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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 23/11/2015 Scarica PDF

Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo (prime riflessioni)

Antonio Rossi, Professore associato di Diritto commerciale nell'Università degli Studi di Bologna


Sommario: 1. Le condizioni di ammissibilità - 2. Il grado di dipendenza della proposta concorrente dalla proposta del debitore - 3. Impegni del debitore assunti dal creditore proponente? - 4. Alcune ipotesi di proposte parassitarie - 5. Alcune ipotesi di proposte “acquisitive”

 

 

1. Le condizioni di ammissibilità

L’ennesima riforma estiva della legge fallimentare, che si deve al D.L. n. 83/2015 ed alla legge di conversione n. 132/2015, consegna agli operatori economici e agli interpreti una disciplina del concordato preventivo rinnovata anche dalla possibilità di formulare proposte concorrenti con quella del debitore. Con semplici innesti normativi in articoli preesistenti, a differenza di quanto disposto con il nuovo art. 163-bis l. fall. per le offerte concorrenti, il mercato delle proposte entra anche nel nostro ordinamento concorsuale, salutato con favore da chi ritiene che ciò sia in grado di risvegliare quei creditori che, con la stessa riforma, il legislatore ha poi considerato così apatici da non essere in grado di esprimere un razionale giudizio di valore su una proposta di concordato liquidatoria che non assicuri il pagamento di almeno il 20% del’ammontare dei crediti chirografari ([1]).

Non si vuole con il presente scritto esprimere giudizi di valore sull’introduzione in sé dell’istituto delle proposte concorrenti: sarà la futura esperienza applicativa a fornirci impressioni sull’eventuale miglioramento del livello di soddisfazione dei creditori, anche se la misurazione degli effetti delle passate riforme non sembra esercizio gradito al legislatore ([2]), più pronto a spingersi in avanti nella spendita di (non verificabili) attese di crescita del P.I.L. conseguenti alle nuove riforme ([3]).

Per ora, nel dubbio se il lavoro svolto dalla Commissione Rordorf sarà proficuamente appreso ed utilizzato dal legislatore e se, comunque, la disciplina delle proposte concorrenti sarà ulteriormente rivista ([4]), ci si approssima alla stessa con la curiosità di analisi che la novità suscita, al fine di valutare come possa essere confezionata una proposta di concordato preventivo concorrente con quella del debitore.

Innanzitutto, non sembra possa dubitarsi (ma le certezze, come si vedrà oltre, si arrestano tosto) che, anche qualora formulata da un creditore, la proposta debba rispettare i contenuti e le condizioni di ammissibilità prescritti dagli artt. 160 e 161 l. fall. In particolare, la stessa potrà essere accompagnata da un piano (pur esso) concorrente con quello del debitore ([5]), caratterizzato dal livello di specificità richiesto oggi dalla novellata lettera “e” del comma 2° dell’art. 161 cit.

Giova peraltro precisare che non è necessario che la proposta concorrente sia omogenea a quella del debitore o con questa immediatamente confrontabile, a differenza di ciò che prevede l’art. 163-bis c. 2° l. fall. relativamente alle offerte concorrenti (delle quali deve essere “assicurata in ogni caso la comparabilità”). Certo, ciò renderà improbo il compito del commissario giudiziale ([6]), chiamato dall’art. 172 c. 2° l. fall., nel caso di formulazione di proposte concorrenti, a redigere una relazione integrativa, nei pochi giorni successivi allo scadere del termine per il loro deposito (20) o per la presentazione delle loro modifiche (5), contenente (seppure “di regola”, ciò che non consente di cogliere appieno l’imperatività del precetto normativo) ([7]) “una particolareggiata comparazione tra tutte le proposte concordatarie”. D’altra parte, non sembra che l’argumentum ab inconvenienti consenta di ricostruire una diversa conclusione, che restringerebbe la concorrenza dei creditori proponenti, imponendo loro di adattarsi all’impostazione della proposta prescelta dal debitore. Sarà dunque possibile, ad esempio, formulare una proposta liquidatoria (che “assicuri” un soddisfacimento almeno del 20% ai creditori chirografari) in concorrenza con una proposta del debitore formulata in termini di continuità aziendale ([8]), così come sarà possibile l’ipotesi opposta ([9]).


2. Il grado di dipendenza della proposta concorrente dalla proposta del debitore

Si è testé riferito della possibilità di una proposta concorrente disomogenea rispetto a quella presentata dal debitore. Ciò, tuttavia, rappresenta una facoltà, non certo una necessità; anzi, si tratta di facoltà che, per le ragioni che ci si appresta ad esporre, dovrebbe costituire un accidente piuttosto raro dei prossimi concordati preventivi.

Riveste infatti particolare importanza, nella ricostruzione del possibile contenuto di una proposta concorrente, quanto prevede il comma 4° dell’art. 163 l. fall. a proposito della relazione di attestazione richiesta dal comma 3° dell’art. 161 l. fall., la quale “può essere limitata alla fattibilità del piano per gli aspetti che non siano già oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale, e può essere omessa qualora non ve ne siano”.

Si ammette, cioè, che il creditore che formula la proposta concorrente si avvalga gratuitamente sia del lavoro svolto dal professionista attestatore, nominato (e pagato) dal debitore, sia dell’attività svolta dal commissario giudiziale (e pagata dalla massa dei creditori) ([10]): un vantaggio competitivo che evidenzia il favor che il legislatore riserva alla proposta dei creditori, rispetto a quella proveniente dal debitore ([11]). Ne deriva che il creditore proponente è tenuto ad attestare ex art. 161 c. 3° l. fall. la propria proposta concorrente con una variabilità della geometria dell’obbligo di attestazione (o della non attestazione) che illumina circa la possibilità di una proposta altrettanto polimorfa.

E’ possibile quindi immaginare una suddivisione delle proposte concorrenti che, a seconda del contenuto del piano sul quale poggiano, possiamo convenzionalmente definire come: i) originali; ii) derivate; iii) parassitarie.

E’ originale quella proposta che, per il reperimento della provvista concordataria, si affida ad un piano radicalmente innovativo rispetto a quello presentato dal debitore, anche, come visto, con un esito del concordato del tutto difforme rispetto a quello contemplato e previsto dall’imprenditore che si è affidato alla procedura di concordato preventivo per affrontare e risolvere lo stato di crisi. In questo caso, il creditore proponente ha bisogno di una relazione di attestazione che si esprima compiutamente sulla fattibilità del proprio piano, mentre sembra che, relativamente alla veridicità dei dati aziendali, possa fare affidamento sia sull’attestazione depositata dal debitore, sia sulla relazione del commissario giudiziale che, ai sensi dell’art. 172 c. 1° l. fall., deve pur sempre contenere “l’inventario del patrimonio” del debitore. I tempi della procedura, tuttavia, non lasciano immaginare una particolare frequenza di proposte concorrenti originali, perché è innegabile che sia impresa ardita redigere un piano di concordato che prescinda dalla relazione del commissario giudiziale e, ai sensi dell’art. 163 c. 4° l. fall., le proposte concorrenti devono intervenire almeno 30 giorni prima dell’adunanza dei creditori e, dunque, al più tardi nei 15 giorni successivi al deposito in cancelleria della relazione suddetta. Sono tempi stretti, specie se confrontati con i 60 - 120 giorni (+ 60 giorni di proroga) che possono essere messi a disposizione del debitore ai sensi dell’art. 161 c. 6° l. fall., tempi che ben difficilmente sono compatibili con l’atteso risveglio del mercato dei crediti non perfomanti ([12]), considerato che gli investitori istituzionali interessati a lanciare una proposta “acquisitiva” ([13]) avrebbero solo 15 giorni di tempo per: i) valutare la relazione del commissario giudiziale, ii) valutare il costo sostenibile di una proposta ostile e, dunque, il costo dei crediti da acquistare per raggiungere la soglia del 10%, iii) negoziare l’acquisto (di norma, presso creditori bancari che non brillano per la snellezza delle procedure decisionali), iv) redigere una propria, originale proposta concorrente. Senza contare che il creditore che voglia fare concorrenza al debitore distaccandosi dal suo piano dovrà sostenere costi per un’attestazione di fattibilità senza la certezza del successo e senza l’incentivo al superamento di una crisi che non è la sua.

Più facile, dunque, immaginare che il creditore, magari già intraneo all’impresa del debitore (perché coinvolto in trattative per la sua acquisizione anteriori alla presentazione della domanda di concordato o perché proveniente dal suo mangement) presenti una proposta derivata, che tragga spunto sia dalla proposta (e, soprattutto, dal piano) del debitore, sia dalle verifiche svolte dal commissario giudiziale nella propria relazione. In tal caso, è difficile immaginare un cambio di impostazione della proposta concorrente, che sposerà quella (liquidatoria, in continuità oggettiva o in continuità soggettiva) già adottata dalla proposta del debitore per differenziarsene solo marginalmente, seppure in maniera sufficientemente significativa da richiedere una propria relazione di attestazione “differenziale” e limitata agli “aspetti” del piano del creditore eccentrici rispetto al piano del debitore e, pertanto, non già verificati dal commissario.

Infine, la proposta concorrente potrà essere parassitaria, allorché adotti sic et simpliciter il piano del debitore e le risultanze della relazione del commissario ([14]), ammettendosi dunque che uno stesso programma di acquisizione della provvista concordataria possa supportare diverse proposte  di concordato (v. infra, al par. 4). E’ questa una proposta del creditore a costo zero e, proprio per questo, estremamente insidiosa per i complessivi equilibri della procedura di concordato, considerata la situazione di azzardo morale in cui viene a trovarsi il creditore  proponente, che, ad un primo esame della disciplina ([15]), non sembrerebbe subire conseguenze negative dell’insuccesso del concordato omologato sulla sua proposta.

 

3. Impegni del debitore assunti dal creditore proponente?

Il terreno della nuova disciplina si fa poi decisamente scivoloso quando si cerca di tracciare il perimetro degli impegni che il creditore può spendere nella propria proposta concorrente.

In ordine decrescente di attendibilità delle opzioni interpretative, sembra ci siano pochi dubbi circa la possibilità che un creditore confezioni una proposta concorrente per assunzione, in guisa di quanto avviene di norma nell’ambito del concordato fallimentare. Già dal 2005, l’art. 160 c. 1°, lett. b), l. fall. prevede tipicamente che il piano di concordato preventivo possa prevedere “l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore”: il creditore potrà quindi impegnarsi, direttamente o con l’intervento di un terzo (cfr. art. 163 c. 5° l. fall.), al soddisfacimento dei creditori in cambio del trasferimento dell’attivo del debitore.

Si tratta di una proposta “acquisitiva” che sembra il prototipo delle proposte concorrenti immaginate dal legislatore: se il debitore offre ai proprio creditori complessivamente meno del valore dell’impresa rischia di essere scavalcato da una proposta concorrente che consente invece ai creditori stessi di appropriarsi di un risultato che, in condizioni di mercato perfetto, tende ad uguagliare siffatto valore.

Passando ad affrontare ipotesi più problematiche, interessa invece affrontare il dubbio se il creditore proponente possa soltanto impegnare se medesimo, se del caso con l’intervento di un terzo ex art. 163 c. 5° l. fall., o possa anche impegnare lo stesso debitore (con il suo patrimonio) che ha dato impulso alla procedura di concordato preventivo.

Il dubbio sembrerebbe risolto in limine dall’art. 161 c. 2°, lett. e), l. fall., ai sensi del quale la proposta di concordato deve obbligatoriamente indicare l’utilità ([16]) che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore.

Sussistono, tuttavia, altre evidenze, letterali e sistematiche, che consentono di opinare diversamente e di ritenere, invece, che il creditore, nella propria proposta concorrente, possa impegnare anche soltanto lo stesso debitore.

Un primo indizio di questa possibilità emerge dalla stessa ammissibilità di proposte concorrenti parassitarie: se il creditore può avvalersi integralmente delle risultanze del piano del debitore, della relazione del “suo” professionista attestatore, delle verifiche svolte su detto piano dal commissario giudiziale e riportate nella proprie relazione ex art. 172 l. fall., allora è giocoforza ritenere che la proposta concorrente non possa che impegnare quel patrimonio già sottoposto agli accertamenti del professionista attestatore e del commissario: qualunque impegno proveniente da soggetti diversi, tra i quali lo stesso creditore proponente, non potrebbe non passare attraverso il vaglio di affidabilità del soggetto obbligato o delle promesse dallo stesso spese, ciò che imporrebbe tuttavia la presentazione della relazione di attestazione quanto meno “differenziale” e limitata, per l’appunto, “alla fattibilità del piano per gli aspetti che non siano già oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale”. Il fatto, invece, che sia ammissibile una proposta parassitaria, che non richiede alcuna relazione di attestazione ulteriore rispetto a quella depositata dal debitore, depone inequivocabilmente nel senso che detta proposta possa limitarsi ad impegnare il solo patrimonio verificato, corrispondente a quello del debitore.

Un secondo indizio deriva dalla possibilità, abbozzata dall’art. 163 c. 5° l. fall., che la proposta concorrente preveda un aumento di capitale sociale della società debitrice. A prescindere, per ora, da come detto aumento forzoso possa trovare ingresso nella proposta del creditore (v. infra, al par. 5), sembra indubbio che lo stesso non possa che essere funzionale all’adempimento delle obbligazioni concordatarie da parte della stessa società debitrice: sia che le risorse acquisite dalla stessa a seguito della sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale vadano a formare la provvista concordataria, sia che l’aumento sia destinato alla conversione dei crediti concorsuali in capitale sociale, mediante compensazione del credito falcidiato con il controcredito della società da sottoscrizione del capitale, chi paga è la società debitrice, non il creditore proponente.

A questa considerazione si abbina infine il dato testuale del comma 3° dell’art. 185 l. fall., per il quale il debitoreè tenuto a compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta di concordato presentata da uno o più creditori” e tale dovere, imposto dalla proposta dal creditore, è presidiato al punto da imporre alla società debitrice (e recalcitrante) una vera e propria amministrazione giudiziaria, destinata ad esaurirsi (se le cose procedono per il verso giusto) con l’integrale adempimento delle obbligazioni concordatarie contenute nella proposta concorrente e previdenti impegni della società stessa.

La sommatoria di siffatti indizi consente, dunque, di ritenere superabile l’argomento letterale offerto dalla lettera “e” dell’art. 161 c. 2° l. fall.: “il proponente si obbliga” ma, se creditore concorrente, non necessariamente in nome proprio.

Altro problema è cercare di inquadrare questo assetto di rapporti in qualche categoria del diritto civile ([17]).

Dubito, innanzitutto, che il fenomeno in esame possa essere ricondotto ad una promessa del fatto del terzo ex art. 1381 c.c., dove il creditore proponente svolgerebbe il ruolo di promittente ed il debitore quello di terzo: gli indici normativi testé evidenziati forniscono un quadro in cui il debitore, a fronte di un concordato preventivo omologato su proposta concorrente, non è libero di obbligarsi o no a fronte della proposta concordataria approvata dai creditori: quanto meno l’art. 185 l. fall. depone per l’esistenza di veri e propri obblighi di esecuzione del concordato omologato su proposta altrui, talmente stringenti da imporre, se necessario, una loro esecuzione coatta che passa attraverso la disarticolazione della governance dell’impresa societaria, con l’adozione di provvedimenti invasivi che trovano loro omologhi solo nella società per azioni ([18]) e in presenza degli speciali presupposti richiesti dall’art. 2409 c.c.

Sembra, piuttosto, che possa immaginarsi una vera e propria spendita del nome del debitore da parte del creditore proponente, con modalità, tuttavia, che travalicano l’istituto della mera rappresentanza. Nel caso di specie, infatti, l’esecuzione del concordato omologato non comporta soltanto il compimento, da parte del debitore, degli atti contenuti nel piano e nella proposta del creditore, ma può estendersi all’adozione di un programma di attività imprenditoriale e, addirittura, prevedere comportamenti doverosi degli organi sociali e degli stessi soci della società debitrice, come avviene nell’ipotesi dell’aumento del capitale sociale forzoso tipicamente prevista dagli artt. 163 c. 5° e 185 c. 6° l. fall.

Si tratta, dunque, di un fenomeno del tutto singolare ed eccentrico rispetto alle categorie del diritto privato, ma coerente con il diritto dell’impresa e, soprattutto, con i principi da tempo emergenti in tema di procedure concorsuali, a proposito delle quali è d’uso affermare che la loro funzione consiste nel trasferire il controllo dell’impresa insolvente dai soci ai creditori ([19]). Ebbene, a seguito dell’omologazione di un concordato preventivo su proposta altrui, il controllo dell’impresa passa ai creditori, che la gestiscono sulla base di un piano che non è più mediato da un accordo tra debitore e creditori ma trova la sua forza vincolante in un accordo tra creditori: il creditore proponente, dall’un lato, la maggioranza dei creditori votanti, dall’altro lato. Si tratta di un piano che s’impone al debitore, oltre che agli organi e agli stessi soci della società debitrice, con una soluzione della crisi che, in una visione forse un po’ idealistica, allinea gli interessi dei creditori alla massima soddisfazione con quello del debitore ad evitare il fallimento, mediante l’intervento di un nuovo protagonista (il creditore proponente) che può scendere in campo sia al solo fine di realizzare al meglio il proprio credito (di norma, con una proposta parassitaria), sia al fine di realizzare un proprio interesse ulteriore e diverso rispetto alla mera massimizzazione del credito (di norma, con una proposta originale ed acquisitiva).

Se poi si condivide la tesi per cui il potere del creditore proponente di impegnare il  debitore, a seguito dell’approvazione degli altri creditori, non è altro che la più plastica manifestazione del trasferimento del potere di controllo dell’impresa insolvente dai vecchi (soci) ai nuovi (creditori) titolari di pretese residuali, allora può anche trovare giustificazione la riserva di legittimazione alla proposta concorrente a beneficio dei soli creditori di riferimento (rappresentanti almeno il 10% della massa passiva), riserva che, se l’unica ragione della nuova disciplina consistesse nel raggiungimento del livello massimo di soddisfazione dei creditori, non intercetterebbe invece alcun rationale ([20]).

 

4. Alcune ipotesi di proposte parassitarie

Come visto, la proposta concorrente può essere solo marginalmente differente da quella del debitore ed avvalersi nella sua integralità del piano di quest’ultimo. Non è difficile immaginare casi di ricorso ad una proposta parassitaria: è sufficiente aggiungere una ciliegina alla torta già infornata dal debitore. E’ possibile, tuttavia, anche intravedere come la ciliegina possa comportare effetti ex ante disincentivanti, relativamente alla fruizione dell’istituto concordatario, celando quindi una vera e propria pillola avvelenata per il concordato preventivo, dalle conseguenze probabilmente eccedenti la mera aspirazione ad un migliore soddisfacimento dei creditori.

In primis, già il concordato di gruppo non sta vivendo i suoi giorni migliori ([21]) ma a ciò si aggiunge che, al di là degli aspetti procedurali, qualsiasi concordato che, nell’ambito di un gruppo di società, voglia ricomporre ex post situazioni di equilibrio magari compromesse da trasferimenti intragruppo, prevede normalmente lo spostamento di risorse tra le diverse società che accedono alla procedura di concordato, anche in violazione dell’art. 2740 c.c. Non è questa la sede per discettare dell’ammissibilità di una soluzione di questo tipo ([22]); certo è, tuttavia, che, in presenza di una proposta al risparmio di una società del gruppo, che preveda la riallocazione a beneficio di altre società del gruppo della provvista non destinata ai propri creditori, ci potrà sempre essere un creditore della società sacrificata che, adottando de plano il piano della società proponente, proponga, in alternativa, la destinazione alla massa dei creditori della società sacrificata dell’intera provvista generata dal piano, con conseguente sgretolamento del tentativo di consolidamento sostanziale coinvolgente l’intero concordato c.d. di gruppo.

Un altro tema “caldo”, toccato indirettamente dalla nuova disciplina delle proposte concorrenti, è quello dei rapporti tra concordato preventivo e responsabilità degli organi sociali: da un lato, alcuni ritengono che la confessione delle malefatte degli amministratori e sindaci che si pongono a monte della domanda di concordato costituisca un adempimento necessario all’allestimento di una domanda di concordato ammissibile, altrimenti destinata alla revoca ex art. 173 l. fall. se tali malefatte, generanti una pretesa risarcitoria riconducibile ad un cespite attivo, vengano poi “accertate” dal commissario giudiziale; da un altro lato, si discute delle interferenze tra la disciplina dell’azione sociale di responsabilità e la procedura di concordato preventivo, in particolare dubitandosi della necessità che un’azione di responsabilità trasferita ai creditori insieme all’attivo patrimoniale richieda anche la conforme deliberazione dell’assemblea ([23]) e rientri nella legittimazione del liquidatore.

Oggi, il tema della responsabilità degli organi sociali della società debitrice può generare vieppiù interesse se si considera che l’azione sociale di responsabilità può costituire una classica ciliegina sulla torta del piano concordatario del debitore.

Non va dimenticato, infatti, che il novellato art. 172 c. 1° l. fall. impone al commissario giudiziale di illustrare nella propria relazione “le utilità che, in caso di fallimento, possono essere apportate dalle azioni risarcitorie … che possono essere promosse nei confronti dei terzi”. Ebbene, il creditore proponente, in presenza di un piano di una società debitrice che “dimentichi” le azioni di responsabilità contro amministratori e sindaci, potrà limitarsi ad aggiungere alla provvista concordataria risultante dal piano del debitore l’“utilità” illustrata dal commissario giudiziale nella propria relazione, con un evidente miglioramento, anche solo marginale, della proposta. E sarà ben difficile, per il debitore, convincere in adunanza i creditori che la proposta concorrente, corrispondente alla sua ma con l’aggiunta dell’azione di responsabilità, non sia più conveniente ([24]).

In altri termini, la nuova disciplina rende più difficile fare del concordato preventivo un safe harbour che protegga dalle azioni di responsabilità: ciò non è di per sé un male, anzi, ma è bene essere consapevoli che si tratta di un ulteriore tassello di un puzzle di discipline che renderanno sempre meno appetibile, ex parte debitoris, la soluzione concordataria della crisi d’impresa.

Resta, poi, il dubbio di come, successivamente all’omologazione di un concordato su proposta concorrente che aggiunga alla proposta del debitore l’azione sociale di responsabilità, possa essere effettivamente esercitata detta azione. Al di là della necessità di nomina del curatore speciale ex art. 78 c.p.c., qualora l’organo di amministrazione destinatario dell’azione sia ancora in carica, ci si può interrogare se, per dare maggiore effettività alla risorsa acquisita dai creditori con il concordato, non si possa, già quale elemento del piano della proposta concorrente, prevedere che l’azione sarà promossa in sede esecutiva dal commissario giudiziale. A chi osservi che al commissario giudiziale spetta soltanto ex art. 185 c. 1° l. fall. un potere di sorveglianza sull’esecuzione, si potrà opporre che il comma 4° dello stesso articolo prevede la possibilità che il tribunale attribuisca al commissario il potere di compiere singoli atti previsti dal piano, pur nell’inerzia del debitore. E’ dunque ipotizzabile un cambio di registro nelle funzioni del commissario giudiziale in sede di esecuzione del concordato ([25]), con il riconoscimento di un suo ruolo attivo, non di mero vigilante, ruolo forse già spendibile anche prima dell’omologazione del concordato, mediante l’attribuzione di specifici poteri esplicitata, insieme alle altre “modalità” dell’esecuzione, nel piano e quindi nel decreto di omologazione ([26]); ferma, tuttavia, la necessità di nomina dell’amministratore giudiziario ex art. 185 c. 6° l. fall. qualora la sostituzione del debitore debba estendersi non al compimento di singoli atti (cui si riferiscono i commi 4° e 5° dell’art. ult. cit.) ma all’esercizio di una vera e propria attività, anche connotata da precise (se preindividuate nel piano omologato) prescrizioni di contenuto gestionale ([27]).

Se poi si ritenga che, nonostante la previsione dell’azione sociale di responsabilità quale elemento del piano di concordato, sia comunque necessaria la deliberazione dell’assemblea dei soci, si potrebbe altresì ipotizzare che anche questa delibera sia coercibile nei termini di cui al comma 6° dell’art. 185 cit., con convocazione dell’assemblea e votazione (unanime, s’immagina) rimessa all’amministratore giudiziario nominato ex art. ult. cit. in caso d’inerzia di amministratori (in sede di convocazione dell’assemblea) e soci (in sede di votazione).

A tanto, però, non sembra si possa arrivare. Se si conserva ancora un minimo di rispetto (quasi estetico) per l’impianto normativo delle società di capitali, non si può non dare all’art. 185 c. 6° l. fall. un’interpretazione restrittiva, che limiti l’eccezionalità dell’intervento sostitutivo dell’amministratore giudiziario alla sola ipotesi di aumento del capitale sociale (v. anche infra, al par. 5). Dunque, delle due, l’una: o si ritiene che, prevista nel piano la destinazione ai creditori dei risultati dell’azione sociale di responsabilità, non sia necessaria alcuna deliberazione assembleare, rimettendosi alla forza del decreto di omologazione anche un’efficacia autorizzativa endosocietaria ([28]), o si continua a pretendere, per l’esercizio dell’azione, una deliberazione assembleare che, se mancante (qualora non venga convocata l’assemblea o questa non deliberi positivamente), determinerà una causa di inadempimento di una specifica obbligazione concordataria, con il noto rischio di risoluzione del concordato.

Un’ulteriore ipotesi di proposta parassitaria, infine, riguarda il concordato in continuità c.d. soggettiva pura, relativamente al quale la minaccia delle proposte concorrenti risulta particolarmente marcata, rispetto alle altre soluzioni concordatarie.

Infatti, in un concordato liquidatorio, al di là della possibilità di aggiungere ai beni destinati alla liquidazione un’azione di responsabilità o di catturare l’intera provvista concordataria, se risparmiata dal debitore, i creditori già ottengono l’intero valore del patrimonio del debitore e, in un mercato perfetto, non ha un gran senso offrire di più. D’altra parte, il concordato con continuità c.d. oggettiva, che si attua con il trasferimento dell’azienda in funzionamento, comporta anch’esso la realizzazione di un prezzo che tende all’intero valore dell’impresa, sia grazie alle procedure competitive imposte dall’art. 182 c. 4° l. fall. ([29]), sia grazie alla disciplina delle offerte concorrenti di cui all’art. 163-bis l. fall.

Dunque, la disciplina delle proposte concorrenti trova il suo terreno più fertile nella continuità aziendale c.d. soggettiva, della quale tuttavia, in una sorta di eterogenesi dei fini (rispetto alle dichiarata preferenza manifestata dal legislatore per la soluzione concordataria conservativa: cfr. artt. 160 u.c. e 163 c. 5° l. fall.), rischia di decretare l’estinzione ([30]).

Innanzitutto, ed incidenter tantum, l’illimitata ostensione dei dati aziendali imposta dall’art. 165 c. 3° l. fall. a qualunque creditore ([31]) è deleteria pressoché soltanto qualora il debitore preveda di superare la crisi attraverso il concordato e continuando direttamente l’esercizio dell’impresa ([32]), ciò che di per sé costituisce un potentissimo disincentivo alla elaborazione di piani di concordato in continuità c.d. soggettiva (la vera peculiarità del concordato preventivo, si licet).

Poi, un concordato che prevede ex art. 186-bis c. 1° l. fall. “la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore” si costruisce di norma (seppure non necessariamente) attorno ad un impegno del debitore a pagare in percentuale i creditori, con la provvista formata dalle risorse generate dall’esercizio dell’impresa. Un piano di questo tipo, prevede sempre che una parte soltanto di queste risorse sia destinata alla formazione della provvista concordataria, perché un’altra parte sarà destinata all’autofinanziamento dell’impresa. E’ anche possibile immaginare una partecipazione dei soci al risultato della gestione, nella misura compatibile con la necessità che la proposta concordataria corrisponda comunque, ex art. 186-bis c. 2°, lett. b), l. fall., al “miglior soddisfacimento dei creditori”. In ogni caso, il piano ha una durata limitata, oltre la quale, adempiute le obbligazioni concordatarie, i creditori non partecipano più ai risultati dell’attività d’impresa.

In questo scenario, allora, è possibile immaginare una proposta parassitaria con la quale, ad esempio, un creditore sottoponga agli altri creditori l’idea di mantenere la continuità c.d. soggettiva pianificata dal debitore per appropriarsi di tutti i risultati della gestione sino all’integrale soddisfazione dei crediti (limite massimo di estrazione delle risorse dall’attività d’impresa), escludendo da qualunque forma di remunerazione la persistente partecipazione dei soci. Poiché, invece, il concordato in continuità c.d. soggettiva si basa soprattutto su un patto tra soci della società debitrice e creditori (soddisfati comunque in maniera migliore di quanto possano attendersi dalla liquidazione fallimentare) ([33]), la proposta concorrente è in grado di spezzare questo patto e, da ulteriore punto di vista, di condannare ad ipotesi del tutto residuale il concordato in continuità c.d. soggettiva ([34]).

 

5. Alcune ipotesi di proposte “acquisitive”

Se si escludono le proposte parassitarie, che semplicemente fanno emergere a beneficio dei creditori risorse già presenti nel patrimonio del debitore, possiamo immaginare un miglioramento della proposta concordataria, grazie all’intervento dei creditori, solo se questi o terzi da loro designati apportano ulteriori fonti di alimentazione della provvista concordataria, in tal modo rendendo competitiva la loro proposta concorrente. Poiché nel mondo dell’economia la beneficenza fatica ad affermarsi, il creditore che formula una proposta concorrente per lui costosa muove da un interesse ulteriore rispetto al migliore soddisfacimento del proprio credito, interesse che, se non si limita all’espulsione di un concorrente dal mercato (mediante la presentazione di una proposta liquidatoria a fronte di una proposta del debitore in continuità aziendale), è verosimilmente volta all’acquisizione dell’impresa del debitore, da parte dello stesso creditore o da parte di un terzo da lui designato (cfr. art. 163 c. 5° l. fall., ove si fa riferimento all’ “intervento di terzi”).

Una tipica ipotesi “acquisitiva” è quella già vista sopra al par. 3, costruita sul modello della proposta con assuntore e con impegno diretto del creditore a soddisfare i creditori in cambio dell’attivo del debitore. Si tratta di un modello già ampiamente noto all’esperienza del concordato fallimentare ma che, se collocato nella procedura di concordato preventivo, rischia di complicarsi un poco. Va ricordato, infatti, che la disciplina delle offerte concorrenti si attiva in presenza di una “offerta da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso dell’azienda o di uno o più rami d’azienda o di specifici beni”. Chi vedesse nel “soggetto già individuato” il creditore proponente o il terzo dallo stesso designato come assuntore e nell’assunzione delle obbligazioni concordatarie l’onerosità dell’acquisizione dovrebbe riconoscere altresì la necessità di mettere in gara ex art. 163-bis l. fall. la proposta concorrente, con un’inevitabile rischio di corto circuito fra le discipline dei nuovi istituti.

D’altra parte, negare che una proposta con assuntore consenta di eludere la disciplina delle offerte concorrenti porterebbe alla conseguenza che lo stesso debitore potrebbe così confezionare la propria e, quindi, consegnare l’impresa al soggetto predesignato, che non pagherà un prezzo ma assumerà un debito, senza sottoporre l’acquisizione alla procedura competitiva imposta dall’art. 163-bis cit.

Ma ancora la disciplina delle offerte concorrenti s’interseca con quella delle proposte concorrenti se, magari in concorrenza con un piano del debitore in continuità c.d. soggettiva, il creditore formula una propria offerta di acquisto dell’azienda racchiusa all’interno di una proposta concorrente in continuità c.d. oggettiva. In questo caso, sembra difficile immaginare che l’offerta di acquisto contenuta nella proposta concorrente non debba essere sottoposta alla procedura competitiva ex art. 163-bis l. fall., con il dubbio se prima debba essere (eventualmente) approvata dai creditori la proposta concorrente, e poi messa a gara l’offerta di acquisto, o, al contrario, prima si debba cristallizzare la proposta concorrente, tramite la procedura competitiva disciplinata dall’art. ult. cit., e poi sottoporla al voto dei creditori in concorrenza con quella del debitore.

Il mercato, quando è troppo, rischia di inseguirsi la coda ([35]).

Resta, infine, una possibilità di proposta acquisitiva che dovrebbe collocarsi all’esterno dell’ambito di applicazione dell’art. 163-bis l. fall. ed è quella che il comma 5° dell’art. 163 l. fall. lascia intravedere con il riferimento alla possibile previsione, contenuta nel piano cui aderisce la proposta concorrente, di “un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto d’opzione”: il creditore (o il terzo) interessato all’acquisizione non dovrebbe fare altro che riservarsi un aumento di capitale schiacciando fuori, con l’esclusione del diritto di opzione, i vecchi soci della società debitrice, agevolato in ciò dalla capacità coercitiva dell’art. 185 l. fall.

Si tratterebbe di proposta acquisitiva probabilmente non in grado di attivare la disciplina delle offerte concorrenti ma gravida di ben altri problemi, derivanti (questa volta) dalla sua intersezione con consolidati principi di diritto societario.

In prima battuta, sembra che il laconico riferimento all’esclusione del diritto di opzione contenuto nell’art. 163 c. 5° l. fall. non comporti alcuna deroga a quanto prevedono, rispettivamente, l’art. 2441 c.c. per la S.p.A. e l’art. 2481-bis c.c. per la s.r.l. ([36]). Dunque, l’esclusione (o la limitazione) del diritto di opzione è possibile, nella S.p.A. emittente azioni non quotate, solo se i) le nuove azioni devono essere liberate mediante un conferimento in natura (cfr. art. 2441 c. 4° c.c.); ii) l’interesse sociale lo esige (cfr. art. 2441 c. 5° c.c.); iii) le azioni sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società debitrice (o di altre società che la controllano o sono dalla prima controllate: cfr. art. 2441 c. 8° c.c.). Per l’esclusione del diritto di sottoscrizione nella s.r.l., invece, la facoltà deve essere prevista dall’atto costitutivo (cfr. art. 2481-bis c. 1° c.c.), altrimenti non se ne parla.

Pur tacendo delle particolari cautele che circondano la possibilità di escludere o limitare siffatto fondamentale diritto dei soci di una società di capitali (si veda, soprattutto, l’articolato procedimento di cui al comma 6° dell’art. 2441 c.c.), si potrebbe porre il dubbio se l’interesse sociale “esigente” ex art. 2441 c. 5° c.c. possa corrispondere, in una logica neoistituzionale, alla sopravvivenza in sé della società esdebitata, anche se difforme dall’interesse di tutti i vecchi soci della stessa.

E comunque non sarebbe l’esclusione del diritto di opzione a salvare, se del caso, la società debitrice, ma la sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale, in grado di consegnare a questa le risorse previste come necessarie all’adempimento delle obbligazioni concordatarie. Non è punto comprensibile, dunque, se non in termini di incentivo abnorme alla formulazione di una proposta concorrente ostile, un sacrificio imposto a quei soci che potrebbero ancora manifestare interesse all’operazione di aumento di capitale sociale racchiusa nella proposta concorrente del creditore: l’interesse della massa dei creditori sarebbe comunque soddisfatto a seguito della sottoscrizione del nuovo capitale, a prescindere dall’identità dei sottoscrittori.

La relazione di accompagnamento alla L.n. 132/2015 ricorda che in Francia è stata introdotta la possibilità di un aumento di capitale coatto “con sottoscrizione da parte dei creditori o di altri terzi”, ma se si va leggere il corposo art. L631-19-2 del Code de commerce (introdotto dalla Loi n. 2015-990 del 6 agosto 2015), in materia di redressement judiciaire, si constata che “Si l’augmentation de capital est souscrite par apports en numéraire, les actions émises sont offertes par préference aux actionnaires” e che, in alternativa, si può prevedere la vendita coatta delle azione dei vecchi soci ai soggetti impegnati a dare esecuzione al piano di redressement, con il pagamento di un prezzo concordato o rimesso alla valutazione di un perito.

Dunque, poiché l’aumento di capitale sociale previsto nella proposta concorrente del creditore con finalità acquisitive dovrebbe di norma prevedere il versamento di conferimenti in denaro (se del caso, da compensare con le pretese falcidiate dei creditori), è giocoforza ritenere che, con l’unica eccezione di una s.r.l. debitrice che contenga nel suo atto costitutivo una illimitata possibilità di offerta ai terzi delle quote di nuova sottoscrizione (e salvo il problema del recesso dei soci ex art. 2481-bis c. 1° c.c.), sarà pressoché impossibile sottrarre coattivamente ai vecchi soci il diritto di opzione. Al limite, si potrà immaginare una proposta concorrente con aumento del capitale sociale e con impegno del proponente (o di un terzo designato) alla sottoscrizione dell’aumento sospensivamente condizionato alla preventiva rinuncia all’esercizio del diritto di opzione da parte di tanti soci che consentano comunque al sottoscrittore di conseguire il controllo della società debitrice, salvo ogni dubbio in ordine all’ammissibilità di proposte concordatarie condizionate.

Se già, dunque, una proposta concorrente acquisitiva mediante aumento coatto del capitale sociale non è una passeggiata, a renderne vieppiù problematico l’esito ci si mette anche il nostro ondivagante legislatore, che, con la precedente riforma estiva del 2012, introducendo l’art. 182-sexies l. fall., aveva posto il principio per cui lo sbilancio patrimoniale normalmente emergente con la crisi, a seguito del deposito di una domanda di concordato preventivo, non avrebbe intaccato il capitale sociale se non all’esito dell’omologazione del concordato, nel presupposto, evidentemente, che la falcidia imposta dall’art. 184 l. fall. avrebbe potuto ripristinare l’equilibrio patrimoniale incidendo sul passivo c.d. reale piuttosto che sul passivo c.d. ideale dello stato patrimoniale (inciso invece dalla riduzione del capitale sociale).

Ciò significa che, tendenzialmente, il creditore che voglia lanciare una proposta acquisitiva concorrente mediante aumento del capitale sociale, anche se rimediasse una rinuncia dei vecchi soci all’esercizio del diritto di opzione, rischierebbe di trovarsi costretto a coabitare con loro sotto il tetto della società debitrice risanata con la nuova iniezione di capitale, proprio a causa della sospensione degli obblighi di riduzione del capitale sociale per perdite prevista dall’art. 182-sexies cit.

Né, per la prospettata esigenza di stretta interpretazione della disciplina fallimentare che incide sull’ordinamento societario, si può abbinare, nel piano concorrente, la previsione di un aumento del capitale sociale alla imposizione di una riduzione del capitale sociale, specie considerato che della riduzione farebbero le spese i soci, non la società debitrice. Salvo ritenere che la proposta concorrente possa prevedere una falcidia dei creditori in misura tale da conservare, pur a seguito dell’omologazione del concordato, debiti sufficienti a far emergere una perdita in grado di imporre un azzeramento del preesistente capitale sociale (non più “conservato” dall’art. 182-sexies cit.) in grado di schiacciare fuori dalla società debitrice i vecchi soci, con il dubbio, infine, se i meccanismi di superamento dell’inerzia degli organi della società debitrice previsti dall’art. 185 l. fall. possano operare anche per ridurre, oltre che per aumentare, il capitale sociale.

Quanto basta, sembra, per prevedere vita non facile alla effettiva operatività di una disciplina tanto interessante sulla carta quanto incerta sul piano applicativo e dalle conseguenze disincentivanti nell’approccio al concordato preventivo, forse non parimenti compensate da un effettivo miglioramento dei risultati che possono essere sperati dai creditori concorsuali.



[1] Ci si riferisce, ovviamente, al nuovo ultimo comma dell’art. 160 l. fall., che, a parere di chi scrive, non presuppone tanto l’opportunismo del debitore, quanto l’incapacità dei creditori di esprimere un razionale giudizio di fattibilità (da ciò il dovere di “assicurare”) e di convenienza (da ciò la soglia del 20%) su una proposta di concordato, specie nell’ottica della comparazione con l’alternativa della liquidazione fallimentare. Si tratta di norma che sconta plasticamente la supposta incapacità dei protagonisti della crisi (debitore e creditori, soprattutto) di conseguire sul piano della contrattazione il risultato reciprocamente ottimale, con un ritorno in auge di un legislatore paternalista e dirigista.

[2] Cfr. M. Fabiani, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi di impresa, di prossima pubblicazione sulle Nuove leggi civ. comm., p. 2 del dattiloscritto: “Sarebbe esercizio di serietà, prima di intervenire sulle regole, acquisire seri dati statistici sull’impatto delle norme vigenti”.

[3] Sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, la nota di aggiornamento del D.E.F. 2015, deliberata dal C.d.M. del 18.09.2015, espone una tav. IV.1 “Cronoprogramma per le riforme” che reca l’impatto sul P.I.L. delle riforme in corso sino al 2020 e “nel lungo periodo”. L’impatto del D.L. n. 83/2015, tuttavia, non viene (per ora?) ponderato.

[4] Nello “Schema di disegno di legge delega” che circola in maniera carbonara tra gli addetti ai lavori (resta incomprensibile la riservatezza di facciata su temi che dovrebbero essere aperti al tempestivo dibattito con la comunità professionale e accademica, nell’interesse collettivo alla migliore qualità del prodotto legislativo), non si trovano criteri direttivi volti alla modifica dell’attuale disciplina in materia di proposte concorrenti, salvo la possibilità offerta anche ai terzi di domandare l’apertura del procedimento di concordato.

[5] Considerata la possibilità di proposte parassitarie, l’obbligo di deposito del piano diventa un onere da assolvere solo se il creditore opti per una proposta originale o derivata (v. infra nel testo, al par. 2).

[6] Ruolo divenuto vieppiù complesso ed impegnativo, a seguito della riforma estiva. Si veda, ad es., il più  ampio contenuto della relazione ex art. 172 l. fall., da depositarsi anticipatamente rispetto alla disciplina previgente.

[7] Cfr. E. Sabatelli, Appunti sul concordato preventivo dopo la legge di conversione del D.L. n. 83/2015, in Crisi d’Impresa e Fallimento, 13.11.2015, p. 24.

[8] Ciò, peraltro, attiva incentivi perversi: se un debitore non è in grado di formulare una proposta di concordato in continuità aziendale che assicuri il pagamento di almeno il 30% dei creditori chirografari (che impedisce la formulazione di proposte concorrenti ex art. 163 c. 5° l. fall.), sarà portato a consumare il proprio patrimonio sino a che una sua eventuale liquidazione non consenta un soddisfacimento dei chirografari di almeno il 20%, rendendo così inammissibile una proposta concorrente liquidatoria che non preveda alcuna risorsa esterna. Né siffatto incentivo perverso è “compensato” dall’incentivo virtuoso che alcuni hanno letto nell’art. 160 u.c. l. fall.: è del tutto inverosimile immaginare un debitore così attrezzato da essere in grado di misurare in tempo reale la capacità del proprio patrimonio di soddisfare in qualche misura i propri creditori chirografari. Se dotato di adeguati assetti organizzativi, un imprenditore tiene costantemente monitorato il proprio patrimonio netto, ma ciò nulla significa circa la soddisfazione dei creditori, considerato che: i) è noto che l’apertura di una procedura di concordato preventivo fa emergere sopravvenienze passive in grado di deprimere le iniziali (pur serie) convinzioni di soddisfacimento dei creditori concorsuali maturate dal debitore; ii) la soddisfazione dei creditori chirografari non dipende soltanto dalla quantità di patrimonio ma anche dalla sua composizione e, in particolare, dall’incidenza sul passivo dei creditori privilegiati. Ben più verosimile, per queste stesse ragioni, comprendere quando il patrimonio non è più in grado di soddisfare almeno il 20% dei creditori chirografari.

[9] Cfr. G. Bozza, Brevi considerazioni su alcune nome della ultima riforma, in Fallimenti e Società, 2015, p. 12.; G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, nel Fallimento, 2015, p. 1168; M. Fabiani, op. cit., p. 11. Contra, cfr. E. Sabatelli, op. cit., p. 25.

[10] Cfr. M. Fabiani, op. cit., p. 10, ove parla di “già ammortizzati … costi informativi della predisposizione del piano”.

[11] Favor poi addirittura smaccato in sede di votazione sulle proposte concorrenti, ove il creditore è ammesso al voto con un’incidenza che può essere determinante specie allorché, in mancanza di approvazione di alcuna proposta al primo giro delle votazioni (eventualità probabile, considerata la normale dispersione dei voti causata dalla concorrenza fra proposte e la reviviscenza della regola del silenzio – rigetto), va in finale solo quella che abbia conseguito “la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto”, maggioranza alla cui formazione il creditore proponente, che pesa per almeno il 10% sulla massa passiva (cfr. art. 163 c. 4° l. fall.), concorre con il suo voto, seppure segregato in classe separata ex art. 163 c. 6° l. fall. G. D’Attorre, op cit., p. 1177, parla di “esiziale disparità di trattamento” nel voto, mentre M. Fabiani, op. cit., p. 12 s., tenta di mitigare la disparità richiedendo che, in presenza di proposta con classi (necessaria al creditore concorrente per esprimere il proprio diritto di voto), la proposta che ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti su crediti debba altresì avere ricevuto l’approvazione da parte della maggioranza delle classi. Poco condivisibile, invece, la tesi di D. Galletti, Speciale decreto n. 83/2015 – Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema vigente saprà evitare il pericolo di rigetto?, nel Fallimentarista, 15.09.2015, p. 4, per il quale (addirittura) il debitore, nel confronto con i creditori concorrenti, godrebbe di “vantaggi processuali non indifferenti”.

[12] Sul quale mostra di riporre un certo (ingenuo?) affidamento il legislatore nella Relazione cit.: “Tale intervento è funzionale a due importanti obiettivi: … b) creare i presupposti per la nascita, anche in Italia, di un mercato dei distressed debt” (resta ignoto, poi, perché il legislatore italiano, per esprimere concetti adeguatamente espressi dal lessico italiano, debba affidarsi a termini stranieri).

[13] V. infra nel testo, al par. 5.

[14] Cfr. E. Sabatelli, op. cit., p. 24.

[15]  A conferma anche dello spirito del presente scritto: “prime riflessioni”.

[16] Sull’ambiguo concetto, cfr. S. Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, inCrisi d’Impresa e Fallimento, 20.08.2015, p. 19; G. Bozza, op. cit., 2015, p. 10 s.

[17] Cfr. G. D’Attorre, op. cit., p. 1163.

[18] Mentre la nomina dell’amministratore giudiziario ex art. 185 c. 6° l. fall. è ammessa senza dubbio anche nella s.r.l., se non pure nelle società di persone.

[19] Cfr. ex multis, L. Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007, p. 49 ss.

[20] Ben potendosi immaginare una proposta concorrente di un terzo in grado di fornire ai creditori un migliore trattamento rispetto a quello offerto dal debitore: cfr. M. Ratti, Commento all’art. 163 l. fall., nella Nuova riforma del diritto concorsuale – Commento operativo sul d.l. 83/2015 conv. in l. 132/2015, Torino, 2015, p. 145 ss.

[21] Il pensiero, ovviamente, va alla sentenza Cass. civ., sez. I, 13 ottobre 2015, n. 20559.

[22] Mi permetto di rinviare alle tesi esposte in A. Rossi, Le proposte indecenti nel concordato preventivo, in Giur. comm., 2015, I, p. 342 ss.

[23] La deliberazione assembleare funzionale all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità è richiesta, nella S.p.A., dall’art. 2393 c.c., mentre, pur tacendo sul punto la disciplina della s.r.l., si sta facendo largo un’opzione interpretativa che estenderebbe l’obbligo di deliberazione anche all’azione sociale di responsabilità esercitata direttamente dalla s.r.l.: cfr., ad es., Trib. Milano, 12 gennaio 2015, in www.giurisprudenzadelleimprese.it. Per vero, se si considera che un’azione con la quale il creditore (società) pretende il risarcimento di un danno conseguente ad un inadempimento di un contraente obbligato (amministratori) corrisponde ad un atto di gestione,  non si comprende dove stia la lacuna normativa necessaria all’attivazione del procedimento per analogia necessario ad importare l’art. 2393 c.c. nel sistema normativo della s.r.l., sistema che, di per sé, offre una governance (scarna ma) sufficiente ad individuare le competenze gestorie. E’ singolare come l’inerzia del sistema previgente rispetto alla riforma introdotta dal D. Lgs. n. 6/2003 faccia presa sugli interpreti, portati ad un progressivo riavvicinamento esegetico tra S.p.A. e s.r.l. (si vedano, tra gli altri, il problema dell’azione dei creditori sociali, con un riavvicinamento interpretativo della s.r.l. alla S.p.A., e dei finanziamenti soci, con un’attrazione di segno opposto, dalla S.p.A. alla s.r.l.).

[24] Se il timore dell’azione di responsabilità è concreto, sarà possibile immaginare un tentativo del debitore di catturare il creditore proponente prima del voto (anche se i tempi imposti dall’art. 172 c. 2° l. fall. sono piuttosto stretti), magari con l’acquisto del suo credito, da pagare, ovviamente, ad un prezzo ben superiore al trattamento concorsuale offerto alla massa nella proposta concordataria. Ci si può ancora interrogare sulla conseguenza di un acquisto del credito del proponente successivo alla votazione e, eventualmente, alla stessa approvazione della proposta concorrente: l’aliquota legittimante del 10% deve essere conservata per l’intero procedimento di concordato, al fine dell’ammissibilità della proposta concorrente? Se si conviene con la tesi che le condizioni di ammissibilità della proposta possono essere riesaminate e valutate sino al procedimento di omologazione, c’è il rischio di una risposta positiva, ciò che comporterebbe un ulteriore incentivo a negoziazioni “private” tra debitore e creditore proponente.

[25] Cfr. A. Pezzano, Commento all’art. 185 l. fall., nella Nuova riforma del diritto concorsuale, cit., p. 325, ove parla di “stravolgimento della figura del commissario, che da organo di vigilanza diventa anche organo attuativo della proposta”; v. anche R. Guidotti, Misure urgenti in materia fallimentare (D.L. 7 giugno 2015, n. 83): le modifiche alla disciplina del fallimento e le disposizioni dettate in tema di proposte concorrenti, nel sito www.ilcaso.it, p. 16.

[26] Non mi sembra corretto (cfr., in tal senso, G. D’Attorre, op. cit., p. 1179) limitare l’intervento del commissario giudiziale alla sola ipotesi in cui debitore sia una persona fisica, mentre ad un debitore in forma societaria si dovrebbe riservare la sola previsione di nomina di un amministratore giudiziario ex art. 185 c. 6° l. fall.: quanto meno ragioni di prudenza negli interventi intranei alla governance societaria (ragioni fatte proprie, ad es., dal legislatore del 2003 che ha riformato l’art. 2409 c.c.) consigliano di leggere la disciplina dell’art. 185 l. fall. in termini di invasività crescente, con un intervento del commissario giudiziale, anche relativamente al concordato di società, qualora l’inadempimento si limiti a singoli atti, e con la necessità estrema di ricorrere ai provvedimenti di cui al comma 6° dell’art. 185 cit. qualora l’inadempimento abbia ad oggetto una vera e propria attività (anche) di amministrazione.

[27] E’ singolare, peraltro, come il legislatore abbia cautelato con incisivi poteri di intervento solo l’esecuzione del concordato su proposta altrui, trascurando completamente la possibilità che i medesimi problemi di scostamento dall’esecuzione del piano, senza inadempimento delle obbligazioni concordatarie (che potrebbe sfociare nella risoluzione), possa darsi anche nel caso di concordato su proposta del debitore, fattispecie verso la quale il nuovo sistema mostra non solo sfiducia (quale traspare nella sbilanciata disciplina del voto sulle proposte concorrenti) ma anche disinteresse (i problemi nascenti in sede di esecuzione relativamente a qualsiasi concordato erano ben noti anche prima della riforma estiva), con il paradossale risultato di costringere gli interpreti ad interrogarsi sulla possibile applicazione per analogia dell’apparato predisposto dai nuovi commi 4°, 5° e 6° dell’art. 185 l. fall. anche ai casi di concordato omologato su proposta del debitore. Cfr. anche D. Galletti, op. cit., p. 19 ss., ove parla di “tante occasioni perdute”, mentre F. Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “Contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento – Parte II: le modifiche riguardanti il concordato preventivo. “Proposte/piani” ed “offerte” concorrenti, nel Fallimentarista, 29.06.2015, p. 9, opta esplicitamente per estendere le soluzioni coercitive previste dall’at. 185 l. fall. “a qualsiasi proposta di concordato, anche a quelle formulate dallo stesso debitore”.

[28] Cfr. in tal senso I. Pagni, La legittimazione alle azioni di responsabilità nel concordato preventivo, nelle Società, 2015, p. 604; M. Fabiani, Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di società in concordato preventivo, nelle Società, 2015, p. 615 s.

[29] Oggi, direi, (anche a seguito della modifica della rubrica, da “Cessione di beni” a “Cessioni”), pacificamente da applicarsi anche ai concordati in continuità aziendale c.d. oggettiva.

[30] Cfr. G. Bozza, op. cit., p. 12, per il quale “la possibilità di proposte concorrenti dovrebbe essere esclusa per i concordati con continuità diretta”.

[31] Non sembra seriamente sostenibile che la “congruità” della richiesta possa essere veramente valutata dal commissario giudiziale (competenza giustamente ritenuta “illogica” da G. D’Attorre, op. cit., p. 1171, che avrebbe preferito fosse investito di siffatta valutazione il giudice delegato) e che le cautele predisposte dalla norma siano in qualche misura efficaci: i) qualunque creditore, anche se non rappresentante il 10% della massa passiva, è legittimato ad accedere alla data room (se si vuole sostenere che la disciplina delle proposte concorrenti è destinata anche ad incentivare il mercato dei crediti non performanti, si deve ammettere che un creditore prima possa apprezzare il valore dell’impresa, poi possa essere interessato ad acquisire una massa critica di crediti che gli consenta il lancio di una proposta concorrente); ii) i dati non possono certo essere selezionati restrittivamente, perché, di norma, sono proprio i dati “sensibili” a rendere il valore degli intangibles e a fare il prezzo di un’impresa; iii) nessuna cautela potrà imporre al creditore che abbia appreso i dati sensibili di lanciare la proposta concorrente; iv) anche se si preveda una cauzione a garanzia dell’obbligo di riservatezza (possibilità esclusa da D. Galletti, op. cit., p. 7), quando mai dovrà essere liberata e a beneficio di chi?

[32] Nell’ipotesi di continuità c.d. oggettiva, il debitore sconta già la perdita dell’impresa e normalmente non ha quindi alcun controinteresse all’ostensione dei dati aziendali.

[33] Cfr. A. Rossi, La governance dell’impresa in fase di ristrutturazione, nel Fallimento, 2015, p. 259.

[34] Di contrario avviso, invece, D. Galletti, op. cit., p. 22, per il quale si potrebbe addirittura parlare di “asimmetria creata a vantaggio del concordato con continuità”.

[35] Cfr., anche per altre ipotesi di applicazione “incrociata” di proposte ed offerte concorrenti, D. Galletti, op. cit., p. 13 s.

[36] In senso contrario, invece, cfr. R. Guidotti, op. cit., p. 12, ove fa esplicito riferimento ad “una nuova causa di esclusione o limitazione del diritto di opzione”; M. Ratti, Commento all’art. 163 l. fall., nella Nuova riforma del diritto concorsuale, cit., p. 137 ss., che parla di “una sottospecie specificativa dell’art. 2441, comma 5, c.c.”; G. D’Attorre, op. cit., p. 1168 s., che assume come pacifica la possibilità che la proposta concorrente preveda liberamente l’esclusione o limitazione del diritto di opzione dei soci. Sembra invece confermare la scelta interpretativa offerta nel testo lo “Schema di disegno di legge delega” cit., il cui art. 7.2.d, a proposito del concordato preventivo, parla di “aumento di capitale mediante esclusione o limitazione del diritto di opzione, ai sensi dell’art. 2441, quinto comma, del codice civile”.



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