Codice della Crisi e dell'Insolvenza
TITOLO VIII
Liquidazione giudiziale e misure cautelari penali
Liquidazione giudiziale e misure cautelari penali
Art. 321
Liquidazione coatta amministrativa e misure di prevenzione
Testo a fronte
TESTO A FRONTE
1. Le disposizioni che precedono si applicano in quanto compatibili alla liquidazione coatta amministrativa.
Relazione illustrativa
Le disposizioni trovano applicazione anche nel caso di liquidazione coatta amministrativa.
Il titolo IX è dedicato alle disposizioni penali ed è distinto in cinque capi.
L’art. 2 della legge di delega in relazione alle disposizioni penali si limita a prevedere di: «a) sostituire il termine «fallimento» e i suoi derivati con l’espressione «liquidazione giudiziale», adeguando dal punto di vista lessicale anche le relative disposizioni penali, ferma restando la continuità delle fattispecie criminose».
La legge di delega esclude, quindi, la bancarotta dal campo di intervento del decreto attuativo; per quanto si sia in presenza di una rivisitazione generale della materia cui è sotteso un diverso modo di porsi del legislatore di fronte al fenomeno dell’insolvenza, manca ogni indicazione volta alla riformulazione delle disposizioni incriminatrici della legge fallimentare Gli articoli che compongono i capi in cui è suddiviso il titolo in esame contengono, pertanto, le norme penali incriminatrici in materia di: reati commessi dall’imprenditore in liquidazione giudiziale (capo I); da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale (capo II); le disposizioni applicabili nel caso di concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani attestati e liquidazione coatta amministrativa (capo III); reati commessi nelle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento e reati commessi nella procedura di composizione della crisi (capo IV); le disposizioni di procedura (capo V).
Salvo quanto si precisa con riguardo alle condotte descritte al capo IV (articoli 344 e 345), si tratta di norme che riproducono sul piano delle condotte incriminate le corrispondenti previsioni della legge fallimentare. Le norme in esame sono riscritte, quindi, sostituendo al termine "fallimento" quello di "liquidazione giudiziale" e al termine "fallito" quello di "imprenditore in liquidazione giudiziale"; al contempo si è proceduto a innovare i rinvii ai singoli articoli che regolano i corrispondenti istituti della legge fallimentare.
Le norme penali in parola troveranno applicazione, dunque, nei riguardi dell’imprenditore "se è dichiarato in liquidazione giudiziale", esclusivamente con riguardo alle condotte realizzate successivamente all’entrata in vigore del presente decreto legislativo.
Non si è inteso operare, come si è ampiamente illustrato, l’abrogazione delle corrispondenti norme penali dettate nella legge fallimentare, stante la persistente applicazione alle procedure in essere al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo di quel complesso normativo (art.390 dello schema di decreto).
Pertanto ai fatti commessi dall’imprenditore dichiarato fallito anteriormente all’entrata in vigore della riforma si applicheranno le disposizioni vigenti recate dagli articoli 216 e seguenti della legge fallimentare. Tali disposizioni sono naturalmente destinate ad esaurire la loro efficacia nel tempo, quando saranno definite le relative procedure secondo la previgente normativa, producendosi per questa via la loro abrogazione implicita.
In questa prospettiva è garantita di fatto continuità normativa, non contenendo la delega disposizioni che autorizzassero modifiche di natura sostanziale al trattamento penale riservato alle condotte di bancarotta e alle altre condotte contemplate oggi dal titolo sesto della legge fallimentare. Né la mera sostituzione terminologica cui fa riferimento l’articolo 2 della legge di delega avrebbe potuto investire le norme del regio decreto del 1942, una volta che si è giustificata l’opzione di adottare ex novo il codice dell’insolvenza.
Le norme penali recate dai due corpi normativi sono destinate quindi a coesistere fintanto che troverà applicazione la disciplina previgente in relazione a dichiarazioni di fallimento anteriori all’entrata in vigore delle nuove norme del codice o le cui procedure siano pendenti alla medesima data. Gli articoli da 322 a 328 di cui al capo III corrispondono pertanto, nel senso sopra precisato, agli articoli da 216 a 222 del r.d. 16 marzo 1942, n.267 e puniscono allo stesso modo le condotte del fallito e dell’imprenditore in liquidazione giudiziale. Tra le esenzioni dai reati di bancarotta, recependo una delle condizioni poste dalla Commissione Giustizia della Camera, vi è anche l’ipotesi in cui un pagamento o un’operazione di finanziamento sia stata autorizzata, ai sensi dell’art. 99, prima dell’omologazione del concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione. Analogamente gli articoli 329-340 riproducono gli articoli 223-234 della legge fallimentare. Rispetto all’attuale art. 236-bis è stata meglio precisata la condotta incriminata, specificando il contenuto delle informazioni rilevanti la cui omissione costituisce reato.
L’art. 341 corrisponde all’art. 236 della legge fallimentare. Accogliendo un’osservazione della Commissione Giustizia della Camera, la disposizione prevede che, oltre che nel caso di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa o di convenzione di moratoria, le disposizioni previste al comma 2, lettere a), b) e d) si applichino anche nel caso di omologazione di accordi di ristrutturazione ai sensi dell’art.48, comma 5. E’ evidente, infatti, che l’ipotesi di un accordo omologato in assenza della necessaria maggioranza (e dunque imposto ad un creditore non aderente) costituisce ipotesi sovrapponibile all’ipotesi degli accordi ad efficacia estesa.
Non trovano ingresso nel nuovo codice le disposizioni dell’art. 235 della legge fallimentare in materia di omessa trasmissione dell’elenco dei protesti cambiari, il cui presupposto (l’obbligo di trasmissione dei protesti levati) è abrogato da tempo. Il testo integrale della Relazione illustrativa