Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 631 - pubb. 01/01/2007

Reverse convertible e obbligo di informazione

Tribunale Firenze, 30 Maggio 2004. Est. Pezzuti.


Intermediazione finanziaria – Conflitto di interessi – Contenuto dell’informazione

Intermediazione finanziaria – Clausole contrattuali – Mancanza di chiarezza – Violazione degli obblighi informativi – Sussistenza

Intermediazione finanziaria – Normativa a tutela dell’ordine pubblico – Violazione – Nullità – Sussistenza



Ai sensi dell’art. 27 reg. Consob n. 11522/1998, l’intermediario che operi in conflitto di interessi è tenuto ad informare preventivamente la propria clientela sulla natura ed estensione del proprio interesse nell’operazione, non essendo a tal fine sufficiente un avviso generico in ordine alla esistenza del conflitto. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Le clausole contenute nei contratti di intermediazione finanziaria (nel caso specifico aventi ad oggetto obbligazioni strutturate) devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile. L’equivocità e la non trasparenza della clausola è infatti essa stessa fonte di squilibrio tra le parti e di iniquità sostanziale nella misura in cui contribuisce ad aggravare l’asimmetria informativa già presente nei contratti di adesione. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

La normativa che tutela l’investitore è posta a tutela dell’ordine pubblico economico ed ha pertanto natura imperativa, la cui violazione impone la reazione dell’ordinamento attraverso il rimedio della nullità del contratto, anche a prescindere da un’espressa previsione in tal senso da parte del legislatore ordinario.
Questo principio è stato sancito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 7 marzo 2001 n. 3272), secondo cui “in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di un’espressa sanzione di nullità, non è rilevante ai fini della nullità dell'atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce l'art. 1418, comma 1, c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità”.
Pertanto, un contratto di investimento, concluso senza l’osservanza delle regole di condotta dettate dalla normativa richiamata, deve essere dichiarato nullo, perché contrario all’esigenza di trasparenza dei servizi finanziari che è esigenza di ordine pubblico. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


omissis


C. B., O. B. e L. V., con atto di citazione notificato il 6 giugno 2002, hanno chiesto la condanna della società Cassa di Risparmio di Firenze al risarcimento dei danni, conseguenti all’invalidazione o alla risoluzione dei contratti di prenotazione e di acquisto del titolo “Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a. 26 marzo 2001 / 26 settembre 2001 reverse convertibile collegato ad azioni Fiat s.p.a.”, stipulati il 7 marzo 2001.
A sostegno della domanda gli attori hanno dedotto che i contratti in questione era invalidi perché oggetto di truffa contrattuale o di dolo da parte dell’istituto bancario, in quanto esso, già all’epoca dell’ideazione dell’operazione e della emissione dei titoli in questione, era consapevole delle cattive prospettive dall’azione Fiat, di cui non aveva informato gli investitori.
Gli attori hanno, inoltre, chiesto la risoluzione dei contratti per inadempimento della società Cassa di Risparmio di Firenze per aver essa violato gli articoli 28, comma primo, lettera a), 28 comma secondo, 29 e 30 del regolamento Consob.
Parte attrice ha, infine, eccepito la nullità per difetto di forma, imposta dall’art. 23, comma primo, della legge n° 58 del 1998, con riferimento al contratto sottoscritto da C. B. in nome di L. V. e di O. B..
C. B., O. B. e L. V. hanno, quindi, lamentato un danno corrispondente alla perdita, solo per il primo, di euro 9.632,47 e, per tutti, di euro 19.264,94 e hanno chiesto il ristoro di tale pregiudizio e del danno morale subito.
La società Cassa di Risparmio di Firenze, benché regolarmente citata, non si è costituita rimanendo così contumace.
La causa, senza lo svolgimento di alcuna attività istruttoria, è stata trattenuta per la decisione, sulle conclusioni rassegnate dagli attori in conformità all’atto introduttivo del giudizio.
Dalla documentazione prodotta emerge che C. B., il 7 marzo 2001, ha sottoscritto un modulo predisposto dalla società convenuta intestato “Emissione di euro 36.200.000 di titoli di ‘Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A. 26 marzo 2001 / 26 settembre 2001reverse convertibile collegato ad azioni Fiat”, prenotando l’acquisto di ventisei di tali titoli del valore nominale di 1.000 cadauno. 
Analogo modulo hanno sottoscritto, lo stesso 7 marzo 2001, il medesimo C. B., insieme a L. V. e a O. B., prenotando così ulteriori cinquantadue titoli allo stesso valore nominale.
Risulta, inoltre, che la società Cassa di Risparmio di Firenze ha provveduto ad addebitare, verso la fine di marzo del 2001, sui conti correnti degli attori l’esatto controvalore dei titoli acquistati, per euro 26.000, con riferimento al contratto sottoscritto dal solo C. B., e per euro 52.000, con riferimento al contratto concluso anche da L. V. e da O. B..
Infine, risulta che l’istituto bancario convenuto, alla fine di settembre del 2001, ha accredito sul conto corrente intestato a C. B. la somma di euro 16.367,52 e su quello intestato allo stesso C. B., a L. V. e ad O. B. la somma di euro 32.735,04.
Ne consegue, pertanto, che, per effetto degli investimenti in esame, in sei mesi, C. B. ha perso, da solo, la somma di 9.632,47 euro, e, insieme a L. V. e a O. B., la somma di euro 19.264,94.
Dalla lettura del regolamento apposto sul retro dei contratti in questione si ricava che, con la sottoscrizione dei medesimi, gli attori si sono impegnati all’acquisto di una certa quantità di titoli emessi dalla società convenuta. 
Sembra di capire dall’esame non agevole del regolamento che l’istituto di credito convenuto abbia promesso, in ogni caso, alla scadenza dei titoli, al termine di sei mesi, il pagamento di un interesse “pari al 5,80% lordo posticipato sul valore nominale”. Tuttavia, dalla lettura dell’art. 6 dello stesso regolamento, emerge che, “per effetto dell’opzione implicita nell’operazione”, il valore dei titoli sarebbe stato rimborsato sulla base di un calcolo complicato collegato al valore dell’azione Fiat nel periodo indicato. Con la conseguenza che la banca “non garantisce l’integrale rimborso a scadenza del capitale versato”.
Siamo, pertanto, in presenza di una vendita di prodotti finanziari che presentano caratteristiche a metà strada tra le obbligazioni e le azioni, generalmente denominati obbligazioni strutturate. Esse sono chiamate così perché nascono dall’unione di due elementi:
- un titolo a reddito fisso, di durata variabile da pochi mesi a diversi anni, che prevede il pagamento di una cedola periodica o alla scadenza;- un contratto che ne determina la cedola o il valore del capitale a scadenza in funzione dell’andamento del prezzo di uno o più parametri finanziari, come indici o combinazioni di indici di borsa, titoli o portafogli di titoli azionari, fondi comuni, tassi di cambio o materie prime. 
Si tratta, quindi, di titoli obbligazionari il cui rimborso è indicizzato all’andamento dei prezzi di una delle seguenti attività: azioni, panieri di indici e titoli o valute. In parole più semplici, il rendimento delle obbligazioni strutturate non è sicuro fin dall’inizio, ma si determina durante la vita del titolo in base all’andamento in borsa o nei mercati finanziari di alcune azioni o di alcune valute. Tra essi spiccano i titoli denominati “reverse convertible” che, come quelli in esame, garantiscono all’investitore un’alta cedola, ma anche loro sono legati ad un’azione sottostante. Se durante la vita dell’obbligazione il prezzo dell’azione sottostante scende oltre una determinata soglia, alla scadenza del reverse convertibile l’investitore viene rimborsato in modo un po’ particolare. Non gli viene, infatti, consegnato il capitale iniziale che aveva investito, come succede per una normale obbligazione, ma un determinato numero delle azioni sottostanti o il controvalore di esse, determinato secondo particolari calcoli. In questo modo, quindi, ciò che il risparmiatore guadagna con l’alta cedola può perderlo al momento del rimborso. 
La sottoscrizione dei titoli in questione richiede, pertanto, un’attenta valutazione e ponderazione di questi fattori e presuppone una notevole competenza in materia essendo espressamente esclusa la possibilità di rimborso anticipato. Con questi prodotti si rischia, infatti, di rimetterci in termini di mancato guadagno se portati a scadenza. Per sottoscriverli occorre, quindi, conoscere molto bene la situazione sottostante attraverso il puntuale rispetto da parte degli istituti bancari degli obblighi informativi dettati dalla legge. 
Ciò premesso, va rilevato che la condotta della società convenuta al momento della conclusione dei due contratti in esame è stata illegittima sotto vari aspetti. 
È, infatti, pacifico che la società Cassa di Risparmio di Firenze ha agito in una situazione di conflitto di interessi. Ciò risulta espressamente indicato in entrambi i contratti in questione, laddove si legge la dichiarazione del cliente che “prende atto che la Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A. si trova, con riferimento alla presente operazione, in una situazione di conflitto di interessi, essendo contemporaneamente banca emittente e collocatrice dei titoli in oggetto”.
Ne consegue, pertanto, che, ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo n° 58 del 24 febbraio 1998, la banca convenuta doveva organizzarsi in modo tale da assicurare ai clienti trasparenza nelle condizioni contrattuali. Nel caso in esame l’obbligo di trasparenza non risulta in alcun modo dai contratti sottoscritti da parte attrice. 
Al contrario la disciplina del contratto è riportata solamente nel regolamento posto sul retro del documento e scritto in caratteri minuti. Esso, inoltre, si presenta per numerose clausole di difficile lettura e interpretazione. In particolare le difficoltà si appuntano proprio nella ricognizione della disciplina dettata dall’art. 6, laddove si parla di “rimborso e scadenza”. 
La lettura di tale clausola non consente un’immediata percezione della sistema di rimborso. Mentre l’art. 5 indica chiaramente l’alto tasso di interesse promesso, così allettando subito il cliente, l’art. 6 non offre pari chiarezza. Da una prima lettura sembra quasi di capire che l’ipotesi normale sia quella del rimborso del valore del titolo “alla pari”, consentendo così all’utente di fruire per intero dell’alto tasso di interesse. Un esame più approfondito consente tuttavia di capire che ciò non avviene quasi mai “per effetto dell’opzione implicita nell’operazione”, formula davvero oscura, destinata quasi a suggerire che ciò non avvenga solo nel caso in cui le parti si mettano d’accordo per una disciplina diversa.
Ma anche volendo prescindere da tali espressioni occorre rilevare che la determinazione della somma da rimborsare alla scadenza del titolo richiede anche una certa capacità matematica. Si legge infatti nella clausola in esame che sarà rimborsato “un importo pari al valore nominale moltiplicato per ‘Valore di Riferimento Finale’ diviso il ‘Valore di Riferimento Iniziale’ arrotondato al secondo centesimo di euro”. Sembra di capire, peraltro, che ciò non accada sempre e che, in particolare, ciò non accada quando il valore di riferimento finale sia superiore al valore di riferimento iniziale e non sia mai stato superiore nel corso del rapporto.
Le clausole contrattuali dovrebbero sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile, l’equivocità e la non trasparenza della clausola è essa stessa fonte di squilibrio tra le parti e di iniquità sostanziale, nella misura in cui contribuisce ad aggravare l’asimmetria informativa già presente nei contratti di adesione.
Va, inoltre, rilevato che l’art. 27 del regolamento del Consob (n° 11522 del 1° luglio 1998) prevede l’impossibilità di effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi o da altri rapporti di affari propri o di società del gruppo, a meno che non abbiano preventivamente informato per iscritto l’investitore sulla natura e l’estensione del loro interesse nell’operazione e l’investitore non abbia acconsentito espressamente per iscritto all’effettuazione dell’operazione.
Nel caso in esame non vi è stata informazione preventiva sulla natura e l’estensione del loro interesse nell’operazione, ma solo un avviso generico in ordine all’esistenza del conflitto di interesse in questione.
Stabilisce l’articolo 21 del decreto legislativo n° 58 del 1998 che, nella prestazione dei servizi di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati.
L’articolo 28 del regolamento della Consob (n° 11522 del 1° luglio 1998) chiarisce che, prima di iniziare la prestazione dei servizi di investimento, gli intermediari autorizzati devono chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonchè circa la sua propensione al rischio e devono consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari. La stessa norma, al secondo comma, chiarisce che gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento.
Il successivo art. 29 prevede che gli intermediari autorizzati si debbano astenere dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione.
I criteri generali, contenuti nella normativa in esame, concretano dei canoni di comportamento immediatamente precettivi, anche a prescindere dalla loro sussunzione e specificazione in norme regolamentari.
È opinione ormai consolidata quella che individua nei regolamenti della Consob, non solo un’espressione di potestà ontologicamente normativa, ma anche una fonte idonea ad incidere con modalità particolarmente incisive sulla sfera giuridica soggettiva dei destinatari delle norme.
Si tratta, insomma, di disposizioni costitutive di diritto, che vanno ad integrare l’ordinamento giuridico generale, a condizionare l’autonomia negoziale, ad incidere sui rapporti interprivati, a costituire un parametro generale ed astratto della validità degli atti e dei comportamenti realizzati dagli operatori del mercato. 
Prescindendo dal problema della collocazione nella sistematica delle fonti e dall’esito della risoluzione di eventuali antinomie, insomma, l’efficacia esterna delle norme prodotte dalla Consob nell’esercizio della sua potestà regolamentare non differisce, in quanto ad effetti prodotti sull’agire dei privati, dalle norme che derivano dall’ermeneusi di una legge o di un regolamento governativo. 
Tali regole sono, insomma, parte integrante dell’ordinamento generale: salva l’eventuale illegittimità della disposizione che le prevede o la loro natura indipendente, nulla osta a che simili norme possano costituire fonte di invalidità o di inefficacia di un negozio giuridico, ovvero fattispecie astratta con cui confrontare un comportamento colpevole o doloso ad esse contrario e in relazione alla quale stabilire la responsabilità del suo autore.
Ad eguale conclusione si perverebbe anche qualora si volesse addirittura escludere l’efficacia dei regolamenti della Consob sui rapporti interprivati. Secondo questa posizione, infatti, la violazione degli obblighi sanciti dai “provvedimenti” della Consob comporterebbe, ex se, le sole conseguenze interdittive e sanzionatorie. La mancata ottemperanza ad obblighi e divieti sanciti in via regolamentare determinerebbe, in ogni caso, effetti indiretti sui rapporti negoziali posti tra privati: sarebbe comunque sufficiente ad integrare la colpa inerente al neminem laedere, a determinare un’inversione dell’onere della prova nell’ambito della responsabilità contrattuale ed a provocare la nullità di contratti per assenza di elementi essenziali prestabiliti per via di fonte primaria. 
Il concetto di diligenza, si riferisce, naturalmente, non alla generica diligenza buon padre di famiglia, bensì alla diligenza del buon professionista, particolarmente qualificata.
Nel caso in esame non risulta affatto che la società Cassa di Risparmio di Firenze abbia preventivamente richiesto agl’investitori notizie circa la loro esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la loro situazione finanziaria, i loro obiettivi di investimento, nonchè circa la loro propensione al rischio.
Non risulta che la banca convenuta abbia consegnato agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari. Va, peraltro, ricordato che tale informativa non può essere generica, ma deve essere il più possibile particolareggiata ed attagliata allo specifico investimento.
Non si può ritenere che il rispetto dell’obbligo di trasparenza si esaurisca nella consegna di un contratto (spesso scritti con caratteri minuscoli); di un prospetto informativo, inerente agli strumenti finanziari offerti; o dalla preliminare consegna del documento Consob sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari.
Non si può presumere che sia pienamente consapevole l’investitore, cui l’intermediario ha consegnato i suddetti documenti e questi non deve ritenere che il mero rispetto dell’obbligo in questione renda il cliente capace di tutelare da sé il proprio interesse e di assumersi i rischi dell’investimento compiuto.
Invero, l’intermediario deve comunque assicurare all’investitore la propria assistenza e la propria guida nella scelta delle operazioni da compiere, anche al di là delle asettiche e standardizzate informazioni riportate nel documento.
La “conoscenza” deve essere una conoscenza effettiva ed anche alla luce del dettato dell’art. 82, comma 3, del Regolamento Consob, l’intermediario (o il promotore) deve verificare che il cliente abbia compreso le caratteristiche essenziali dell’operazione proposta, non solo con riguardo ai relativi costi e rischi patrimoniali, ma anche con riferimento alla sua adeguatezza in rapporto alla situazione dell’investitore. 
L’art. 23 del decreto legislativo n° 58 del 1998, al sesto comma, specifica che, nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta. 
Nel caso in esame, invece, la società Cassa di Risparmio di Firenze è rimasta contumace e non ha fornito, pertanto, alcuna dimostrazione di avere adottato nella conclusione e nell’esecuzione dei contratti per cui è causa la necessaria diligenza, secondo le norme sopra illustrate.
Rileva il giudicante che la normativa sopra richiamata è posta a tutela dell’ordine pubblico economico e, dunque, si sostanzia in norme imperative, la cui violazione impone la reazione dell’ordinamento attraverso il rimedio della nullità del contratto, anche a prescindere da un’espressa previsione in tal senso da parte del legislatore ordinario.
Questo principio è stato sancito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 7 marzo 2001 n. 3272), secondo cui “in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di un’espressa sanzione di nullità, non è rilevante ai fini della nullità dell’atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce l’art. 1418, comma 1, c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità”.
Pertanto, un contratto di investimento, concluso senza l’osservanza delle regole di condotta dettate dalla normativa richiamata, deve essere dichiarato nullo, perché contrario all’esigenza di trasparenza dei servizi finanziari che è esigenza di ordine pubblico.
Va, quindi, dichiarata la nullità dei contratti sottoscritti il 7 marzo 2001 da C. B., da O. B. e da L. V. e la società Cassa di Risparmio di Firenze va condannata alla restituzione delle somme illegittimamente ricevute. 
Ne consegue, pertanto, che la società convenuta va condannata a pagare a C. B. la somma di 9.632,47 euro, e, allo stesso C. B., a L. V. e a O. B., la somma di euro 19.264,94 euro, oltre per entrambi i debiti agli interessi nella misura legale con decorrenza dal 6 giugno 2002, dovendosi presumere la buona fede dell’accipiens. Anche nell’ipotesi di specie trova applicazione il principio per cui la buona fede si presume in difetto di specifiche prove contrarie e può ritenersi esclusa solo dalla prova della consapevolezza, da parte dello stesso accipiens dell’inesistenza di un suo diritto al pagamento effettuato a suo favore.
Stabilisce l’art. 2059 c.c. che il danno non patrimoniale può essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge. Ai sensi dell’art 185 c.p. chi commette un reato deve risarcire anche il danno non patrimoniale che abbia arrecato al soggetto offeso. Pertanto il risarcimento del danno non patrimoniale, salvo ipotesi particolari non oggetto del presente giudizio, può conseguire solo alla commissione di un reato. Il risarcimento dei danni non patrimoniali postula pertanto che la responsabilità dell’autore di un fatto illecito sia affermata in base all’accertamento di un fatto che integri gli estremi di un reato, valutabile "incidenter tantum" dal giudice civile. Nel caso in esame non sussistono gli elementi per poter configura la truffa non essendo stati né dedotti né dimostrati gli artifici o i raggiri che avrebbe impiegato l’istituto bancario convenuto per convincere gli attori alla stipula del contratto. 

In applicazione del principio stabilito dall’art. 91 c.p.c. la società Cassa di Risparmio di Firenze va condannata anche al rimborso delle spese processuali che, tenuto conto della natura e del valore della controversia, dell’importanza e del numero delle questioni trattate e all’attività svolta dal difensore innanzi al giudice, si liquidano in complessivi euro 8.469,52, oltre all’I.V.A. e al C.P.A., di cui euro 1.569,64 per diritti ed euro 5.842,76 per onorario, euro 741,24 quale rimborso forfetario sulle spese generali e infine euro 315,88 quali spese effettivamente sostenute.


per questi motivi


Il Tribunale, definitivamente decidendo, condanna la società Cassa di Risparmio di Firenze a pagare a C. B. la somma di 9.632,47 euro, e, allo stesso C. B., a L. V. e a O. B., la somma di euro 19.264,94 euro, oltre per entrambi i debiti agli interessi nella misura legale con decorrenza dal 6 giugno 2002 ed al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi euro 8.469,52, oltre all’I.V.A. e al C.P.A.

 

Così deciso il 30 maggio 2004 in Firenze.