CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 23/11/2015 Scarica PDF
Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo (prime riflessioni)
Antonio Rossi, Professore associato di Diritto commerciale nell'Università degli Studi di BolognaSommario: 1. Le condizioni di ammissibilità - 2. Il grado di dipendenza della proposta concorrente dalla proposta del debitore - 3. Impegni del debitore assunti dal creditore proponente? - 4. Alcune ipotesi di proposte parassitarie - 5. Alcune ipotesi di proposte “acquisitive”
1. Le condizioni di ammissibilità
L’ennesima riforma estiva della legge fallimentare, che si deve al D.L. n. 83/2015 ed alla legge di conversione n. 132/2015, consegna agli operatori economici e agli interpreti una disciplina del concordato preventivo rinnovata anche dalla possibilità di formulare proposte concorrenti con quella del debitore. Con semplici innesti normativi in articoli preesistenti, a differenza di quanto disposto con il nuovo art. 163-bis l. fall. per le offerte concorrenti, il mercato delle proposte entra anche nel nostro ordinamento concorsuale, salutato con favore da chi ritiene che ciò sia in grado di risvegliare quei creditori che, con la stessa riforma, il legislatore ha poi considerato così apatici da non essere in grado di esprimere un razionale giudizio di valore su una proposta di concordato liquidatoria che non assicuri il pagamento di almeno il 20% del’ammontare dei crediti chirografari ([1]).
Non si vuole con il presente scritto esprimere giudizi di valore sull’introduzione in sé dell’istituto delle proposte concorrenti: sarà la futura esperienza applicativa a fornirci impressioni sull’eventuale miglioramento del livello di soddisfazione dei creditori, anche se la misurazione degli effetti delle passate riforme non sembra esercizio gradito al legislatore ([2]), più pronto a spingersi in avanti nella spendita di (non verificabili) attese di crescita del P.I.L. conseguenti alle nuove riforme ([3]).
Per ora, nel dubbio se il lavoro svolto dalla Commissione Rordorf sarà proficuamente appreso ed utilizzato dal legislatore e se, comunque, la disciplina delle proposte concorrenti sarà ulteriormente rivista ([4]), ci si approssima alla stessa con la curiosità di analisi che la novità suscita, al fine di valutare come possa essere confezionata una proposta di concordato preventivo concorrente con quella del debitore.
Innanzitutto, non sembra possa dubitarsi
(ma le certezze, come si vedrà oltre, si arrestano tosto) che, anche qualora
formulata da un creditore, la proposta debba rispettare i contenuti e le
condizioni di ammissibilità prescritti dagli artt. 160 e
Giova peraltro precisare che non è necessario che la proposta concorrente sia omogenea a quella del debitore o con questa immediatamente confrontabile, a differenza di ciò che prevede l’art. 163-bis c. 2° l. fall. relativamente alle offerte concorrenti (delle quali deve essere “assicurata in ogni caso la comparabilità”). Certo, ciò renderà improbo il compito del commissario giudiziale ([6]), chiamato dall’art. 172 c. 2° l. fall., nel caso di formulazione di proposte concorrenti, a redigere una relazione integrativa, nei pochi giorni successivi allo scadere del termine per il loro deposito (20) o per la presentazione delle loro modifiche (5), contenente (seppure “di regola”, ciò che non consente di cogliere appieno l’imperatività del precetto normativo) ([7]) “una particolareggiata comparazione tra tutte le proposte concordatarie”. D’altra parte, non sembra che l’argumentum ab inconvenienti consenta di ricostruire una diversa conclusione, che restringerebbe la concorrenza dei creditori proponenti, imponendo loro di adattarsi all’impostazione della proposta prescelta dal debitore. Sarà dunque possibile, ad esempio, formulare una proposta liquidatoria (che “assicuri” un soddisfacimento almeno del 20% ai creditori chirografari) in concorrenza con una proposta del debitore formulata in termini di continuità aziendale ([8]), così come sarà possibile l’ipotesi opposta ([9]).
2. Il grado di dipendenza della proposta concorrente dalla proposta del debitore
Si è testé riferito della possibilità di una proposta concorrente disomogenea rispetto a quella presentata dal debitore. Ciò, tuttavia, rappresenta una facoltà, non certo una necessità; anzi, si tratta di facoltà che, per le ragioni che ci si appresta ad esporre, dovrebbe costituire un accidente piuttosto raro dei prossimi concordati preventivi.
Riveste infatti particolare importanza,
nella ricostruzione del possibile contenuto di una proposta concorrente, quanto
prevede il comma 4° dell’art.
Si ammette, cioè, che il creditore che formula la proposta concorrente si avvalga gratuitamente sia del lavoro svolto dal professionista attestatore, nominato (e pagato) dal debitore, sia dell’attività svolta dal commissario giudiziale (e pagata dalla massa dei creditori) ([10]): un vantaggio competitivo che evidenzia il favor che il legislatore riserva alla proposta dei creditori, rispetto a quella proveniente dal debitore ([11]). Ne deriva che il creditore proponente è tenuto ad attestare ex art. 161 c. 3° l. fall. la propria proposta concorrente con una variabilità della geometria dell’obbligo di attestazione (o della non attestazione) che illumina circa la possibilità di una proposta altrettanto polimorfa.
E’ possibile quindi immaginare una suddivisione delle proposte concorrenti che, a seconda del contenuto del piano sul quale poggiano, possiamo convenzionalmente definire come: i) originali; ii) derivate; iii) parassitarie.
E’ originale quella proposta che, per il reperimento della provvista concordataria, si affida ad un piano radicalmente innovativo rispetto a quello presentato dal debitore, anche, come visto, con un esito del concordato del tutto difforme rispetto a quello contemplato e previsto dall’imprenditore che si è affidato alla procedura di concordato preventivo per affrontare e risolvere lo stato di crisi. In questo caso, il creditore proponente ha bisogno di una relazione di attestazione che si esprima compiutamente sulla fattibilità del proprio piano, mentre sembra che, relativamente alla veridicità dei dati aziendali, possa fare affidamento sia sull’attestazione depositata dal debitore, sia sulla relazione del commissario giudiziale che, ai sensi dell’art. 172 c. 1° l. fall., deve pur sempre contenere “l’inventario del patrimonio” del debitore. I tempi della procedura, tuttavia, non lasciano immaginare una particolare frequenza di proposte concorrenti originali, perché è innegabile che sia impresa ardita redigere un piano di concordato che prescinda dalla relazione del commissario giudiziale e, ai sensi dell’art. 163 c. 4° l. fall., le proposte concorrenti devono intervenire almeno 30 giorni prima dell’adunanza dei creditori e, dunque, al più tardi nei 15 giorni successivi al deposito in cancelleria della relazione suddetta. Sono tempi stretti, specie se confrontati con i 60 - 120 giorni (+ 60 giorni di proroga) che possono essere messi a disposizione del debitore ai sensi dell’art. 161 c. 6° l. fall., tempi che ben difficilmente sono compatibili con l’atteso risveglio del mercato dei crediti non perfomanti ([12]), considerato che gli investitori istituzionali interessati a lanciare una proposta “acquisitiva” ([13]) avrebbero solo 15 giorni di tempo per: i) valutare la relazione del commissario giudiziale, ii) valutare il costo sostenibile di una proposta ostile e, dunque, il costo dei crediti da acquistare per raggiungere la soglia del 10%, iii) negoziare l’acquisto (di norma, presso creditori bancari che non brillano per la snellezza delle procedure decisionali), iv) redigere una propria, originale proposta concorrente. Senza contare che il creditore che voglia fare concorrenza al debitore distaccandosi dal suo piano dovrà sostenere costi per un’attestazione di fattibilità senza la certezza del successo e senza l’incentivo al superamento di una crisi che non è la sua.
Più facile, dunque, immaginare che il creditore, magari già intraneo all’impresa del debitore (perché coinvolto in trattative per la sua acquisizione anteriori alla presentazione della domanda di concordato o perché proveniente dal suo mangement) presenti una proposta derivata, che tragga spunto sia dalla proposta (e, soprattutto, dal piano) del debitore, sia dalle verifiche svolte dal commissario giudiziale nella propria relazione. In tal caso, è difficile immaginare un cambio di impostazione della proposta concorrente, che sposerà quella (liquidatoria, in continuità oggettiva o in continuità soggettiva) già adottata dalla proposta del debitore per differenziarsene solo marginalmente, seppure in maniera sufficientemente significativa da richiedere una propria relazione di attestazione “differenziale” e limitata agli “aspetti” del piano del creditore eccentrici rispetto al piano del debitore e, pertanto, non già verificati dal commissario.
Infine, la proposta concorrente potrà essere parassitaria, allorché adotti sic et simpliciter il piano del debitore e le risultanze della relazione del commissario ([14]), ammettendosi dunque che uno stesso programma di acquisizione della provvista concordataria possa supportare diverse proposte di concordato (v. infra, al par. 4). E’ questa una proposta del creditore a costo zero e, proprio per questo, estremamente insidiosa per i complessivi equilibri della procedura di concordato, considerata la situazione di azzardo morale in cui viene a trovarsi il creditore proponente, che, ad un primo esame della disciplina ([15]), non sembrerebbe subire conseguenze negative dell’insuccesso del concordato omologato sulla sua proposta.
3. Impegni del debitore assunti dal creditore proponente?
Il terreno della nuova disciplina si fa poi decisamente scivoloso quando si cerca di tracciare il perimetro degli impegni che il creditore può spendere nella propria proposta concorrente.
In ordine decrescente di attendibilità delle opzioni interpretative, sembra ci siano pochi dubbi circa la possibilità che un creditore confezioni una proposta concorrente per assunzione, in guisa di quanto avviene di norma nell’ambito del concordato fallimentare. Già dal 2005, l’art. 160 c. 1°, lett. b), l. fall. prevede tipicamente che il piano di concordato preventivo possa prevedere “l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore”: il creditore potrà quindi impegnarsi, direttamente o con l’intervento di un terzo (cfr. art. 163 c. 5° l. fall.), al soddisfacimento dei creditori in cambio del trasferimento dell’attivo del debitore.
Si tratta di una proposta “acquisitiva” che sembra il prototipo delle proposte concorrenti immaginate dal legislatore: se il debitore offre ai proprio creditori complessivamente meno del valore dell’impresa rischia di essere scavalcato da una proposta concorrente che consente invece ai creditori stessi di appropriarsi di un risultato che, in condizioni di mercato perfetto, tende ad uguagliare siffatto valore.
Passando ad affrontare ipotesi più problematiche, interessa invece affrontare il dubbio se il creditore proponente possa soltanto impegnare se medesimo, se del caso con l’intervento di un terzo ex art. 163 c. 5° l. fall., o possa anche impegnare lo stesso debitore (con il suo patrimonio) che ha dato impulso alla procedura di concordato preventivo.
Il dubbio sembrerebbe risolto in limine dall’art. 161 c. 2°, lett. e), l. fall., ai sensi del quale la proposta di concordato deve obbligatoriamente indicare l’utilità ([16]) che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore.
Sussistono, tuttavia, altre evidenze, letterali e sistematiche, che consentono di opinare diversamente e di ritenere, invece, che il creditore, nella propria proposta concorrente, possa impegnare anche soltanto lo stesso debitore.
Un primo indizio di questa possibilità
emerge dalla stessa ammissibilità di proposte concorrenti parassitarie: se il
creditore può avvalersi integralmente delle risultanze del piano del debitore,
della relazione del “suo” professionista attestatore, delle verifiche svolte su
detto piano dal commissario giudiziale e riportate nella proprie relazione ex
art.
Un secondo indizio deriva dalla possibilità, abbozzata dall’art. 163 c. 5° l. fall., che la proposta concorrente preveda un aumento di capitale sociale della società debitrice. A prescindere, per ora, da come detto aumento forzoso possa trovare ingresso nella proposta del creditore (v. infra, al par. 5), sembra indubbio che lo stesso non possa che essere funzionale all’adempimento delle obbligazioni concordatarie da parte della stessa società debitrice: sia che le risorse acquisite dalla stessa a seguito della sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale vadano a formare la provvista concordataria, sia che l’aumento sia destinato alla conversione dei crediti concorsuali in capitale sociale, mediante compensazione del credito falcidiato con il controcredito della società da sottoscrizione del capitale, chi paga è la società debitrice, non il creditore proponente.
A questa considerazione si abbina infine
il dato testuale del comma 3° dell’art.
La sommatoria di siffatti indizi consente, dunque, di ritenere superabile l’argomento letterale offerto dalla lettera “e” dell’art. 161 c. 2° l. fall.: “il proponente si obbliga” ma, se creditore concorrente, non necessariamente in nome proprio.
Altro problema è cercare di inquadrare questo assetto di rapporti in qualche categoria del diritto civile ([17]).
Dubito, innanzitutto, che il fenomeno in
esame possa essere ricondotto ad una promessa del fatto del terzo ex art. 1381
c.c., dove il creditore proponente svolgerebbe il ruolo di promittente ed il
debitore quello di terzo: gli indici normativi testé evidenziati forniscono un
quadro in cui il debitore, a fronte di un concordato preventivo omologato su
proposta concorrente, non è libero di obbligarsi o no a fronte della proposta
concordataria approvata dai creditori: quanto meno l’art.
Sembra, piuttosto, che possa immaginarsi una vera e propria spendita del nome del debitore da parte del creditore proponente, con modalità, tuttavia, che travalicano l’istituto della mera rappresentanza. Nel caso di specie, infatti, l’esecuzione del concordato omologato non comporta soltanto il compimento, da parte del debitore, degli atti contenuti nel piano e nella proposta del creditore, ma può estendersi all’adozione di un programma di attività imprenditoriale e, addirittura, prevedere comportamenti doverosi degli organi sociali e degli stessi soci della società debitrice, come avviene nell’ipotesi dell’aumento del capitale sociale forzoso tipicamente prevista dagli artt. 163 c. 5° e 185 c. 6° l. fall.
Si tratta, dunque, di un fenomeno del tutto singolare ed eccentrico rispetto alle categorie del diritto privato, ma coerente con il diritto dell’impresa e, soprattutto, con i principi da tempo emergenti in tema di procedure concorsuali, a proposito delle quali è d’uso affermare che la loro funzione consiste nel trasferire il controllo dell’impresa insolvente dai soci ai creditori ([19]). Ebbene, a seguito dell’omologazione di un concordato preventivo su proposta altrui, il controllo dell’impresa passa ai creditori, che la gestiscono sulla base di un piano che non è più mediato da un accordo tra debitore e creditori ma trova la sua forza vincolante in un accordo tra creditori: il creditore proponente, dall’un lato, la maggioranza dei creditori votanti, dall’altro lato. Si tratta di un piano che s’impone al debitore, oltre che agli organi e agli stessi soci della società debitrice, con una soluzione della crisi che, in una visione forse un po’ idealistica, allinea gli interessi dei creditori alla massima soddisfazione con quello del debitore ad evitare il fallimento, mediante l’intervento di un nuovo protagonista (il creditore proponente) che può scendere in campo sia al solo fine di realizzare al meglio il proprio credito (di norma, con una proposta parassitaria), sia al fine di realizzare un proprio interesse ulteriore e diverso rispetto alla mera massimizzazione del credito (di norma, con una proposta originale ed acquisitiva).
Se poi si condivide la tesi per cui il potere del creditore proponente di impegnare il debitore, a seguito dell’approvazione degli altri creditori, non è altro che la più plastica manifestazione del trasferimento del potere di controllo dell’impresa insolvente dai vecchi (soci) ai nuovi (creditori) titolari di pretese residuali, allora può anche trovare giustificazione la riserva di legittimazione alla proposta concorrente a beneficio dei soli creditori di riferimento (rappresentanti almeno il 10% della massa passiva), riserva che, se l’unica ragione della nuova disciplina consistesse nel raggiungimento del livello massimo di soddisfazione dei creditori, non intercetterebbe invece alcun rationale ([20]).
4. Alcune ipotesi di proposte parassitarie
Come visto, la proposta concorrente può essere solo marginalmente differente da quella del debitore ed avvalersi nella sua integralità del piano di quest’ultimo. Non è difficile immaginare casi di ricorso ad una proposta parassitaria: è sufficiente aggiungere una ciliegina alla torta già infornata dal debitore. E’ possibile, tuttavia, anche intravedere come la ciliegina possa comportare effetti ex ante disincentivanti, relativamente alla fruizione dell’istituto concordatario, celando quindi una vera e propria pillola avvelenata per il concordato preventivo, dalle conseguenze probabilmente eccedenti la mera aspirazione ad un migliore soddisfacimento dei creditori.
In primis, già il concordato di gruppo non sta vivendo i suoi giorni migliori ([21]) ma a ciò si aggiunge che, al di là degli aspetti procedurali, qualsiasi concordato che, nell’ambito di un gruppo di società, voglia ricomporre ex post situazioni di equilibrio magari compromesse da trasferimenti intragruppo, prevede normalmente lo spostamento di risorse tra le diverse società che accedono alla procedura di concordato, anche in violazione dell’art. 2740 c.c. Non è questa la sede per discettare dell’ammissibilità di una soluzione di questo tipo ([22]); certo è, tuttavia, che, in presenza di una proposta al risparmio di una società del gruppo, che preveda la riallocazione a beneficio di altre società del gruppo della provvista non destinata ai propri creditori, ci potrà sempre essere un creditore della società sacrificata che, adottando de plano il piano della società proponente, proponga, in alternativa, la destinazione alla massa dei creditori della società sacrificata dell’intera provvista generata dal piano, con conseguente sgretolamento del tentativo di consolidamento sostanziale coinvolgente l’intero concordato c.d. di gruppo.
Un altro tema “caldo”, toccato
indirettamente dalla nuova disciplina delle proposte concorrenti, è quello dei
rapporti tra concordato preventivo e responsabilità degli organi sociali: da un
lato, alcuni ritengono che la confessione delle malefatte degli amministratori
e sindaci che si pongono a monte della domanda di concordato costituisca un
adempimento necessario all’allestimento di una domanda di concordato
ammissibile, altrimenti destinata alla revoca ex art.
Oggi, il tema della responsabilità degli organi sociali della società debitrice può generare vieppiù interesse se si considera che l’azione sociale di responsabilità può costituire una classica ciliegina sulla torta del piano concordatario del debitore.
Non va dimenticato, infatti, che il novellato art. 172 c. 1° l. fall. impone al commissario giudiziale di illustrare nella propria relazione “le utilità che, in caso di fallimento, possono essere apportate dalle azioni risarcitorie … che possono essere promosse nei confronti dei terzi”. Ebbene, il creditore proponente, in presenza di un piano di una società debitrice che “dimentichi” le azioni di responsabilità contro amministratori e sindaci, potrà limitarsi ad aggiungere alla provvista concordataria risultante dal piano del debitore l’“utilità” illustrata dal commissario giudiziale nella propria relazione, con un evidente miglioramento, anche solo marginale, della proposta. E sarà ben difficile, per il debitore, convincere in adunanza i creditori che la proposta concorrente, corrispondente alla sua ma con l’aggiunta dell’azione di responsabilità, non sia più conveniente ([24]).
In altri termini, la nuova disciplina rende più difficile fare del concordato preventivo un safe harbour che protegga dalle azioni di responsabilità: ciò non è di per sé un male, anzi, ma è bene essere consapevoli che si tratta di un ulteriore tassello di un puzzle di discipline che renderanno sempre meno appetibile, ex parte debitoris, la soluzione concordataria della crisi d’impresa.
Resta, poi, il dubbio di come, successivamente all’omologazione di un concordato su proposta concorrente che aggiunga alla proposta del debitore l’azione sociale di responsabilità, possa essere effettivamente esercitata detta azione. Al di là della necessità di nomina del curatore speciale ex art. 78 c.p.c., qualora l’organo di amministrazione destinatario dell’azione sia ancora in carica, ci si può interrogare se, per dare maggiore effettività alla risorsa acquisita dai creditori con il concordato, non si possa, già quale elemento del piano della proposta concorrente, prevedere che l’azione sarà promossa in sede esecutiva dal commissario giudiziale. A chi osservi che al commissario giudiziale spetta soltanto ex art. 185 c. 1° l. fall. un potere di sorveglianza sull’esecuzione, si potrà opporre che il comma 4° dello stesso articolo prevede la possibilità che il tribunale attribuisca al commissario il potere di compiere singoli atti previsti dal piano, pur nell’inerzia del debitore. E’ dunque ipotizzabile un cambio di registro nelle funzioni del commissario giudiziale in sede di esecuzione del concordato ([25]), con il riconoscimento di un suo ruolo attivo, non di mero vigilante, ruolo forse già spendibile anche prima dell’omologazione del concordato, mediante l’attribuzione di specifici poteri esplicitata, insieme alle altre “modalità” dell’esecuzione, nel piano e quindi nel decreto di omologazione ([26]); ferma, tuttavia, la necessità di nomina dell’amministratore giudiziario ex art. 185 c. 6° l. fall. qualora la sostituzione del debitore debba estendersi non al compimento di singoli atti (cui si riferiscono i commi 4° e 5° dell’art. ult. cit.) ma all’esercizio di una vera e propria attività, anche connotata da precise (se preindividuate nel piano omologato) prescrizioni di contenuto gestionale ([27]).
Se poi si ritenga che, nonostante la previsione dell’azione sociale di responsabilità quale elemento del piano di concordato, sia comunque necessaria la deliberazione dell’assemblea dei soci, si potrebbe altresì ipotizzare che anche questa delibera sia coercibile nei termini di cui al comma 6° dell’art. 185 cit., con convocazione dell’assemblea e votazione (unanime, s’immagina) rimessa all’amministratore giudiziario nominato ex art. ult. cit. in caso d’inerzia di amministratori (in sede di convocazione dell’assemblea) e soci (in sede di votazione).
A tanto, però, non sembra si possa arrivare. Se si conserva ancora un minimo di rispetto (quasi estetico) per l’impianto normativo delle società di capitali, non si può non dare all’art. 185 c. 6° l. fall. un’interpretazione restrittiva, che limiti l’eccezionalità dell’intervento sostitutivo dell’amministratore giudiziario alla sola ipotesi di aumento del capitale sociale (v. anche infra, al par. 5). Dunque, delle due, l’una: o si ritiene che, prevista nel piano la destinazione ai creditori dei risultati dell’azione sociale di responsabilità, non sia necessaria alcuna deliberazione assembleare, rimettendosi alla forza del decreto di omologazione anche un’efficacia autorizzativa endosocietaria ([28]), o si continua a pretendere, per l’esercizio dell’azione, una deliberazione assembleare che, se mancante (qualora non venga convocata l’assemblea o questa non deliberi positivamente), determinerà una causa di inadempimento di una specifica obbligazione concordataria, con il noto rischio di risoluzione del concordato.
Un’ulteriore ipotesi di proposta parassitaria, infine, riguarda il concordato in continuità c.d. soggettiva pura, relativamente al quale la minaccia delle proposte concorrenti risulta particolarmente marcata, rispetto alle altre soluzioni concordatarie.
Infatti, in un concordato liquidatorio, al di là della possibilità di aggiungere ai beni destinati alla liquidazione un’azione di responsabilità o di catturare l’intera provvista concordataria, se risparmiata dal debitore, i creditori già ottengono l’intero valore del patrimonio del debitore e, in un mercato perfetto, non ha un gran senso offrire di più. D’altra parte, il concordato con continuità c.d. oggettiva, che si attua con il trasferimento dell’azienda in funzionamento, comporta anch’esso la realizzazione di un prezzo che tende all’intero valore dell’impresa, sia grazie alle procedure competitive imposte dall’art. 182 c. 4° l. fall. ([29]), sia grazie alla disciplina delle offerte concorrenti di cui all’art. 163-bis l. fall.
Dunque, la disciplina delle proposte concorrenti trova il suo terreno più fertile nella continuità aziendale c.d. soggettiva, della quale tuttavia, in una sorta di eterogenesi dei fini (rispetto alle dichiarata preferenza manifestata dal legislatore per la soluzione concordataria conservativa: cfr. artt. 160 u.c. e 163 c. 5° l. fall.), rischia di decretare l’estinzione ([30]).
Innanzitutto, ed incidenter tantum, l’illimitata ostensione dei dati aziendali imposta dall’art. 165 c. 3° l. fall. a qualunque creditore ([31]) è deleteria pressoché soltanto qualora il debitore preveda di superare la crisi attraverso il concordato e continuando direttamente l’esercizio dell’impresa ([32]), ciò che di per sé costituisce un potentissimo disincentivo alla elaborazione di piani di concordato in continuità c.d. soggettiva (la vera peculiarità del concordato preventivo, si licet).
Poi, un concordato che prevede ex art. 186-bis c. 1° l. fall. “la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore” si costruisce di norma (seppure non necessariamente) attorno ad un impegno del debitore a pagare in percentuale i creditori, con la provvista formata dalle risorse generate dall’esercizio dell’impresa. Un piano di questo tipo, prevede sempre che una parte soltanto di queste risorse sia destinata alla formazione della provvista concordataria, perché un’altra parte sarà destinata all’autofinanziamento dell’impresa. E’ anche possibile immaginare una partecipazione dei soci al risultato della gestione, nella misura compatibile con la necessità che la proposta concordataria corrisponda comunque, ex art. 186-bis c. 2°, lett. b), l. fall., al “miglior soddisfacimento dei creditori”. In ogni caso, il piano ha una durata limitata, oltre la quale, adempiute le obbligazioni concordatarie, i creditori non partecipano più ai risultati dell’attività d’impresa.
In questo scenario, allora, è possibile immaginare una proposta parassitaria con la quale, ad esempio, un creditore sottoponga agli altri creditori l’idea di mantenere la continuità c.d. soggettiva pianificata dal debitore per appropriarsi di tutti i risultati della gestione sino all’integrale soddisfazione dei crediti (limite massimo di estrazione delle risorse dall’attività d’impresa), escludendo da qualunque forma di remunerazione la persistente partecipazione dei soci. Poiché, invece, il concordato in continuità c.d. soggettiva si basa soprattutto su un patto tra soci della società debitrice e creditori (soddisfati comunque in maniera migliore di quanto possano attendersi dalla liquidazione fallimentare) ([33]), la proposta concorrente è in grado di spezzare questo patto e, da ulteriore punto di vista, di condannare ad ipotesi del tutto residuale il concordato in continuità c.d. soggettiva ([34]).
5. Alcune ipotesi di proposte “acquisitive”
Se si escludono le proposte parassitarie, che semplicemente fanno emergere a beneficio dei creditori risorse già presenti nel patrimonio del debitore, possiamo immaginare un miglioramento della proposta concordataria, grazie all’intervento dei creditori, solo se questi o terzi da loro designati apportano ulteriori fonti di alimentazione della provvista concordataria, in tal modo rendendo competitiva la loro proposta concorrente. Poiché nel mondo dell’economia la beneficenza fatica ad affermarsi, il creditore che formula una proposta concorrente per lui costosa muove da un interesse ulteriore rispetto al migliore soddisfacimento del proprio credito, interesse che, se non si limita all’espulsione di un concorrente dal mercato (mediante la presentazione di una proposta liquidatoria a fronte di una proposta del debitore in continuità aziendale), è verosimilmente volta all’acquisizione dell’impresa del debitore, da parte dello stesso creditore o da parte di un terzo da lui designato (cfr. art. 163 c. 5° l. fall., ove si fa riferimento all’ “intervento di terzi”).
Una tipica ipotesi “acquisitiva” è quella già vista sopra al par. 3, costruita sul modello della proposta con assuntore e con impegno diretto del creditore a soddisfare i creditori in cambio dell’attivo del debitore. Si tratta di un modello già ampiamente noto all’esperienza del concordato fallimentare ma che, se collocato nella procedura di concordato preventivo, rischia di complicarsi un poco. Va ricordato, infatti, che la disciplina delle offerte concorrenti si attiva in presenza di una “offerta da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso dell’azienda o di uno o più rami d’azienda o di specifici beni”. Chi vedesse nel “soggetto già individuato” il creditore proponente o il terzo dallo stesso designato come assuntore e nell’assunzione delle obbligazioni concordatarie l’onerosità dell’acquisizione dovrebbe riconoscere altresì la necessità di mettere in gara ex art. 163-bis l. fall. la proposta concorrente, con un’inevitabile rischio di corto circuito fra le discipline dei nuovi istituti.
D’altra parte, negare che una proposta con assuntore consenta di eludere la disciplina delle offerte concorrenti porterebbe alla conseguenza che lo stesso debitore potrebbe così confezionare la propria e, quindi, consegnare l’impresa al soggetto predesignato, che non pagherà un prezzo ma assumerà un debito, senza sottoporre l’acquisizione alla procedura competitiva imposta dall’art. 163-bis cit.
Ma ancora la disciplina delle offerte concorrenti s’interseca con quella delle proposte concorrenti se, magari in concorrenza con un piano del debitore in continuità c.d. soggettiva, il creditore formula una propria offerta di acquisto dell’azienda racchiusa all’interno di una proposta concorrente in continuità c.d. oggettiva. In questo caso, sembra difficile immaginare che l’offerta di acquisto contenuta nella proposta concorrente non debba essere sottoposta alla procedura competitiva ex art. 163-bis l. fall., con il dubbio se prima debba essere (eventualmente) approvata dai creditori la proposta concorrente, e poi messa a gara l’offerta di acquisto, o, al contrario, prima si debba cristallizzare la proposta concorrente, tramite la procedura competitiva disciplinata dall’art. ult. cit., e poi sottoporla al voto dei creditori in concorrenza con quella del debitore.
Il mercato, quando è troppo, rischia di inseguirsi la coda ([35]).
Resta, infine, una possibilità di
proposta acquisitiva che dovrebbe collocarsi all’esterno dell’ambito di
applicazione dell’art. 163-bis l.
fall. ed è quella che il comma 5° dell’art.
Si tratterebbe di proposta acquisitiva probabilmente non in grado di attivare la disciplina delle offerte concorrenti ma gravida di ben altri problemi, derivanti (questa volta) dalla sua intersezione con consolidati principi di diritto societario.
In prima battuta, sembra che il laconico
riferimento all’esclusione del diritto di opzione contenuto nell’art. 163 c. 5°
l. fall. non comporti alcuna deroga a quanto prevedono, rispettivamente, l’art.
2441 c.c. per
Pur tacendo delle particolari cautele che circondano la possibilità di escludere o limitare siffatto fondamentale diritto dei soci di una società di capitali (si veda, soprattutto, l’articolato procedimento di cui al comma 6° dell’art. 2441 c.c.), si potrebbe porre il dubbio se l’interesse sociale “esigente” ex art. 2441 c. 5° c.c. possa corrispondere, in una logica neoistituzionale, alla sopravvivenza in sé della società esdebitata, anche se difforme dall’interesse di tutti i vecchi soci della stessa.
E comunque non sarebbe l’esclusione del diritto di opzione a salvare, se del caso, la società debitrice, ma la sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale, in grado di consegnare a questa le risorse previste come necessarie all’adempimento delle obbligazioni concordatarie. Non è punto comprensibile, dunque, se non in termini di incentivo abnorme alla formulazione di una proposta concorrente ostile, un sacrificio imposto a quei soci che potrebbero ancora manifestare interesse all’operazione di aumento di capitale sociale racchiusa nella proposta concorrente del creditore: l’interesse della massa dei creditori sarebbe comunque soddisfatto a seguito della sottoscrizione del nuovo capitale, a prescindere dall’identità dei sottoscrittori.
La relazione di accompagnamento alla L.n. 132/2015 ricorda che in Francia è stata introdotta la possibilità di un aumento di capitale coatto “con sottoscrizione da parte dei creditori o di altri terzi”, ma se si va leggere il corposo art. L631-19-2 del Code de commerce (introdotto dalla Loi n. 2015-990 del 6 agosto 2015), in materia di redressement judiciaire, si constata che “Si l’augmentation de capital est souscrite par apports en numéraire, les actions émises sont offertes par préference aux actionnaires” e che, in alternativa, si può prevedere la vendita coatta delle azione dei vecchi soci ai soggetti impegnati a dare esecuzione al piano di redressement, con il pagamento di un prezzo concordato o rimesso alla valutazione di un perito.
Dunque, poiché l’aumento di capitale sociale previsto nella proposta concorrente del creditore con finalità acquisitive dovrebbe di norma prevedere il versamento di conferimenti in denaro (se del caso, da compensare con le pretese falcidiate dei creditori), è giocoforza ritenere che, con l’unica eccezione di una s.r.l. debitrice che contenga nel suo atto costitutivo una illimitata possibilità di offerta ai terzi delle quote di nuova sottoscrizione (e salvo il problema del recesso dei soci ex art. 2481-bis c. 1° c.c.), sarà pressoché impossibile sottrarre coattivamente ai vecchi soci il diritto di opzione. Al limite, si potrà immaginare una proposta concorrente con aumento del capitale sociale e con impegno del proponente (o di un terzo designato) alla sottoscrizione dell’aumento sospensivamente condizionato alla preventiva rinuncia all’esercizio del diritto di opzione da parte di tanti soci che consentano comunque al sottoscrittore di conseguire il controllo della società debitrice, salvo ogni dubbio in ordine all’ammissibilità di proposte concordatarie condizionate.
Se già, dunque, una proposta concorrente
acquisitiva mediante aumento coatto del capitale sociale non è una passeggiata,
a renderne vieppiù problematico l’esito ci si mette anche il nostro ondivagante
legislatore, che, con la precedente riforma estiva del 2012, introducendo
l’art. 182-sexies l. fall., aveva
posto il principio per cui lo sbilancio patrimoniale normalmente emergente con
la crisi, a seguito del deposito di una domanda di concordato preventivo, non
avrebbe intaccato il capitale sociale se non all’esito dell’omologazione del
concordato, nel presupposto, evidentemente, che la falcidia imposta dall’art.
Ciò significa che, tendenzialmente, il creditore che voglia lanciare una proposta acquisitiva concorrente mediante aumento del capitale sociale, anche se rimediasse una rinuncia dei vecchi soci all’esercizio del diritto di opzione, rischierebbe di trovarsi costretto a coabitare con loro sotto il tetto della società debitrice risanata con la nuova iniezione di capitale, proprio a causa della sospensione degli obblighi di riduzione del capitale sociale per perdite prevista dall’art. 182-sexies cit.
Né, per la prospettata esigenza di
stretta interpretazione della disciplina fallimentare che incide
sull’ordinamento societario, si può abbinare, nel piano concorrente, la
previsione di un aumento del capitale sociale alla imposizione di una riduzione del capitale sociale, specie
considerato che della riduzione farebbero le spese i soci, non la società
debitrice. Salvo ritenere che la proposta concorrente possa prevedere una
falcidia dei creditori in misura tale da conservare, pur a seguito dell’omologazione
del concordato, debiti sufficienti a far emergere una perdita in grado di
imporre un azzeramento del preesistente capitale sociale (non più “conservato”
dall’art. 182-sexies cit.) in grado
di schiacciare fuori dalla società debitrice i vecchi soci, con il dubbio,
infine, se i meccanismi di superamento dell’inerzia degli organi della società
debitrice previsti dall’art.
Quanto basta, sembra, per prevedere vita non facile alla effettiva operatività di una disciplina tanto interessante sulla carta quanto incerta sul piano applicativo e dalle conseguenze disincentivanti nell’approccio al concordato preventivo, forse non parimenti compensate da un effettivo miglioramento dei risultati che possono essere sperati dai creditori concorsuali.
[1] Ci si riferisce, ovviamente, al nuovo ultimo comma
dell’art.
[2] Cfr. M. Fabiani, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi di impresa, di prossima pubblicazione sulle Nuove leggi civ. comm., p. 2 del dattiloscritto: “Sarebbe esercizio di serietà, prima di intervenire sulle regole, acquisire seri dati statistici sull’impatto delle norme vigenti”.
[3] Sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze,
la nota di aggiornamento del D.E.F. 2015, deliberata dal C.d.M. del
[4] Nello “Schema di disegno di legge delega” che circola in maniera carbonara tra gli addetti ai lavori (resta incomprensibile la riservatezza di facciata su temi che dovrebbero essere aperti al tempestivo dibattito con la comunità professionale e accademica, nell’interesse collettivo alla migliore qualità del prodotto legislativo), non si trovano criteri direttivi volti alla modifica dell’attuale disciplina in materia di proposte concorrenti, salvo la possibilità offerta anche ai terzi di domandare l’apertura del procedimento di concordato.
[5] Considerata la possibilità di proposte parassitarie, l’obbligo di deposito del piano diventa un onere da assolvere solo se il creditore opti per una proposta originale o derivata (v. infra nel testo, al par. 2).
[6] Ruolo divenuto vieppiù complesso ed impegnativo, a
seguito della riforma estiva. Si veda, ad es., il più ampio contenuto della relazione ex art.
[7] Cfr. E. Sabatelli,
Appunti sul concordato preventivo dopo la
legge di conversione del D.L. n. 83/2015, in Crisi d’Impresa e Fallimento,
[8] Ciò, peraltro, attiva incentivi perversi: se un debitore non è in grado di formulare una proposta di concordato in continuità aziendale che assicuri il pagamento di almeno il 30% dei creditori chirografari (che impedisce la formulazione di proposte concorrenti ex art. 163 c. 5° l. fall.), sarà portato a consumare il proprio patrimonio sino a che una sua eventuale liquidazione non consenta un soddisfacimento dei chirografari di almeno il 20%, rendendo così inammissibile una proposta concorrente liquidatoria che non preveda alcuna risorsa esterna. Né siffatto incentivo perverso è “compensato” dall’incentivo virtuoso che alcuni hanno letto nell’art. 160 u.c. l. fall.: è del tutto inverosimile immaginare un debitore così attrezzato da essere in grado di misurare in tempo reale la capacità del proprio patrimonio di soddisfare in qualche misura i propri creditori chirografari. Se dotato di adeguati assetti organizzativi, un imprenditore tiene costantemente monitorato il proprio patrimonio netto, ma ciò nulla significa circa la soddisfazione dei creditori, considerato che: i) è noto che l’apertura di una procedura di concordato preventivo fa emergere sopravvenienze passive in grado di deprimere le iniziali (pur serie) convinzioni di soddisfacimento dei creditori concorsuali maturate dal debitore; ii) la soddisfazione dei creditori chirografari non dipende soltanto dalla quantità di patrimonio ma anche dalla sua composizione e, in particolare, dall’incidenza sul passivo dei creditori privilegiati. Ben più verosimile, per queste stesse ragioni, comprendere quando il patrimonio non è più in grado di soddisfare almeno il 20% dei creditori chirografari.
[9] Cfr. G. Bozza, Brevi considerazioni su alcune nome della ultima riforma, in Fallimenti e Società, 2015, p. 12.; G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, nel Fallimento, 2015, p. 1168; M. Fabiani, op. cit., p. 11. Contra, cfr. E. Sabatelli, op. cit., p. 25.
[10] Cfr. M. Fabiani, op. cit., p. 10, ove parla di “già ammortizzati … costi informativi della predisposizione del piano”.
[11] Favor poi
addirittura smaccato in sede di votazione sulle proposte concorrenti, ove il
creditore è ammesso al voto con un’incidenza che può essere determinante specie
allorché, in mancanza di approvazione di alcuna proposta al primo giro delle
votazioni (eventualità probabile, considerata la normale dispersione dei voti
causata dalla concorrenza fra proposte e la reviviscenza della regola del
silenzio – rigetto), va in finale solo quella che abbia conseguito “la
maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto”, maggioranza alla cui
formazione il creditore proponente, che pesa per almeno il 10% sulla massa
passiva (cfr. art. 163 c. 4° l. fall.), concorre con il suo voto, seppure
segregato in classe separata ex art. 163 c. 6° l. fall. G. D’Attorre, op cit., p. 1177, parla di “esiziale disparità di trattamento” nel
voto, mentre M. Fabiani, op. cit., p. 12 s., tenta di mitigare la
disparità richiedendo che, in presenza di proposta con classi (necessaria al
creditore concorrente per esprimere il proprio diritto di voto), la proposta
che ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti su crediti debba altresì avere
ricevuto l’approvazione da parte della maggioranza delle classi. Poco
condivisibile, invece, la tesi di D. Galletti,
Speciale decreto n. 83/2015 – Le proposte
concorrenti nel concordato preventivo: il sistema vigente saprà evitare il
pericolo di rigetto?, nel Fallimentarista,
[12] Sul quale mostra di riporre un certo (ingenuo?) affidamento il legislatore nella Relazione cit.: “Tale intervento è funzionale a due importanti obiettivi: … b) creare i presupposti per la nascita, anche in Italia, di un mercato dei distressed debt” (resta ignoto, poi, perché il legislatore italiano, per esprimere concetti adeguatamente espressi dal lessico italiano, debba affidarsi a termini stranieri).
[13] V. infra nel testo, al par. 5.
[14] Cfr. E. Sabatelli, op. cit., p. 24.
[15] A conferma anche dello spirito del presente scritto: “prime riflessioni”.
[16] Sull’ambiguo concetto, cfr. S. Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella
“miniriforma” del
[17] Cfr. G. D’Attorre, op. cit., p. 1163.
[18] Mentre la nomina dell’amministratore giudiziario ex art. 185 c. 6° l. fall. è ammessa senza dubbio anche nella s.r.l., se non pure nelle società di persone.
[19] Cfr. ex multis, L. Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007, p. 49 ss.
[20] Ben potendosi immaginare una proposta concorrente di
un terzo in grado di fornire ai creditori un migliore trattamento rispetto a
quello offerto dal debitore: cfr.
[21] Il pensiero, ovviamente, va alla sentenza Cass. civ.,
sez. I,
[22] Mi permetto di rinviare alle tesi esposte in A. Rossi, Le proposte indecenti nel concordato preventivo, in Giur. comm., 2015, I, p. 342 ss.
[23] La deliberazione assembleare funzionale all’esercizio
dell’azione sociale di responsabilità è richiesta, nella S.p.A., dall’art. 2393
c.c., mentre, pur tacendo sul punto la disciplina della s.r.l., si sta facendo
largo un’opzione interpretativa che estenderebbe l’obbligo di deliberazione
anche all’azione sociale di responsabilità esercitata direttamente dalla s.r.l.:
cfr., ad es., Trib. Milano,
[24] Se il timore dell’azione di responsabilità è concreto, sarà possibile immaginare un tentativo del debitore di catturare il creditore proponente prima del voto (anche se i tempi imposti dall’art. 172 c. 2° l. fall. sono piuttosto stretti), magari con l’acquisto del suo credito, da pagare, ovviamente, ad un prezzo ben superiore al trattamento concorsuale offerto alla massa nella proposta concordataria. Ci si può ancora interrogare sulla conseguenza di un acquisto del credito del proponente successivo alla votazione e, eventualmente, alla stessa approvazione della proposta concorrente: l’aliquota legittimante del 10% deve essere conservata per l’intero procedimento di concordato, al fine dell’ammissibilità della proposta concorrente? Se si conviene con la tesi che le condizioni di ammissibilità della proposta possono essere riesaminate e valutate sino al procedimento di omologazione, c’è il rischio di una risposta positiva, ciò che comporterebbe un ulteriore incentivo a negoziazioni “private” tra debitore e creditore proponente.
[25] Cfr.
[26] Non mi sembra corretto (cfr., in tal senso, G. D’Attorre, op. cit., p. 1179) limitare l’intervento del commissario giudiziale
alla sola ipotesi in cui debitore sia una persona fisica, mentre ad un debitore
in forma societaria si dovrebbe riservare la sola previsione di nomina di un
amministratore giudiziario ex art. 185 c. 6° l. fall.: quanto meno ragioni di
prudenza negli interventi intranei alla governance
societaria (ragioni fatte proprie, ad es., dal legislatore del 2003 che ha
riformato l’art. 2409 c.c.) consigliano di leggere la disciplina dell’art.
[27] E’ singolare, peraltro, come il legislatore abbia
cautelato con incisivi poteri di intervento solo l’esecuzione del concordato su
proposta altrui, trascurando completamente la possibilità che i medesimi
problemi di scostamento dall’esecuzione del piano, senza inadempimento delle
obbligazioni concordatarie (che potrebbe sfociare nella risoluzione), possa
darsi anche nel caso di concordato su proposta del debitore, fattispecie verso
la quale il nuovo sistema mostra non solo sfiducia (quale traspare nella sbilanciata
disciplina del voto sulle proposte concorrenti) ma anche disinteresse (i
problemi nascenti in sede di esecuzione relativamente a qualsiasi concordato erano ben noti anche prima della riforma
estiva), con il paradossale risultato di costringere gli interpreti ad
interrogarsi sulla possibile applicazione per analogia dell’apparato
predisposto dai nuovi commi 4°, 5° e 6° dell’art.
[28] Cfr. in tal senso I. Pagni, La legittimazione alle azioni di responsabilità nel concordato preventivo, nelle Società, 2015, p. 604; M. Fabiani, Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di società in concordato preventivo, nelle Società, 2015, p. 615 s.
[29] Oggi, direi, (anche a seguito della modifica della rubrica, da “Cessione di beni” a “Cessioni”), pacificamente da applicarsi anche ai concordati in continuità aziendale c.d. oggettiva.
[30] Cfr. G. Bozza, op. cit., p. 12, per il quale “la possibilità di proposte concorrenti dovrebbe essere esclusa per i concordati con continuità diretta”.
[31] Non sembra seriamente sostenibile che la “congruità” della richiesta possa essere veramente valutata dal commissario giudiziale (competenza giustamente ritenuta “illogica” da G. D’Attorre, op. cit., p. 1171, che avrebbe preferito fosse investito di siffatta valutazione il giudice delegato) e che le cautele predisposte dalla norma siano in qualche misura efficaci: i) qualunque creditore, anche se non rappresentante il 10% della massa passiva, è legittimato ad accedere alla data room (se si vuole sostenere che la disciplina delle proposte concorrenti è destinata anche ad incentivare il mercato dei crediti non performanti, si deve ammettere che un creditore prima possa apprezzare il valore dell’impresa, poi possa essere interessato ad acquisire una massa critica di crediti che gli consenta il lancio di una proposta concorrente); ii) i dati non possono certo essere selezionati restrittivamente, perché, di norma, sono proprio i dati “sensibili” a rendere il valore degli intangibles e a fare il prezzo di un’impresa; iii) nessuna cautela potrà imporre al creditore che abbia appreso i dati sensibili di lanciare la proposta concorrente; iv) anche se si preveda una cauzione a garanzia dell’obbligo di riservatezza (possibilità esclusa da D. Galletti, op. cit., p. 7), quando mai dovrà essere liberata e a beneficio di chi?
[32] Nell’ipotesi di continuità c.d. oggettiva, il debitore sconta già la perdita dell’impresa e normalmente non ha quindi alcun controinteresse all’ostensione dei dati aziendali.
[33] Cfr. A. Rossi, La governance dell’impresa in fase di ristrutturazione, nel Fallimento, 2015, p. 259.
[34] Di contrario avviso, invece, D. Galletti, op. cit., p. 22, per il quale si potrebbe addirittura parlare di “asimmetria creata a vantaggio del concordato con continuità”.
[35] Cfr., anche per altre ipotesi di applicazione “incrociata” di proposte ed offerte concorrenti, D. Galletti, op. cit., p. 13 s.
[36] In senso contrario, invece, cfr.
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