Diritto Civile
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24433 - pubb. 29/10/2020
Interpretazione della clausola contrattuale costitutiva del diritto reale di servitù di passaggio
Cassazione civile, sez. II, 09 Ottobre 2020, n. 21858. Pres. Di Virgilio. Est. Oliva.
Servitù - Servitù di passaggio - Interpretazione della clausola contrattuale costitutiva - Volontà delle parti e volontà del notaio - Servitù a carico di bene immobile in proprietà comune e a favore di altro immobile in proprietà esclusiva - Oggetto dell’indagine
Nell’interpretazione della clausola contrattuale costitutiva del diritto reale di servitù di passaggio occorre indagare esclusivamente la volontà delle parti, restando irrilevanti quella del notaio rogante o di eventuali altri professionisti o ausiliari coinvolti a vario titolo nella redazione dell’atto. Non è quindi possibile far derivare alcuna conseguenza dal grado di consapevolezza che il notaio, o i predetti diversi professionisti e ausiliari, possano aver avuto di una specifica clausola o espressione letterale in concreto utilizzata nell’atto costitutivo del diritto reale.
Ai fini della configurabilità di un diritto di servitù a carico di un bene immobile in proprietà comune e a favore di altro bene immobile in proprietà esclusiva di uno dei comproprietari del primo, è necessario svolgere una indagine in concreto al fine di verificare se l’esercizio del diritto sul fondo servente da parte del contitolare dello stesso rientri, o meno, nei limiti delle prerogative del comproprietario; solo quando tale limite sia superato, infatti, è possibile configurare un diritto in re aliena, ai cui fini l’intersoggettività del rapporto è assicurata dalla presenza di contitolari del fondo servente diversi da quello del fondo dominante. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
Fatto
Con atto di citazione notificato il 7.12.2004 A.B. evocava in giudizio C.D. innanzi il Tribunale di Savona, esponendo di aver acquistato con atto del 2.4.1992 da B.L. , a sua volta avente causa del convenuto C.D. , un appartamento con annesso diritto di comproprietà su un’area scoperta, e di essere transitato sino al 2000, in base al proprio titolo di acquisto, attraverso un cancello che era stato poi chiuso dal convenuto. Invocava quindi l’accertamento, in proprio favore, del diritto di servitù di passaggio sul terreno del convenuto, lungo il percorso utilizzato sino alla predetta interclusione.
Si costituiva in giudizio C.D. resistendo alla domanda e invocandone il rigetto. In particolare, il convenuto eccepiva che in base all’atto del 30.4.1980, con il quale egli aveva venduto a B.L. la proprietà da questa poi ceduta al P. nel 1992, l’acquirente aveva ricevuto il diritto di passaggio attraverso un percorso diverso da quello indicato dall’attore in atto di citazione.
Con sentenza n. 875/2011 il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo che la servitù si fosse costituita in base all’atto del 1980 e secondo il tracciato ivi indicato, differente da quello rivendicato dal P. .
Avverso detta decisione interponeva appello il P. . Si costituiva in seconde cure il D. per resistere il gravame; a seguito del decesso di parte appellata, il giudizio proseguiva nei confronti dell’erede D.K. .
Con la sentenza impugnata, n. 906/2016, la Corte di Appello di Genova rigettava il gravame.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione A.B. affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso D.K. .
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
Motivi
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1364, 1367, 1059 c.c., artt. 112, 113 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato i titoli di provenienza allegati al fascicolo del giudizio di merito, affermando -in violazione del principio di cui all’art. 1059 c.c. - l’esistenza di un diritto di servitù, a favore del ricorrente, su un terreno del quale lo stesso è comproprietario. Inoltre la Corte ligure avrebbe ulteriormente errato nel dar rilievo, ai fini della decisione, ad una possibile futura interclusione del fondo, che in effetti non risulterebbe attuale.
Con il secondo motivo, suscettibile di trattazione unitaria con il primo, il ricorrente denuncia l’omesso esame di fatti decisivi ed omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perché la Corte territoriale, nell’ambito del processo di interpretazione dei titoli di provenienza allegati agli atti del giudizio di merito, avrebbe trascurato di considerare il tenore letterale delle espressioni usate dalle parti nella clausola dell’atto del 1980 costitutiva del diritto reale in discussione, che non potevano valere ad escludere la volontà del dante causa D. di costituire detto diritto sui terreni di sua proprietà esclusiva, e non invece su quelli oggetto della cessione a favore della B. , dante causa dell’odierno ricorrente.
Le due censure sono fondate.
La motivazione con la quale la sentenza impugnata ha respinto l’appello si risolve invero nella seguente espressione: "L’appello è infondato. Le espressioni "terzi" e "aventi causa" hanno significati del tutto differenti ed è da ritenersi che quella indicante "terzi" sia stata utilizzata consapevolmente da un tecnico del diritto quale il notaio rogante, non essendovi alcuna necessità di fare riferimento a terzi per indicare la proprietà dei terreni del D. . La pattuizione, pur comportando il passaggio anche su proprietà di terzi, non era in concreto inutile, dato che di fatto si tratta di un percorso che il P. utilizza per raggiungere la strada passando in parte dalla proprietà D. e parte dal giardino di cui è comproprietario, mentre nel caso di una futura interclusione del tratto adibito ad orto, sussisterebbero gli estremi per ottenere il passaggio coattivo" (cfr. punto 5, pag. 5, della sentenza impugnata).
Tale passaggio logico è oggettivamente perplesso, in quanto, sotto un primo profilo, a nulla rileva - come giustamente sostiene parte ricorrente - la futura interclusione di tutto o parte della proprietà P. , posto che la valutazione sull’esistenza o meno del diritto reale di servitù va condotta con esclusivo riguardo all’attualità.
Inoltre, non è appagante il richiamo al fatto che la clausola sia stata redatta da un tecnico del diritto qual è il notaio, poiché l’interpretazione del contenuto del contratto va condotta con riferimento alla volontà delle parti stipulanti, non del notaio; di talché la consapevolezza di quest’ultimo sul significato tecnico delle espressioni utilizzate non soltanto non è rilevante, ma appare addirittura fuorviante, ai fini dell’indagine sull’effettiva volontà dei paciscenti.
Infine, non appare rilevante, ai fini della decisione sulla sussistenza o meno del diritto di servitù rivendicato dal P. , la circostanza che questi transiti anche su terreno di cui è comproprietario, posto che il transito può costituire uno dei modi con cui si esercita il diritto dominicale sul bene. Ai fini di ipotizzare la costituzione di un diritto reale di servitù a favore del fondo di proprietà esclusiva ed a carico di quello in proprietà comune, infatti, occorre la manifestazione, in concreto, di una signoria di fatto tale da alterare la naturale destinazione del secondo, per asservirlo, in tutto o in parte, a vantaggio del primo. Si è infatti affermato, in materia di condominio, che "... ove ciascun condomino utilizzi le cose, gli impianti ed i servizi comuni nel rispetto della loro destinazione, egli ne gode in virtù e per effetto del proprio diritto di condominio, ma, se delle cose stesse gode secondo una destinazione diversa, è nella facoltà degli altri partecipanti alla comunione impedire tale forma abusiva di godimento, ovvero consentirla espressamente, con la ulteriore conseguenza che, riconosciuto al condomino, con carattere definitivo, il diritto di godere delle cose degli impianti e dei servizi comuni in modo diverso da quello consentito dalla loro specifica destinazione, e qualora tale godimento si risolva in un peso imposto su di esse a vantaggio di un piano o di una porzione di piano di proprietà esclusiva, tale diritto deve qualificarsi come vera e propria servitù prediale costituita su di una cosa comune a vantaggio di un piano o di una porzione di piano dell’edificio" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3749 del 15/04/1999, Rv. 531103). Se quindi da un lato, e in linea generale, non può applicarsi il principio per cui nemini res sua servit al rapporto tra bene in proprietà comune e bene in proprietà esclusiva, poiché l’intersoggettività del rapporto è data dal concorso degli altri titolari del fondo servente (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6994 del 17/07/1998 (Rv. 517286; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13106 del 03/10/2000, Rv. 540707 e Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21020 del 06/08/2019, Rv. 655193; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26807 del 21/10/2019, Rv. 655658), occorre sempre, dall’altro lato, una indagine in concreto al fine di verificare se effettivamente l’utilizzazione del bene comune che venga fatta dal comproprietario di esso rientri, o meno, nei limiti del libero esercizio del diritto di comproprietà, potendosi ritenere costituito solo nella seconda ipotesi un diritto di servitù a carico del fondo in comune e a favore di quello in proprietà esclusiva.
È quindi errato affermare in termini assoluti, come sembrerebbe fare implicitamente il giudice di merito, che nell’ambito della nozione di "terzi" indicata nella clausola costitutiva del diritto di servitù siano compresi anche i comproprietari del bene in proprietà comune diversi dal P. , titolare del diritto di servitù, in assenza di una preventiva indagine circa il contenuto del diritto esercitato da quest’ultimo e la sua ricomprensibilità, o meno, nell’ambito delle prerogative del comproprietario.
Nella specie si configura quindi una motivazione oggettivamente incoerente e affetta da insanabili contrasti logici, che come tale può costituire oggetto del sindacato di questa Corte, anche nei limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo in vigore a seguito della novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Ne consegue l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso con assorbimento del terzo, relativo al regime delle spese di lite, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Corte di Appello di Genova, in differente composizione, la quale avrà cura di adeguarsi ai seguenti principi di diritto:
1) "Nell’interpretazione della clausola contrattuale costitutiva del diritto reale di servitù di passaggio occorre indagare esclusivamente la volontà delle parti, restando irrilevanti quella del notaio rogante o di eventuali altri professionisti o ausiliari coinvolti a vario titolo nella redazione dell’atto. Non è quindi possibile far derivare alcuna conseguenza dal grado di consapevolezza che il notaio, o i predetti diversi professionisti e ausiliari, possano aver avuto di una specifica clausola o espressione letterale in concreto utilizzata nell’atto costitutivo del diritto reale.
2) Ai fini della configurabilità di un diritto di servitù a carico di un bene immobile in proprietà comune e a favore di altro bene immobile in proprietà esclusiva di uno dei comproprietari del primo, è necessario svolgere una indagine in concreto al fine di verificare se l’esercizio del diritto sul fondo servente da parte del contitolare dello stesso rientri, o meno, nei limiti delle prerogative del comproprietario; solo quando tale limite sia superato, infatti, è possibile configurare un diritto in re aliena, ai cui fini l’intersoggettività del rapporto è assicurata dalla presenza di contitolari del fondo servente diversi da quello del fondo dominante".
P.Q.M.
la Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Genova in diversa composizione, la quale si atterrà ai principi di diritto enunciati in motivazione.
Dep. 9 ottobre 2020.