CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 29/12/2015 Scarica PDF
Prime riflessioni in tema di accordi di ristrutturazione del debito ex art. 182-septies fra ragioni creditorie e principio consensualistico
Caterina Luisa Appio, Professore associato di diritto commerciale presso l’Università LUM Jean Monnet - BariSommario - 1. Premesse - 2. La discussa natura giuridica degli accordi di ristrutturazione. Le ragioni del dibattito - 3. Le deroghe al principio consensualistico consentite dall'art. 182-septies l. fall. - 4. (Segue). Le modalità di raccolta del consenso dei creditori. 5. (Segue). Il diritto di partecipazione informata alle trattativa assicurato ai creditori. - 6. Le "categorie" dei creditori. - 7. Il perimetro soggettivo di applicazione dell'estensione degli effetti esdebitatori. La nozione di creditore non aderente - 8. (Segue). Il perimetro oggettivo - 9. Il diverso ruolo assegnato al giudice dell'omologazione. Le ragioni sottese alla necessità di un controllo di merito. La possibilità di omologare l'accordo senza estenderne gli effetti ai creditori bancari e/o finanziari non aderenti.
1. Premesse
Come è noto, l'istituto disciplinato dall'art. 182-bis l. fall. è parte di un
disegno di politica legislativa connotato dal riconoscimento di un ruolo di
marcato impulso, nella risoluzione della crisi d'impresa, alla valorizzazione
dell'autonomia negoziale dei soggetti coinvolti. A questi ultimi è attribuita
la facoltà di individuare mezzi, tempi e modalità più idonei alla composizione
della crisi e, quindi, di delineare l'assetto degli interessi e l'equilibrio
delle posizioni giuridiche ritenuti più adatti ed efficaci, riservando
all'intervento giudiziale un compito meramente "omologatorio".
Tuttavia, all'indomani della riforma, fu subito evidente che gli interessi
protetti dal sistema non potevano essere diversi rispetto a quelli sottesi alla
previgente disciplina: anche gli accordi di ristrutturazione, difatti, si
fondano sul consenso dei creditori e devono perseguire, in via prioritaria,
proprio gli interessi di questi ultimi. Ciò che muta è lo strumentario che vede
crescere il ruolo dell'autonomia privata a scapito di quello dell'autorità
giudiziaria.
Né sembra di poter trarre argomento in favore di una diversa conclusione dalle
novità - pur se evidentemente ispirate dal favor debitoris - introdotte dalla
successiva riforma del 2012: le soluzioni negoziali della crisi di impresa
continuano a snodarsi lungo un percorso che si propone quale fine prioritario
il soddisfacimento dei creditori e, in vista dell'interesse di questi ultimi,
impone di ricorrere, ove possibile, a misure funzionali a preservare la
continuità aziendale dell'impresa in crisi, qualora si intenda proseguire
l'attività, o a cedere l'azienda in esercizio.
Il proposito del legislatore è, naturalmente, quello di favorire la conclusione
di accordi che realizzino in modo efficace ed efficiente la composizione della
crisi: il che presuppone, tra l'altro, che l'autonomia negoziale possa essere
esercitata in modo tempestivo e possa optare per le soluzioni più varie senza
incontrare vincoli contenutistici di tipo imperativo; ma nel contempo che i
relativi negozi siano trasparenti, affinché possa scaturirne una serie di
effetti protettivi: da quelli immediati a favore del debitore (da porre al
riparo da eventuali azioni esecutive individuali di singoli creditori) a quelli
successivi a favore dei creditori coinvolti nell'esecuzione del piano oggetto
dell'accordo, nell'ipotesi in cui lo stesso non dovesse consentire di evitare
la dichiarazione di fallimento.
Nonostante gli sforzi compiuti dal legislatore per migliorare lo strumento di
cui all'art. 182-bis rendendolo più agevole per l'imprenditore in crisi e più
appetibile per i creditori, dalla prassi dell'ultimo decennio è tuttavia emerso
che uno dei fattori che hanno contribuito al mancato decollo dell'istituto e
che hanno indotto il debitore in crisi a preferire il ricorso al concordato
preventivo è stato il dissenso opportunistico dei creditori bancari, i quali,
per carenza di interesse alla ristrutturazione proposta dal debitore, hanno
spesso preferito far naufragare la ristrutturazione prospettata dal debitore
piuttosto che acconsentire ad una rimodulazione del debito e/o a un
rifinanziamento dell'attività di impresa.
Ed è proprio in questo contesto che si inserisce la nuova disciplina contenuta
nell'art. 182-septies, introdotta dal d.l. n. 83/2015, a mente del quale, ove
almeno la metà del debito complessivo dell'impresa faccia capo a banche e
intermediari finanziari e il debitore proceda alla suddivisione di tali
creditori in categorie, l'imprenditore può richiedere al Tribunale che gli
effetti dell'accordo siano estesi ai creditori dissenzienti della categoria, a
patto che le condizioni ivi previste incontrino l'assenso del 75% dei
creditori.
Più in dettaglio, l'art. 182-septies consegna nelle mani del debitore in crisi
uno strumento che gli consente di superare il dissenso dei creditori, a patto
che:
a. l'ammontare dei debiti nella misura di almeno il 50% sia nei confronti di
banche e intermediari finanziari;
b. nell'accordo sia prevista una suddivisione dei creditori in categorie,
strutturate secondo i noti criteri della posizione giuridica e degli interessi
economici omogenei;
c. i creditori facenti parte di ciascuna categoria siano stati informati
dell'avvio delle trattative e posti in condizione di partecipare alle stesse in
buona fede;
d. il Tribunale, previa verifica della sussistenza delle condizioni fissate
nella norma, acconsenta all'estensione degli effetti dell'accordo ai creditori
dissenzienti (1).
Non vi è dubbio che la possibilità di suddividere in categorie i creditori,
unitamente all'estensione a quelli dissenzienti (di matrice bancaria e/o
finanziaria) degli effetti delle condizioni di ristrutturazione previste per la
categoria di appartenenza, rappresenterà un incentivo per il debitore a far
ricorso allo strumento degli accordi di ristrutturazione e un deterrente per il
creditore bancario e/o finanziario che preferisce far naufragare lo strumento
di negoziazione prescelto dall'imprenditore insolvente verso la gestione
fallimentare della crisi con costi più elevati e con tempi di risoluzione
sicuramente più lunghi. Non a caso, difatti, con riferimento al concordato
preventivo, l'analoga facoltà concessa al debitore di suddividere i creditori
in classi è stata considerata uno strumento diretto proprio a sovrastare la
resistenza opportunistica di alcuni creditori (2).
2. La discussa natura giuridica degli accordi di ristrutturazione. Le ragioni
del dibattito
Prima di analizzare nel dettaglio la disciplina contenuta nell'art.
182-septies, non ci si può esimere dall'evidenziare che la nuova disposizione
offre senza dubbio altri spunti per l'annoso dibattito sorto in dottrina sulla
natura contrattuale o negoziale/concorsuale degli accordi di ristrutturazione
del debito. Occorre, pertanto, verificare innanzitutto se le deroghe alla
disciplina di cui all'art. 182-bis consentite dall'art. 182-septies
rappresentino una ragione sufficiente per collocare l'istituto ivi disciplinato
nell'alveo delle procedure concorsuali (3).
Come è noto, la questione relativa alla natura degli accordi di
ristrutturazione si è posta in maniera stringente a seguito dell'emanazione del
d.l. n. 83/2012, a cui si deve l'introduzione dell'art. 182-quinques, che, al
comma 8, consente al debitore di chiedere al tribunale di essere autorizzato ad
effettuare pagamenti in favore dei creditori anteriori al deposito dell'accordo
o dell'istanza di sospensione. Detta disposizione poteva lasciar supporre che,
anche con riferimento agli accordi di ristrutturazione, si fosse inteso attuare
una sorta di spossessamento del debitore, offrendo così nuovi argomenti a
sostegno della tesi secondo la quale l'istituto di cui all'art. 182-bis
presenterebbe i tratti caratteristici di una procedura concorsuale ed in
particolare di un concordato preventivo semplificato.
Orbene, già allora a questa opinione fu opposto (4) che tutte le volte in cui
il legislatore ha inteso imprimere un vincolo di destinazione sul patrimonio
dell'imprenditore insolvente, sottraendogli in tutto o in parte
l'amministrazione e il potere di disposizione dei suoi beni, esso è stato
sempre accompagnato dalla nomina di un organo tecnico con poteri sostitutivi
(curatore) o di controllo del debitore (commissario giudiziale) Ciò, invece,
non è avvenuto per la fattispecie contemplata dall'art. 182-quinques che, non
prevedendo la nomina di un organo al quale siano affidate funzioni gestorie o
di vigilanza, risulta carente di uno dei connotati peculiari delle procedure
concorsuali: la presenza di un soggetto che (quanto meno) si affianchi
all'imprenditore nella gestione del patrimonio. Né, per questo aspetto, la
situazione è mutata per quel che concerne la disciplina degli accordi
contemplati nell'art. 182-septies, con riferimento ai quali le deroghe
apportate alla disciplina generale di cui all'art. 182-bis investono profili
civilistici afferenti il principio della relatività del contratto e non anche
quelli, di natura squisitamente concorsuale, concernenti a perdita totale o
parziale della disponibilità del proprio patrimonio da parte del debitore insolvente.
In questa prospettiva, occorre pertanto verificare se l'estensione degli
effetti dell'accordo ai creditori non aderenti possa ritenersi ragione
sufficiente a poter considerare compiuto il processo di
"concorsualizzazione" degli accordi, come già dai primi commenti
sembrerebbe potersi ricavare (5).
3. Le deroghe al principio consensualistico consentite dall'art. 182-septies
In contrapposizione alla tesi che sostiene che, in virtù delle deroghe
apportate dall'art. 182-septies al regime ordinario degli accordi di
ristrutturazione, questi ultimi abbiano definitivamente acquisito natura
concorsuale, si deve, preliminarmente, osservare che la nuova disposizione
specifica che la disciplina ivi prevista - ovvero ed in particolare l'effetto
esdebitatorio nei confronti dei creditori (bancari e finanziari) dissenzienti -
opera in deroga agli articoli 1372 e 1411 del codice civile. Tali disposizioni,
come è noto, sanciscono, la prima, l'efficacia inter partes dell'accordo
raggiunto fra le parti aderenti; la seconda, la facoltà concessa ai contraenti
di estendere gli effetti del negozio a favore di un terzo, a condizione che
quest'ultimo dichiari di volerne profittare.
Orbene, il richiamo alle disposizioni civilistiche in tema di relatività del
contratto costituisce un forte elemento letterale a sostegno della
conservazione della natura contrattuale degli accordi di ristrutturazione anche
se stipulati ai sensi dell'art. 182-septies, Detto richiamo, difatti, esplicita
l'intento di specificare che, con l'estensione degli effetti anche nei
confronti dei creditori dissenzienti, non si è inteso snaturare l'istituto, che
continua a dover essere qualificato come un contratto fra il debitore e una
parte dei creditori, con la precisazione che si è voluto derogare agli effetti
"tipici" del rapporto contrattuale soltanto in presenza di
determinati presupposti.
Se così non fosse poco senso avrebbe la specificazione innanzi richiamata.
Infatti, ove il legislatore avesse inteso grazie (anche) all'art. 182-septies
traghettare l'istituto in esame nell'ambito delle procedure concorsuali
concordatarie, incomprensibile, oltre che inutile, sarebbe il richiamo agli
artt. 1372 e 1411 c.c. Esso, invece, ha senso proprio in quanto assume come
dato di partenza la natura contrattuale degli accordi di ristrutturazione,
financo nel caso in cui ricorrano gli estremi per l'applicazione delle regole
di cui all'art. 182-septies.
4. (Segue). Le modalità di raccolta del consenso dei creditori
Secondo parte della dottrina (6), all'estensione degli effetti dell'accordo ai
creditori dissenzienti corrisponderebbe l'intento di introdurre anche per gli
accordi di ristrutturazione (sia pure nella sola forma di cui all'art.
182-septies) il principio maggioritario.
Si tratta a ben vedere di una conclusione che, per le ragioni qui di seguito
riportate, si ritiene di non poter condividere.
In proposito, si deve preliminarmente sottolineare che nell'art. 182-septies
non sono contemplate deroghe alla disciplina generale di cui all'art. 182-bis,
tanto in ordine al controllo del Tribunale, che resta relegato alla fase
successiva al raggiungimento dell'accordo, quanto in merito alla scelta della
regolamentazione della raccolta dei consensi, che anche in tal caso è nella
sostanza rimessa al debitore.
In dettaglio, anche nell'ipotesi di cui all'art. 182-septies, per un verso,
l'accordo viene portato all'attenzione dell'organo giudicante solo quando vi è
già stata la convergenza della volontà di almeno il 60% del ceto creditorio
(bancario e non) e, per altro verso, non sono dettate regole in ordine alle
modalità attraverso cui il debitore è tenuto a raccogliere le adesioni alla
ristrutturazione. L'unico e diverso obbligo imposto dalla nuova disposizione
all'imprenditore insolvente è quello di comunicare ai creditori l'avvio delle
trattative (e non anche del risultato conseguito dalle stesse), assicurandosi
che costoro siano stati posti in condizione di parteciparvi.
Diverso è nella procedura concordataria, nella quale gli effetti vincolanti per
i creditori dissenzienti, sebbene siano frutto di una decisione assunta a
maggioranza, sono pur sempre preceduti da un controllo del tribunale sulla
ricorrenza dei presupposti per l'ammissione alla procedura e sulla regolarità
della formazione delle classi e conseguono ad un procedimento regolamentato
dalla legge (7) e presidiato da un organo con funzioni gestorie.
Anche con riferimento al computo della maggioranza, l'art. 182-septies pone
regole assolutamente distanti da quelle fissate dal legislatore per il
concordato preventivo. In particolare, come è noto, nel concordato preventivo,
ove siano previste classi, l'intesa concordataria deve essere approvata dalla
maggioranza dei crediti ammessi al voto e, se i creditori sono stati suddivisi
in classi, anche dalla maggioranza delle classi; in tal caso l'estensione ai
creditori dissenzienti della ristrutturazione è un effetto automatico
dell'omologazione della procedura, ai sensi dell'art. 184. Diversamente,
nell'ipotesi di cui all'art. 182-septies, l'effetto esdebitatorio nei confronti
dei creditori (bancari e finanziari) non aderenti facenti parte della categoria
può essere richiesto dal debitore, a condizione che l'accordo sia stato accettato
dal 75% dei crediti facenti parte della categoria e sempre che all'intesa
abbiano aderito il 60% dei crediti, compresi quelli che non abbiano natura
bancaria e/o finanziaria.
In questa prospettiva, attese le sostanziali differenze fra i due istituti, non
si può in alcun modo aderire all'idea che negli accordi ex art. 182-septies il
legislatore abbia inteso introdurre il principio di maggioranza proprio del
concordato preventivo. Manca, difatti, nel caso degli accordi di
ristrutturazione un procedimento che regolamenta la raccolta dei consensi dei
creditori ovvero, ed in particolare, un obbligo di convocazione di una adunanza
degli stessi, che costituisce presupposto indefettibile per l'esplicazione del
principio maggioritario (sebbene la maggioranza dei consensi possa essere
raggiunta anche in un momento successivo) e che consente il conseguimento in
via automatica, previo controllo del tribunale, degli effetti ex art. 184 l.
fall. (8).
5. (Segue). Il diritto di partecipazione informata alle trattative assicurato
ai creditori
In ragione dell'estensione degli effetti liberatori anche nei creditori bancari
e finanziari non aderenti, rispetto alla disciplina generale di cui all'art.
182-bis, la nuova disposizione prefigura per costoro un diritto di
partecipazione informata alle trattative e alla cui salvaguardia è poi
improntato il controllo omologatorio del tribunale.
A tal proposito, va senza dubbio richiamata la specificazione contenuta
nell'art. 182-septies, ove è statuito che il debitore, oltre a dover dare
comunicazione ai creditori dell'avvio delle trattative, deve metterli in
condizione di partecipare alle stesse «in buona fede». In altri termini, il
debitore non deve limitarsi a dare notizia dell'inizio delle trattative, ma
deve fare in modo che i creditori interessati possano partecipare attivamente
alla rimodulazione del debito, formulando controproposte e/o manifestando
fattivamente il proprio dissenso (9).
Tuttavia, il diritto di partecipazione informata, innanzi prefigurato, se
astrattamente può rivelarsi funzionalmente fungibile rispetto
all'individuazione di una vera e propria adunanza dei creditori, sconta nel
caso in esame un duplice limite. Esso, difatti, nell'ipotesi de quo, quanto ai
tempi e alle modalità di esercizio è rimesso esclusivamente alle determinazioni
del debitore; quanto al perimetro applicativo è riservato esclusivamente ai
creditori bancari e/o finanziari.
A tale ultimo proposito, non può difatti non tenersi conto della circostanza
che, essendo l'effetto esdebitatorio, ove condiviso dal giudice
dell'omologazione, indirizzato ad una cerchia ristretta di creditori, solo
riguardo a questi ultimi è imposto al debitore l'obbligo di assicurarsi che
possano concretamente partecipare alle trattative.
Analoga soluzione è poi accolta con riferimento all'esercizio dell'opposizione,
consentita ai creditori ai sensi dell'art. 182-bis, comma 4; rispetto ad essa
l'art. 182-septies sostituisce l'iscrizione dell'accordo nel registro delle
imprese con la notifica personale ai creditori bancari e/o finanziari non
aderenti del ricorso, comprensivo della documentazione di cui al comma 1
dell'art. 182-bis, stabilendo che è da tale notifica, e non già dall'iscrizione
dell'accordo nel registro delle imprese, che nel caso di specie decorrono i
trenta giorni per poter proporre la suddetta opposizione (10).
Tale previsione è senza dubbio posta a salvaguardia del diritto dei creditori a
ricevere una completa e tempestiva informazione in merito all'iniziativa
assunta dal debitore. Non a caso, proprio con riferimento alla prescrizione
normativa in tema di pubblicità degli accordi di cui all'art. 182-bis, comma 4,
si è sin da subito rilevato come l'opposizione offerta ai creditori (in special
modo se estranei) non potesse essere considerata uno strumento idoneo a
tutelare gli interessi di questi ultimi, attesi il termine assai circoscritto
per poterla proporre (30 giorni) e il dies a quo per il decorso di detto
termine (iscrizione dell'accordo nel registro delle imprese) (11). Non v'è
ragione di dubitare, pertanto, che far decorrere il termine dei trenta giorni
per proporre opposizione dalla notifica del ricorso, e non già dall'iscrizione
nel registro delle imprese dell'accordo, rafforza la tutela del creditore
dissenziente il quale, grazie alla notifica individuale, verrà con certezza a
conoscenza del contenuto dell'accordo, oltre che della completa situazione
patrimoniale del debitore (12).
Resta, tuttavia, il fatto che, come si è già evidenziato avendo riguardo alle
modalità di svolgimento delle trattative, si tratta ancora una volta di una
tutela assicurata ad alcuni e non a tutti i creditori (non aderenti
all'accordo) e perciò stesso inidonea a configurare un diritto al concorso, in
senso tecnico, di tutti i creditori.
Dalla disciplina innanzi richiamata, emerge poi che a quel diritto di
partecipazione informata spettante ai creditori corrisponde non già un obbligo
del debitore ad assicurarne il relativo esercizio, quanto piuttosto un onere:
difatti, solo se la possibilità di esercitare detto diritto viene garantita ai
creditori (bancari e/o finanziari) il debitore potrà sperare che il tribunale
acconsentirà ad estendere gli effetti esdebitatori nei confronti del ceto
creditorio dissenziente. In caso contrario, come si avrà modo di osservare più avanti,
pur essendo esclusa la vincolatività degli effetti nei confronti dei creditori
non aderenti, il tribunale potrà comunque omologare l'accordo, ove beninteso
ricorrano i presupposti enunciati dall'art. 182-bis.
Qualora si ritenga di poter condividere le conclusioni innanzi prospettate, si
deve convenire che, nel caso degli accordi di ristrutturazione ex art.
182-speties, al diritto di partecipazione informata alle trattative che
l'imprenditore insolvente deve garantire ai creditori (bancari e finanziari) è
correlato un - eventuale - "dissenso consapevole" di questi ultimi ,
atteso, che affinché le regole di ristrutturazione della singola classe possano
essere estese al creditore dissenziente:
a. il debitore deve, in buona fede e preventivamente, aver comunicato a tutti i
creditori l'avvio delle trattative, mettendoli in condizione di partecipare
alle stesse;
b. lo stesso debitore, una volta raggiunto l'accordo, deve notificare il
ricorso ai creditori non aderenti (13), nel quale dovrà essere provata la
sussistenza della convenienza (per il creditore dissenziente) delle condizioni
previste nell'accordo rispetto alle alternative concretamente praticabili (14);
c. una volta ricevuta la notifica del ricorso, il creditore, ove dovesse
continuare a ritenere fondato il proprio dissenso, ha a disposizione, nei
trenta giorni successivi alla notifica, lo strumento dell'opposizione che, ove
accolta, lo sottrarrà agli effetti dell'accordo al creditore opponente (15).
6. Le "categorie" dei creditori
A mente dell'art. 182-septies, comma 2, spetta al debitore che intenda
avvalersi dell'effetto esdebitatorio ivi sancito individuare una o più
categorie tra i creditori (bancari e finanziari) che abbiano fra loro posizione
giuridica e interessi economici omogenei.
A tal proposito deve in limine rilevarsi che la diversa scelta lessicale
utilizzata nell'art. 182-septies rispetto a quella adoperata in tema di
concordato preventivo, ove il raggruppamento dei creditori è in
"classi" e non come nel caso de quo in "categorie",
potrebbe non essere casuale. In particolare, non si può escludere che
l'utilizzo di un diverso sostantivo sia legato all'esigenza di creare un
discrimen rispetto al concordato, atteso che nell'ipotesi di cui all'art.
182-septies, la suddivisione dei creditori involge solo i creditori bancari e/o
finanziari (16). Diversamente, nel concordato la suddivisione ipotizzata
dall'art. 160 l. fall. potenzialmente coinvolge tutti i creditori, siano essi
banche e/o fornitori. E questo in quanto solo con l'intesa concordataria
omologata l'effetto liberatorio dalla stessa scaturente coinvolge l'intera
massa creditoria dissenziente.
Nell'art. 182-septies, comma 2, invece, la suddivisione dei creditori in
categorie è circoscritta solo ai creditori bancari e finanziari, atteso che
solo per questi ultimi, se dissenzienti, l'imprenditore insolvente chiede
l'estensione degli effetti esdebitatori. Non è un caso, d'altra parte, che,
come si è efficacemente affermato (17), non si possa escludere che il debitore
addivenga alla formazione delle categorie solo al momento della stipulazione
dell'accordo definitivo (e non già nel corso dello svolgimento delle
trattative), ovvero nel momento in cui si palesa la necessità di dover
estendere gli effetti dell'accordo raggiunto al creditore bancario
dissenziente.
Differente è altresì la funzione sottesa alla suddivisione imposta dalla norma.
Nel caso in esame, difatti, diversamente da quanto si verifica in seno alla
procedura concordataria, l'individuazione delle categorie rappresenta lo
strumento contrattuale per derogare al principio dell'unanimità dei consensi.
Questo spiega perché, in tale ipotesi, il legislatore, pur richiamando i
criteri di suddivisione delle classi previsti per il concordato - posizioni
giuridiche e interessi economici omogenei - non si è premurato di specificare
altresì che un trattamento differenziato può essere previsto esclusivamente fra
creditori che appartengono a classi diverse.
Detta specificazione è difatti diretta a ripristinare il principio della par
condicio creditorum a cui la suddivisione in classi evidentemente deroga (18);
di talché, analoga indicazione sarebbe stata ultronea con riferimento agli
accordi di ristrutturazione per i quali, in ossequio alla natura contrattuale
dell'istituto, il principio della parità di trattamento non opera.
Deve in altre parole constatarsi che, nel concordato preventivo, l'aver
circoscritto la possibilità di contemplare modalità di soddisfo differenti
delle proprie ragioni creditorie solo fra creditori appartenenti a classi
diverse è regola posta in ossequio al principio della parità di trattamento,
che governa le procedure concorsuali, e che, per tale motivo, non ha ragion
d'essere con riferimento agli accordi di ristrutturazione che evidentemente
continuano ad essere strumento contrattuale di risoluzione della crisi
d'impresa.
7. Il perimetro soggettivo di applicazione dell'estensione degli effetti
esdebitatori. La nozione di creditore non aderente
Fra i dubbi interpretativi che la disposizione di nuovo conio solleva vi è
quello relativo al perimetro soggettivo dell'estensione dell'efficacia
esdebitatoria. In particolare, l'art. 182-septies, comma 2, stabilisce che il
debitore, depositando il ricorso per l'omologazione dell'accordo transattivo,
può chiedere che gli effetti dell'accordo vengano estesi anche ai creditori
(bancari e/o finanziari) non aderenti, a condizione che a detto accordo abbia
aderito almeno il 75% della categoria.
Occorre in particolare domandarsi se per creditori non aderenti debbano essere
intesi genericamente tutti i creditori (bancari e finanziari) rimasti estranei
all'accordo o solo coloro che abbiano manifestato il proprio dissenso.
La questione potrebbe apparire di scarso interesse, atteso che si potrebbe
ritenere che il legislatore non abbia ritenuto necessario delimitare la
categoria ai dissenzienti sul presupposto che i creditori bancari e/o
finanziari difficilmente restano inerti a fronte della trasmissione di una
proposta di rimodulazione del proprio credito.
Non può nel contempo sottacersi che la questione può assumere rilevanza anche e
soprattutto se letta alla luce delle modifiche apportate all'art. 178, in tema
di adesioni alla proposta concordataria, nel quale, a seguito della riforma del
2015, è stato ripristinato il metodo del consenso esplicito; con la conseguenza
che, ai fini del computo della maggioranza richiesta per l'approvazione del
concordato, non si potrà più tener conto di quei creditori che non hanno
esercitato il diritto di voto.
Orbene, ove con riferimento agli accordi di ristrutturazione si ritenessero non
aderenti solo coloro che, partecipando alle trattative abbiano manifestato
esplicitamente il proprio dissenso, resterebbe da comprendere dove collocare i
creditori rimasti estranei ad esse. In questa prospettiva, d'obbligo sarebbe
altresì domandarsi se la mancata manifestazione di dissenso sia da considerarsi
come implicito consenso anche ai fini del raggiungimento del 75%, che, come
innanzi evidenziato, è condizione necessaria per poter chiedere l'estensione dell'efficacia
dell'accordo anche ai dissenzienti appartenenti alla categoria.
Se, invece, si ritenessero ricompresi nell'alveo dei creditori non aderenti
anche coloro che non hanno partecipato alle trattative e comunque non hanno
manifestato alcuna volontà in ordine alla ristrutturazione prospettata dal
debitore, ne deriverebbe un'automatica esclusione di costoro nel computo per il
raggiungimento dell'aliquota del 75% dapprima richiamata.
A ben vedere, stando alla formulazione letterale della disposizione in esame,
nella quale il riferimento è genericamente ai creditori non aderenti e nel
silenzio del legislatore in ordine alla collocazione giuridica degli astenuti,
si deve convenire che questi ultimi non possono essere equiparati ai creditori
consenzienti.
In particolare, in assenza di una disposizione che, come quella in precedenza
contenuta nella disciplina della procedura concordataria, espressamente
contempli il principio del silenzio-assenso, tale equiparazione non può
ritenersi implicitamente contemplata dalla disposizione in commento,
considerata la matrice contrattuale dell'istituto ivi disciplinato: al silenzio
della controparte non può, pertanto, essere attribuito il significato di
implicito consenso alla proposta.
L'interpretazione accolta è altresì in linea con la modifica apportata all'art.
182-septies in sede di conversione del d.l. 83/2015. Nella formulazione
originaria, la disposizione de quo stabiliva che i creditori non aderenti
all'accordo, con riferimento ai quali veniva richiesta l'estensione degli
effetti esdebitatori, avrebbero dovuto essere considerati aderenti all'accordo
medesimo ai fini del raggiungimento della soglia generale del 60% richiesta dal
comma 1 dell'art. 182-bis. In sede di conversione, tale inciso è caduto; di
talché, nel calcolo della soglia del 60% si deve tener conto solo dei creditori
(bancari e non) che hanno aderito all'accordo e non anche di coloro ai quali ne
viene estesa ex lege l'efficacia.
Le ragioni sottese a tale eliminazione, presumibilmente legate al difetto di
costituzionalità a cui una simile previsione si sarebbe senz'altro esposta
(19), devono essere invocate (a maggior ragione) con riferimento al calcolo
della soglia del 75%, che rappresenta uno dei presupposti per l'estensione
dell'efficacia ai dissenzienti.
8. (Segue). Il perimetro oggettivo
Se dunque i creditori (bancari e finanziari) dissenzienti (rectius: non
aderenti) all'accordo ne subiscono gli effetti, ma nel contempo non sono
considerati aderenti ai fini del raggiungimento delle soglie del 75% ex art.
182-septies, comma 2, e del 60% di cui all'art. 182-bis, comma 1, è opportuno
domandarsi quale sia la sorte dei pagamenti ricevuti da costoro in esecuzione a
quanto stabilito dall'accordo, qualora l'impresa insolvente sia successivamente
traghettata nella procedura fallimentare.
Occorre in altri termini domandarsi se, in ragione dell'estensione degli
effetti dell'accordo, tali creditori possano beneficiare dell'esenzione dalla
revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 3, lett. e).
Come è noto, tale disposizione sottrae alla revocatoria tutte le operazioni
poste in essere in esecuzione dell'accordo, nell'ambito delle quali, come si è
avuto modo di evidenziare in altra sede(20), non possono essere ricompresi gli
atti posti in essere in favore dei creditori estranei all'accordo, atteso che a
questi ultimi, in virtù di quanto dispone l'art. 182-bis, comma 1, deve essere
assicurato il pagamento integrale del credito, ovvero il debito come in origine
contratto dall'imprenditore e non il credito come rimodulato tramite la
stipulazione dell'accordo di ristrutturazione.
In altri termini, gli atti posti in essere in favore dei creditori non aderenti
devono essere considerati come pagamenti eseguiti in forza dei titoli
costitutivi dei relativi crediti, giammai in ragione dell'accordo omologato; di
talché, tali pagamenti, non potendo dirsi compiuti in esecuzione dell'accordo,
devono ritenersi esclusi dal salvacondotto di cui all'art. 67, comma 3, lett.
e).
Orbene, ove si condividano le conclusioni innanzi raggiunte con riferimento
alla sorte dei pagamenti effettuati in favore dei creditori estranei, deve
convenirsi che analogo ragionamento non potrà essere invocato avendo riguardo
agli atti posti in essere nei confronti dei creditori bancari non aderenti,
atteso che detti atti, al pari di quelli posti in essere in favore dei
creditori aderenti, sono eseguiti in ragione del debito ristrutturato e non in
forza del titolo costitutivo ad esso sotteso. Con la conseguenza che anche tali
pagamenti dovranno essere annoverati fra quelli sottratti dalla falcidia della
revocatoria ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. e).
9. Il diverso ruolo assegnato al giudice dell'omologazione. Le ragioni sottese
alla necessità di un controllo di merito. La possibilità di omologare l'accordo
senza estenderne gli effetti ai creditori bancari e/o finanziari non aderenti
Proseguendo nell'analisi dell'art. 182-septies, di sicuro interesse, anche ai
fini dell'individuazione della linea di confine fra accordi di ristrutturazione
e concordato preventivo, è la disciplina dedicata al controllo riservato al
giudice dell'omologazione.
In limine deve rammentarsi che detto controllo è senza dubbio più ampio
rispetto a quello attribuito al Tribunale in ipotesi di deposito di un accordo
di ristrutturazione ordinario. In proposito, fra le opinioni espresse (21),
preferibile è l'idea che l'art. 182-bis assegni al giudice il compito di
verificare la sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla norma,
spingendosi fino a verificarne la legittimità sostanziale. In particolare, il
giudice può all'occorrenza ritenere non attendibili o non correttamente
formulate sia le valutazioni in ordine alla veridicità dei dati aziendali, sia
le previsioni in ordine alla fattibilità del piano. E tutto questo al fine di
tutelare i creditori estranei, che devono poter confidare sulla sostanziale
neutralità delle intese raggiunte fra il debitore e i creditori aderenti,
rispetto ai propri interessi.
Si deve, invece, escludere che al giudice dell'omologazione competa anche una
valutazione nel merito, ovvero un controllo della convenienza (anche per i
creditori estranei) dell'operazione oggetto dell'accordo. Difatti, in un'ottica
di privatizzazione della crisi d'impresa, la valutazione nel merito circa
l'idoneità degli accordi a raggiungere gli scopi previsti è affidata al
professionista incaricato di redigere il giudizio di fattibilità dell'accordo;
quella sulla convenienza è invece rimessa alla manifestazione di volontà dei
creditori aderenti all'accordo, tenuto conto che solo questi ultimi sono i
destinatari della ristrutturazione oggetto dell'accordo (22).
A conclusioni differenti parrebbe, invece, potersi giungere con riferimento
all'ipotesi in cui il debitore richieda al tribunale l'estensione degli effetti
di cui all'art. 182-septies. In tal caso, difatti, l'indagine imposta al
giudice è senza dubbio più articolata e maggiormente incisiva. Tanto è vero che
proprio e solo in tale ipotesi il legislatore consente al giudice di avvalersi,
ove occorra, di un ausiliario (23).
In particolare, ai sensi dell'art. 182-septies, comma 3, il Tribunale deve
accertare che le trattative si siano svolte in buona fede e che i creditori ai
quali il debitore chiede di estendere gli effetti dell'accordo:
1. abbiano posizione giuridica e interessi economici omogenei rispetto agli
aderenti;
2. abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione
patrimoniale, economica e finanziaria del debitore, oltre che sull'accordo e
sui suoi effetti;
3. siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative in buona
fede;
4. possano risultare soddisfatti, in virtù dell'accordo, in misura non
inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.
Quanto all'accertamento della omogeneità della posizione giuridica e degli
interessi dei creditori raggruppati in categorie, si ritiene che si possano
riproporre i dubbi sollevati in ordine alla natura del controllo preventivo
rimesso al tribunale in sede di ammissione alla procedura concordataria. Anche
in tal caso, difatti, occorrerà verificare se il sindacato di omologazione
possa e/o debba involgere anche il merito, oppure debba restare comunque
confinato ad un controllo di legalità formale (24).
In particolare, con riferimento all'istituto degli accordi, proprio in ragione
dell'assenza di una adunanza dei creditori chiamati ad esprimere il proprio
voto, la valutazione del giudice non potrà essere meno rigorosa, atteso che,
nell'ipotesi in cui da tale verifica consegua l'omologazione, gli effetti
esdebitatori si estenderanno anche ai creditori dissenzienti della categoria.
Peculiare è senza dubbio, poi, l'accertamento della condizione di cui al punto
4, ovvero la verifica che il soddisfacimento, in virtù dell'accordo, non sia
inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili. In tal caso, non
può dubitarsi che il controllo del Tribunale, involgendo un giudizio sulla
convenienza dell'offerta contenuta nell'accordo rispetto ad alternative
praticabili nel concreto, implichi un sindacato di merito. In ragione di tale
giudizio si può spiegare perché la disposizione abbia imposto al Tribunale di
accertare anche che i creditori abbiano ricevuto complete e aggiornate
informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del
debitore, oltre che sull'accordo e sui suoi effetti. Diversamente, infatti,
questa verifica sarebbe potuta apparire un inutile duplicato di quanto può
essere conosciuto tramite la consultazione dell'aggiornata relazione sulla
situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa che, unitamente
agli altri documenti elencati nell'art. 161, deve essere depositata ai sensi
dell'art. 182-bis.
Inoltre, a differenza di quanto è previsto dall'art. 182-bis, nell'art.
182-septies, l'accento è posto, non già e non solo sul tipo di informazione da
fornire al creditore non aderente (al quale si intendono estendere gli effetti
dell'accordo), quanto piuttosto sulla circostanza che quest'ultimo sia stato
effettivamente raggiunto da dette informazioni. Ancora una volta, dunque, il
legislatore si è preoccupato di assicurare che i creditori siano stati
adeguatamente informati. Se cosi è, la prova della sussistenza di un'adeguata
informazione, unitamente a quella concernente la partecipazione dei creditori
alle trattative, incomberà inevitabilmente sul debitore.
Non può altresì ignorarsi che, anche con riferimento al controllo in punto di
convenienza dell'accordo rispetto alle alternative concretamente praticabili,
il legislatore del 2015 ha pedissequamente ripreso la disciplina prevista in
tema di concordato preventivo. Infatti, ai sensi dell'art. 177, comma 2,
nell'ipotesi in cui alla approvazione della proposta concorra la maggioranza
raggiunta dal maggior numero delle classi, il tribunale, nonostante il dissenso
di una o più classi, può approvare l'intesa concordataria qualora ritenga che i
creditori appartenenti alle classi dissenzienti possano risultare soddisfatti
dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente
praticabili (25).
Tuttavia, sebbene l'art. 182-septies abbia inequivocabilmente inteso richiamare
l'analoga regola prevista per il concordato, deve nuovamente constatarsi che
diverso è il grado di tutela sottesa alle due disposizioni apparentemente
coincidenti. Infatti, l'indagine di merito richiesta dagli artt. 177 e 180
coinvolge, non già tutti i creditori dissenzienti che, a seguito della
formazione delle classi, subiscono gli effetti delle ristrutturazioni ivi
contemplate, ma soltanto i creditori appartenenti alle classi dissenzienti
(26). Diversamente, nell'ipotesi delineata nell'art. 182-septies il controllo
sulla convenienza dell'accordo è esteso a tutti i creditori (bancari e
finanziari) non aderenti.
Si tratta di una differenza non di poco momento e che denota l'esigenza di
assicurare ai creditori dissenzienti, destinatari dei medesimi effetti
esdebitatori accordati ai creditori aderenti, una tutela più ampia, attesa la
natura contrattuale dell'istituto, a cui l'art. 182-septies evidentemente
deroga.
In altri termini, anche con riferimento al ruolo assegnato al giudice
dell'omologazione è possibile individuare, in punto di natura giuridica, un
discrimen fra gli accordi di ristrutturazione e concordato preventivo: solo
avendo riguardo ai primi, il tribunale è chiamato a valutare la convenienza
dell'intesa per tutti i creditori non aderenti. E ciò al fine di contemperare
l'esigenza del debitore di contrastare il dissenso irragionevole e
opportunistico di alcuni creditori con il principio consensualistico sancito
dall'art. 1372 c.c.
La deroga a detto principio ha, in altre parole, reso necessaria, a
salvaguardia degli interessi dei creditori non aderenti, l'introduzione di un
controllo di merito, che involge la posizione di tutti i creditori (bancari e
finanziari) non aderenti, atteso che, diversamente dal concordato preventivo,
rispetto al quale il carattere vincolante dell'intesa per tutti i creditori
concorsuali è conseguenza ope legis dell'applicazione del principio di
maggioranza, negli accordi di ristrutturazione l'estensione degli effetti ai
dissenzienti, derogando al principio consensualistico, ha carattere eccezionale
e non può travalicare i confini fissati dalla norma.
Deve comunque riconoscersi che, se già con riferimento al concordato preventivo
la valutazione della convenienza per i creditori dissenzienti è stata sin da
subito considerata operazione tutt'altro che semplice, la questione diviene
ancor più complessa nel caso degli accordi di ristrutturazione, nei quali
l'assenza di una gradazione dei crediti onererà di tale gravoso compito il
giudice e/o il consulente da quest'ultimo nominato. Solo per questa via,
difatti sarà possibile una attendibile comparazione con, ad esempio, gli esiti
della procedura fallimentare (che costituisce l'alternativa più probabile),
nella quale il piano di riparto dell'attivo non può prescindere dalla posizione
giudica di ciascun credito. Il rischio è pertanto, come è già stato rilevato
(27), che la valutazione imposta dalla norma abbia scarsa o nulla praticabilità
concreta, in contraddizione con le sia pur lodevoli intenzioni del legislatore.
Merita, infine, di essere segnalato che, stando al dato letterale dell'art.
182-septies, comma 4, a mente del quale il tribunale procede all'omologazione
previo accertamento delle condizioni ivi previste, sembrerebbe in prima battuta
potersi concludere che, in assenza della sussistenza di detto requisito, non
sia consentito al giudice di emettere un provvedimento di omologazione, anche
qualora vi siano i requisiti di cui all'art. 182-bis (28).
A tal proposito, deve tuttavia rilevarsi che, a dispetto del dato letterale
(29), non può ignorarsi che l'art. 182-septies resta pur sempre una
disposizione, che contiene alcune deroghe rispetto alla norma di carattere
generale, che continua pertanto ad applicarsi con riferimento ai profili non
espressamente disciplinati nella disposizione speciale.
In questa prospettiva, appare pertanto riduttiva l'idea che il giudice, in
presenza della richiesta di estendere gli effetti dell'accordo ai creditori non
aderenti, non possa procedere all'omologazione dell'accordo per il sol fatto
che non sussistano i presupposti enunciati dall'art. 182-septies. Non può
difatti ignorarsi che, come innanzi rilevato, al raggiungimento dell'aliquota
del 60% dei crediti richiesta dall'art. 182-bis, non concorrono quelli facenti
capo ai creditori non aderenti; di talché non può aprioristicamente escludersi
che l'accordo depositato, per il sol fatto di non contenere gli elementi idonei
a consentirne l'estensione degli effetti esdebitatori anche nei confronti dei
creditori bancari non aderenti, non sia comunque omologabile, qualora sia
accompagnato da una relazione che attesti l'idoneità dello stesso ad effettuare
il pagamento integrale dei creditori estranei (ivi compresi quelli bancari e/o
finanziari).
1) Per un primo commento sulla nuova disposizione cfr. F. Lamanna, La legge
fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, Milano, 2015, p. 66 ss.;
Id, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto
«contendibilità» e soluzioni finanziarie, in www.ilfallimentarista.it; L. Varotti, Art. 182-septies.
Accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di
moratoria (Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare - II
parte), in www.ilcaso.it; S. Ambrosini, Il diritto della
crisi d'impresa nella legge n. 132 del 2015 e nelle prospettive di riforma, in www.ilcaso.it.;
N. Nisivoccia, Il nuovo art. 182 septies l. fall.: quando e fin dove la legge
può derogare a se stessa?, in Fall., 2015, p. 1181 ss.Con riferimento alla
disposizione prima dell'intervento correttivo di cui alla legge di conversione
(6 agosto 2015, n. 132), v. F. Di Marzio, Un decreto legge in riforma del
«diritto fallimentare», in www.giustiziacivile.com, 26
giugno 2015.
2) D. Galletti, Il nuovo concordato preventivo: contenuto del piano e sindacato
del Giudice, in Giur. comm., 2006, II, p. 919 ss.; e A. Jorio, Il concordato
preventivo: struttura e fase introduttiva, in Il nuovo diritto fallimentare.
Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, a cura di A.
Jorio e M. Fabiani, Bologna, 2010, p. 978. Sulle ulteriori finalità sottese a
detta suddivisione cfr. G.B. Nardecchia, Le classi e la tutela dei creditori
nel concordato preventivo, in Giur. comm., 2011, II, p. 80 ss.
3) Così già F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n.
83/2015, cit., p. 67 s.
4) Sul punto sia consentito il rinvio al mio Gli accordi di ristrutturazione
del debito, Milano, 2012, p. 29 ss., ove ulteriori riferimenti.
5) F. Lamanna, op. loc. ult. cit.; e F. Di Marzio, op. loc. ult. cit.
6) F. Lamanna, op. loc. ult. cit.; e F. Di Marzio, op. loc. ult. cit.
7) Sul punto cfr. F. Guerrera, in Aa. Vv., Diritto fallimentare [Manuale
breve], Milano, 2013, p. 163, a parere del quale nel concordato preventivo il
procedimento di formazione della maggioranza sarebbe strutturato sulla
falsariga del metodo collegiale proprio dell'assemblea nelle società di
capitali.
8) In tal senso è anche L. Varotti, Art. 182-septies. Accordi di
ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria
(Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare - II parte), cit.,
p. 4.
9) Secondo F. Lamanna, op. ult. cit., p. 71, il requisito della buona fede rappresenta
un attributo del comportamento del debitore e non dei creditori: se così non
fosse, detto requisito non potrebbe essere considerato parte di un accordo
proposto dal debitore.
10) Nel silenzio della norma deve ritenersi che l'iscrizione nel registro delle
imprese rappresenta anche in tale ipotesi il dies a quo per il decorso dei 60
gg., durante il quale è fatto divieto ai creditori anteriori a tale data
(aderenti e non) di esperire qualsiasi azione cautelare o esecutiva sul
patrimonio del debitore.
11) Sul punto cfr., per tutti, P. Valensise, Sub art. 182-bis, in Concordato
preventivo e accordi di ristrutturazione, a cura di A. Nigro, M. Sandulli e V.
Santoro, Torino, 2011, p. 2266 e 2277.
12) A tal proposito, è utile ricordare che, con riferimento alla documentazione
che deve formare oggetto di deposito ai fini dell'iscrizione, l'ipotesi più
plasubile, stante il tenore letterale dell'art. 182-bis nel quale il
riferimento è solo all'accordo, è che la stessa debba risolversi nel solo testo
dell'accordo. Condivisibile è tuttavia l'idea che il deposito debba avere ad
oggetto anche la relazione dell'esperto sulla attuabilità e idoneità
dell'accordo medesimo; ma non anche l'ipotesi che detto deposito debba avere ad
oggetto anche l'intera documentazione di cui all'art. 161, l. fall., atteso che
una siffatta soluzione sarebbe eccessivamente onerosa per l'ufficio del
registro delle imprese. Su tale profilo, cfr. nuovamente il mio, Gli accordi di
ristrutturazione del debito, cit., p. 110 ss., testo e note.
13) Più precisamente, la norma in esame, al comma 3, stabilisce che il debitore
deve notificare il ricorso e la documentazione richiesta dall'art. 182-bis,
comma 1, «alle banche e agli intermediari finanziari ai quali si chiede di
estendere gli effetti dell'accordo», ovvero a coloro che non hanno
evidentemente dato il proprio consenso alla ristrutturazione. Se così non
fosse, d'altra parte, si creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento
rispetto ai creditori non bancari che hanno aderito all'accordo ai quali, al
pari dei creditori bancari e/o finanziari assenzienti, non è comunque preclusa
la facoltà di proporre opposizione.
14) Così, F. Lamanna, op. ult. cit., p. 72, il quale ritiene che sia il
debitore il soggetto onerato di fornire la prova della sussistenza di detto
requisito. Requisito la cui valutazione, rimessa in prima battuta al creditore
e poi al giudice dell'omologazione, da ragione dell'obbligo imposto al debitore
di notificare ai creditori dissenzienti, oltre al ricorso, la documentazione ex
art. 161.
15) Sulla facoltà del Tribunale di omologare l'accordo di ristrutturazione,
senza acconsentire che lo stesso produca effetti nei confronti dei creditori
dissenzienti v., infra, nel testo.
16) Cfr., invece, F. Lamanna, op. ult. cit., p. 68, secondo il quale il
legislatore avrebbe introdotto anche con riferimento agli accordi di
ristrutturazione il sistema delle classi, «anche se, per pudore e per evitare
una sovrapposizione concettuale con l'istituto previsto in materia
concordataria, le ha questa volta chiamate - aristotelicamente -
"categorie"».
17) Così F. Lamanna, op. ult. cit., p. 69.
18) Così A. Patti, Crisi di impresa e ruolo del giudice, Regole del mercato,
soluzioni giudiziali e negoziali, Milano, 2009, p. 122.
19) Così F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n.
83/2015, cit., p. 69 s., il quale evidenzia che la trasformazione del dissenso
in assenso ai fini del raggiungimento della soglia-presupposto del 60% appariva
una forzatura, tale da sovvertire la giustificazione economica e razionale
dell'accordo.
20) Cfr. nuovamente il mio, Gli accordi di ristrutturazione del debito, cit.,
p. 169.
21) Su cui cfr. il mio, Gli accordi di ristrutturazione del debito, cit., p.
117 ss., testo e note.
22) Alle medesime conclusioni deve giungersi con riferimento al controllo
riservato al tribunale qualora oggetto di deposito sia la "proposta"
di accordo, ai sensi dei commi 6 e 7 dell'art. 182-bis. In tal caso difatti il
compito assegnato al giudice, benché più articolato, conserva il medesimo
contenuto valutativo, restando detto controllo confinato alla verifica della
sussistenza dell'adesione di almeno il 60% dei creditori e, tenuto conto della
relazione redatta dal professionista, delle condizioni per il pagamento integrale
dei creditori che hanno acconsentito alle trattative o che comunque non vi
hanno partecipato.
23) Rilevante è altresì la statuizione contenuta nell'ultimo comma dell'art.
182-septies, a mente del quale la relazione dell'ausiliario deve essere trasmessa
al P.M. ai sensi dell'art. 161, comma 5. Si tratta di una previsione resasi
necessaria al fine di agevolare le indagini che il P.M. potrebbe essere
chiamato a svolgere al fine di verificare la sussistenza degli estremi dei
reati di cui all'art. 236 l. fall., la cui applicazione è oggi ammessa anche
con riferimento agli accordi di ristrutturazione stipulati con intermediari
finanziari. La mancata applicazione delle disposizioni penali agli accordi di
ristrutturazione c.d. ordinari, così come l'impossibilità per il Giudice di
avvalersi anche in tal caso di un ausiliario sono senza dubbio legate al fatto
che solo nell'ipotesi di cui all'art. 182-septies il legislatore contempla
l'estensione degli effetti nei confronti dei creditori non aderenti. In tal senso
v. F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015,
cit., p. 75.
24) Con riferimento al concordato preventivo la questione si pone in maniera
ancora più evidente a seguito dell'introduzione della percentuale minima di
soddisfazione dei creditori chirografari, a proposito della quale, come
affermato in dottrina (E. Sabatelli, Appunti sul concordato preventivo dopo la
legge di conversione del D.L. n. 83/2015, in www.ilcaso.it, p. 13 ss.),
ben potrebbe ipotizzarsi che con essa il legislatore del 2015 abbia inteso
prescrivere un ulteriore requisito di ammissibilità, in ordine al quale il
tribunale «è tenuto ad appurare la ricorrenza mediante un controllo di
carattere sostanziale».
25) Più precisamente, l'art. 177, comma 2, assegna il compito di effettuare
tale valutazione al tribunale in sede di verifica delle maggioranze. Lo stesso
tribunale è poi nuovamente investito di tale compito in sede di omologazione,
ai sensi dell'art. 180, comma 4.
26) Così efficacemente G. Bozza, L'omologazione della proposta (i limiti alla
valutazione del giudice, in Fallimento, 2006, p. 1070, ove l'Autore sottolinea
che il controllo in tal caso più incisivo del tribunale è «nell'interesse non
di tutti i creditori dissenzienti, che comunque restano vincolati
all'approvazione della maggioranza, ma solo nell'interesse dei creditori
appartenenti alle classi dissenzienti». Non pare potersi condividere l'idea di
G.B. Nardecchia, op. ult. cit., p. 2491, a parere del quale il giudizio di
convenienza espresso dal tribunale vedrebbe coinvolti i creditori appartenenti
alle classi dissenzienti e, in ultima analisi, tutti i creditori dissenzienti.
Una simile interpretazione, oltre a contraddire il dato letterale della norma,
ove il riferimento è chiaramente ai creditori appartenenti alle classi
dissenzienti, non sarebbe in linea con la ratio sottesa alla disposizione
richiamata, ravvisabile evidentemente nella volontà di compensare la regola
dell'approvazione a maggioranza delle classi ivi prevista.
27) Così F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n.
83/2015, cit., p. 73, il quale ipotizza che detto controllo, stante l'oggettiva
difficoltà di porlo in essere, si potrebbe ridurre ad un «passaggio
burocratico».
28) Così F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n.
83/2015, cit., p. 71, secondo il quale se il ricorso depositato contiene
l'esplicita richiesta di cui all'art. 182-septies, in assenza di una cautela
procedimentale a garanzia di questi ultimi, l'accordo non potrebbe «stare in
piedi». Non esclude, invece, l'ipotesi S. Ambrosini, op. cit., p. 51 s.
29) Non sarebbe, d'altra parte, la prima volta che il legislatore disponga
senza prestare particolare attenzione alle conseguenze che da quanto
espressamente contemplato nelle singole norme possono derivare. Basti pensare
proprio all'art. 182-bis che, al comma 4, stabilisce che il tribunale procede
all'omologazione, «decise le opposizioni». Dal che avrebbe potuto ricavarsi che
l'intervento del tribunale non rappresenti una condicio iuris necessaria
affinché l'accordo possa produrre gli effetti stabiliti dagli artt. 67, comma
4, lett. e) e 182-quater, se non in presenza di opposizioni. Ipotesi che,
sebbene aderente al dato letterale, si è ritenuto agevolmente di poter
scartare, atteso che le disposizioni innanzi richiamate disciplinano gli
effetti scaturenti da un accordo omologato. Su tale profilo si rinvia
nuovamente al mio Gli accordi di ristrutturazione del debito, cit. p. 114 ss.,
testo e note.
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