Diritto della Famiglia e dei Minori


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21027 - pubb. 08/01/2019

Il principio di bigenitorialità non comporta l’applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore

Cassazione civile, sez. I, 10 Dicembre 2018, n. 31902. Est. Irene Tricomi.


Famiglia - Principio di bigenitorialità - Applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore - Esclusione



Il principio di bigenitorialità si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse, ma ciò non comporta l'applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore in quanto l'esercizio del diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell'altro genitore, giacché in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell'unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Presidente -

Dott. MELONI Marina - Consigliere -

Dott. TRICOMI Irene - rel. Consigliere -

Dott. IOFRIDA Giulia - Consigliere -

Dott. PAZZI Alberto - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

RITENUTO CHE:

G.I. propone ricorso per cassazione con quattro mezzi nei confronti di B.M. avverso il decreto della Corte di appello di Roma reso in controversia vertente ai sensi degli artt. 316 e 337 bis c.c., e riferita all'esercizio della genitorialità, al regime di frequentazione e alla ripartizione delle spese per il mantenimento della minore M.S. (n. (*)).

La Corte di appello, avendo accertato l'esistenza di una grave conflittualità tra i genitori, alimentata da una competitività esasperata, in riforma della decisione di primo grado, aveva disposto l'affido della minore al servizio sociale competente per l'assunzione delle "decisioni più importanti afferenti la salute, la scuola, l'attività sportiva" della minore, sentiti i genitori, riservando a questi ultimi l'assunzione delle decisioni afferenti alla vita quotidiana, fermo il collocamento prevalente presso la madre; aveva quindi regolato il regime degli incontri; aveva determinato il contributo paterno al mantenimento della minore in Euro 800,00 mensili con decorrenza dalla proposizione della domanda.

B.M. replica con controricorso. Il ricorso è stato fissato per l'adunanza in camera di consiglio ai sensi dell'art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c..

 

CONSIDERATO CHE:

1. Il ricorso proposto in questa sede è ammissibile, così confermando il condiviso orientamento favorevole all'ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione dei provvedimenti cd. de potestate, in ragione della attitudine degli stessi al giudicato rebus sic stantibus (da ultimo, Cass. nn. 4099/2018; 23633/2016).

2.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 316 c.c., comma 3, in combinato disposto con gli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost., con l'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, e con la Convenzione di New York 20 novembre 1989 (ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176); si denuncia altresì la violazione degli artt. 315 bis e 316 c.c., per sproporzione ed indeterminatezza del provvedimento di affido della minore ai servizi sociali e per non avere individuato il genitore più idoneo a curare l'interesse della figlia. La censura è proposta anche sotto il profilo dell'omesso esame di un fatto decisivo.

2.2. Il motivo è inammissibile sotto molteplici profili, oltre che infondato.

2.3. Innanzi tutto va rilevato che sostanzialmente le violazioni di legge proposte si risolvono in una sollecitazione, inammissibile, al riesame del merito da parte del giudice di legittimità e che la formulazione della doglianza motivazionale non è conforme all'attuale previsione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Nello specifico: a) il profilo di doglianza relativo alle lamentate carenze istruttorie della relazione dei servizi sociali, utilizzata dalla Corte di appello per fondare la decisione impugnata, risulta connotata da evidente novità (lo stesso ricorrente assume di avere acquisito il fascicolo dei Servizi sociali il 21/9/2017, dopo l'emissione del provvedimento impugnato) e si risolve in una tardiva critica al compendio probatorio utilizzato in giudizio; b) il profilo di doglianza relativo al "sub procedimento con udienza svolta il 14.7.2016" - così individuato in ricorso - che si sarebbe svolto in assenza di contraddittorio, per non essergli stato notificato l'atto introduttivo, in disparte dalla assoluta genericità della prospettazioni, risulta inammissibile poichè lo stesso ricorrente riconosce di non essersi opposto nel corso del procedimento; c) il profilo di doglianza relativo all'apprezzamento della sussistenza di ampio contenzioso giudiziario tra le parti, la cui incidenza sarebbe stata sopravvalutata, a parere del ricorrente, perchè relativa al periodo antecedente l'udienza presidenziale di separazione, risulta essere una sollecitazione al riesame delle più ampie valutazioni compiute al giudice di merito in ordine al comportamento tenuto tra le parti nella gestione della comune genitorialità, travalicato in molteplici occasioni in contenziosi giudiziari; d) ugualmente si pone come sollecitazione ad una rivalutazione dei fatti, la segnalazione di una attitudine della B. all'inasprimento dei rapporti con gli ex coniugi, desumibile - a parere del ricorrente - da una relazione dei servizio sociale della ASL RM, afferente ai rapporti tra la B. ed il precedente coniuge, in relazione all'esercizio della genitorialità nei confronti dei figli D.P.U. e F., nati da questo rapporto e fratelli uterini di M.S..

2.4. Quanto al fatto di cui sarebbe stato omesso l'esame, e cioè l'esistenza di una procedura avviata dalla Procura minorile che si sarebbe conclusa con la richiesta della sospensione della responsabilità genitoriale nei confronti dei genitori dei due germani D., in disparte dalla poca chiarezza che connota l'esposizione sommaria del fatto, va osservato che la decisione impugnata smentisce l'assunto, poichè la Corte di appello ha preso in considerazione la complessa situazione familiare allargata e l'affido dei due fratelli uterini ai servizi sociali disposto dal Tribunale per i minorenni in ragione delle loro problematiche comportamentali, dettando al servizio sociale un compito di monitoraggio circa l'adeguatezza dell'ambiente domestico della madre.

2.5. Non è invece attinta da un motivo di doglianza la statuizione concernente la conferma della scelta materna dell'asilo pubblico cui iscrivere la bambina, anche se la circostanza è utilizzata ancora una volta per illustrare la conflittualità tra la coppia.

2.6. Infine il ricorrente, si duole del provvedimento con il quale è stato disposto l'affido della minore M.S. ai servizi sociali: in particolare ne lamenta la sproporzione - perchè avrebbe carattere definitivo e non temporaneo - e la mancanza di adeguato supporto motivazionale poichè, a suo dire, nessuna indagine sarebbe stata compiuta sulle capacità genitoriali e circa la sussistenza di condotte pregiudizievoli, anche se non tali da dar luogo ad una pronuncia di decadenza ex art. 330 c.c..

Sotto questo profilo, che attiene strettamente alla violazione di legge, il motivo è infondato.

Il ricorrente sviluppa la sua doglianza sull'errato presupposto che il provvedimento in questione sia definitivo, perchè non privo della previsione di un termine di scadenza: tale assunto non può essere condiviso.

Il provvedimento in esame è da ricondurre nell'ambito dei "provvedimenti convenienti" per l'interesse del minore, ai sensi dell'art. 333 c.c., che l'autorità giudiziaria assume, al fine di superare la condotta pregiudizievole di uno o entrambi i genitori tale da non dar luogo ad una pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale; esso ha natura di atto di giurisdizione non contenziosa ed è privo di carattere definitivo, in quanto revocabile e reclamabile, sia per il disposto speciale di cui al comma 2 della disposizione menzionata che stabilisce "Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento", sia secondo le regole generali degli artt. 739 e 742 cod. proc. civ. (Cass. n. 18149 del 10/07/2018, n. 22568 del 04/11/2015, n. 11756 del 14/05/2010), di guisa che, nel caso specifico, la previsione di un termine risultava non necessaria in quanto il provvedimento poteva essere riesaminato in qualsiasi momento.

2.7. Ciò posto, la doglianza non risulta fondata nemmeno sul piano motivazionale, atteso che la Corte di appello ha illustrato le ragioni della scelta compiuta nell'interesse della minore, in ragione di una conflittualità accesa ed insanabile, fonte di una paralisi decisionale, ravvisabile anche in scelte importanti quali quelle relative alla salute ed al percorso scolastico della piccola, scelte che, tuttavia, richiedono una tempestiva - anche se ponderata - decisione e che sono state intralciate dalla viva conflittualità dei genitori.

3.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell'art. 316 c.c., per manifesta contraddittorietà della decisione e violazione del principio di parità tra i genitori, criticando la statuizione della Corte di appello che, modificando la regolamentazione del diritto di vista paterno, aveva ridotto il pernotto infrasettimanale presso il padre.

3.2. Il motivo è inammissibile perchè, pur prospettando una violazione di legge, sollecita inammissibilmente una rivalutazione delle emergenze istruttorie con esito favorevole al ricorrente.

3.3. Peraltro va ricordato che il principio di bigenitorialità si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse, ma ciò non comporta l'applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore in quanto l'esercizio del diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell'altro genitore, giacchè " In tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell'unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonchè della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione." (Cass. n. 18817 del 23/09/2015).

4.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell'art. 316 c.p.c., con riferimento alla statuizione la quale il contributo paterno al mantenimento della minore è stato aumentato.

Il ricorrente, dopo avere esposto le ragioni per le quali il suo reddito sarebbe calato nel corso del 2016, in parte ascrivendo la riduzione del suo volume di affari alla scelta di dedicarsi maggiormente alla figlia, lamenta che la Corte di appello non abbia tenuto in debita considerazione tali circostanze, così come delle limitate esigenze della minore in tenera età.

4.2. Il motivo è inammissibile perchè sollecita la rivalutazione del merito, inammissibile in sede di legittimità.

Quanto alla documentazione che, secondo il ricorrente, la Corte di appello non avrebbe preso in esame, va osservato, da un lato, che manca l'indicazione specifica dei documenti, necessaria per valutarne la rilevanza e la decisività, nonchè la puntuale indicazione di quando sarebbe stata prodotta nelle fasi di merito e, dall'altro, che non sono indicati specifici fatti di cui sarebbe stato omesso l'esame, tali non potendosi configurare i documenti.

5.1. Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell'art. 316 c.c., laddove la Corte di appello ha statuito che la decorrenza dell'assegno di mantenimento, come rideterminato, risalisse alla data di proposizione della domanda.

5.2. Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi. Contrariamente a quanto assume il ricorrente la modifica dell'assegno non è stata determinata dal maggior impegno domestico materno conseguente al diverso regime di visita della minore (operativo, secondo la sua prospettazione, dal 14/9/2017), ma in maniera più ampia e complessiva della rivalutazione dei redditi delle parti, dei tempi di permanenza presso ciascun genitore e degli impegni domestici, risultando marginale e privo di autonomo apprezzamento la limitata riduzione dei tempi di pernotto presso il padre.

6. In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Poichè dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 10, comma 3, non sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1 bis, del cit. D.P.R..

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2018.