Diritto della Famiglia e dei Minori
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22727 - pubb. 21/11/2019
Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità
Cassazione civile, sez. I, 13 Marzo 2019, n. 7197. Pres. Maria Cristina Giancola. Est. Laura Scalia.
Accertamento della paternità - Prova critica - Prova di rapporti sessuali tra la madre ed il presunto padre - Rilevanza indiziaria - Sussiste - Attitudine a costituire piena prova - Insussistenza - Fattispecie
In tema di dichiarazione giudiziale della paternità, la prova dell'esistenza di rapporti sessuali tra il presunto padre e la madre, nel periodo di concepimento del bambino, assume un elevato rilievo indiziario ma, ai sensi del disposto di cui all'art. 269, comma 4, c.c., non è sufficiente a provare la paternità, occorrendo anche l'accertamento almeno di un ulteriore dato indiziario, che sia stato correttamente declinato dal giudice di merito nel suo nucleo essenziale, individuato senza decontestualizzazioni, per una complessiva ed univoca lettura. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che l'ulteriore dato indiziario, oltre l'esistenza dei rapporti sessuali non protetti tra le parti, valorizzato dalla Corte territoriale, e consistente nel versamento di somme cospicue dal presunto padre alla madre, non fosse stato adeguatamente valutato dal giudice di secondo grado, il quale non aveva tenuto conto della giustificazione dei versamenti fornita, e neppure aveva consentito l'espletamento delle prove ematologiche, sebbene il presunto padre si fosse assoggettato ai necessari prelievi, a causa dell'omesso versamento dell'anticipo dell'onorario al consulente ad opera dalle parti, quantunque l'ordinamento attribuisca all'ausiliario gli strumenti per il recupero di quanto a lui dovuto). (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Presidente -
Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -
Dott. MELONI Marina - Consigliere -
Dott. SCALIA Laura - rel. Consigliere -
Dott. CAMPESE Eduardo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5787/2018 proposto da:
C.I.G., elettivamente domiciliato in Roma Via * presso lo studio dell'avvocato F. P. e rappresentato e difeso dall'avvocato R. I., giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
N.L.L., nella qualità di genitore del minore N.A., domiciliata in Roma, *, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall'avvocato G. L., giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 151/2017 della Corte di appello di Venezia del 01/08/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/01/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia;
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Venezia, Sezione per i Minorenni, respingeva la domanda di accertamento giudiziale della paternità promossa da N.L.L., in qualità di genitrice esercente la responsabilità genitoriale sul figlio, N.A., nei confronti di C.I.G..
I giudici di primo grado ritenevano l'impossibilità di espletamento della c.t.u. ematologica nonostante l'acquisizione dei relativi prelievi, e tanto per il mancato pagamento da entrambe le parti, impossidenti, dell'acconto posto a loro carico, in solido, e l'attrice decaduta dalla prova testimoniale per omessa citazione del teste, inadempiente al suo onere probatorio, nell'apprezzata, nel resto, insufficienza delle ammissioni di C. che aveva riconosciuto di avere avuto rapporti sessuali con la prima e di avere alla stessa elargito somme di denaro per tacitarla ed occultare alla moglie l'infedeltà.
Il Tribunale concludeva nel senso di non poter obbligare il nominato consulente ad eseguire l'incarico senza essere remunerato, tanto conseguendo all'ammissione dell'attrice al beneficio del gratuito patrocinio, non destinato a coprire le anticipazioni disposte dal giudice in favore dell'ausiliare.
Avverso l'indicata sentenza proponeva appello N.L.L. che assumeva l'incostituzionalità della norma sul patrocinio a spese dello Stato nella parte in cui non ricomprendeva l'anticipazione delle spese di c.t.u. e contestava l'illegittimità della declaratoria di decadenza dalla prova.
L'appellato eccepiva ai sensi dell'art. 342 c.p.c., l'inammissibilità dell'appello, per il dedotto disallineamento delle premesse con le conclusioni, relative a distinta fattispecie relativa ad una vicenda che avrebbe impegnato un istituto di credito, e contestava che controparte potesse fruire di nuovo del gratuito patrocinio in difetto di nuova ammissione.
La Corte di appello di Venezia, Sezione per i Minorenni, dopo aver di nuovo disposto l'espletamento di una c.t.u. ematologica sul medesimo quesito posto in primo grado, non provvedendo nessuna delle parti al pagamento del fondo spese, riservava la decisione e con sentenza del 1 agosto 2017, in accoglimento dell'appello proposto ed in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava, ai sensi dell'art. 269 c.c., N.A. figlio di C.I.G.. 2. Ricorre in cassazione avverso l'indicata sentenza di appello C.I.G. con tre motivi.
Resiste con controricorso N.L.L.. Il ricorrente ha provveduto a depositare memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 1.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente fa valere violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione all'onere della prova ed al suo atteggiarsi nei contenuti anche presuntivi all'interno dell'azione giudiziale di paternità (art. 2697 c.c., in relazione all'art. 269 c.c., comma 4, ed all'art. 2729 c.c.).
La Corte di appello nonostante l'art. 269 c.c., al comma 4, espressamente preveda che la sola esistenza di rapporti tra la madre ed il preteso padre all'epoca del concepimento non possa costituire prova della paternità, con l'individuare quale principio fondante dell'istituto del riconoscimento giudiziale della paternità l'interesse del minore, aveva obliterato l'onere probatorio destinato a valere in materia ed i caratteri di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni.
I giudici di secondo grado, nel valorizzare insieme ai rapporti sessuali non protetti intercorsi tra l'uomo e la donna anche le somme di denaro, apprezzate come cospicue, corrisposte nel tempo dal primo alla seconda, non avrebbero considerato che l'appellato aveva fornito della condotta assunta specifica motivazione spiegando come si trattasse inizialmente del pagamento richiesto dalla donna al termine degli incontri e successivamente, dopo essersi ella avveduta della gravidanza, di una sua pretesa di denaro avanzata per il silenzio che avrebbe serbato con la moglie dell'appellato circa l'esistenza dei rapporti tra le parti.
Il Tribunale nel fare governo degli indicati elementi aveva invece escluso che i rapporti sessuali e la dazione di somme di denaro fossero sufficienti a sostenere la paternità di C..
2.2. Con il secondo motivo si denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c., comma 2, in tema di valutazione delle prove.
Nella condotta processuale del ricorrente non sarebbe stato individuabile un rifiuto ingiustificato a sottoporsi all'esame ematologico esso sì inteso, ai sensi dell'art. 116 c.p.c., comma 2, nella consolidata giurisprudenza di legittimità, come ammissione di paternità.
La Corte di appello aveva pertanto omesso di valorizzare un elemento, e cioè il comportamento collaborativo del ricorrente che si era anche sottoposto ai prelievi ematici e non si era sottratto agli accertamenti oggetto di c.t.u., che ove correttamente inteso l'avrebbe determinata a conclusioni diametralmente opposte.
2.3. Con il terzo motivo si deduce l'illogicità, insufficienza e contraddittorietà della motivazione e quindi la sua non effettività in violazione dell'art. 132 c.p.c., là dove la Corte di merito aveva ritenuto l'attrice avere pienamente assolto l'onere di prova sulla base di presunzioni non rispondenti ai caratteri di legge.
3. Resta preliminare alla valutazione dei proposti motivi il vaglio della declaratoria di inammissibilità per tardività del ricorso sollecitata nel controricorso.
Il ricorso proposto da C.I.G. sarebbe tardivo perchè intervenuto al maturato decorso del termine breve di sessanta giorni dalla notifica della sentenza, ai sensi dell'art. 325 c.p.c., comma 2.
Secondo deduzione difensiva, l'indicato titolo sarebbe stato notificato, infatti, insieme ad atto di precetto, a persona terza, delegata dal ricorrente, in data 16 dicembre 2017, con conseguente tardività della notifica del ricorso per cassazione intervenuta solo il 26 febbraio 2018.
L'eventuale non conformità delle osservate modalità di cura dell'incombente rispetto a quanto stabilito dall'art. 160 c.p.c., sarebbe stata vinta in ragione dell'intervenuto raggiungimento dello scopo, avendo il ricorrente appreso comunque dell'atto e dei suoi contenuti, all'indicata data.
La deduzione è infondata.
La notifica del titolo alla parte personalmente, o a persona terza dalla prima delegata, in forma esecutiva ed in violazione degli artt. 285 e 170 c.p.c. è inidonea a produrre la decorrenza del termine breve di cui all'art. 325 c.p.c..
L'art. 326 c.p.c., collega la decorrenza del termine breve di impugnazione di una sentenza non alla conoscenza, sia pure legale., di essa, ma al compimento di una formale attività acceleratoria e sollecitatoria, data dalla notifica nelle forme previste dagli artt. 285 e 170 c.p.c..
Pertanto la notifica di una sentenza al domicilio reale della parte e quindi alla stessa personalmente anzichè presso il suo procuratore costituito, pur non essendo nulla, ma anzi pienamente valida ad altri fini, è inidonea alla decorrenza del termine per impugnare, anche per colui che l'ha notificata (Cass. 01/02/2000 n. 1069), nella mancanza di qualsiasi indicazione atta a far ritenere che la parte notificante perseguisse l'obiettivo, ulteriore all'impulso della procedura esecutiva, di portare la sentenza a conoscenza della controparte per il tramite del suo rappresentante processuale, professionalmente qualificato a vagliare l'opportunità dell'impugnazione (Cass. 10/07/2007 n. 15389).
L'inidoneità della notifica della sentenza di appello alla parte personalmente ed in violazione degli artt. 170 e 285 c.p.c., rende non applicabile la regola sul raggiungimento dello scopo di cui all'art. 156 c.c., che resta, nell'indicata premessa, non integrata (Cass. 27/01/2001 n. 1152; Cass. 27/04/2010 n. 10026).
Per la scrutinata fattispecie resta pertanto fermo il principio per il quale "La notificazione al domicilio reale del soccombente anzichè al procuratore costituito realizza soltanto una diversa forma di notificazione rispetto a quella prevista dagli artt. 285 e 170 c.p.c., che non è idonea a far decorrere il termine di impugnazione in quanto da un canto non rappresentativa della volontà impugnatoria della parte notificante e dall'altra non integrante il necessario veicolo di conoscenza al soggetto professionalmente qualificato, il procuratore costituito, chiamato a determinarsi alla impugnazione".
4. Nel resto.
4.1. La Corte di appello di Venezia ha accolto la domanda di accertamento della paternità giudiziale di C.I.G. valorizzando, per quanto in questa sede rileva in ragione dei contenuti dei motivi di ricorso, l'esistenza dei rapporti tra madre e presunto padre all'epoca del concepimento del minore N.A. e la corresponsione di cospicue somme di denaro dal primo alla seconda quando costei era rimasta incinta.
La Corte di merito ha altresì apprezzato quale mera indimostrata deduzione difensiva, l'intento addotto dall'uomo che attraverso la dazione di quelle somme egli avrebbe tacitato N.L.L. dal rivelare alla moglie l'esistenza della relazione extraconiugale.
Nella critica difensiva portata nel ricorso proposto dinanzi a questa Corte si censura il formulato giudizio in quanto esito di una composizione del quadro istruttorio che non rispettoso dell'osservanza della generale regola sull'onere della prova avrebbe sottratto la pretesa dell'attrice all'applicazione di quest'ultima e ancora, e più puntualmente, a quella, da valere nelle azioni di paternità giudiziale ex art. 269 c.c., che, pur legittimando chi agisca in accertamento a provare con ogni mezzo, stabilisce che "la sola esistenza di rapporti tra la madre ed il preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità" (art. 269, comma 4, cit.).
Nella struttura motivatoria dell'impugnata sentenza non si sarebbe tenuto conto, poi, quale fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, capace di determinare i giudici territoriali a contrapposto epilogo decisorio, dell'evidenza che il ricorrente, non sottraendosi alla necessaria ispezione, si sarebbe sottoposto a prelievo ematico finalizzato all'indagine sul DNA demandata al nominato c.t.u., le cui operazioni si erano interrotte per la diversa vicenda del mancato pagamento delle somme stabilite dai giudici, a titolo di acconto.
4.2. Le censure sono fondate nei termini e per le ragioni di seguito indicate ed all'accoglimento delle stesse segue la cassazione dell'impugnata sentenza.
5. La Corte veneziana ha accertato la paternità dell'appellato nei termini di cui all'art. 269 c.c., muovendo dall'esistenza di rapporti sessuali tra le parti in un periodo in cui era ricompreso quello del concepimento del minore A..
La circostanza che quei rapporti si sarebbero inseriti in una relazione sentimentale tra le parti, come pure ritenuto nell'impugnata sentenza, non vale a diversamente connotare l'indicato dato che resta quindi definito, nella sua oggettiva accezione, negli stretti termini di cui dell'art. 269 cit., comma 4, là dove del primo si esclude la forza di prova piena.
La capacità del medesimo dato di essere declinato quale mero argomento di prova lascia aperto al giudizio di questa Corte il tema della prova indiziaria e dell'iter logico di sua formazione (art. 2729 c.c.).
Per siffatto processo logico-deduttivo all'iniziale argomento integrato dai rapporti sessuali tra madre e presunto padre deve accompagnarsi almeno un ulteriore dato, il cui rilievo indiziario è commisurato ai posseduti caratteri di gravità e precisione nonchè di concordanza con il precedente.
Nell'ipotesi in cui ad uno degli argomenti di prova da porsi in concorde lettura indiziaria con altro, ai sensi dell'art. 2729 c.c., per dar forza a prova critica, possa riconoscersi, per come dedotto in giudizio, un esito equivoco, al giudice del merito non è dato superare siffatta evidenza offrendo dei contenuti del primo un parcellizzato rilievo.
5.1. La Corte di appello nel dare composizione alla cornice indiziaria ha evidenziato insieme all'esistenza dei rapporti tra le parti la circostanza che il convenuto, preteso padre, avesse ammesso di avere versato per anni cospicue somme di denaro astraendo siffatta affermazione e non valorizzando che C. aveva fornito, in quel medesimo contesto, una specifica giustificazione riconducendo siffatta dazione al pagamento del silenzio della N. sulla relazione.
La deduzione, qualificata dalla Corte territoriale come ammissiva e come tale trattata quale argomento di prova, è stata deprivata di uno dei suoi contenuti ed all'esito piegata ad un rilievo istruttorio altrimenti non concludente nell'osservato argomentare logico.
La giustificazione fornita da C. di aver dato quelle somme per tacitare la N., obliterata nell'indicato contesto, è poi stata assoggettata all'onere della prova e relegata in un ambito di irrilevanza istruttoria in quanto affermazione di fatti favorevoli al dichiarante non sorretti dall'evidenza probatoria.
Il dato critico, unico a coniugarsi a quello sui rapporti tra le parti, perde, nell'operata decontestualizzazione, la voluta forza probatoria e come tale non sostiene l'esito di gravità, precisione e concordanza, destinato a sostenere, nell'osservato argomentare, il giudizio di ritenuta paternità.
5.2. Nel giudizio sulla paternità di cui all'art. 269 c.p.c., ove l'accertamento della filiazione resti affidato alla prova critica, l'argomento dell'esistenza di rapporti sessuali tra madre e presunto padre, destinato a non integrare per espressa previsione di norma prova piena dell'indicato status, può ben concorrere a definire il quadro indiziario là dove risulti integrato e riscontrato anche da un solo altro omologo argomento purchè correttamente declinato dal giudice di merito, nel suo nucleo essenziale, individuato senza decontestualizzazioni, per una complessiva ed univoca lettura.
5.3. La violazione dell'onere probatorio definito nella libertà di forme di cui all'art. 269 c.p.c., comma 2 - che legittima chi agisca per l'accertamento della filiazione ad avere accesso ad ogni mezzo di prova - resterà esclusa là dove degli indizi il giudice del merito provvederà a dare corretta composizione ben potendo integrare, secondo un fisiologico percorso, il dato comportamentale delle parti con gli esiti tecnico-scientifici della prova ematologico-genetica.
Nè, rispetto all'indicato iter di prova, il mancato pagamento ad opera delle parti al nominato consulente tecnico di ufficio di preliminari acconti, anche ove di consistenza tale da tradursi in una anticipata corresponsione dei compensi, potrà valere a precludere alle prime l'accesso all'accertamento tecnico-scientifico, dovendo in ogni caso restare distinti i piani della prova e quelli dell'eventuale inadempimento delle parti al pagamento dei compensi all'ausiliare del giudice, vicende, queste ultime, rispetto alle quali l'ordinamento appresta all'ausiliare del giudice gli ordinari strumenti di recupero in via esecutiva o, ancora, di rimborso a carico dello Stato, ove la parte gravata del pagamento sia ammessa al cd. gratuito patrocinio ex T.U. Spese di Giustizia.
6. Ogni altro motivo assorbito - certo essendo che la "decisività" della condotta assunta dal preteso genitore in sede di espletamento delle operazioni peritali, intese previo prelievo ematico delle parti al raffronto dei patrimoni genetici di genitori e figli, è destinata a valere ex art. 116 c.p.c., comma 2, rispetto a quella "negativa" di sottrazione della parte all'esame e non a quella "positiva" di sottoposizione al prelievo - la sentenza impugnata va annullata, avendo i giudici di appello violato le norme sulla formazione della prova logica decontestualizzando e parcellizzando il dato di riscontro dei rapporti sessuali tra madre e presunto padre all'epoca del concepimento del minore.
Il giudizio va rimesso dinnanzi alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, perchè in un nuovo quadro istruttorio, alla cui integrazione anche per prova tecnico-scientifica non urtano le distinte vicende delle sorti dei pagamenti dovuti dalle parti al nominato ausiliare del giudice, provveda agli accertamenti richiesti, attenendosi al sopra indicato principio e liquidando altresì le spese per questa fase del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio.
Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2019