Societario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 04/11/2015 Scarica PDF

Il recesso del socio in caso di mutamento della capogruppo esercente attività di direzione e coordinamento

Federico Urbani, Avvocato in Milano


(Commento a Tribunale Milano, Sez. VIII, 21 luglio 2015)

   

Sommario: 1. Premessa. - 2. Inquadramento normativo. - 3. I casi rilevanti di inizio e cessazione dell’attività di direzione e coordinamento. - 4. La condizione positiva: l’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento. - 5. La condizione ostativa: la promozione di una “offerta pubblica di acquisto”. - 6. Conclusioni.


     

1. Premessa

Il provvedimento annotato è stato emesso dalla sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Milano, che ha analizzato le condizioni e i limiti posti dall’ordinamento per l’esercizio del (discusso) diritto di recesso attribuito ai soci di minoranza di società di capitali all’inizio e alla cessazione dell’attività di direzione e coordinamento, ai sensi dell’articolo 2497-quater, comma 1, lett. c) del Codice Civile.

A quanto consta, questa pronuncia è la prima ad aver affrontato la norma in oggetto[1]. Inoltre, come sarà meglio descritto nei paragrafi che seguono, essa ha il pregio di aver affrontato la maggior parte dei temi dibattuti dagli interpreti dall’introduzione dell’articolo 2497-quater del Codice Civile per mano della riforma del diritto societario del 2003.

Il caso affrontato dalla corte ambrosiana riguarda, in particolare, un’operazione caratterizzata dal trasferimento della partecipazione di controllo di una società “chiusa” da parte del socio di maggioranza (esercente attività di direzione e coordinamento in forza della titolarità di circa l’81% del capitale sociale) a un terzo investitore, facente parte di un primario gruppo internazionale.

 

2. Inquadramento normativo

L’articolo 2497-quater, comma 1, lett. c) del Codice Civile, norma su cui si è sviluppato il procedimento argomentativo della pronuncia annotata, prevede che: “Il socio di società soggetta ad attività di direzione e coordinamento può recedere […] all’inizio ed alla cessazione dell’attività di direzione e coordinamento, quando non si tratta di una società con azioni quotate in mercati regolamentati e ne deriva un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento e non venga promossa un’offerta pubblica di acquisto”[2]. Come appare dalla lettera della norma, il legislatore della riforma del diritto societario del 2003 ha inteso porre alcune condizioni al sorgere del diritto di recesso del socio di minoranza di società sottoposta a direzione unitaria. Talune di esse hanno carattere positivo, altre negativo (meglio, ostativo)[3].

Come accennato la norma ha suscitato numerosi dubbi fra gli interpreti[4]. La sentenza annotata accoglie parte delle proposte avanzate dalla dottrina, fornendo un’interpretazione onnicomprensiva della norma (il Tribunale di Milano ha infatti avuto modo di pronunciarsi - vista la complessità del fatto posto alla base del provvedimento - sulle diverse sfaccettature della disposizione in oggetto).

 

3. I casi rilevanti di inizio e cessazione dell’attività di direzione e coordinamento

Anzitutto la corte ha riconosciuto il diritto del socio di minoranza di recedere, sia al momento dell’inizio e della cessazione dell’attività di direzione e coordinamento (cioè alla perdita e all’ottenimento della condizione di “autonomia” della società), sia qualora muti il soggetto esercente tale attività. Questa soluzione, accolta condivisibilmente dalla dottrina maggioritaria[5], valorizza non tanto (e non solo) l’interesse dei soci a non partecipare nel capitale di una società sottoposta all’altrui direzione unitaria, o a continuare a fare affidamento su tale situazione, ma anche il diritto di sciogliersi dal vincolo sociale in caso di mutamento soggettivo dell’entità posta al vertice direttivo del gruppo[6].

La sentenza commentata ha infatti posto l’accento sul momento del “cambio” di controllo della società, ricomprendendo in tale fattispecie tutti i mutamenti oggettivi e soggettivi della direzione e coordinamento; in tal senso il mutamento del dirigente unitario implica sia l’inizio (da parte della cessionaria-nuova capogruppo), sia la cessazione (da parte della cedente) della direzione e coordinamento, come previsto dall’articolo 2497-quater, comma 1, lett. c) del Codice Civile. Tale interpretazione mira, pertanto, a estendere la portata di tutela riconosciuta dalla legge ai soci di minoranza in relazione all’effettiva qualità della partecipazione al vincolo sociale, profondamente caratterizzata dalla presenza o meno di un gruppo diretto e coordinato da una holding di vertice[7]. Ciò pare ragionevole tanto più se si considera il forte vincolo fiduciario che lega l’organo amministrativo della controllata a quello dell’esercente direzione e coordinamento - situazione che può verificarsi, come è evidente, anche in caso di semplice mutamento soggettivo della capogruppo[8].

 

4. La condizione positiva: l’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento

Il Tribunale di Milano ha successivamente spostato il centro della propria analisi al secondo requisito “positivo” previsto dalla norma oggetto della pronuncia: l’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento[9]. Tale elemento è stato analizzato compiutamente nel provvedimento annotato, che si è espresso sui principali aspetti tipici di questa condizione di operatività del diritto di recesso del socio di minoranza, ex articolo 2497-quater del Codice Civile. Anzitutto la corte ha ritenuto che l’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento (effettuato dal socio non di controllo) debba essere ritenuta sussistente esclusivamente in caso di “modifica in senso deteriore” di dette condizioni. Traendo spunto da elementi letterali - in particolare il fatto che la norma parli di “alterazione” e non di semplice “modifica” - e sistematici - la ratio della previsione, volta a tutelare la minoranza da incrementi nel rischio collegato alla partecipazione assunta -, la sentenza ha sostenuto l’irrilevanza delle modifiche che non siano in grado di incidere, negativamente, sulla redditività e sul valore della partecipazione detenuta.

La posizione assunta dalla corte nella sentenza in commento non deve tuttavia essere intesa nel senso di una rilevanza delle sole alterazioni del rischio che comportino un innalzamento dello stesso.

Pur essendo ragionevole mirare a tutelare soprattutto (rectius, in primo luogo) gli eventi modificativi che comportano un incremento del rischio, in un’ottica di conservazione patrimoniale a beneficio sia della società, sia del socio di minoranza, tale posizione potrebbe portare a conclusioni inadeguate se si considerano talune tipologie d’investimento, pensate in ragione di un certo (relativamente elevato) profilo di rischio (collegato a un maggiore rendimento atteso[10]) o anche all’effettiva capacità di raggiungimento dell’oggetto sociale in caso di un controproducente abbattimento del rischio in ragione delle direttive assunte dalla holding[11].

Il Tribunale di Milano ha inoltre chiarito che il “deterioramento” delle condizioni di rischiosità può rivestire anche carattere potenziale, infatti la norma di cui all’articolo 2497-quater, comma 1, lett. c) del Codice pare prevedere una tutela di tipo “preventivo”[12]. Questa scelta interpretativa è stata assunta in ragione del particolare fine di tutela di interessi “deboli” e dell’esigenza di contemperare le differenti posizioni poste alla base dell’esercizio del diritto di recesso: se da un lato pare comprensibile la volontà di restringere i casi di alterazione del rischio a quelli attuali[13], onde garantire la continuità aziendale in forza di limitate exit dei soci di minoranza, la corte ambrosiana ha però ritenuto prevalente l’estensione della tutela normativa offerta alla minoranza “a fronte di obiettivi segnali che prospettino quel deterioramento delle condizioni di investimento che, ex post - trattandosi di un danno alla redditività e al valore della partecipazione - gli darebbero diritto ex art. 2497 c.c. al risarcimento; una tutela, quindi, per così dire ‘reale’, e perciò dotata di maggior effettività”[14].

Le condizioni di rischio pare debbano essere alterate - secondo l’interpretazione della corte - al momento del mutamento soggettivo dell’esercente direzione e coordinamento, ben potendo, tuttavia, realizzare un effettivo deterioramento della posizione del socio di minoranza solo successivamente; in tal modo la tutela fornita dall’articolo 2497-quater del Codice Civile ha natura preventiva, consistente nel diritto di recedere anche nel caso in cui detto deterioramento abbia natura meramente potenziale o temporalmente differita[15].

Questa soluzione sembra particolarmente opportuna, in quanto l’elemento di potenzialità del deterioramento consente di “catturare” le situazioni più complesse, evitando al contempo l’apertura a condotte facilmente elusive che sorgerebbero qualora fosse richiesta una coincidenza temporale fra alterazione della rischiosità dell’investimento e suo deterioramento.

Nel caso di specie, in funzione dei criteri generali sopra descritti, il provvedimento annotato ha ritenuto non verificato il requisito dell’alterazione del rischio (idonea a deteriorare - potenzialmente - la posizione del socio) lamentata dalla parte attrice facendo leva su diversi elementi: il mantenimento della struttura organizzativa e di management della società; l’inopponibilità del pericolo di possibili futuri aumenti di capitale diluitivi, poiché avrebbero potuto verificarsi a prescindere dal mutamento della capogruppo[16]; l’inopponibilità di possibili politiche sociali volte a “trattenere” l’utile (eventualmente) prodotto, al fine di rafforzare la dotazione patrimoniale ed effettuare investimenti, in quanto l’ordinamento non riconosce alcun diritto a ottenere dividendi, ma una semplice aspettativa partecipanti al capitale; la riconosciuta utilità (e l’assoluta non dannosità, quantomeno in astratto) dei sistemi di cash pooling, ossia di tesoreria accentrata di gruppo, in grado di garantire maggiore efficienza nella gestione d’impresa[17].

   

5. La condizione ostativa: la promozione di una “offerta pubblica di acquisto”

Ultimo elemento analizzato dalla sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Milano è quello costituito dall’“offerta pubblica di acquisto”, condizione ostativa all’esercizio del diritto di recesso del socio di minoranza. La sentenza in oggetto ha interpretato la norma esaminata, accogliendo talune proposte della dottrina e rigettandone altre.

Il Tribunale di Milano ha confermato l’orientamento prevalente fra gli interpreti secondo cui l’offerta può essere “privata”, purché sia vincolante e rappresenti “una valida alternativa al disinvestimento”[18]. Ciò, anzitutto, pare essere possibile solo nel caso in cui l’offerta sia rivolta a tutti i soci, come sostenuto dalla dottrina assolutamente maggioritaria[19].

Come si è accennato, perché l’offerta possa effettivamente impedire il sorgere del diritto di recesso della minoranza, occorre che essa costituisca - (soprattutto) da un punto di vista economico - “una valida alternativa al disinvestimento”. La condizione pare dunque ruotare, principalmente, attorno al prezzo d’acquisto offerto dal (nuovo) esercente attività unitaria nei confronti degli altri soci[20].

Quest’ultimo aspetto ha registrato alcune divergenze di opinioni fra gli interpreti, infatti taluni sostengono che il valore dell’offerta non deve essere inferiore a quello calcolato in base alle norme civilistiche dettate in materia di recesso (articolo 2437-ter del Codice Civile)[21], mentre altri Autori, più liberalmente, ritengono che esso debba essere “equo”, o “congruo”[22]. Con queste formulazioni si intende parlare di un prezzo “non significativamente differente rispetto a quello determinabile in base ai criteri” previsti in materia di recesso dal tipo sociale in esame[23]. La sentenza commentata ha accolto questo secondo orientamento, sulla scorta di diverse ragioni. In particolare, i giudici aditi nel caso di specie hanno ritenuto fondamentale valorizzare la sufficienza di un prezzo “congruo”, da valutarsi caso per caso, che sia in grado di rispecchiare la valorizzazione della partecipazione di controllo ceduta, pur distinguendosi da quest’ultima (scontando, dunque, dal prezzo di offerta ogni elemento riconducibile al “premio di maggioranza” e così garantendo una minor rigidità dell’offerta, maggiormente parametrabile alle esigenze di volta in volta emergenti). Per quanto il ragionamento della corte paia condivisibile quanto al fatto che ai soci di minoranza non debba essere offerto un prezzo identico a quello relativo al trasferimento della quota di maggioranza - si tratterebbe infatti di un indebito vantaggio -, non pare altrettanto condivisibile che ciò basti a sostenere la sufficienza di un prezzo “equo”, non avente come limite inferiore il valore calcolato ex articolo 2437-ter del Codice Civile.

Fermo restando che sarebbe in ogni caso censurabile la promozione di un’offerta vincolante a prezzo irrisorio (o, comunque, palesemente inadeguato), la fissazione di un prezzo minimo coincidente con il valore di recesso renderebbe piena la tutela del socio di minoranza, garantendo una neutralità fra accettazione dell’offerta ed esercizio del diritto di recesso ai sensi dell’articolo 2497-quater, comma 1, lett. c) del Codice[24].

Infine, il Tribunale di Milano ha ritenuto non necessaria la possibilità di una dismissione parziale in ragione dell’offerta vincolante: la “valida alternativa” al recesso (che può essere esercitato anche solo per una frazione della quota di capitale detenuta) può essere dunque la cessione totale della propria partecipazione, non anche quella parziale[25].

   

6. Conclusioni

L’interpretazione dell’articolo 2497-quater, comma 1, lett. c) del Codice Civile assunta dal Tribunale di Milano nel provvedimento annotato pare caratterizzarsi per la propria flessibilità.

In modo condivisibile, da un lato, la corte ha ritenuto applicabile l’orientamento secondo cui il diritto di recesso dei soci di minoranza di società sottoposta a direzione e coordinamento deve spettare tanto all’inizio e alla cessazione di detta attività, quanto alla modifica soggettiva dell’esercente direzione unitaria (dunque anche nel caso di perfetta continuità operativa di tale direzione)[26] - garantendo un’adeguata ampiezza al campo di applicazione della norma in esame -, dall’altro, ha limitato il requisito dell’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento alle sole “modifiche in senso deteriore” di tali condizioni.

Come si è detto, quest’ultimo elemento necessita di una precisazione, infatti pare opportuno rimarcare come il “deterioramento” delle condizioni di rischio non debba limitarsi all’innalzamento delle stesse, bensì a ogni evento che le modifichi[27]. In tal modo si persegue il generale interesse del socio a una certa stabilità della “qualità” della propria partecipazione, non solo la tutela dell’invarianza di rischio (verso l’alto) di quest’ultima (fattispecie ricompresa nella prima, più ampia).

Da diverso punto di vista, il Tribunale di Milano ha infine specificato che - in relazione alla principale condizione ostativa per il sorgere del diritto di recesso ex articolo 2497-quater, comma 1, lett. c) del Codice, individuata dalla legge nella promozione di un’offerta di acquisto - quest’ultima possa essere “privata”, purché in ogni caso sia rivolta a tutti i soci di minoranza e costituisca “una valida alternativa al disinvestimento”[28]. A tale proposito, la sentenza in commento ha interpretato in modo elastico i caratteri fondamentali dell’offerta, che può contenere un prezzo differente rispetto a quello calcolato in base ai criteri di liquidazioni delle partecipazioni in caso di recesso del socio, purché non se ne discosti in modo eccessivo (impedendo, comunque, le offerte irrisorie)[29]. Per quanto tale soluzione denoti una certa, condivisibile, tendenza a interpretare la norma in commento in senso “liberale” (e, dunque, più in grado di rispondere alle esigenze concrete che si presentino di volta in volta), essa non parrebbe rispondere all’esigenza di tutela dei soci di minoranza ricercata dall’articolo 2497-quater del Codice Civile, esponendosi, peraltro, a possibili critiche circa la vaghezza dei termini “equo” e “congruo”.

In particolare, la possibilità di escludere il recesso dei soci non di controllo a un prezzo di favore - rispetto a quello calcolato in base ai criteri legali in materia di recesso - costituisce un vulnus alla posizione di questi ultimi, rendendo la norma “non neutra” rispetto al caso dell’esercizio del diritto di recesso con conseguente cessione delle quote potenzialmente da liquidare al socio di maggioranza (in conformità a quanto stabilito dall’articolo 2437-quater del Codice Civile)[30].



[1] Alcuni Autori lamentavano, recentemente, l’assenza di pronunce giurisprudenziali sul punto vista la problematicità di alcuni aspetti della norma, Ferri jr., Guizzi, In tema di recesso ex art. 2497 quater, lett. c., c.c., in Soc., XI - Supplemento, 2014, 43.

[2] In Ventoruzzo, Brevi note sul diritto di recesso in caso di direzione e coordinamento di società (art. 2497-quater c.c.), in Riv. Soc., V, 2008, 1186, si sostiene, significativamente, che tale causa di recesso è quella ad avere “maggiore rilievo applicativo”.

[3] Come si vedrà più nel dettaglio, fanno parte della prima categoria l’inizio o la cessazione della direzione unitaria e l’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento; nella seconda sono invece da ricondursi il fatto che la società non abbia azioni quotate e la mancata promozione di un’offerta d’acquisto.

[4] Si vedano Pennisi, Il diritto di recesso nelle società soggette ad attività di direzione e coordinamento: alcune considerazioni, in RDS, I, 2009, 35, ove l’Autore sostiene la permanenza di alcuni “punti oscuri” non risolvibili da una lettura sistematica della norma; Ferri jr., Guizzi, In tema di recesso ex art. 2497 quater, lett. c., c.c., cit., 43.

[5] Ex multis Sbisà, Commento all’art. 2497-quater c.c., in De Nova (a cura di), Commentario del Codice Civile e codici collegati Scialoja-Branca-Galgano, Bologna, 2014, 292; Annunziata, Commento all’art. 2497-quater c.c., in Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari (diretto da), Commentario alla riforma delle società, Milano, 2012, 277; Ventoruzzo, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, Milano, 2012, 254-255; Tombari, Diritto dei gruppi di imprese, Milano, 2010, 78-79; Ventoruzzo, Brevi note sul diritto di recesso, cit., 1186-1187.

[6] Non a caso Autorevole dottrina ha collegato il diritto di recesso alle vicende modificative dell’intuitus societatis della persona giuridica esercente attività di direzione e coordinamento, Galgano, Commento all’art. 2497-quater c.c., in Id. (a cura di), Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, Bologna, 2005, 160. Ventoruzzo, Brevi note sul diritto di recesso, cit., 1187, ha attribuito grande importanza al caso di modificazione soggettiva del soggetto esercente la direzione unitaria - senza soluzione di continuità rispetto a una direzione precedente - in quanto “il cambiamento del soggetto di vertice implica, con ogni probabilità, una modifica delle condizioni di rischio e redditività dell’investimento”.

[7] Significativo al riguardo è quanto dichiarato nella Relazione alla riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della Legge 3 ottobre 2001, n. 366, §13, ove si è rimarcato come “l’entrata e l’uscita dal gruppo cambia le condizioni di esercizio dell’impresa”, costituendo, da un punto di vista partecipativo, una “alterazion[e] rilevant[e] del quadro originario”. Si veda anche Tombari, Diritto dei gruppi di imprese, cit., 3-4.

[8] È stato inoltre argomentato, in modo del tutto condivisibile, che il trasferimento infragruppo della titolarità di una partecipazione sia irrilevante ai fini del recesso ex articolo 2497-quater del Codice, in quanto ciò che rileva, in ultima istanza, è l’invarianza soggettiva dell’ente esercente direzione unitaria posto al vertice del gruppo di appartenenza. Se vedano Ferri jr., Guizzi, In tema di recesso ex art. 2497 quater, lett. c., c.c., cit., 44; Caruso, Inizio e cessazione della direzione e coordinamento e recesso del socio, Torino, 2012, 88 ss.

[9] Quest’ultima condizione pare, peraltro, una linea conduttrice presente in tutti i casi di recesso contemplati dall’articolo 2497-quater, comma 1 del Codice Civile: dal mutamento dello scopo sociale della capogruppo (astrattamente idoneo ad alterare i profili di rischiosità della partecipazione nella controllata), alla sensibile alterazione delle condizioni economiche e patrimoniali della controllata stessa, alla condanna di chi esercita attività di direzione e coordinamento ai sensi dell’articolo 2497. In senso conforme alla presente osservazione si vedano Pennisi, La disciplina delle società soggette a direzione unitaria ed il recesso nei gruppi, in Abbadessa, Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società – Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Torino, 2007, 930-931; Relazione alla riforma organica della disciplina delle società di capitali, cit., §13: “l’attività del controllante può, in sé legittimamente, esercitare il controllo in modo da alterare il profilo di rischio dell’investimento del socio, quale accettato entrando in società”.

[10] Maugeri, Formazione del gruppo e diritti dei soci, in Riv. Dir. Comm., IV-VI, 2007, 289-290, parla di “opportunità di profitto”. La sentenza commentata, a tal riguardo, fa riferimento all’elemento della “redditività” (attesa) della partecipazione.

[11] Proprio in tale ottica pare corretto valorizzare la generale formula utilizzata in Galgano, Commento all’art. 2497-quater c.c., cit., 160: “Il socio della controllata si trova ad appartenere ad una società sostanzialmente diversa da quella originaria”, potendo così recedere dal vincolo sociale, ormai superato da un evento alterante come il mutamento della capogruppo (ovvero l’inizio o la cessazione tout court dell’attività di direzione e coordinamento); analogamente Pennisi, La disciplina delle società soggette a direzione unitaria ed il recesso nei gruppi, cit. 941-941, ove l’Autore definisce la “alterazione” in commento come il “mutamento delle condizioni di esercizio dell’impresa che sono state poste alla base della decisione del socio di entrare e rimanere fino a quel momento in società” (ben potendo tali ragioni essere fondate su di un elevato rapporto rischio/rendimento). Nello stesso senso si veda anche Caruso, Inizio e cessazione della direzione e coordinamento e recesso del socio, cit., 127-129, ove si puntualizza che i possibili fattori di alterazione del rischio assunto con l’investimento sono svariati e non puntualmente individuabili.

[12] Il rimedio offerto dal legislatore è infatti quello del recesso, sganciato da qualsiasi requisito di attualità di un eventuale detrimento.

[13] In questo senso Ferri jr., Guizzi, In tema di recesso ex art. 2497 quater, lett. c., c.c., cit., 44-47, ove gli Autori sostengono la necessità di una “concreta modifica” delle condizioni di rischio, così che si debba “valorizza[re] la concreta dimensione effettuale della modificazione [delle condizioni di rischio]”.

[14] Pennisi, La disciplina delle società soggette a direzione unitaria ed il recesso nei gruppi, cit., 942, in cui si parla di un “giudizio prognostico” da parte del giudice.

[15] Sul momento in cui l’alterazione del rischio debba verificarsi si vedano Annunziata, Commento all’art. 2497-quater c.c., cit., 279; Pennisi, Il diritto di recesso nelle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, cit., 42-43; Id., La disciplina delle società soggette a direzione unitaria ed il recesso nei gruppi, cit., 942.

[16] La giurisprudenza ha peraltro riconosciuto diverse forme di tutela del socio di minoranza in caso di aumenti di capitale diluitivi eseguiti in mala fede, fra cui le azioni contro il cosiddetto “abuso della maggioranza”.

[17] Tutto ciò è stato fatto oggetto di valutazione da parte dell’organo giudicante tenendo in conto, fra l’altro, l’equilibrio patrimoniale e finanziario e le prospettive reddituali della società, nonché la conservazione del valore della partecipazione detenuta dal socio di minoranza.

[18] Ventoruzzo, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, cit., 258-259, letteralmente ripreso dalla sentenza annotata. Pare opportuno rimarcare, peraltro, che il requisito della vincolatività dell’offerta pare assolutamente necessario, poiché sarebbe altrimenti frustrato lo scopo dell’offerta stessa, da cui l’offerente potrebbe svincolarsi elidendo la tutela offerta dal Codice Civile ai soci di minoranza.

[19] In questo senso Sbisà, Commento all’art. 2497-quater c.c., cit., 295-296, ove si distingue fra offerta obbligatoria e volontaria; Ventoruzzo, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, cit., 258; Annunziata, Commento all’art. 2497-quater c.c., cit., 280; Caruso, Inizio e cessazione della direzione e coordinamento e recesso del socio, cit., 176; Ferri jr., Guizzi, In tema di recesso ex art. 2497 quater, lett. c., c.c., cit., 48.

[20] L’importanza dell’elemento economico è rimarcato in Ferrara, Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011, 802, nota 2, in cui gli Autori si chiedono, significativamente: “che accade se l’OPA è fatta a un prezzo irrisorio?”. Come si vedrà la dottrina ha proposto due metodi di calcolo del prezzo (onde evitarne l’irrisorietà), fra i quali la pronuncia annotata ha accolto quello più flessibile. Si veda anche, per una visione critica della norma in esame, Mazzoni, Regoli, Parere dei componenti del Collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in Diritto commerciale interno e internazionale, Università Cattolica di Milano, in Riv. Soc., VI, 2002, 1506.

[21] Sbisà, Commento all’art. 2497-quater c.c., cit., 295-296; Annunziata, Commento all’art. 2497-quater c.c., cit., 280; Pennisi, La disciplina delle società soggette a direzione unitaria ed il recesso nei gruppi, cit., 942; Maugeri, Formazione del gruppo e diritti dei soci, cit., 299 ss.

[22] Ferri jr., Guizzi, In tema di recesso ex art. 2497 quater, lett. c., c.c., cit., 48-50; Ventoruzzo, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, cit., 258-259; Id., Brevi note sul diritto di recesso in caso di direzione e coordinamento di società, cit., 1190; Caruso, Inizio e cessazione della direzione e coordinamento e recesso del socio, cit., 171-173, ove si parla di soluzione meno “rigida”.

[23] Queste le parole della sentenza in oggetto, identiche rispetto a quelle contenute in Ventoruzzo, Brevi note sul diritto di recesso in caso di direzione e coordinamento di società, cit., 1190.

[24] Soluzione, come si è visto, sostenuta da parte della dottrina che si è espressa sul punto (supra, nota 21). Contra Caruso, Inizio e cessazione della direzione e coordinamento e recesso del socio, cit., 175, che ritiene debba riconoscersi una certa discrezionalità agli operatori economici (tesi accolta dalla sentenza annotata), facendo leva anche su elementi sistematici e richiamando l’istituto della fusione; Ferri jr., Guizzi, In tema di recesso ex art. 2497 quater, lett. c., c.c., cit., 48, ove gli Autori sostengono, fra l’altro, che debba essere valorizzata la natura “alternativa” dell’offerta rispetto al recesso del socio (avente natura liquidatoria).

[25] Contra Sbisà, Commento all’art. 2497-quater c.c., cit., 296, ove si è autorevolmente sostenuto che la dismissione a seguito di offerta d’acquisto debba poter essere anche parziale.

[26] Si vedano i riferimenti di cui alla nota 5.

[27] Come si è accennato, la dottrina ha infatti valorizzato, fra l’altro, il generale aspetto di profitability dell’investimento effettuato. Cfr. Maugeri, Formazione del gruppo e diritti dei soci, in Riv. Dir. Comm., IV-VI, 2007, 289-290.

[28] Così anche, come si è detto, Ventoruzzo, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, cit., 258.

[29] Questa la posizione più rilevante della sentenza annotata, che si allinea a quanto sostenuto da parte di autorevole dottrina (Ventoruzzo, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, cit., 254 ss.; Ferri jr., Guizzi, In tema di recesso ex art. 2497 quater, lett. c., c.c., cit., 48-50; contra si vedano i riferimento di cui alla nota 21).

[30] Il socio di controllo, peraltro, evitando il procedimento di offerta in opzione agli altri soci della quota detenuta dal socio recedente, si avvantaggerebbe della possibilità di acquistare l’intera quota oggetto di exit, senza sottostare al rischio di dover dividere tale partecipazione - pro quota - con altri membri della compagine sociale (elemento che andrebbe adeguatamente remunerato). Ciò a maggior ragione se si accetta l’opinione secondo cui “il recesso in esame consente che le fasi di inizio e cessazione dell’attività di direzione e coordinamento divengano momenti di valutazione dell’esercizio delle regole di governo della singola società ed in particolare delle modalità con cui la si intende inserire o la si è inserita nell’ambito di una strategia economico-finanziaria di gruppo” (corsivo nel testo), Caruso, Inizio e cessazione della direzione e coordinamento e recesso del socio, cit., 24.


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