Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22444 - pubb. 03/10/2019

Qualora terzi arrechino danno ad una società di capitali, il socio è legittimato a domandare il ristoro del pregiudizio subito

Cassazione civile, sez. III, 20 Giugno 2019, n. 16581. Pres. Travaglino. Est. Scarano.


Danno arrecato da terzi alla società e ai soci - Diritto al risarcimento in capo al singolo socio - Sussistenza - Presupposti - Fattispecie



Qualora terzi arrechino danno ad una società di capitali, il socio è legittimato a domandare il ristoro del pregiudizio da lui subito ove non risarcibile alla società perché riguardante la sfera personale (diritto all'onore od alla reputazione) o la perdita di opportunità personali, economiche e lavorative dello stesso socio o la riduzione del cd. merito creditizio di quest'ultimo. (Nella specie, l'attore aveva dedotto che il fallimento di due società, delle quali egli era socio accomandatario e garante, era da imputare all'avvenuta escussione di una fideiussione dovuta all'illegittima revoca di un finanziamento pubblico e all'inadempimento di alcune obbligazioni). (massima ufficiale)


 


Svolgimento del processo

Con sentenza del 2/11/2015 la Corte d'Appello di Roma ha respinto -per quanto ancora d'interesse in questa sede- il gravame interposto dal sig. M.G. in relazione alla pronunzia Trib. Roma 15/4/2013, di rigetto della domanda proposta nei confronti del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'economia e delle finanze di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza dell'escussione da parte della società Banca Commerciale Italiana s.p.a. della fideiussione prestata in favore del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato a garanzia dei contributi da quest'ultimo corrisposti ai sensi del D.L. n. 75 del 1981 (conv. con modif. nella L. n. 219 del 1981) e del D.L. n. 8 del 1987 (conv. con modif. nella L. n. 120 del 1987) alle società (*) s.p.a. e (*) s.p.a., di cui era socio accomandatario, successivamente fallite all'esito dell'illegittima revoca dei contributi nonchè in conseguenza dell'inadempimento di obblighi nei confronti delle medesime assunti con un contratto stipulato in attuazione della L. n. 219 del 1981, di agevolazione delle iniziative industriali nelle zone colpite dal terremoto del 1980.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il M. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 8 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'economia e delle finanze di risarcimento.

 

Motivi della decisione

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia "violazione e falsa applicazione" degli artt. 1218 E 2697 c.c., in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia "erroneamente ritenuto che non fosse stato provato il nesso di causa sussistente tra gli inadempimenti del MIC e il danno subito dal Sig. M.".

Lamenta che, sussistendo nel caso un rapporto contrattuale o da contatto sociale "fra il MIC (quale debitore garantito) e il sig. M. quale fideiussore (garante)", è invero "chiaro" che "gli inadempimenti del MIC hanno leso anche la sfera giuridica del Sig. M. (che dunque aveva ed ha piena legittimazione a dolersi di ciò, come riconosciuto fin dal primo grado di giudizio) e, comunque, che lo stesso MIC ha altresì violato gli obblighi accessori e di protezione di detta sfera giuridica che sullo stesso incombevano, considerando che il suo interlocutore era non solo fideiussore ma anche socio e amministratore delle Società garantite".

Con il 2 (subordinato) motivo (indicato come "B") denunzia "violazione e falsa applicazione" degli artt. 1223, 2043 e 2697 c.c., artt. 40 e 41 c.p., art. 28 Cost., art. 111 Cost., art. 1 primo Protocollo CEDU, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia "illegittimamente preteso la precisa e rigorosa prova di ogni singolo "anello" di cui si compone la "catena di causalità" prospettata dal ricorrente", a tale stregua "sostanzialmente eludendo" la valutazione che il criterio del più probabile che non la obbligava a compiere, "essendo pacifico che detto criterio imponga al giudice di valutare il materiale probatorio acquisito per decidere, tramite una visione di sintesi, se la tesi dell'attore sia in definitiva più probabile di quella avversaria".

Lamenta che "il giudice territoriale avrebbe dovuto valutare se la condotta del MIC fosse o no idonea a provocare il dissesto della (*) (e a cascata quello della (*), che ne costituiva l'indotto) e se, di contro, la parte resistente avesse o no dedotto altre cause (se del caso "naturali") più credibilmente idonee a cagionare, in via indipendente, il citato dissesto".

Con il 3 motivo (indicato come "B.1") denunzia "violazione e falsa applicazione" degli artt. 1223, 2043 e 2697 c.c., artt. 40 e 41 c.p., art. 28 Cost., in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto che fosse suo onere provare "la "necessità" del ricorso al credito", invero del tutto "inconferente, estranea e non pertinente al nesso di causalità tra gli inadempimenti e i danni subiti dal M.".

Con il 4 motivo (indicato come "B.2") denunzia "violazione e falsa applicazione" degli artt. 2697 e 2729 c.c., art. 115 c.p.c., in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito non abbia ritenuto provata per presunzioni "la "necessità" del ricorso al credito".

Con il 5 motivo (indicato come "B.3") denunzia "violazione e falsa applicazione" degli artt. 112 e 115 c.p.c., art. 6 CEDU, art. 117 Cost., in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il 6 motivo (indicato come "B.4") denunzia "violazione e falsa applicazione" degli artt. 1223, 2043 e 2697 c.c., artt. 40 e 41 c.p., artt. 112, 115 e 116 c.p.c., art. 6 CEDU, art. 117 Cost., in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il 7 motivo (indicato come "C") denunzia "violazione e falsa applicazione" degli artt. 1223, 2043, 2697 e 2729 c.c., artt. 40, 41 c.p., artt. 28 e 117 Cost., artt. 112, 115 e 116 c.p.c., art. 6 CEDU, nonchè per "vizio di impostazione logica della sentenza", in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole che abbia ritenuto non provata "la "necessità" del ricorso al credito", non valutando o erroneamente valutando le emergenze probatorie, e non ammettendo la richiesta CTU contabile.

Con l'8 (subordinato) motivo (indicato come "D") denunzia "violazione e falsa applicazione" degli artt. 40 e 41 c.p., artt. 28 e 117 Cost., artt. 112, 115 e 116 c.p.c., art. 6 CEDU, nonchè per "vizio di impostazione logica della sentenza", in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nonchè degli artt. 1226 e 2056 c.c., in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia affermato non avere egli "dimostrato di aver subito l'escussione da parte della Comit (a sua volta illegittimamente escussa dal Mic)", erroneamente o non completamente esaminando le emergenze probatorie, laddove il giudice del merito non deve limitarsi all'esame isolato di singoli elementi, ciascuno insufficiente a fornire ragionevole certezza su una determinata situazione di fatto, ma deve compiere un'organica e complessiva valutazione degli stessi nel quadro unitario dell'indagine probatoria.

Il ricorso è p.q.r. fondato e va accolto nei termini e limiti di seguito indicati.

E' rimasto nel caso accertato che la società (*) s.p.a. ha stipulato un contratto con l'allora Ministero dell'Industria in attuazione della L. n. 219 del 1981 di agevolazione delle iniziative industriali nelle zone colpite dal terremoto del 1980. E che vi è stata da parte di detta Amministrazione altresì una contribuzione a fondo perduto in favore della società (*) s.p.a. per la realizzazione di uno stabilimento industriale. Con concessione di fideiussione da parte del M. in favore del Ministero, a garanzia dei contributi da quest'ultimo corrisposti ai sensi del D.L. n. 75 del 1981 (conv. con modif. nella L. n. 219 del 1981) e del D.L. n. 8 del 1987 (conv. con modif. nella L. n. 120 del 1987) alle società (*) s.p.a. e (*) s.p.a., di cui era socio accomandatario.

L'odierno ricorrente, nella qualità di socio accomandatario e di fideiussore, ha proposto domanda nei confronti del Ministero lamentando che all'esito dell'ingiustificata revoca dei contributi de quibus (accertata nel giudizio conclusosi con la sentenza Cass., 7/9/2016, n. 17680) e dell'inadempimento da parte del medesimo consistito in particolare nel mancato trasferimento alla (*) del terreno e del sovrastante opificio (accertato nel giudizio conclusosi con la sentenza Cass., Sez Un., 19/4/2010, n. 9218), è venuta a determinarsi l'illecita incidenza "sulle condizioni di indebitamento di quest'ultima e, "a cascata", sulla mancata ultimazione dei lavori di completamento dello stabilimento della (*), che era diretta a realizzare lavorazioni complementari a quelle della Marcofil", con conseguente dissesto finanziario delle suindicate due società (poi fallite), che ha indotto la detta Amministrazione all'illegittima escussione della garanzia fideiussoria (accertata nel procedimento conclusosi con le sentenze Cass., 1/3/2012, n. 3229 e Cass., 7/9/2016, n. 17680), provocandogli ingenti danni.

La domanda è stata rigettata nei due gradi di merito.

La corte di merito ha in particolare argomentato dal rilievo: a) che i soci di una società di capitali non hanno titolo a domandare il risarcimento di danni costituenti mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla società, unica legittimata a far valere il danno in argomento; b) che non è stata nella specie fornita la prova del nesso di causalità tra i lamentati inadempimenti del Ministero e il mancato adempimento da parte del M. della prestata garanzia fideiussoria.

Orbene, avuto in particolare riferimento al 1, al 2, al 3 e all'8 motivo, va osservato quanto segue.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, i soci di una società di capitali (per la diversa situazione dei soci di una società di persone v. Cass., 20/11/2018, n. 29829) non hanno titolo al risarcimento dei danni costituenti mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla società, in quanto integranti una mera porzione di quello stesso danno subito dalla (e risarcibile in favore della) stessa, con conseguente reintegrazione indiretta a favore del socio.

A tale stregua, un danno non può considerarsi meramente riflesso allorquando una tale possibilità non sussista, come in caso di danni arrecati alla sfera personale del socio (diritto all'onore o alla reputazione) o per danni patrimoniali come quelli derivanti dalla perdita di opportunità personali, economiche e lavorative, o dalla riduzione del c.d. merito creditizio, che dal terzo responsabile vanno invero risarciti al socio (cfr., con riferimento a comportamenti illeciti tenuti da istituti bancari nei confronti di società partecipate dai soci danneggiati e poi fallite, Cass., 11/12/2013, n. 27733).

Si è in proposito precisato che allorquando venga come nella specie dedotto che il dissesto economico comportante il fallimento di una società di capitali sia stato cagionato dalla condotta della banca convenuta in giudizio, cui sia seguita l'escussione delle fideiussioni che non vi sarebbe altrimenti stata, la domanda risarcitoria proposta dall'attore (quale socio e fideiussore) nei confronti di chi tale condotta ha mantenuto è di natura extracontrattuale ex art. 2043 c.c., facendosi con essa valere un lamentato danno ingiusto (nell'ampia nozione, generalmente accolta, comprensiva di qualsiasi lesione di interessi giuridicamente rilevanti) causato dal comportamento imputabile al creditore, inerente non già ai rapporti diretti tra creditore e fideiussore a norma degli artt. 1944 e 1948 c.c. bensì alla violazione degli obblighi nascenti dal rapporto contrattuale tra creditore e debitore principale (cfr. Cass., 11/12/2013, n. 27733).

Va sotto altro profilo osservato che in tema di nesso di causalità, mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (e pertanto in termini di - quasi - certezza: v. Cass., Sez. Un. pen., 10/7/2002, n. 30328, e, conformemente, Cass., pen., 25/08/2015, n. 41158; Cass., pen., 19/3/2015, n. 22378), in materia civile opera la diversa regola dell'ascrivibilità in termini di preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non" (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576; Cass., 16/10/2007, n. 21619. E, da ultimo, Cass., 12/10/2018, n. 25365) dell'evento lesivo alla sua condotta dolosa o colposa, quest'ultima propriamente costituendone il criterio d'imputazione (v., in particolare, Cass., 29/2/2016, n. 3893; Cass., 21/4/2016, n. 8035; Cass., 22/2/2016, n. 3428; Cass., 20/2015, n. 3367; Cass., 17/09/2013, n. 21255).

Si è da questa Corte precisato che in sede civile il nesso causale indica la misura della relazione probabilistica concreta (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra condotta e fatto-evento dannoso (da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata), in base alla quale un evento è da considerarsi causato da un altro allorquando non si sarebbe senza quest'ultimo verificato, pertanto risolvendosi entro "i pragmatici confini della dimensione "storica"", e valendo ad ascrivere all'autore del fatto illecito le conseguenze che da questo discendono, laddove non intervenga un nuovo fatto rispetto al quale il medesimo non abbia il dovere o la possibilità di agire (così Cass., 16/10/2007, n. 21619. V. altresì Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576).

Nella relativa valutazione il giudice del merito non deve peraltro limitarsi ad un esame isolato di singoli elementi degli elementi (indiziari o presuntivi) al riguardo rilevanti, ciascuno insufficiente a fornire ragionevole certezza su una determinata situazione di fatto, ma deve compierne una complessiva ed organica valutazione nel quadro unitario dell'indagine probatoria (cfr., con riferimento alla prova per presunzioni, Cass., 21/12/1987, n. 9504), e il suo ragionamento non deve risultare viziato da illogicità o da errori giuridici, quale appunto è l'esame isolato dei singoli elementi della c.d. catena causale (cfr., con riferimento agli elementi idonei a fondare la prova presuntiva, già Cass., 27/11/1982, n. 6460).

Orbene, i suindicati principi sono rimasti dalla corte di merito invero disattesi nell'impugnata sentenza.

Dopo aver premesso che "il criterio cosiddetto del più probabile che non... non può supplire alle carenze probatorie della parte, rilevabili nel caso in esame", ed essere pervenuta ad affermare che "la catena di causalità prospettata da M.G. si compone di anelli la cui singola sussistenza non risulta in alcun modo provata", la corte di merito ha invero completamente omesso di fare luogo alla disamina circa la fondatezza della pretesa dell'odierna ricorrente atteso il ravvisato difetto del relativo presupposto, indicato nei "comportamenti inadempienti posta in essere dall'Amministrazione e la contrazione dei mutui da parte della s.p.a. (*) e garantiti da M.G. ("rilievo preliminare, che osta ad ogni ulteriore valutazione sugli effetti dell'inadempimento del mutuatario sull'escussione del garante").

Ha altresì argomentato dall'ulteriore rilievo che "il criterio di causalità prospettata da M.G. si compone di anelli la cui singola sussistenza non risulta in alcun modo provata".

Ha al riguardo sottolineato che "la necessità di ricorso al credito" per la società (*) s.p.a. avrebbe dovuto essere "provata sulla base della situazione contabile della società medesima al momento della contrazione del debito, che avrebbe dovuto esser giustificata in relazione alla prospettiva ed agli obiettivi dell'azione personale".

Ha ulteriormente evidenziato che "quando pur si potesse ritenere, in via presuntiva, che il ricorso al credito, da parte di un'impresa, sia sempre necessario, nella presente fattispecie il debito contratto era stato caratterizzato, dal momento che la menzionata s.p.a. (*) non aveva acquisito la titolarità dominicale di un bene immobile, dalla corresponsione di interessi in misura maggiore rispetto a quella pattuibile, qualora la mutuataria avesse potuto prestare, in proprio, una garanzia reale. Quindi il maggior onere sopportato era stato pari al differenziale tra il tasso di interesse corrisposto e quello in ipotesi corrispondibile, se fosse stato possibile prestare in proprio la richiamata garanzia reale. La non sostenibilità, tanto da determinare il dissesto della società, della corresponsione degli interessi nella maggior misura in effetti pattuita avrebbe dovuto essere dimostrata sulla base della situazione contabile, documentalmente provata, relativa al periodo in cui tali interessi erano stati pagati, onere probatorio non assolto dall'appellante. Nè d'altro canto è stato neppur quantificato il differenziale annuo dell'interesse gravante sulla s.p.a. Marcofil, rispetto a quello in ipotesi gravante nel caso di mutuo con garanzia reale, per cui l'insostenibilità della relativa corresponsione non può essere neppur valutato in via presuntiva".

Ha quindi concluso che "l'entità della somma richiesta a credito, quale conseguenza diretta dei dedotti inadempimenti, avrebbe dovuto essere quantificata, sulla base della situazione contabile, documentalmente provata, della società al momento della richiesta, onde verificare se ed in quale misura i richiamati inadempimenti fossero stati etiologicamente incidenti sugli oneri contratti per l'erogazione di mutui. Una tale allegazione deduttiva è del tutto assente nelle prospettazioni difensive di M.G.... è pertanto assente la prova del nesso eziologico tra i comportamenti inadempienti posti in essere dall'Amministrazione ed i fatti, contrazione di mutui garantiti dall'appellante, che avrebbero determinato, per effetto dell'escussione delle garanzie, dei danni all'appellante medesimo".

Orbene, dai riportati passi della motivazione emerge evidente come la corte di merito abbia ritenuto "non provato il nesso di causalità", in realtà sostanzialmente onerando il danneggiato della prova "oltre il ragionevole dubbio" degli anelli in cui ha nella specie ravvisato scandirsi tale elemento costitutivo dell'illecito.

Nè la corte di merito ha spiegato in base a quali argomenti non abbia ritenuto derivare il lamentato dissesto delle "due società poi dichiarate fallite" (dissesto che ha poi determinato l'escussione della garanzia fideiussoria in argomento), quantomeno in via presuntiva ("più probabilmente che non" rispetto ad altri e diversi elementi causali - invero nemmeno indicati - abbia nella specie ravvisato in effetti sussistere e assumere al riguardo rilievo determinante), dagli accertati "numerosi inadempimenti agli obblighi nascenti dai disciplinari posti in essere dal Ministero" e "dall'illegittima revoca dei contributi".

A parte il rilievo che - come dedotto dall'odierno ricorrente - risulta ultroneamente e comunque quantomeno immotivatamente dalla corte di merito richiesta la prova della necessità del ricorso al credito da parte delle "due società poi dichiarate fallite", la corte di merito non ha invero neanche valutato (e a fortiori spiegato) le ragioni del ravvisato mancato rilievo causale (sul piano del "più probabile che non"), nella determinazione del dissesto economico de quo, del mancato abbattimento degli interessi sul credito.

Dell'impugnata sentenza, in accoglimento p.q.r. del 2, del 3 e dell'8 motivo, rigettato il 1 e assorbiti ogni ulteriore e diversa questione nonchè gli altri motivi, s'impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d'Appello di Roma, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo del suindicato disatteso principio applicazione.

Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie p.q.r. il ricorso. Cassa in relazione l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2019.