Diritto Civile
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20106 - pubb. 05/07/2018
Sul frazionamento del credito risarcitorio
Cassazione civile, sez. III, 29 Giugno 2018, n. 17019. Est. Saija.
Credito risarcitorio – Divieto di frazionamento – Sussiste – Conseguenze – Inammissibilità della domanda successiva alla prima
In caso di abuso da frazionamento del credito, la domanda proposta per seconda - e solo quella - è inammissibile. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
Fatti di causa
Con sentenza del 9.12.2015, il Tribunale di Roma respinse l'appello proposto da Va. Da. nei confronti di Groupama Assicurazioni s.p.a. e An. Si. Pe., confermando la sentenza del Giudice di Pace di Roma del 11.3.2014, con cui era stata dichiarata l'inammissibilità della domanda avanzata dal Da. per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale dallo stesso subito in occasione di un incidente stradale avvenuto il 22.2.2010, per colpa della stessa Pe., assicurata per la R.C.A. con la detta Compagnia. Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto che la domanda così proposta si ponesse in violazione del dovere di buona fede e correttezza processuale e costituisse abuso del processo, in quanto il Da., per il medesimo incidente, aveva già adito il G.d.P. di Roma, chiedendo ed ottenendo in quella / sede, con decisione passata in giudicato, i soli danni patrimoniali; la nuova domanda, quindi, comportava la violazione del divieto di frazionamento del credito, affermato dalla giurisprudenza di legittimità a partire da Cass., Sez. Un., n. 23726/2007.
Va. Da. ricorre ora per cassazione, affidandosi ad un unico articolato motivo, illustrato da memoria. Groupama Assicurazioni resiste con controricorso, mentre An. Si. Pe. non ha resistito.
Ragioni della decisione
1.1 - Con l'unico articolato motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost, 88 c.p.c. e 1175 c.c., nonché "insufficiente, omessa e controversa" motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c, nonché lo scostamento dal consolidato orientamento della Corte di cassazione al riguardo, il ricorrente censura l'impugnata sentenza perché in essa si fa riferimento ad un generico ed indistinto principio di infrazionabilità del credito, che non è di derivazione né normativa, né giurisprudenziale. Infatti, la nota pronuncia di Cass., Sez. Un., n. 23726/2007 - secondo cui non è consentito al creditore parcellizzare l'azione in plurime domande - concerne esclusivamente crediti di natura pecuniaria e non è pertinente al caso che occupa, avente ad oggetto crediti di natura risarcitoria, derivanti si da un unico fatto generatore, ma di natura diversa, perché illecito: solo con la sentenza che accerta la responsabilità e liquida il credito, quindi, l'obbligazione diviene pecuniaria.
Il ricorrente invoca comunque il più recente orientamento di legittimità (Cass. nn. 5491/2015, 5496/2015, 5497/2015 e 5498/2015), disatteso dal Tribunale, che afferma che "é illegittimo non lo strumento adottato, ma la modalità della sua utilizzazione". Ne deriva che la pronuncia non può essere quella della improponibilità o inammissibilità della domanda, occorrendo trovare rimedio o nella riunione dei processi, oppure sul versante delle spese di lite, come se il procedimento fosse stato unico ab origine (così anche Cass. nn. 10634/2010, 10488/2011 e 9488/2014).
Del resto, prosegue il ricorrente, solo con la sentenza n. 28286/2011, la Corte di legittimità ha affermato l'applicabilità del detto principio anche ai giudizi risarcitori, e quindi in epoca successiva all'avvio della prima causa da lui intentata (nel 2010) per i soli danni materiali, per ciò potendo configurarsi l'overruling.
2.1 - In via preliminare, va rilevata l'inammissibilità della censura relativa al preteso vizio motivazionale, denuncia non più consentita, nei termini in cui è stata proposta dal Da., a seguito della modifica dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. E' infatti orientamento ormai assolutamente consolidato quello secondo cui "La riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione" (così, Cass., Sez. Un., n. 8053/2014). Dall'esame del mezzo in questione, nulla di tutto ciò può evincersi.
2.2 - Va poi disattesa l'eccezione della società controricorrente, giacché la pretesa violazione di legge lamentata dal ricorrente è sufficientemente argomentata, almeno in relazione al percorso motivazionale seguito dal giudice del merito.
3.1 - Ciò posto, il ricorso è infondato, in tutte le sue articolazioni.
Afferma nella sostanza il ricorrente che non esiste, a ben vedere, un principio di infrazionabilità del credito di natura risarcitoria, che non trova fondamento né nel diritto positivo, né nel diritto "vivente" giurisprudenziale; anzi, da quest'ultimo emerge che - ove anche vi fosse in concreto una ipotesi di abuso del processo per ingiustificato frazionamento del credito - ciò non potrebbe comunque comportare la pronuncia in rito (ossia, inammissibilità o improponibilità), bensì conseguenze molto più mitigate, quali la riunione dei processi o la regolamentazione delle spese di lite come se la causa fosse stata unitaria sin dall'origine, e ciò perché è "illegittimo non lo strumento adottato, ma la modalità della sua utilizzazione" (così, Cass. n. 5497/2015, invocata dal Da.). E ciò, fermo restando che il repentino mutamento giurisprudenziale - con l'estensione del principio di infrazionabilità del credito anche alle pretese risarcitone, sancito da Cass. n. 28286/2011 -giustificherebbe comunque il ricorso all'overruling.
3.2 - Ora, la questione dell'applicabilità del principio di infrazionabilità anche ai crediti risarcitori è stata affrontata da questa Corte, essenzialmente, secondo due linee interpretative, rispettivamente esemplificate da Cass., Sez. III, n. 28286/2011 e da Cass., Sez. L, n. 5308/2016, entrambe non massimate.
Con la prima pronuncia, in un caso sostanzialmente identico a quello in esame, a) è stato ritenuto sussistere l'abuso del processo perché, alla data di avvio del primo giudizio, tutti gli elementi identificativi della domanda erano consolidati e noti a parte attrice; b) si è poi escluso che il danneggiato, in tali casi, possa far ricorso alla "riserva" di agire per danni ulteriori; infine, c) si è inquadrato il percorso giurisprudenziale sul tema nell'ambito della mera evoluzione tra interpretazioni contrastanti, escludendosi quindi la sussistenza dell'overruling. Con la seconda pronuncia citata (avente ad oggetto danni subiti da un lavoratore per mobbing, azionati con un secondo giudizio dopo averne richiesti altri in un primo giudizio per singole condotte vessatorie di parte datrice), si è invece seguito un percorso diverso, individuando la causa della improponibilità della domanda sulla preclusione del giudicato: nella specie, in seno al primo giudizio il lavoratore non aveva avanzato alcuna "riserva", sicché, in applicazione del principio per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, si è rilevato che la Corte d'appello avrebbe dovuto dichiarare l'improponibilità della seconda domanda non già per il principio di infrazionabilità del credito, bensì per la preclusione da giudicato.
3.3 - Al riguardo, ritiene il Collegio di dover dare continuità all'insegnamento di Cass. n. 28286/2011, con le precisazioni che seguono.
Con detta decisione (come in parte anticipato), si è condivisibilmente osservato che il dovere di solidarietà ex art. 2 Cost. e l'obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza permeano ormai i comportamenti dei consociati, anche in ambito processuale, e non possono ritenersi relegati al solo ambito privatistico. Sulla base di tali premesse - in un caso in cui criteri identificativi delle due domande consecutivamente proposte erano identici, così come identici erano il rapporto e il fatto illecito causativo del danno, e le conseguenze dannose si erano definitivamente materializzate, sia per i danni patrimoniali che non patrimoniali - la Corte ha quindi affermato che "non è giustificabile la disarticolazione della tutela giurisdizionale richiesta mediante la proposizione di distinte domande (...). E ciò, neppure con la riserva di far valere ulteriori e diverse "voci di danno” in altro procedimento, che l'attuale ricorrente aveva inserito nella domanda proposta con il primo giudizio. La strumentante di una tale condotta frazionata è (...) evidente, ma non è consentita dall'ordinamento che le rifiuta protezione per la violazione di precetti costituzionali e valori costituzionalizzati, concretizzandosi, in questo caso, la proposizione della seconda domanda, in un abuso della tutela processuale, ostativa al suo esame. (...).
Per le caratteristiche del caso in esame (...) il consentire un uso parcellizzato della tutela processuale colliderebbe con i principi ricordati, nel mutato, ed attuale, assetto dei valori costituzionali, cui deve necessariamente ispirarsi anche il processo civile".
In linea con detta pronuncia, la successiva Cass. n. 21318/2015 ha poi affermato che "In tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, il danneggiato, a fronte di un unitario fatto illecito, lesivo di cose e persone, non può frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente innanzi al giudice di pace e al tribunale in ragione delle rispettive competenze per valore, neppure mediante riserva di far valere ulteriori e diverse voci di danno in altro procedimento, trattandosi di condotta che aggrava la posizione del danneggiante-debitore, ponendosi in contrasto al generale dovere di correttezza e buona fede e risolvendosi in un abuso dello strumento processuale. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto improponibile la domanda di risarcimento dei danni alla persona subiti dall'attore in occasione di un sinistro stradale, nel quale lo stesso aveva subito altresì danni materiali, oggetto di separato giudizio innanzi al giudice di pace)".
Detta linea ermeneutica, ad avviso del Collegio, può inoltre arricchirsi di un ulteriore profilo, maggiormente evidenziato dalla recente Cass., Sez. Un., n. 4090/2017. Infatti, per quanto principio affermato riguardo al problema della frazionabilità di crediti pecuniari (si trattava, nella specie, di più crediti derivanti da un unico rapporto di durata, ossia di lavoro subordinato), è stato affermato che "Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - si da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c, riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c".
Come si evince da quest'ultima pronuncia (specie in motivazione), non può quindi giungersi ad una categorica affermazione del divieto di frazionamento dell'azione a fronte di crediti diversi, occorrendo comunque valutare l'interesse del creditore che è posto alla base della scelta di agire in modo parcellizzato.
3.4 - Facendo governo di quanto precede riguardo alla vicenda qui in esame, non può revocarsi in dubbio che, alla data del 29.10.2010, in cui il Da. propose la prima domanda (avente ad oggetto i soli danni materiali da lui patiti nel sinistro avvenuto il 22.2.2010), l'intero panorama delle conseguenze dannose del sinistro stesso fosse pienamente emerso, sia riguardo ai danni all'autovettura che anche alla persona. E ciò è tanto vero che - come/ sottolineato dal Tribunale - l'odierno ricorrente era stato sottoposto a visita da parte di un medico incaricato dalla Compagnia nello stesso mese di giugno del 2010.
Pertanto, la decisione impugnata è senz'altro corretta, perché il Tribunale non ha scorto alcuna plausibile ragione perché potesse ritenersi assistita da un interesse meritevole di tutela, da parte dell'ordinamento, la condotta processuale del Da., che ha avviato la seconda azione solo nel 2012, ciò comportando la necessità di duplicare inutilmente ed in contrasto con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, ex art. 111 Cost. - ove si fosse ritenuta l'ammissibilità della domanda -, sia l'attività del giudice adito, sia della stessa parte convenuta.
Né, del resto, è sostenibile (come pure fa il Da., a dimostrazione del proprio interesse alla parcellizzazione dell'azione) che, alla data di proposizione della prima domanda, i "postumi permanenti" non potessero dirsi consolidati, e ciò per almeno un duplice ordine di motivi. Infatti - a parte ogni considerazione sulla spendibilità dell'assunto alla luce dei principi di medicina legale e delle ordinarie condizioni di proponibilità della domanda risarcitoria, ove anche si tenga presente che, per stessa ammissione del ricorrente, egli ha patito, nel complesso, 50 giorni di I.T. (v. ricorso, p. 4) - deve anzitutto rilevarsi che la questione implica una tipica valutazione demandata al giudice del merito; in secondo luogo, perché tale valutazione è stata sostanzialmente espletata dal Tribunale, laddove ha rilevato che il Da. era stato sottoposto a visita già nel giugno del 2010 e che, conseguentemente (ossia, per effetto di quella visita), la Compagnia gli aveva offerto (seppur solo nel dicembre 2010) una somma da lui accettata in acconto.
La statuizione in esame non è stata però adeguatamente censurata dal ricorrente, che si è limitato a contrapporre labialmente fatti (ossia, appunto, il mancato consolidamento dei postumi e la sottoposizione a visita da parte del medico incaricato dalla Compagnia solo nel corso del primo giudizio) incompatibili con detto accertamento (oltre che con le proprie allegazioni, come s'è detto), senza peraltro veicolarli in questo giudizio di legittimità nel solo modo oggi consentito dal codice di rito, ossia ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
4.1 - Restano ora da affrontare due ulteriori problematiche, ossia quella sulle conseguenze dell'abuso del processo, nonché quella sul cd. overruling.
4.2 - In proposito, quanto alla prima questione, ritiene il Collegio di dover ribadire che, in caso di abuso da frazionamento del credito, la domanda proposta per seconda - e solo quella (v. Cass. n. 22503/2016) - sia inammissibile.
Infatti, ove la parcellizzazione dell'unitaria azione configuri una condotta processualmente abusiva, è evidente che l'azione avviata per seconda non può essere proposta, non già per effetto di un inesistente giudicato, bensì perché essa non è data dall'ordinamento.
La giurisprudenza invocata dal ricorrente al fine di propugnare, invece, l'erroneità della decisione qui impugnata - dovendo in tesi escludersi l'adozione di una pronuncia ostativa all'esame del merito, sufficiente essendo l'emissione di provvedimenti ordinatori dello svolgimento del processo (ad es. riunione), ovvero sul più limitato tema delle spese - attiene, per lo più, alla proposizione di azioni con cumulo soggettivo e al successivo "spacchettamento" delle singole posizioni negli ulteriori gradi di giudizio (specie in tema di equa riparazione da ingiustificata durata del processo: così, Cass. n. 10634/2010 e Cass. n. 10488/2011, richiamate dal Da., cui possono aggiungersi, in termini, Cass. n. 9962/2011, Cass. n 2587/2016 e, da ultimo, Cass. n. 20834/2017), sicché tale filone giurisprudenziale non sembra pertinente rispetto alla problematica che occupa.
Proprio per tale ragione, non sembrano quindi condivisibili quelle pronunce che su detto filone fondano l'affermazione secondo cui "è illegittimo non lo strumento adottato, ma la modalità della sua utilizzazione" (Cass. nn. 5491/2015, 5496/2015, 5497/2015 e 5498/2015, tutte relative, peraltro, ad una vicenda in cui le pretese dell'originario attore, che aveva introdotto ben 290 cause contro un unico soggetto, non davano origine ad un unitario rapporto obbligatorio, bensì ad una pluralità di rapporti distinti).
4.3 - Quanto alla seconda questione, oltre quanto affermato dalla già citata Cass. n. 28286/2011, può qui richiamarsi quanto condivisibilmente sostenuto dalla recente Cass. n. 929/2017, secondo cui "La proposizione di separate azioni risarcitone per danni diversi nascenti dallo stesso fatto illecito, avvenuta anteriormente all'arresto delle Sezioni Unite che ha affermato il principio dell'infrazionabilità della domanda giudiziale per crediti derivanti da un unico rapporto, si sottrae all'applicazione del "prospective overruling', secondo cui restano salvi gli effetti degli atti processuali compiuti dalla parte che abbia fatto incolpevole affidamento sulla stabilità di una previgente interpretazione giurisprudenziale, atteso che quella decisione non ha comportato il mutamento dell'interpretazione di una regola del processo che preveda una preclusione o una decadenza, ma ha sancito l'improponibilità delle domande successive alla prima in ragione del difetto di una situazione giuridica sostanziale tutelabile, per contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che non consente di accordare protezione ad una pretesa caratterizzata dall'uso strumentale del diritto di azione".
5.1 - In definitiva, il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Nulla va disposto nei rapporti con An. Si. Pe., che non ha svolto difese.
In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell'applicabilità dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità nei confronti del controricorrente, che liquida in Euro 2.295,00, oltre rimborso forfetario in misura del 15%, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228), si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. to possono essere fatti valere separatamente