CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 20/10/2015 Scarica PDF
L'art 169 bis L.F. dopo la novella del D.L. 83/2015 (convertito, con modificazioni, dalla L. N. 132/2015): The king is dead?
Mauro Martinelli, GiudiceSommario: 1- Premessa; 2- La introduzione dell’art. 169 bis l.fall.; 3- La sospensione e lo scioglimento: natura giuridica, instaurazione del contraddittorio, indennità; 4- Momento di decorrenza dell’efficacia della sospensione e dello scioglimento; 5- I contratti bancari; 6- Conclusioni.
1- Premessa
L’analisi dell’art. 169 bis della legge fallimentare muove da una constatazione: vi è una continua, ininterrotta e frenetica modifica dell’impianto normativo fallimentare, ove spesso la presunta involontaria equivocità lessicale necessita permanentemente della opportuna eterointegrazione giurisprudenziale che, sedimentatasi, viene formalizzata nella successiva novella.
L’ossessiva ricerca di un equilibrio tra gli interessi coinvolti, in un sistema di pesi e contrappesi, e la necessità di predisporre già gli “anticorpi” dei previsti abusi degli istituti ha origine storica lontana; è forse endemica al nostro sistema ordinamentale.
Per questo il concordato preventivo – strumento principe di rilancio dell’economia in piena crisi – non è riuscito a svincolarsi dai controlli pubblicistici e dalla natura, per così dire, ibrida; anzi la novella attuata con il d.l. n. 83/2015 – di cui è discussa la natura di “controriforma”[1], dato l’effetto su poteri e libertà riconosciute all’imprenditore che accede alla citata procedura concorsuale – consolida ed amplia i poteri di controllo pubblici e limita, evidentemente, il perimetro di applicazione del concordato, lasciando ampi margini di interpretazione circa il peso e l’ampiezza da dare a quei confini.
Pur intuendosi la necessità di un’ulteriore distinzione tra il c.d. concordato liquidatorio e quello in continuità, non si è sfruttata a pieno l’occasione per dettagliare e sincronizzare perfettamente gli strumenti di disciplina dei due istituti che, per natura e funzione, sono profondamente diversi; anche per tale ragione, la riforma sembra più uno step del percorso normativo di ripensamento della materia, che non un punto di approdo.
Non può, in conclusione, sottacersi che, pur essendo alcune modifiche assolutamente necessarie ed invocate da parte degli operatori del diritto, tuttavia lo stato di incertezza normativo-interpretativa data non solo dalla tecnica di redazione normativa, ma soprattutto dall’assenza di sedimentazione giurisprudenziale, determina un danno per i soggetti che vogliono accedere al concordato.
2- La introduzione dell’art. 169 bis l. fall.
Prima che fosse introdotta la norma, era opinione prevalente che l’ammissione alla procedura concordataria non influenzasse in alcun modo i rapporti giuridici esistenti, non potendosi applicare l’art. 72 della l.f. in quanto non richiamato dall’art. 169[2].
L’introduzione della norma è stata, dunque, dettata – nella complessiva visione della novella del 2012 – dall’esigenza di fornire all’imprenditore uno strumento ulteriore di rilancio e rafforzamento della proposta concordataria, consentendogli di venir meno agli impegni contrattuali assunti e riconoscendo alla controparte un mero indennizzo che, quantunque parametrato al danno subito dal terzo contraente in bonis, viene pagato in moneta concordataria, come fosse un credito antecedente al deposito della domanda (e non in prededuzione, come sarebbe invece avvenuto in applicazione della regola generale prevista dagli artt. 161, VII comma, 111 e 111 bis l.f.), favorendosi in tal guisa la possibilità di ammissione e successiva omologazione del piano.
L’applicazione dell’istituto è avvenuta – non lo si può nascondere – prevalentemente con riferimento ai contratti bancari e, per tale ragione, verrà esaminata la problematica in apposito capitolo.
Per il resto l’ipotesi più frequente è quella dei contratti di leasing, ora espressamente disciplinati dalla riforma del 2015: “in caso di scioglimento del contratto di locazione finanziaria, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare al debitore l'eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale. La somma versata al debitore a norma del periodo precedente è acquisita alla procedura. Il concedente ha diritto di far valere verso il debitore un credito determinato nella differenza tra il credito vantato alla data del deposito della domanda e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato”.
Negli altri casi, per lo più, ha ad oggetto i contratti di locazione dell’immobile o l’affitto dell’azienda, posto che l’imprenditore cerca di evitare i costi prededucibili in attesa di predisporre il piano concordatario.
L’esperienza giudiziaria ha evidenziato come sovente, nel periodo concesso dal Tribunale ai sensi dell’art. 161, VI comma l.f., l’imprenditore verifica la possibilità di predisporre un concordato con continuità aziendale, ovvero la possibilità di accedere all’istituto di cui all’art. 182 bis l.f., lasciando l’ipotesi liquidatoria come extrema ratio.
In questi casi è evidente come la possibilità di sospendere i contratti de quibus faciliti le verifiche imprenditoriali e la predisposizione della proposta, senza onerare di ulteriori costi la procedura, quantunque la controparte subisca un evidente danno, restando sottoposta all’esercizio dell’altrui diritto potestativo autorizzato giudizialmente.
Lo squilibrio del sinallagma funzionale del contratto è indubbio: il terzo contraente in bonis si trova, infatti, a subire la sospensione o lo scioglimento del contratto, senza avere alcuna tutela ad eccezione della indennità pagata in “misura concordataria”.
3- La sospensione e lo scioglimento: natura giuridica, instaurazione del contraddittorio, indennità
Come anticipato, lo scioglimento e la sospensione sono strumenti di tutela attribuiti all’imprenditore dall’ordinamento. La loro funzionalità alla esecuzione del piano concordatario è ontologica, risiede nella ratio dell’istituto che giustifica il grave sacrificio economico imposto alla controparte e la deroga alla disciplina vincolante del negozio.
Se lo scioglimento del contratto – istituto non conosciuto nel diritto dell’obbligazione civilistica – esprime la natura caducatoria del sinallagma funzionale, con effetti irreversibili[3], la sospensione del contratto ha strutturalmente e funzionalmente natura cautelare, poiché non ha idoneità a incidere permanentemente sulle sorti del negozio, avendo anzi una limitata durata temporale, e tende a preservare le ragioni del ceto creditorio nella fase concordataria, evitando l’insorgenza di crediti prededucibili.
La natura cautelare della sospensione giustifica l’adesione all’orientamento giurisprudenziale che ritiene possa essere concessa la sospensione prima della instaurazione del contraddittorio – resa obbligatoria dalla recente novella – applicandosi direttamente l’art. 669 sexies c.p.c.[4], nonché la applicazione nella sua sede naturale ovvero la fase “in bianco”.
La sospensione dei contratti, infatti, è lo strumento attraverso il quale, il più delle volte, l’imprenditore ottiene il risultato di evitare l’insorgenza di crediti prededuttivi, in attesa di predisporre il piano e valutarne, dunque, la funzionalità o meno del contratto.
Inoltre la funzionalità della sospensione allo scioglimento giustifica l’eventuale accoglimento della domanda di autorizzazione allo scioglimento, nei limiti della sospensione, senza pericoli di ultrapetizione da parte del Tribunale, essendovi un rapporto di continenza funzionale in chiave cautelare.
Una ricostruzione sistematica impone – a parere di chi scrivere – di cogliere il punto di equilibrio tra le esigenze di protezione del patrimonio dell’imprenditore nell’interesse della massa creditoria, di salvaguardia dei diritti del terzo contraente e opportuno vaglio di legittimità da parte del Tribunale, proprio nella bipartizione funzionale e temporale dei due strumenti previsti dall’art. 169 bis l.f.: la sospensione nella fase in bianco, lo scioglimento nella fase successiva alla ammissione[5].
La riprova della razionalità della ricostruzione del sistema operata emerge dalla constatazione della pressoché inutilità della richiesta di sospensione dei contratti successivamente alla ammissione del concordato, sia perché le sorti del contratto sono già previste nel piano, sicché difetterebbe qualsivoglia utilità dello strumento, sia perché la durata massima di efficacia del provvedimento autorizzativo non coprirebbe con certezza i tempi necessari alla omologazione del concordato.
Emerge, altresì, dalla constatazione che in tal modo sarebbe possibile lo scioglimento del contratto solo nella fase coeva o successiva alla ammissione, così evitandosi, almeno in parte, i noti problemi connessi alla ritenuta natura definitiva dello scioglimento contrattuale nelle ipotesi di estinzione della procedura concordataria.
Se, infatti, il sacrificio del terzo contraente si giustifica nell’ottica di tutela della generalità dei creditori e di accesso al concordato, appare del tutto coerente la attribuzione di un potere di autorizzazione allo scioglimento solo nella ipotesi di ammissione del concordato.
Ciò consente soprattutto di evitare un uso distorto del ricorso presentato dall’imprenditore ai sensi dell’art. 161, VI comma l.f., finalizzato non tanto ad accedere realmente alla procedura concorsuale, quanto a evitare i costi e gli oneri dei contratti pendenti.
D’altro canto i medesimi risultati – in attesa del deposito della proposta concordataria – possono essere ottenuti con la sospensione del contratto, senza che si producano effetti irreversibili nella sfera del terzo contraente in bonis.
La ricostruzione giuridica prospettata è in perfetta sintonia con il profilo di valutazione operato dalla autorità giudiziaria: se, come si ritiene, infatti, il potere autorizzativo si fonda esclusivamente su una valutazione di compatibilità dello scioglimento contrattuale rispetto al piano[6] – unica ratio giustificante il sacrificio del singolo a favore della massa creditoria – solo la presentazione della proposta concordataria consente realmente al Tribunale o al Giudice delegato di effettuare, con cognizione e su basi certe, la valutazione richiesta.
L’opinione dottrinale e giurisprudenziale che ritiene ammissibile anche nella fase in bianco lo scioglimento del contratto – in virtù del tenore letterale dell’art. 169 bis l.f. che richiama l’art. 161 l.f., senza operare alcuna distinzione tra il primo e il sesto comma – è costretta, per ricondurre il sistema ad unità, ad imporre all’imprenditore di depositare un ricorso, ai sensi dell’art. 161, VI comma l.f. (ovvero una successiva integrazione), contenente una disclosure, una esposizione sommaria dei tratti essenziali e caratterizzanti il deposito della futura proposta concordataria[7].
Tale soluzione, tuttavia, presta il fianco a una critica non superabile: la disclosure non vincola in alcun modo l’imprenditore a presentare un piano coerente e conforme a quanto prospettato per ottenere la autorizzazione allo scioglimento.
Non solo, dunque, ciò consentirebbe un potenziale abuso dello strumento da parte dell’imprenditore che scientemente depositasse un ricorso finalizzato allo scioglimento di contratti “scomodi”, senza avere la volontà o la possibilità di presentare poi un piano concordatario ovvero con l’intento di presentarlo del tutto difforme, ma legittimerebbe lo scioglimento di contratti in una fase nella quale l’imprenditore potrebbe aver ipotizzato un piano che poi, per ragioni contingenti anche indipendenti dalla sua volontà, assume connotati e forme del tutto diverse.
Inoltre, ove l’imprenditore non fosse ancora in grado di delineare i confini del piano, gli si impedirebbe di giovarsi dello strumento; qualora poi decidesse di ricorrere allo strumento di cui all’art. 182 bis l.f. gli si potrebbe consentire un effetto ulteriore non previsto dall’istituto cui accede.
La riforma non ha inciso sulla problematica; ne deriva che la dicotomia giurisprudenziale è destinata a perdurare. Ha, invece, inciso sulla necessità o meno della instaurazione del contraddittorio.
Prima della entrata in vigore del d.l. n. 83/2015, si erano, infatti, contrapposti due orientamenti giurisprudenziali.
Il primo[8] affermava la necessità di instaurare il contraddittorio con il terzo contraente, venendo diversamente leso irrimediabilmente il diritto della controparte.
Veniva invocato il principio costituzionale di cui all’art. 111 della Carta Costituzionale e la necessità di consentire al terzo di contraddire, data la incidenza su un proprio diritto soggettivo[9].
Il secondo[10] negava la necessità della instaurazione del contraddittorio con il terzo contraente in bonis, sulla base dell’assunto che la struttura e funzionalità dell’istituto rendevano del tutto superfluo – sebbene ammissibile, nell’ambito dei poteri istruttori attribuiti al giudice – l’audizione della controparte.
Si evidenziava, infatti, come il diritto al contraddittorio non avesse un valore giuridico assoluto, se avulso da un diritto sostanziale esercitabile dalla parte, sottolineando come il diritto potestativo attribuito all’imprenditore subisse una limitazione da parte della autorità giudiziaria, chiamata a pronunciarsi sulla autorizzazione, solo in funzione della compatibilità con il piano e la tutela della massa creditoria.
Escluso che l’autorità giudiziaria potesse valorizzare il pregiudizio subito dal terzo, anche sotto il profilo indennitario (come precisato di seguito), ci si chiedeva legittimamente quale necessità vi fosse di instaurazione del contraddittorio, pur non escludendosi la facoltà, nell’ambito della assunzione delle informazioni utili alla decisione da parte della autorità giudiziaria.
Autorevole dottrina, anzi, sottolineava come il principio di necessità della instaurazione del contraddittorio avrebbe dovuto portare alla estensione anche a tutti i creditori concorsuali, interessati dal provvedimento giudiziale.[11]
La riforma, come detto, ha canonizzato l’orientamento dominante, imponendo al Tribunale la instaurazione del contraddittorio con il terzo contraente, quanto meno nell’ipotesi di scioglimento del contratto, posto che la lettura della norma evidenzia la assenza di obbligatorietà per la sospensione[12].
Se la medesima ratio fosse rinvenuta nella sospensione, dovrebbe allora – a parere di chi scrive – ricorrersi all’art. 669 sexies c.p.c., posto che l’urgenza di disporre il provvedimento per impedire che maturino costi prededuttivi potrebbe essere salvaguardata solo in questo modo, anche alla luce della efficacia della sospensione (e dello scioglimento) solo dal momento della comunicazione all’altro contraente e non retroattivamente dalla data di richiesta alla autorità giudiziale.
Anche quest’ultimo profilo è stato modificato (rectius integrato) dalla novella, posto che successivamente alla introduzione degli istituti esaminati si erano contrapposti più orientamenti interpretativi: secondo parte della dottrina e della giurisprudenza gli effetti erano collegati direttamente al provvedimento giudiziale[13]; secondo altra parte all’atto recettizio negoziale dell’imprenditore, esercitabile solo dopo aver ottenuto la autorizzazione giudiziale[14].
Vi era anche una diversità di opinioni in relazione al momento di efficacia dello scioglimento o della sospensione, avendo parte della giurisprudenza ritenuto che vi fosse una retrodatazione al momento della domanda, altra all’atto di emissione del provvedimento giudiziale, altri ancora alla comunicazione al terzo contraente ed, infine, altra alla omologazione del concordato.
In ogni caso, appare condivisibile l’opinione giurisprudenziale che ritiene necessario acquisire il parere del commissario[15] in relazione alla domanda di autorizzazione, sia in quanto funzionale alla ponderazione degli interessi in gioco, sia in quanto atto di straordinaria amministrazione, ai sensi degli art. 161, VII comma l.f. e 167 l.f.
Al terzo deve essere riconosciuta una indennità, quantificata secondo i parametri del risarcimento del danno. La apparente incompatibilità giuridica degli istituti richiamati si giustifica ove si valorizzi la debenza della somma sulla base di un legittimo esercizio di un diritto potestativo – posto che l’indennità ha origine da un atto lecito – e tuttavia la sua quantificazione è parametrata all’effettivo danno subito.
L’equiparazione ad un credito chirografario[16] antecedente al deposito della domanda, tuttavia, determina un’evidente compressione dell’interesse del terzo, il quale, in relazione a tale credito, potrà esercitare il proprio diritto di voto.
Sul punto la riforma ha integrato la norma prevedendo che: “la prededuzione del credito conseguente ad eventuali prestazioni eseguite legalmente e in conformità agli accordi o agli usi negoziali, dopo la pubblicazione della domanda ai sensi dell'articolo 161”.
Posto che le prestazioni eseguite dopo il deposito della domanda e prima dello scioglimento del contratto devono considerarsi in prededuzione a tutti gli effetti in base al sistema normativo delineato, si deve ritenere che la disposizione, nel richiamare gli accordi e gli usi negoziali, si sia riferita a prestazioni eseguite dopo l’avvenuta scissione del sinallagma funzionale (si pensi alla erogazione dei servizi di energia elettrica o gas).
Si discute se la determinazione della indennità costituisca presupposto per la disamina della domanda di autorizzazione allo scioglimento del contratto[17]: riteniamo preferibile l’opinione che dà risposta negativa, sull’assunto che l’eventuale mancata indicazione nel piano determinerebbe, in ogni caso, un ostacolo alla prosecuzione della procedura (ai sensi degli artt. 162, 173 o 179 l.f.), non consentendo di verificare la fattibilità del piano concordatario.
Controversa è altresì la determinazione della autorità giudiziaria competente a decidere l’eventuale contestazione della corretta determinazione della indennità.
L’opinione che la individua nel giudice delegato è del tutto minoritaria[18], anche se avrebbe il vantaggio di giustificare l’esigenza di instaurazione del contraddittorio con il terzo contraente ed evitare i fisiologici ritardi del giudizio ordinario; secondo l’opinione del tutto prevalente[19] è, invece, l’autorità giudiziaria ordinaria a dover risolvere tale tipo di controversia, sebbene residui al giudice delegato ogni opportuna valutazione in sede di adunanza ai fini della votazione.
4- Momento di decorrenza dell’efficacia della sospensione e dello scioglimento
All’indomani della introduzione dell’art. 169 bis l.f. si sono formati numerosi e plurimi interpretazioni sulla decorrenza degli effetti della sospensione dei contratti o del loro scioglimento.
Detto che la lettura della disposizione non lasciava dubbi circa la mera natura autorizzatoria del provvedimento giudiziale – adottato dal Tribunale prima della ammissione e dal Giudice delegato successivamente – così che l’effetto sul sinallagma contrattuale era comunque da ricondursi all’atto di parte, vi era chi riconduceva il momento al deposito della domanda, chi al momento della ricezione dell’atto di dichiarazione della volontà di sospensione o risoluzione – debitamente autorizzata – chi invece riconduceva l’effetto alla omologazione del concordato.
Non sfugge, infatti, in primo luogo la problematica della incidenza negativa sul rapporto contrattuale in costanza di procedura, con i pericoli connessi ad uno strumentale utilizzo dell’istituto in situazione di palese incapacità di addivenire alla presentazione di una proposta concordataria, alla lecita volontà di accedere all’istituto di cui all’art. 182 bis l.f., alla valutazione di inammissibilità operata dal Tribunale o all’esito negativo della votazione.
In tutte queste ipotesi è evidente, infatti, che il contratto rimarrebbe sciolto, nonostante la teleologica funzione dell’incidenza sul sinallagma funzionale non sia stata rispettata.
Ciò ha condotto parte della dottrina e della giurisprudenza a configurare l’omologazione del concordato come una sorta di condizione sospensiva dello scioglimento contrattuale[20].
In altri termini, questa tesi ritiene che l’effetto irreversibile dello scioglimento – essendo funzionale alla procedura concordataria – non possa verificarsi nell’ipotesi in cui il concordato stesso non venga omologato, divenendo parte della proposta concordataria sottoposta al vaglio e alla prudente valutazione dei creditori in sede di adunanza. In questa prospettiva è logico concludere che il controllo operato dalla autorità giudiziaria, ai fini della autorizzazione, è di mera legittimità o forse, più correttamente, di legalità ovvero di rispetto dei limiti imposti dall’art. 169 bis l.f., non potendo finanche operare sul piano della piena compatibilità tra il piano e lo scioglimento.
Per ragioni analoghe, sebbene dissentendo sulla ricostruzione dogmatica citata, parte della giurisprudenza di merito, nonostante il tenore letterale dell’art. 169 bis l.f., ritiene, come anticipato, che lo scioglimento del contratto – data la natura irreversibile dell’effetto - possa essere autorizzato solo dopo la ammissione del concordato, mentre residuerebbe all’imprenditore, nella c.d. fase in bianco, lo strumento cautelare della sospensione.
5- I contratti bancari
La prassi giurisprudenziale ha evidenziato come l’istituto esaminato abbia trovato spazio soprattutto in riferimento ai contratti bancari.
In verità, sebbene le articolate ricostruzioni dogmatiche prospettate dalla giurisprudenza e dalla dottrina si concentrino sulle ragioni giuridiche giustificanti o meno lo scioglimento dei contratti bancari autoliquidanti – ove l’istituto di credito effettua una anticipazione di denaro a fronte della attestazione della esistenza di crediti commerciali che saranno poi incassati dalla banca in virtù di un patto di compensazione accessorio al contratto bancario accompagnato o meno da un mandato all’incasso – la ragione per la quale si ricorre all’istituto di cui all’art. 169 bis l.f. in queste ipotesi è del tutto estranea: evitare che l’istituto di credito rientri in corso di procedura delle somme anticipate, sottraendo all’imprenditore risorse economiche da mettere a disposizione di tutta la massa creditoria, e la conseguente alterazione della par condicio creditorum.
In altri termini, nella maggior parte dei casi, non vi è alcun interesse dell’imprenditore a sciogliere i contratti bancari, ma solo l’esigenza di evitare che vi siano dei pagamenti di crediti imprenditoriali a favore della Banca.
Quella che potrebbe sembrare una banale conclusione della disamina delle soluzioni interpretative prospettate è, in realtà, il punto di partenza e la lente di ingrandimento dalla quale deve muoversi nella disamina al microscopio delle problematiche connesse.
Dato per scontato che nella ipotesi di cessione del credito a favore dell’istituto di credito, perfezionatasi in un periodo antecedente il deposito della domanda di concordato, il problema non si pone, purché la cessione sia stata notificata al debitore ceduto[21], si sono registrati – prima della novella di cui al d.l. n. 83/2015 – due orientamenti contrapposti:
a) la giurisprudenza di merito prevalente ha ritenuto, sulla base di un’asserita coincidenza semantica tra “contratti in corso di esecuzione” e “contratti pendenti” di cui agli artt. 169 bis e 72 l.f., alla quale consegue l’applicabilità dell’istituto esaminato soltanto ai contratti sinallagmatici non eseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti, non possibile sospendere o sciogliere i contratti bancari di cui si tratta ove, la banca abbia già del tutto eseguito la propria prestazione e residui soltanto un debito da parte dell’imprenditore[22][23]
b) altra parte della giurisprudenza di merito – proprio facendo leva sulla volontaria distinzione lessicale, valorizzando la scelta normativa di introdurre una disposizione ad hoc che, per altro, disciplina esplicitamente le ipotesi escluse dall’ambito applicativo della norma, invece di modificare l’art. 169 l.f. nell’omesso richiamo all’art. 72 l.f. – ha ritenuto che tutti i contratti non interamente eseguiti da entrambe le parti potessero essere sospesi o sciolti[24].
La recente riforma normativa ha senza dubbio inteso “normativizzare” la prima tesi, modificando la rubrica (con il d.l. n. 83/2015) ed il testo della disposizione (con la legge di conversione) per una piena assimilazione delle ipotesi di cui agli artt. 169 bis e 72 l.f.[25]
Ne deriva che la soluzione della problematica andrebbe oggi definitivamente individuata nella impossibilità giuridica di sospendere o sciogliere i contratti bancari c.d. auto liquidanti, con buona pace dell’istituto de quo che di fatto avrebbe (o avrà) una applicazione assai limitata.
Resta forte contrario alla tesi enunciata l’argomento letterale poiché, nella assimilazione all’art. 72 l.f., il legislatore ha dimenticato di precisare che le prestazioni non dovrebbero essere eseguite o completamente eseguite da entrambe le parti. Ne deriverebbe che se il contratto non è stato eseguito da una delle parti (come avviene nelle ipotesi descritte ove la prestazione del debitore di restituzione degli importi anticipati deve ancora avvenire) il contraente che accede al concordato potrebbe ancora legittimamente ricorrere all’istituto de quo[26].
Quantunque la soluzione della problematica esaminata sembri, come detto, a prima vista scontata, si rileva, tuttavia, come già prima della novella si fossero affacciati altri orientamenti interpretativi che, pur muovendo da premesse diverse, hanno il merito di raggiungere il medesimo risultato, ovvero non consentire agli istituti di credito di incamerare somme di denaro durante la fase procedimentale, alterando palesemente la par condicio creditorum.
La prima ritiene – a prescindere dalla ipotesi nella quale l’istituto di credito si sia impegnato a tenere a disposizione delle somme di denaro al cliente, non risolvendosi l’apertura di credito in un mero finanziamento, adempiuto una tantum con l’erogazione di una somma di denaro, ove appare condivisibile l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di merito, secondo la quale il contratto non è completamente adempiuto da nessuna delle due parti[27] - che i contratti non siano ancora eseguiti da entrambe le parti, poiché l’istituto di credito deve ancora adempiere alle obbligazioni nascenti dal mandato all’incasso ricevuto[28].
In altri termini, l’obbligazione di riscossione delle somme dovute all’imprenditore da parte di terzi qualificherebbe essenzialmente il contratto di anticipazione bancaria e imporrebbe, fino all’adempimento del mandato (ovviamente ove inserito quale negozio accessorio del contratto), di qualificarlo come non ancora completamente eseguito da entrambe le parti.
La seconda ritiene, invece, tout court sospendibile o risolvibile il contratto di mandato all’incasso[29] operandosi una scissione giuridica di un’unica operazione economica data dalla anticipazione del credito contro la attribuzione di un mandato in rem propriam finalizzato all’incasso dei crediti per poi operare una compensazione (tecnica o atecnica in conto corrente, a seconda dei casi).
La separazione, pro domo sua, di un’unitaria vicenda contrattuale, ove il mandato all’incasso si inserisce come negozio accessorio inserito in una clausola contrattuale, lascia non poche perplessità, poiché di fatto non si riesce a giustificare una scissione negoziale, proprio perché il mandato perde di giustificazione causale se avulso dal contratto bancario nel quale è inserito.
La terza ritiene inefficace la compensazione in virtù della mancanza di coesistenza alla data di apertura della procedura concorsuale, in forza di quanto disposto dall’art. 56 l.f., dei reciproci debiti[30].
Se, infatti, il debito dell’imprenditore sussiste già prima della introduzione della procedura concordataria, quello dell’Istituto di credito di restituzione delle somme riscosse in adempimento del mandato in rem propriam sorge solo al momento del pagamento del terzo – non avendo il contratto de quo trasferito il relativo diritto in capo al creditore, a differenza della cessione del credito – così che, qualora tale momento sia successivo alla introduzione della procedura concordataria, l’effetto compensativo di cui all’art. 1242 c.c. (mentre il divieto di pagamenti da parte dell’imprenditore dopo il deposito della domanda di concordato ricavato pressoché unanimamennte dal sistema impedisce la applicazione della compensazione volontaria, ai sensi dell’art. 1252 c.c.) non può verificarsi in virtù della preclusione temporale posta dall’art. 56 l.f.
La critica mossa a tale tesi da parte della dottrina[31] e della giurisprudenza[32] si incentra sulla presunta efficacia retroattiva dell’insorgenza del debito della Banca, in forza della anteriorità rispetto alla introduzione della procedura concordataria non del debito, bensì del suo fatto genetico.
In questo senso depone la sentenza della Suprema Corte 1 settembre 2011, n. 17999 sulla base della argomentazione citata[33].
Deve, tuttavia, sottolinearsi come la sentenza de qua si riferisse alla amministrazione controllata e non al concordato preventivo, sicché permane un dubbio in ordine alla perfetta coincidenza applicativa anche all’istituto richiamato; inoltre andrebbe operata una opportuna disamina della fattispecie, poiché la compensazione non opera all’interno del medesimo rapporto contrattuale, ma solo qualora i reciproci debiti si riferiscano a più rapporti negoziali, sicché l’eventuale unitarietà dell’operazione commerciale con accredito del pagamento del terzo sul conto corrente affidato o cui accede la apertura di credito non determinerebbe un’elisione del debito dell’imprenditore in forza della compensazione, ma un mero effetto contabile.
Parte della dottrina ritiene, tuttavia, che in queste ipotesi l’elisione operata dalla banca, in un momento successivo alla presentazione della procedura concordataria, sarebbe assimilabile ad un pagamento effettuato dall’imprenditore (in forza di una delegazione di pagamento), con la conseguenza che sarebbe inammissibile ed inefficace e determinerebbe l’obbligo per l’istituto di credito di restituire gli importi incamerati all’imprenditore[34].
6- Conclusioni
Ci sembra di poter affermare che la riforma abbia verosimilmente indebolito gli strumenti di cui all’art. 169 bis l.f., posto che difficilmente l’interpretazione giurisprudenziale dominante ne consentirà la applicazione ai contratti bancari, in guisa da consentire il reperimento di risorse da destinarsi a tutti i creditori; anzi, la reintroduzione di una soglia minima di soddisfazione economica nel concordato liquidatorio e la eliminazione del c.d. “voto di assenso silenzioso” – per quanto ennesimo tentativo di correzione dell’uso distorto assai frequentemente accertato dello strumento de quo- ci sembra abbiano ferito, se non ucciso, il re degli istituti di rilancio dell’impresa in crisi: il concordato preventivo.
The king is dead. Long live the king.
[1] Sul punto v. Ambrosini, in La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015,in www.ilcaso.it.
[2] Tribunale di Genova, 11 gennaio 1996 in Fall, 1996, 698; Corte di Appello di Firenze, 10 dicembre 1990 in Dir. Fall., 1991, II, 561; Meoli-Sica, Effetti sui rapporti giuridici preesistenti, in Trattato di Diritto Fallimentare, diretto da Buoncuore-Bassi, coordinato da Capo-De Santis-Meoli, II, Padova, 2010, 387; Nardecchia, Gli effetti del concordato preventivo sui creditori, Milano, 2011, 138; in senso contrario Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, IV, 2268 e Jorio, I rapporti giuridici pendenti nel concordato preventivo, Padova, 1973, 163 ss. secondo i quali la esecuzione dei contratti doveva essere autorizzata dal giudice delegato, ai sensi dell’art. 167 l.f., divenendo diversamente inimputabile l’inadempimento del debitore e risolvendosi il contratto per impossibilità sopravvenuta.
[3] Non pare aver avuto seguito l’opinione giurisprudenziale secondo la quale in caso di mancata omologazione del concordato o estinzione c.d. anomala del procedimento (rinuncia, revoca, mancata presentazione della proposta) l’effetto caducatorio verrebbe meno con effetto retroattivo; cfr. Tribunale di Pistoia 23 gennaio 2014 e Tribunale di Terni, 27 dicembre 2013 in www.ilcaso.it.
[4] Tribunale di Pavia, 22 marzo 2015 inedito; cfr. Palladino, Concordato Preventivo - I contratti in corso di esecuzione nel Concordato Preventivo: il perimetro operativo della disciplina e l’elaborazione di un modello procedimentale unitario, in Giur. It, 2015, 5, 1147.
[5] Tribunale di Monza, 6 giugno 2013; Tribunale di Vercelli 20 settembre 2013; cfr. in adesione anche Armatore, Autorizzazione allo scioglimento di contratto di affitto di azienda, in Ilfallimentarista.it.
[6] Del tutto minoritario appare l’opinione giurisprudenziale che attribuisce alla autorità giudiziaria un potere di valutazione sulla convenienza economica dello scioglimento - in antitesi con l’orientamento più volte espresso dalla Suprema Corte e cristallizzato nella sentenza delle Sezioni Unite del gennaio 2013 - valorizzando il pregiudizio subito dal terzo contraente, in un’ottica di contemperamento e tutela delle posizioni negoziali. Cfr. Vella, nota a Tribunale di Salerno, 25 ottobre 2012 in Fallimento, 2013, 1, 75.
[7] Tribunale di Modena, 30 novembre 2012, in www.ilcaso.it; Tribunale di Vercelli, 20 settembre 2012, in www.ilcaso.it; Tribunale di Terni, 27 dicembre 2013, in www.ilcaso.it.
[8] Corte di Appello di Venezia, 20 novembre 2013, in www.ilcaso.it.
[9] cfr. Corte di Appello di Milano, 4 febbraio 2015 in www.ilcaso.it.
[10] Tribunale di Ravenna, 28 gennaio 2014, in www.ilcaso.it; Tribunale di Terni, 27 dicembre 2013, in www.ilcaso.it.; Tribunale di Udine, 25 settembre 2013, in www.ilcaso.it; Tribunale di Rovigo, 18 settembre 2014 in www.fallimentiesocietà.it.
[11] Inzitari-Ruggero, scioglimento e sospensione del contratto in corso di esecuzione nel concordato ai sensi dell’art. 169-bis legge fallim.: il contraddittorio deve essere esteso alla controparte contrattuale in bonis?, in Dir. Fall., 2014, II, 16.
[12] Nel senso della necessità di instaurazione del contraddittorio anche nell’ipotesi di sospensione cfr. Tribunale di Reggio Emilia, 8 luglio 2015, in www.ilcaso.it; in senso contrario cfr. Benassi, Contratti Pendenti nel concordato preventivo e audizione del terzo contraente nel nuovo art. 169 bis l.f.: prime riflessioni, in www.ilcaso.it.
[13] Tribunale di Piacenza, 8 giugno 2013, in www.ilcaso.it; Tribunale di Monza, 27 novembre 2013, in www.ilcaso.it.
[14] Corte di Appello di Genova, 5 febbraio 2014, in www.ilcaso.it; in dottrina cfr. Benassi, Concordato preventivo e Contratti pendenti: applicabilità dell’art. 169 bis L.F. al concordato con riserva e convocazione del terzo contraente (breve nota di commento a Appello Venezia, 20 novembre 2013), in www.ilcaso.it.
[15] Corte di Appello di Milano, 4 febbraio 2015, in www.ilcaso.it.
[16] Tribunale di Novara, 27 marzo 2013 in www.ilcaso.it; si potrebbe, tuttavia, confutare che la norma opera una mera equiparazione ai crediti sorti prima del deposito della domanda di concordato, con la conseguenza che l’originaria natura privilegiata del credito, non potrebbe di per sé venir meno per effetto della sola retrodatazione degli effetti.
Si rileva, tuttavia, come la natura indennitaria del credito - conseguente allo scioglimento del contratto in virtù di un legittimo esercizio di un diritto potestativo ad autorizzazione giudiziale - lo svincoli causalmente dalla fonte, in guisa da renderlo indifferente all’eventuale natura privilegiata, posto che l’indennità non mutua la qualità dalla fonte contrattuale, ma dal predetto recesso.
[17] Risponde affermativamente Benassi, ult. cit. ritenendo che la mancata indicazione dell’indennizzo si traduca in una omissione di una passività e correlativamente in una carenza della attestazione.
[18] Cfr. Corte di Appello di Milano, 4 febbraio 2015 con nota adesiva di Palladino, cit., 1147.
[19] Tribunale di Pistoia 9 luglio 2013 in www.ilcaso.it; Tribunale di Padova, 26 marzo 2013, in www.ilcaso.it; Tribunale di Firenze, 24 aprile 2013, in www.ildirittodegliaffari.it.
[20] Tribunale di Pistoia, 23 novembre 2014, in www.ilcaso.it.
[21] Tribunale di Genova, 4 novembre 2013, in www.ilcaso.it; Tribunale di Prato, 20 gennaio 2014, in www.ilfallimentarista.it; Tribunale di Padova, 7 gennaio 2014, in www.fallimentiesocietà.it.
[22] Corte di Appello Milano, 29 gennaio 2015 in www.ilcaso.it; Corte di Appello di Venezia, 26 novembre 2014, in www.ilcaso.it; Tribunale di Milano, 30 ottobre 2014 in www.ilcaso.it.
[23] Autorevole dottrina – Ambrosini, Gli effetti della ammissione al concordato e i contratti in corso di esecuzione, in www.fallimentiesocietà.it (riprodotto in Il concordato preventivo, in AA.VV., Le altre procedure concorsuali, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da Vassalli-Luiso-Gabrielli, IV, Torino, 2014, 279 ss.) – ha affermato che una diversa interpretazione introdurrebbe una sorta di revocatoria per le vie brevi.
[24] Corte di Appello di Genova, 10 febbraio 2014, in Fall., 7, 2014, 793; Tribunale di Genova, 4 novembre 2013, in Fall, 7, 2014, 795; Tribunale di Pavia, 24 novembre 2014 in www.ilcaso.it; Tribunale di Busto Arsizio, 11 febbraio 2013 in www.ilcaso.it; Tribunale di Rovigo, 7 ottobre 2014 in www.ilcaso.it.
[25] In questo senso Tribunale di Ferrara, 23 luglio 2015, in www.ilcaso.it.
[26] Si rimanda a quanto osservato da Varotti, Appunti veloci sulla riforma fallimentare 2015 in www.ilcaso.it.
[27] Tribunale di Venezia, 20 gennaio 2015 in Fall.,2015, 5, 557 con nota di Patti, Contratti bancari nel concordato preventivo tra bilateralità e unilateralità di in esecuzione.
[28] Tribunale di Treviso, 2 febbraio 2015 in Fall., 2015,5, 557; Tribunale di Ravenna, 14 novembre 2014 in Nuova Giur. Civ., 2015, 4, 10277 con nota critica di Bontempi.
[29] Tribunale di Milano, 28 maggio 2014, in www.ilcaso.it.
[30] Cfr. Cass., 7 maggio 2009, n. 10548; cfr. anche Corte di Appello di Trento, 22 ottobre 2013 in www.fallimentiesocietà.it.
[31] Cederle, Anticipazioni di crediti e concordato preventivo: la banca mandataria tra obblighi restitutori e patto di compensazione, in Fall., 2010, 11, 1300.
[32] cfr. Cass., 31 agosto 2010, n. 18915; Cass., 27 aprile 2010, n. 10025.
[33] Cfr. anche Tribunale di Bergamo, 22 novembre 2011 in www.ilcaso.it; Tribunale di Roma, 21 aprile 2010, in www.ilcaso.it.
[34] Bontempi cit.
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