Crisi d'Impresa e Insolvenza
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24557 - pubb. 26/11/2020
Quando il fideiussore non è legittimato a proporre istanza di fallimento contro il debitore principale
Cassazione civile, sez. I, 11 Novembre 2020, n. 25317. Pres. Cristiano. Est. Ferro.
Fallimento – Ricorso per dichiarazione – Legittimazione – Del fideiussore – Limiti
Il fideiussore che, escusso dal creditore garantito, non abbia provveduto al pagamento del debito, non è legittimato, ai sensi della L. Fall., art. 6, a proporre l’istanza di fallimento contro il debitore principale per il solo fatto di averlo convenuto in giudizio con l’azione di rilievo ex art. 1953 c.c., atteso che tale azione non lo munisce di un titolo astrattamente idoneo ad attribuirgli la qualità di creditore concorsuale in caso di apertura del fallimento; deve escludersi, per altro verso, che il diritto del fideiussore al regresso (o alla surrogazione nella posizione del creditore principale) possa sorgere, ancorché in via condizionale, anteriormente all’adempimento dell’obbligazione di garanzia. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
Massimario Ragionato
Fatti
1. D.F., nella veste di già istante per la dichiarazione di fallimento della (OMISSIS), impugna la sentenza App. Firenze 9.1.2017 n. 1/2017, in R.G. 1567/2016, rep. 8/2017 che, in accoglimento del reclamo della stessa società, ne ha revocato la dichiarazione di fallimento resa il 12.5.2016 dal Tribunale di Livorno;
2. la corte ha ritenuto: a) insussistente la procura alle liti per il deposito dell’istanza di fallimento, in quanto l’atto si limitava al richiamo della procura a margine del ricorso per decreto ingiuntivo, ove veniva conferita "per ogni stato e grado del presente giudizio e successive esecuzioni ed opposizioni", formula non idonea ad estendersi al procedimento prefallimentare, per la rispettiva autonomia; b) non sanata la mancanza di procura ai sensi dell’art. 182 c.p.c., attenendo l’istituto alla procura nulla e non a quella assente; c) incidentalmente accertabile quale infondata la pretesa del creditore, che - prospettando la veste di fideiussore - aveva ottenuto un decreto ingiuntivo contro la Cooperativa "prima ancora di avere provveduto al pagamento del debito" e con prognosi infausta circa il suo fondamento ex art. 1953 c.c., erroneamente riferito ad un dare e non ad un facere, l’unica prestazione esigibile con la citata azione di rilievo da parte del debitore principale; d) giustificata la condanna ulteriore ex art. 96 c.p.c., comma 3, in via equitativa ad una somma determinata, pari nella specie alle spese di soccombenza;
3. il ricorso è su cinque motivi.
Motivi della decisione
1. con il primo motivo il ricorrente avversa la corretta instaurazione del reclamo L. Fall., ex art. 18, interposto dalla cooperativa fallita ma sulla base di un mandato rilasciato dal presidente del suo c.d.a. senza Delibera dell’organo collegiale, che per statuto era investito del potere di amministrare;
2. con il secondo motivo s’invoca la violazione degli artt. 83 e 182 c.p.c., avendo la corte errato ove ha escluso che la procura conferita, in sede monitoria ed anche per i processi esecutivi, non si estendesse altresì al ricorso per fallimento, mentre - in ogni caso - sussistevano gli estremi per la sua doverosa sanatoria, diretta a conservare il rapporto processuale;
3. con il terzo motivo si solleva il vizio della sentenza per violazione della L. Fall., art. 6 e art. 1953 c.c., avendo trascurato la corte che oggetto del giudizio promosso era l’accertamento dell’insolvenza del debitore, piegandosi ad essa strumentalmente la posizione del creditore, nel caso già convenuto in giudizio per il pagamento quale fideiussore e dunque con pieno diritto al rilievo da parte del debitore anche prima di assolvere all’obbligo per cui è richiesto dal creditore;
4. con il quarto motivo si censura la omessa valutazione in cui è incorsa la corte quanto alla decozione della cooperativa e ai requisiti soggettivi di fallibilità, del tutto sussistenti;
5. il quinto motivo contesta, anche come vizio di motivazione, l’applicazione della condanna di cui all’art. 96 c.p.c., comma 3, essendo mancato ogni accertamento di mala fede o colpa grave, anzi esclusi;
6. il primo motivo è inammissibile, non avendo il ricorrente riportato con specificità l’appartenenza della questione del mandato privo di validità già al giudizio sul reclamo e in termini tempestivi, apparendo perciò la questione per un verso nuova e, per altro, nemmeno esaustivamente rappresentata in questa sede, data l’assenza di riferimenti ai poteri del presidente del c.d.a. conferente il mandato difensivo al reclamo L. Fall., ex art. 18 e l’insufficiente menzione dei poteri dell’organo collegiale ai fini dello scrutinio del potere di rappresentanza processuale e conferimento di procure difensive a stare nei giudizi; tanto più che, si osserva, "qualora sia parte del processo una società, la persona fisica che, nella qualità di organo della stessa, ha conferito il mandato al difensore, non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, gravando invece, sulla parte che la contesti l’onere di fornire la relativa prova negativa" (Cass. 13381/2007, 10988/2011);
7. il terzo motivo, da trattare pregiudizialmente per ragioni di priorità logica, è infondato, con soluzione che determina l’assorbimento della disamina delle restanti censure; premette il Collegio che non è in discussione il costante orientamento il quale ravvisa nella qualità di creditore in sé ancorché titolare di un credito non necessariamente certo, liquido ed esigibile ovvero non ancora scaduto o condizionale - la legittimazione all’iniziativa di fallimento, senza smentire il principio - che resta ancora diverso dell’assegnazione al solo giudice di merito dell’apprezzamento di fatto incidentale della sussistenza del credito stesso (Cass. 30827/2018; Cass. s.u. 1521/2013); nella specie, la corte ha sottoposto ad esercizio critico, come da sua prerogativa, la prognosi di fondatezza del credito, richiesto e provvisoriamente accertato in sede monitoria dal ricorrente, ma nella sua sola veste monetaria, ritenendo - ed è giudizio non sindacabile in sede di legittimità - che un serio ostacolo si sarebbe frapposto alla conferma definitiva in via giudiziale di quel credito, cioè per come domandato; vi sarebbe stata cioè una limitazione intrinseca all’azione di rilievo, mal attivata dall’istante ai sensi dell’art. 1953 c.c., richiedendo con essa al debitore principale e appunto il pagamento, prima ancora di esservi stato costretto per iniziativa del creditore (o comunque averlo fatto); la prognosi appunto negativa rispetto all’azione intrapresa dal fideiussore, e con riguardo a quanto domandato nel giudizio (ove nel frattempo il giudice istruttore aveva sospeso l’esecutività del decreto ingiuntivo di pagamento), è stata così alla base di un conseguente giudizio, ancora diverso, di diniego della qualità di creditore; si tratta di motivazione che va in parte integrata, essendo corretto il dispositivo reiettivo del reclamo, per ragioni ulteriori che questa Corte enuncia ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4;
8. sul punto, rileva il Collegio che nessun rilievo possono assumere due circostanze dedotte in ricorso, e cioè il decreto ingiuntivo a sua volta subito dal ricorrente e l’iscrizione d’ipoteca su immobili della società cooperativa cui egli sarebbe addivenuto, trattandosi di eventi che non hanno trovato alcuna rappresentazione nella sentenza impugnata, nè il ricorso offre in modo ordinato una allegazione della loro tempestiva e rituale inserzione nel processo di merito e della trascuratezza con cui eventualmente la corte se ne sarebbe data carico; a tale rilievo si perviene precisando che invero il credito analizzato dal giudice di merito non è quello, di regresso o surroga, derivante da un pagamento avvenuto ad opera del fideiussore, bensì la posizione soggettiva colta nella sua mera titolarità e portata di obbligato di garanzia, ai fini della legittimazione a chiedere il fallimento; risulta infatti dal decreto impugnato che l’iniziativa L. Fall., ex art. 6, è stata spiegata allorché il fideiussore non aveva pagato il terzo garantito, pur essendo stato richiesto di adempiere all’obbligazione di garanzia dalla banca, terza creditrice della Cooperativa edilizia, il debitore principale;
9. orbene, sulla questione va considerato che un profilo attiene alla prognosi (ritenuta infausta) circa l’effettivo e definitivo accertamento della pretesa monetaria (e poi di condanna), quale in giudizio monitorio domandata dal fideiussore, un altro ed ulteriore profilo involge la natura comunque di creditore di tale soggetto, che va scrutinata in relazione al diverso parametro della sua deducibilità quale titolo per l’ingresso tra i creditori concorsuali ai sensi della L. Fall., art. 52; l’esito dell’esame della posizione del fideiussore escusso e che non ha pagato, come premesso, appare nella vicenda coincidente, ma per ragioni non pienamente sovrapponibili;
10. se è vero infatti che, ai fini dell’istanza di fallimento, non è strettamente necessario che il creditore vanti una pretesa monetaria, ben potendo la posizione soggettiva estrinsecarsi altresì nella consegna di cose, dunque in un dare a contenuto plurale (proprio della più ampia nozione di debito), è decisivo non solo dibattere sulla stabilità o meno di un provvedimento giudiziale, come nel caso, che erroneamente gliel’assegni, ma procedere a verifica di quale sia e se vi sia la natura di creditore del soggetto agente idonea a manifestarsi in modo utile nel concorso; da questo punto di vista, non è senza effetti il principio, su cui si è attestata da tempo la giurisprudenza di legittimità, per cui "in tema di concorso di creditori, L. Fall., ex art. 61, comma 2, il fideiussore non ha un credito di regresso prima del pagamento e dunque non può essere ammesso con riserva per un credito condizionale; potrà invece essere ammesso al passivo solo dopo il pagamento, in surrogazione del creditore, considerata la natura concorsuale del credito di regresso" (Cass. 19609/2017; Cass. 22308/2019 n. m.; Cass. 11521/2020 n. m.); il principio - espresso anche per l’amministrazione straordinaria - chiarisce che "l"insinuazione al passivo del credito del coobbligato può aver luogo solo se e nella misura in cui sia già avvenuto il pagamento, che configura il fatto costitutivo del diritto al regresso o della modifica in sede di surrogazione o della sua assunzione, nel rapporto principale, della veste di unico creditore, in quanto l’ammissione al passivo dei crediti con riserva esige una situazione soggettiva non dispiegabile con pienezza soltanto per difetto di elementi accidentali esterni" (Cass. 613/2013);
11. si tratta di una posizione che questa Corte ha armonizzato anche con riguardo al concordato preventivo, ove la partecipazione del fideiussore al procedimento è meglio ed espressamente indicata dallo stesso legislatore, con l’attribuzione del mero diritto d’intervento all’adunanza, ai sensi della L. Fall., art. 174, comma 4, ma nell’identico presupposto, come specificato da Cass. 22382/2019, secondo cui "il fideiussore del proponente non ha diritto di voto, atteso che la L. Fall., art. 174, comma 4, consente soltanto il suo intervento nell’adunanza e che prima del pagamento egli non ha un credito di regresso nei confronti del debitore, potendo esercitare verso di lui solo l’azione di rilievo, ex art. 1953 c.c., che mira ad ottenere un "facere" e non un "dare"";
12. per contro, ed allora, il limite dell’azione di rilievo di cui all’art. 1953 c.c., resta governato da un possibile petitum di solo facere, e non di dare, dovendosi escludere che il fideiussore, prima di avere pagato e così onorando la garanzia, possa conseguire con quell’iniziativa e a propria volta il pagamento da parte del debitore garantito; si può così ripetere - con Cass. 3538/1984 - che la norma "consente al fideiussore, prima di aver pagato, ed a tutela delle proprie ragioni di regresso suscettibili di essere pregiudicate dallo stato d’insolvenza del debitore principale, di agire contro quest’ultimo, affinché lo liberi dall’impegno fideiussorio, mediante pagamento diretto del creditore od ottenendo rinuncia del creditore alla fideiussione (cosiddetto rilievo per liberazione), ovvero affinché presti garanzia idonea ad assicurare le suddette ragioni (cosiddetto rilievo per cauzione)"; il principio è stato ripreso in Cass. 14583/2010 e precisato da Cass. 11144/2012 ove si è detto che "l’oggetto dell’azione di rilievo, volta a tutelare il fideiussore dal rischio di dover pagare senza potersi poi rivalere nei confronti del debitore principale, ne esclude... l’assimilabilità a quella di regresso, rispetto al cui esercizio essa assume anzi una funzione cautelare"; il descritto contenuto dell’azione è stato correttamente delibato dalla corte - e con sindacato di merito qui non sottoponibile ad ulteriore controllo - riconducendo ad un altro profilo di tutela la protezione possibile del fideiussore, formulando conseguentemente dall’obiettiva incertezza di esito della domanda, invece rivolta ad un dare, una prognosi negativa circa la formazione di un corrispondente titolo attributivo;
13. la condizione legittimante l’istanza di fallimento di cui alla L. Fall., art. 6, prescinde dunque dal contenuto della pretesa di credito e dal tipo di azione in altra sede giudiziale intrapresa a sua tutela, operando anche quando essa non integri una prestazione monetaria e purché tuttavia l’oggetto del credito sia tale da potersi convertire, all’instaurazione del concorso, in una posizione soggettiva astrattamente ammissibile al passivo, quale non sarebbe il facere cui solo può pervenire l’iniziativa spiegata ex art. 1953 c.c. e sempre che, come non avvenuto nella specie, una pronuncia condannatoria ad un dare non sia comunque - per autonome ragioni - divenuta definitiva; ne consegue che assume decisività, ai fini dello scrutinio affidato al giudice del procedimento di cui alla L. Fall., art. 15, prognosi di insuccesso con cui, in un separato giudizio, un’eventuale pretesa sia stata erroneamente avanzata, così che l’ipotizzato non accoglimento della stessa spiega effetti sull’accertamento della qualità di creditore di chi agisce, ove essa sia contestata;
14. va conclusivamente affermato il seguente principio: il fideiussore che, escusso dal creditore garantito, non abbia provveduto al pagamento del debito, non è legittimato, ai sensi della L. Fall., art. 6, a proporre l’istanza di fallimento contro il debitore principale per il solo fatto di averlo convenuto in giudizio con l’azione di rilievo ex art. 1953 c.c., atteso che tale azione non lo munisce di un titolo astrattamente idoneo ad attribuirgli la qualità di creditore concorsuale in caso di apertura del fallimento; deve escludersi, per altro verso, che il diritto del fideiussore al regresso (o alla surrogazione nella posizione del creditore principale) possa sorgere, ancorché in via condizionale, anteriormente all’adempimento dell’obbligazione di garanzia;
il ricorso va pertanto rigettato, avendo riguardo all’inammissibilità del primo motivo, all’infondatezza del terzo, con assorbimento dei restanti; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Dep. 11 novembre 2020.