alcune unità immobiliari, facenti parti di un edificio costruito su terreno di cui era comproprietario, da parte di Vincenzo D'Orazio, quale amministratore unico della società, alla Tomese e alla Caporale. L'attore ha esposto che il terreno di cui si tratta era stato acquistato nel 1978 insieme al D'Orazio e al Daniele, che su tale terreno era stato costruito un edificio e che le unità immobiliari erano state divise in parti eguali e assegnate in godimento a ciascuno degli acquirenti, che avevano, quindi costituito tra loro una società di fatto, avente ad oggetto l'attività edilizia, la quale era regolarizzata, mediante trasformazione in società in nome collettivo, nel 1981. Il capitale sociale di complessivi L. 66.000.000 si era formato con il conferimento di L. 22.000.000 da parte di ciascun socio, mentre il terreno e l'edificio sullo stesso costruito erano rimasti nel patrimonio dei soci stessi. Pertanto la vendita di alcune unità dell'edificio comune da parte della società, che non ne era proprietaria non era valida.
Il tribunale ha rigettato la domanda ma la sentenza è stata riformata dalla corte d'appello di L'Aquila che ha dichiarato la nullità dell'atto per notar Cavallo Maricola del 24 agosto 1978, con il quale il D'Alonzo, quale amministratore della società collettiva, aveva alienato alcune unità immobiliari alla Tomese e alla Caporale. La corte territoriale ha affermato che i beni oggetto della vendita non erano mai appartenuti alla società venditrice, ma erano in comproprietà dei soci, come singoli. Infatti: a) il terreno era stato acquistato nel 1978 dal D'Alonzo, dal D'Orazio e dal Daniele, uti singuli e non come soci, tanto che all'atto erano intervenute le moglie dei tre acquirenti per dichiarare che l'acquisto costituiva il reinvestimento del ricavato dell'alienazione di beni personali; b) parte del terreno era stato venduta nel 1979 a terzi, sempre dai soci uti singuli e con l'intervento delle mogli; c) nell'atto di trasformazione della società di fatto in società in nome collettivo non v'era menzione del conferimento del residuo terreno, rimasto in comproprietà dei soci, mentre, trattandosi di bene immobile per il trasferimento della proprietà dai singoli soci alla società, sarebbe stato necessario l'atto scritto.
In senso contrario, non valeva richiamare la circostanza che nella situazione patrimoniale allegata all'atto di trasformazione si dichiarava che la società svolgeva attività edilizia ed erano esposti "costi sospesi" per L. 77.600.000, sia perché non risultava che l'attività edilizia di cui si tratta fosse proprio quella di costruzione delle unità immobiliari di cui si tratta, sia perché il capitale sociale risultava interamente versato mediante conferimento della somma di L. 22.000.000 da parte di ciascun socio e l'annotazione a penna della dicitura "terreno + lavori in corso di costruzione" a fianco della somma indicate quale "costi sospesi" compariva nella copia della situazione patrimoniale prodotta dai convenuti, ma non in quella prodotta dall'attore. Comunque, l'enunciazione di costi superiori al capitale sociale non comportava necessariamente che fosse stato conferito il terreno, conferimento per il quale era richiesto l'atto scritto. Quanto, poi, all'atto di "individuazione di immobile" redatto dal D'Alonzo il 28 aprile 1988, successivamente alla notifica dell'atto introduttivo del presente giudizio, nel quale lo stesso ha dichiarato che l'immobile era appartenuto prima alla società di fatto e poi era stato trasferito alla società in nome collettivo, la corte territoriale ha osservato che avendo lo stesso D'Alonzo dichiarato che l'atto aveva lo scopo di consentire la trascrizione dell'acquisto, ciò valeva come esplicita ammissione che l'atto di trasformazione non conteneva un valido trasferimento del bene dai soci alla società.
Nè, infine, poteva essere utile richiamare l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale in caso di acquisto in comune di un'area edificabile con l'intento di costruirvi un edificio e di vendere le singole unità immobiliari si crea tra le parti una società collettiva irregolare alla quale l'immobile deve ritenersi conferito con atto scritto perché, nella specie, da nessun atto scritto traspariva che l'acquisto in comune dell'area di cui si tratta era avvenuto con l'intento di costruirvi un immobile e di vendere i singoli appartamenti.
Avverso la sentenza della corte d'appello di L'Aquila ricorrono per cassazione la Tomese e la Caporale, sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria. Resiste con controricorso il D'Alonzo. Motivi della decisione
1) Con il primo motivo le ricorrenti deducono la violazione degli articoli 112, 132 e 156 c.p.c. e vizio di motivazione, sostenendo che la sentenza sarebbe nulla e, comunque, priva di adeguata motivazione perché, mentre oggetto della domanda era la dichiarazione di nullità della vendita di appartamenti dalla società D'Orazio Vincenzo & C alle ricorrenti stesse, di cui all'atto per notaio Litterio del 15 gennaio 1988, nel dispositivo della sentenza è stata dichiarata la nullità dell'atto del notaio Cavallo Maricola del 24 agosto 1978, che aveva ad oggetto l'acquisto da parte dei tre soci del terreno sul quale erano poi stati costruiti gli appartamenti di cui è causa.
Il motivo è infondato perché l'oggetto dell'atto dichiarato nullo è esattamente individuato nella vendita di unità immobiliari da parte dell'amministratore della società D'Orazio Vincenzo & C., alla Tomese e alla Caporale, anche se, per evidente errore materiale, l'atto stesso è indicato come rogato dal notaio Cavallo Maricola nel 1978. D'altra parte, l'intera motivazione ha ad oggetto la vendita dalla società alle ricorrenti e in nessun punto è stata messa in discussione la validità dell'originario acquisto del terreno nel 1978.
2) Con il secondo motivo si deduce la violazione degli articoli 1350, 2247 e 2253 c.c., nonché la contraddittorietà di motivazione, affermandosi che, ai fini del conferimento dell'immobile alla società di fatto, non era necessario l'atto scritto essendo equipollente l'acquisto fatto da tutti i soci in costanza di rapporto sociale, anche alla luce della circostanza che, trattandosi di area edificabile, il bene era attinente all'esercizio dell'impresa collettiva. La corte territoriale avrebbe anche ignorato che la comunione di godimento, che in ipotesi si era costituita con l'acquisto in comune da parte dei tre soci, poteva trasformarsi in società anche con il semplice comportamento dei soci che, in concreto, avevano utilizzato il bene comune per lo svolgimento dell'attività imprenditoriale.
Sarebbero, poi, tra loro contraddittorie le affermazioni secondo le quali l'acquisto dell'area sarebbe avvenuta da parte dei soci uti singuli e quella secondo cui la costruzione dell'edificio sull'area comune sarebbe avvenuta ad opera dei soci stessi.
Con il terzo motivo, che, essendo strettamente connesso, può essere congiuntamente esaminato, le ricorrenti deducono la violazione degli articoli 2498 e 2297 c.c. e il vizio di omessa motivazione, sostenendo che sarebbe irrilevante la circostanza, valorizzata invece dalla corte territoriale, della omessa menzione dell'immobile nell'atto di trasformazione della società di fatto in società collettiva, perché l'area di cui si tratta apparteneva già al patrimonio della società di fatto, anche se formalmente intestata ai singoli soci, e la trasformazione non aveva comportato una successione tra soggetti diversi. ma solo un mutamento formale che non influiva sulla titolarità del patrimonio sociale. Il motivo non è fondato.
Entrambi i motivi si fondano su un comune presupposto di fatto e cioè che all'atto dell'acquisto dell'area edificabile fosse già esistente la società di fatto tra il D'Alonzo, il D'Orazio e il Daniele e che l'acquisto sia stato fatto dai soci come mezzo al fine di esercitare l'impresa sociale. Ma tale presupposto di fatto non trova riscontro nell'accertamento compiuto dal giudice del merito, che ha, invece, affermato, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, che l'acquisto dell'area edificabile era stato effettuato non uti soci ma uti singuli, ritenendo a tal fine decisivo che all'atto di acquisto fossero intervenute i coniugi, per attestare che gli acquirenti avevano effettuato l'investimento utilizzando il ricavato della vendita di beni personali. La corte territoriale ha, altresì, accertato che anche la vendita di una porzione dell'edificio realizzato sull'area acquistata in comune, nel 1979, era avvenuta, al di fuori dello svolgimento dell'attività imprenditoriale comune, ad opera dei singoli comproprietari, come tali, anche in tal caso con la partecipazione all'atto delle rispettivi mogli, certamente estranee a qualsiasi rapporto sociale. A fronte dell'accertamento di fatto compiuto dalla corte d'appello, avverso il quale, peraltro, non sono state mosse specifiche censure, non può che trovare applicazione il principio generale (art. 2251 c.c.) secondo il quale il conferimento di un immobile in società deve avvenire con il rispetto delle forme richiesta dalla natura del bene conferito, anche se la legge non richiede alcuna forma per la costituzione del rapporto sociale (Cass. 2389/1994, 5862/1987, 293/1981).
Ma se è corretta l'affermazione della corte territoriale secondo la quale, essendo l'acquisto dell'area avvenuto da parte dei soci uti singuli, per il conferimento alla società di fatto era necessario un apposito atto scritto e tale atto non era intervenuto, è superata anche l'argomentazione delle ricorrenti circa la non necessità della menzione dell'immobile nell'atto di trasformazione della società di fatto in società collettiva regolare, perché se l'immobile non apparteneva al patrimonio sociale della società irregolare, non poteva certo rientrare in quello della società collettiva per effetto del semplice atto di trasformazione, privo di riferimento all'immobile stesso.
Giustamente, d'altra parte, la corte territoriale ha evidenziato che lo stesso D'Alonzo era consapevole di tale realtà giuridica se, dopo aver ricevuto l'atto introduttivo del giudizio, si è preoccupato di formare un atto idoneo a trasferire il bene alla società. 3) Con un ultimo motivo le ricorrenti lamentano che la corte territoriale abbia del tutto omesso di pronunciare in ordine alla domanda effettivamente proposta dal D'Alonzo, che non era diretta a ottenere la dichiarazione di nullità dell'intero contratto di vendita ma solo della parte relativa alla propria quota, con conseguente rimessione al primo giudice per il giudizio di divisione. Inoltre, la corte territoriale non avrebbe considerato che dall'atto di cui il D'Alonzo chiedeva la dichiarazione di nullità emergeva che l'area originariamente acquistata era munita di concessione edilizia fin dal 1976 e che, pertanto, l'acquisto era finalizzato al conferimento alla società di fatto.
In ordine a quest'ultimo, profilo, si tratta, evidentemente di censura inammissibile perché fondata su un fatto estraneo all'accertamento compiuto dalla corte territoriale, che, come già rilevato, è incensurabile in questa sede perché correttamente e adeguatamente motivato.
In ordine al primo profilo, invece, deve osservarsi che dalle conclusioni riportate nell'epigrafe della sentenza impugnata risulta che il D'Alonzo non ha limitato la richiesta di dichiarazione di nullità a una sola parte dell'atto rogato dal notaio Litterio il 15 gennaio 1988 ma ha chiesto la dichiarazione di nullità dell'intero atto, sia pure sulla base del duplice argomento che la vendita aveva riguardato anche beni di sua proprietà ed era stata stipulata da soggetto non legittimato. Le ricorrenti, peraltro, non hanno interesse a censurare l'omessa pronuncia sulla richiesta del D'Alonzo di rimessione al primo giudice per la divisione dell'immobile comune. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese che si liquidano in L. 218.200= oltre a L. 5.000.000 per onorari d'avvocato.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 16 aprile 1999.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2000