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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 13/07/2015 Scarica PDF

La responsabilità civile del curatore fallimentare

Carlo Trentini, Avvocato in Verona


Sommario: 1. Responsabilità del curatore per danni alla massa dei creditori e al fallito: sua natura. - 2. Il grado della colpa; e se l’autorizzazione scrimini. - 3. Disamina casistica. - 4. Rilevanza dell’approvazione del rendiconto e altre questioni processuali. - 5. Prescrizione dell’azione. - 6. Ammissibilità della cessione dell’azione. - 7. Responsabilità per danni cagionati al singolo creditore e a terzi: natura, casistica, aspetti processuali e prescrizione. - 8. La legittimazione passiva nelle azioni di responsabilità ex delicto: profili critici.


     

1. Responsabilità del curatore per danni alla massa dei creditori e al fallito: sua natura

Nel considerare la questione della responsabilità del curatore, è doveroso, innanzi tutto, osservare che il tema si presenta in modo bipartito; il curatore può essere chiamato a rispondere dei danni che sue condotte (commissive od omissive) possono recare alla massa dei creditori[2], id est alla procedura, intesa nel suo complesso; ovvero (ipotesi distinta) dei pregiudizi arrecati a singoli creditori, o a più creditori (ma non a tutti) ovvero a terzi. Esamineremo, in primo luogo, la prima ipotesi quella dei comportamenti pregiudizievoli nei confronti della massa dei creditori.

L’orientamento maggioritario, tanto in dottrina che in giurisprudenza, è, per quanto attiene ai danni cagionati alla massa, a favore della natura contrattuale della responsabilità del curatore[3], anche se gli argomenti impiegati sono diversi e non sempre convincenti. Così, ad esempio, è frequente il richiamo al mandato[4]: pur dandosi atto che il curatore non è certamente un mandatario (né comunque un rappresentante) dei creditori[5], è sottolineato come i suoi compiti gestori possano essere assimilati a quelli di un mandatario. Ma la tesi, pur cogliendo un aspetto fondamentale nella soluzione del problema (e cioè l’esistenza di obblighi specifici, preesistenti) risente di un’impostazione evidentemente incoerente; un mandato postula un incarico ad opera di un mandante; qui, certamente se è ben lecito discorrere di incarichi, il loro inquadramento non può collocarsi se non nell’ambito della categoria dei munera publica, con quanto ne segue in ordine alla non perfetta congruenza con le norme in tema di contratti.

Altri Autori si riferiscono proprio alla qualificazione dell’incarico come munus publicum (così come all’esistenza di obblighi di diligenza nella realizzazione dell’incarico)[6], per desumerne la natura contrattuale della responsabilità del curatore.

Una riflessione sulla natura della responsabilità deve prendere le mosse, innanzi tutto, dal rilievo della distinzione, rilievo che non riposa unicamente su passioni classificatorie accademiche; attribuire la natura di responsabilità ex contractu anziché ex delicto è di capitale importanza, anche dal punto di vista pratico, perché capovolge assolutamente sia il tema dei limiti dell’esonero da responsabilità sia quello dell’onere della prova in ordine alla colpa: a norma dell’art. 1218 c.c., il debitore non è liberato a meno che egli non provi che l’inadempimento o il ritardo “è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”; quindi, da un lato il principio di diritto sostanziale è che l’inadempimento (o il ritardo) in tanto non sono fonte di responsabilità per il debitore in quanto essi siano dipesi, e cioè trovino causa, in un’impossibilità della prestazione ovvero della puntualità della prestazione non imputabile a chi deve eseguire la prestazione; e si badi bene che tale impossibilità deve essere oggettiva, non soggettiva (la mancata consegna di merce ad opera del fornitore della materia prima non configura un’ipotesi d’impossibilità oggettiva; il debitore avrebbe potuto comunque acquistare o procurarsi la materia prima da altri fornitori); in secondo luogo, dal punto di vita processuale, è sul debitore che incombe l’onere di provare che il mancato adempimento non è a lui imputabile, ma che dipende da una causa esterna, che esclude la sua responsabilità. Quindi, in giudizio, il creditore sarà onerato di fornire la prova del suo credito, e cioè del suo diritto alla prestazione; al debitore incombe l’onere di provare l’adempimento e, in difetto, che esso è stato determinato da causa a lui non imputabile.

Ben diverso è il regime della responsabilità extracontrattuale: chi abbia subito un danno dovrà dimostrare non solo di aver subito un danno; egli dovrà assolvere l’onere della prova del fatto ingiusto del danneggiante ed il nesso causale tra lo stesso e l’evento pregiudizievole.

Di più, alle diverse responsabilità corrispondono termini prescrizionali diversi: in quella ex contractu, esso è di regola[7] decennale; in quella ex delicto, di regola[8], quinquennale.

Il discrimen tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, com’è noto, in forza di un’elaborazione dottrinale e di un approdo giurisprudenziale oramai consolidati, non s’individua con semplice riferimento all’esistenza o meno di un contratto[9] e di un obbligo negoziale da questo derivante, ma ogni qual volta, al di là del generale e generico obbligo del neminem laedere, sia possibile individuare l’esistenza di un obbligo specifico, derivante da una disposizione di legge o da un qualsivoglia altra fonte normativa; là dove, in altri termini, l’ordinamento imponga uno specifico obbligo, ponendolo a carico di un soggetto individuato, in ragione di compiti particolari attribuitigli, si parla di un obbligo preesistente, che connota la vicenda e conforma la responsabilità come contrattuale. Talora si osserva che ciò sarebbe tipico dei casi di responsabilità per omissione, perché non vi sarebbe un obbligo positivo, di regola, d’impedire il prodursi di un danno, ma questo non è esatto, dal momento che si danno casi di responsabilità extracontrattuale in cui la condotta è omissiva (ad esempio, i danni da insidia stradale, in cui la condotta che viene rimproverata è l’omessa riparazione della sede stradale). La giurisprudenza parla in questi casi di obblighi di protezione (termine spesso alternato con responsabilità da contatto sociale), per i quali la casistica è ampia: in primo luogo, la responsabilità medica (anche se il punto non può ancora considerarsi del tutto pacifico[10]), ovvero la responsabilità del banchiere (per illegittima negoziazione di un assegno, potenzialmente pregiudizievole per tutti gli interessati alla sua corretta circolazione[11]), o dell’insegnante (e della scuola) per le lesioni subite dall’allievo, minore, durante l’orario scolastico, allorquando è affidato alla custodia del personale della scuola[12]. Ciò che contraddistingue tali ipotesi di responsabilità contrattuale è la preesistenza di un’obbligazione, di un obbligo specifico, quale che ne sia la fonte[13] (tendenzialmente a tutela di un interesse generale); là dove non sia possibile ravvisare tale presupposto, non si può affermare la natura contrattuale della responsabilità (che è stata negata, ad esempio, nel caso di un advisor che aveva errato nella stima del valore delle partecipazioni di una società, in un operazione di aumento di capitale[14]).

Se si tengono ferme le considerazioni che precedono, non è difficile pervenire alla qualificazione della responsabilità del curatore fallimentare come di natura contrattuale[15]: la norma, positiva, ne individua gli obblighi in modo chiaro, stabilendo ch’egli “adempie ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione[16] approvato, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico”; si tratta quindi di un’ipotesi di obblighi specifici[17], preesistenti. Non può non balzare subito alla mente la somiglianza con la figura dell’amministratore di società di capitali, i cui obblighi sono delineati con una formula in parte identica, in parte – motivatamente – diversa[18]. Come nelle azioni di responsabilità contro i componenti degli organi di amministrazione (di controllo) delle società di capitali, è così fuori discussione la natura contrattuale della responsabilità[19], con la conseguenza che l’onere della prova è d’ordinario così ripartito: sull’attore grava l’onere di provare il danno ed il nesso causale[20]; in capo ad amministratori (e sindaci) quello di provare se non proprio del fatto che il danno è stato determinato da impossibilità della prestazione a loro in imputabile, quanto meno che l’evento lesivo non è loro imputabile[21].

Considerazioni non diverse riguardano la responsabilità del curatore nei confronti del fallito, di cui egli amministra il patrimonio e ne cura la liquidazione. Certamente, tali compiti sono esercitati, in prima istanza, nell’interesse dei creditori; ma non può negarsi che un interesse, diretto, vada ravvisato anche in capo al debitore, non foss’altro perché, meglio il patrimonio è amministrato e liquidato, minori saranno i suoi debiti residui; e, quanto meno astrattamente, maggiore saranno le possibilità ch’egli possa godere di un residuo (si pensi alla giurisprudenza della Suprema Corte in tema di diritto del fallito ad opporsi a soluzioni concordatarie che lo pregiudichino oltre il lecito[22]). Alla luce di queste considerazioni non può dubitarsi della qualificazione della responsabilità del curatore verso il fallito alla stregua di una responsabilità contrattuale[23].

   

2. Il grado della colpa; e se l’autorizzazione scrimini

Stabilita dunque la natura contrattuale della responsabilità del curatore fallimentare, nei confronti della procedura (e del fallito), la seconda questione che l’interprete deve porsi è quella del grado della colpa, e cioè se la responsabilità del curatore vada valutata con particolare rigore ovvero se, secondo la regola dell’art. 2236 c.c., dettata per le professioni intellettuali, ma che ben può costituirsi principio generale allorquando si sia in presenza di prestazioni che implicano “la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà”, il curatore risponda soltanto in caso di colpa grave.

Al riguardo occorre osservare, innanzi tutto, che, nell’ambito dell’attività del curatore vi sono adempimenti che non richiedono particolari competenze, ma meramente esecutivi (quali, ad esempio, obblighi inerenti alla custodia del patrimonio); per questi varranno le regole generali, posto che non si potrà ritenere che l’adempimento presupponga la soluzione di problemi di particolare complessità[24]. Se, invece, si ha riguardo a prestazioni che, obiettivamente, impongono la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà (quali, ad esempio, l’assunzione delle “motivate conclusioni” nel progetto di stato passivo[25] di fronte alle richieste di ammissione al passivo dei creditori[26]), il principio generale dell’art. 2236 c.c. va coordinato con la previsione dell’art. 1176, secondo comma, c.c., a tenore del quale la diligenza nell’adempimento dell’obbligazione, che d’ordinario è quella del “buon padre di famiglia” (primo comma dell’art. citato), nel caso di prestazioni da eseguirsi nell’ambito di un’attività professionale “la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”, ciò che importa, di necessità, che, nello stabilire il grado della diligenza, la valutazione non potrà che tenere conto delle competenze che necessariamente chi eserciti l’attività professionale possieda o comunque dovrebbe possedere. In altri termini, la difficoltà o meno delle questioni da risolvere va parametrata tenendo conto della specifica competenza dell’obbligato, specifica competenza che egli abbia o dovrebbe avere, cosicché dal curatore che per legge deve avere una particolare qualificazione professionale e dovrebbe, quindi, essere dotato delle necessarie competenze, potrà esigersi una particolare professionalità: in tal senso, per esempio, in materia di responsabilità medica, la giurisprudenza ha distinto il grado di colpa del medico generico da quello di chi si è assunto un’obbligazione nella qualità di specialista, ciò comportando una particolare perizia, e cioè la perizia che d’ordinario viene richiesta agli appartenenti alla categoria degli specialisti[27].

L’orientamento maggioritario, che conferma quello accolto sotto la vigenza della legge anteriore alla riforma, è nel senso che la responsabilità del curatore non viene elisa dall’autorizzazione del giudice delegato[28]; sia perché questo non era un ordine, bensì, appunto, un’autorizzazione (che rimuove un ostacolo al compimenti di un atto che era nella facoltà del curatore scegliere se compiere o meno[29]), sia perché, anche fosse un ordine, il curatore non dovrebbe comunque compierlo, se illegittimo[30]. La lettura restrittiva merita, forse, una riconsiderazione per più ragioni: sia perché, di regola, la responsabilità consegue ad omissioni (rispetto alle quali non è certo questione di previe autorizzazioni, quanto, se mai, del mancato o ritardato compimento di atti autorizzati), sia perché, se la responsabilità dipende da una colpa - e fatta salva l’ipotesi di autorizzazione di atti palesemente illegittimi (per i quali l’autorizzazione non scrimina di certo) -, pare difficile qualificare colposa una condotta coonestata da un altro organo della procedura, avente particolare qualificazione e titolo, come il giudice delegato o il comitato dei creditori[31].

   

3. Disamina casistica

Non sarà irrilevante una disamina della casistica giurisprudenziale, che presenta un ampio spettro di vicende, che vanno da ipotesi di responsabilità evidenti, ricollegandosi a condotte penalmente rilevanti, per passare ad ipotesi di negligenza grave e per finire con ipotesi di colpa ordinaria.

Non mette conto, ovviamente, menzionare le ipotesi in cui il curatore si sia appropriato di beni costituenti l’attivo del patrimonio affidato alle sue cure, posto che non sembra che vi siano particolari questioni da rilevare al proposito.

Maggiore interesse possono presentare ipotesi di colpa grave (quae dolo aequiparatur): come il caso in cui il curatore abbia tollerato prelievi non autorizzati da parte di terzi dal libretto di deposito intestato alla procedura[32].

Altre ipotesi, infine, riguardano negligenze non così gravi, ma comunque tali da determinare responsabilità: ad esempio nel caso in cui l’immobile assoggettato ad esecuzione immobiliare ante fallimento e successivamente liquidato in sede concorsuale sia rimasto privo di custodia tra la data della aggiudicazione e la data della consegna risultando così danneggiato con conseguente pretese dell’acquirente al risarcimento dei danni dipendenti dalla negligenza dell’omessa custodia[33]; ovvero nel caso di perdita di beni inventariati, per omessa vigilanza[34]; o nel caso in cui il curatore non abbia esercitato le azioni (risarcitorie, revocatorie e recuperatorie) che avrebbe dovuto esercitare[35] e, ovviamente, con liquidazione del danno subito dalla procedura secondo l’effettiva perdita conseguente all’inerzia o al ritardo[36]; oppure nel caso in cui il curatore fallimentare abbia omesso di riscuotere i canoni di locazione dell’immobile di proprietà del fallito, essendo pendente, alla data di apertura della procedura il contratto di locazione[37]; ovvero abbia omesso di attivarsi per la riscossione dei crediti IVA dovuti al fallito[38]; ovvero, infine (posto che inadempimento e ritardo sono accomunati dalla previsione dell’art. 1218 c.c.) nell’ipotesi in cui il curatore abbia ingiustificatamente ritardato le operazioni di liquidazione, così pregiudicando, quanto meno temporalmente, l’aspettativa di soddisfazione dei creditori (in anni in cui la disponibilità del denaro liquido comportava il riconoscimento di interessi, e poneva al riparo o limitava la svalutazione della moneta[39]). Risulta evidente, da questa breve e certamente non esaustiva elencazione, che le ipotesi di responsabilità per omissione si presentano come nettamente prevalenti dal punto di vista numerico[40].

Non costituisce invece uno degli obblighi del curatore quello di verificare se altri uffici – tenuti in forza di specifiche disposizioni di legge a determinati comportamenti – abbiano o meno adempiuto ai loro obblighi: così, ad esempio, non incorre in responsabilità il curatore che abbia notificato l’estratto della sentenza dichiarativa di fallimento affinché il conservatore dei registri immobiliari provveda, com’è previsto dall’art. 88 l.f., alla relativa annotazione nei registri immobiliari, né l’esistenza di una prassi delle Conservatorie - che impone, per procedere alla pubblicità, che il curatore presenti una nota di trascrizione – importa obblighi correlativi in capo al curatore[41], trattandosi di consuetudo contra legem, come tale non vincolante. Piuttosto, in caso di vendita di veicoli, la correlativa disposizione che impone al curatore di provvedere a trasmettere un estratto al conservatore del pubblico registro, se non adempiuta, importa che, ai fini del pagamento della tassa di possesso, l’obbligo gravi sulla curatela[42].

Parimenti, le decisioni del curatore di carattere gestionale (ad esempio circa la prosecuzione o meno dei rapporti pendenti, ma non solo), non differentemente dall’interpretazione che comunemente viene data per quanto riguarda l’attività degli amministratori di società di capitali[43], dovranno considerarsi sottratte alle valutazioni per così dire di merito: è il principio della business judgement rule[44].

La semplice omissione dell’esercizio di un’azione, ove questa possa ancora essere esercitata dal curatore subentrato non configura ipotesi di responsabilità del curatore cessato; ed, infatti, ove l’azione possa ancora esercitarsi, al fine di evitare il pregiudizio basterà che si attivi il nuovo curatore, potendosi configurare responsabilità del precedente nel solo caso in cui il ritardo abbia determinato un’incapacità ad adempiere da parte del debitore, pregiudicando così l’aspettativa di soddisfazione della massa dei creditori[45].

   

4. Rilevanza dell’approvazione del rendiconto e altre questioni processuali

Passando alle questioni processuali, la prima da esaminare è quella relativa all’efficacia preclusiva, o meno, dell’approvazione del rendiconto. Si tratta di una questione che, anteriormente alla riforma, veniva prevalentemente risolta in senso negativo, sulla base del principio per cui il rendiconto era destinato alla soluzione di eventuali questioni anche di responsabilità personale del curatore[46], e che, una volta approvato il conto, doveva ritenersi inammissibile ogni ulteriore questione sul punto.

Tale indirizzo, dopo la riforma, è stata sottoposto ad ampia revisione[47]: la modifica dell’art. 38 l.f., e la specifica previsione secondo cui “durante il fallimento l’azione di responsabilità contro il curatore revocato è proposta dal nuovo curatore”, se limitano senz’altro la proponibilità dell’azione all’ambito della procedura, e quindi all’interno della stessa, sia processualmente che cronologicamente, sembrano del apri non costituire ostacolo a che l’azione di responsabilità possa essere esercitata anche dopo l’approvazione del rendiconto[48]. A tale conclusione milita anche l’argomento secondo cui il procedimento di approvazione del conto, a norma dell’art. 116, ultimo comma, l.f., in caso di contestazione, si svolge con rito camerale (e non più mediante giudizio ordinario di cognizione) e il rito camerale si contraddistingue, a norma dell’art. 742 c.p.c., per la revocabilità dei provvedimenti conclusivi che sono sempre modificabili o revocabili. Infine, a stare alla lettura più rigorosa (e che tende a svalutare il significato dell’approvazione del conto), la natura stessa dell’approvazione del conto, che pare limitare l’esame ai profili più strettamente contabili, denota una natura meramente ordinatoria dell’approvazione del rendiconto, che non impedisce la sua successiva revoca, al pari di ogni provvedimento di natura amministrativa ovvero meramente gestionale del giudice delegato[49].

A favore della procedibilità dell’azione di responsabilità anche successivamente all’approvazione del rendiconto si è pronunziata anche la giurisprudenza successiva alla riforma (anche riferendosi a fattispecie regolate dalla legge ante vigente)[50], sulla base di una pluralità di argomenti, condivisibili, che possono riassumersi, innanzi tutto, nella considerazione per cui se l’azione di responsabilità è, di regola, esercitata nell’ambito del giudizio di rendiconto, e se questa è la “sede naturale” della soluzione di tale questione, essa non ha carattere di esclusività, potendosi ammettere che la questione relativa sia sollevata in altro procedimento; e che la fase del controllo, sia pure in potenziale contraddittorio con i creditori e tutti i terzi interessati e dell’attività gestoria del curatore, propria del giudizio di rendiconto, attiene agli aspetti più strettamente contabili[51], e non è di ostacolo a che la condotta pregiudizievole del curatore non possa essere, in altra sede, contestata, così come altra ipotesi di procedimenti di approvazione di conti non sono di ostacolo a contestazioni ulteriori, di merito (viene fatto l’esempio dell’approvazione del bilancio delle società di capitali che non è preclusiva dell’azione di responsabilità nei confronti dei componenti degli organi di amministrazione e controllo – art. 2434 c.c. – ovvero dell’omessa contestazione degli estratti conto della gestione di patrimoni da parte d’intermediari finanziari che non impedisce la successiva contestazione degli addebiti sul conto)[52].

Se, dunque, l’azione di responsabilità non deve essere necessariamente esercitata nell’ambito del procedimento di approvazione del rendiconto, essa non può, peraltro, esercitarsi, di regola, se non finché pende la procedura di fallimento[53] e la legittimazione non può che pertenere al curatore fallimentare. A tale conclusione si perviene sia per ragioni d’interpretazione letterale (l’art. 38 l.f. attribuisce il potere relativo al nuovo curatore), sia in forza di considerazioni d’ordine sistematico: una volta chiuso il fallimento, e cessati gli organi, non si vede bene chi ed in che sede possa esercitare l’azione. Se questo è il principio generale non è peraltro escluso che – come qualsiasi azione che deriva dal fallimento – non possa ammettersi la cessione dell’azione[54]. Sul punto, rimandiamo infra, al punto 6.

In secondo luogo, la questione pure affrontata dalla giurisprudenza, ma che, in realtà, presenta minore complicazione, è quella della limitazione o meno dell’esercizio dell’azione nei confronti del solo curatore revocato. La questione, in altri termini, riguarda la possibilità che l’azione di responsabilità sia esercitata non solo contro il curatore che abbia subito la revoca, bensì anche nei confronti del curatore dimissionario, ovvero in ogni altro caso in cui il curatore sia cessato dall’ufficio prima della chiusura della procedura, come nel caso di sopravvenuta incapacità ovvero nel caso di morte. L’interpretazione restrittiva sembrerebbe avere un’apparente appiglio nella disposizione dell’art. 38, secondo comma, l.f. secondo cui “durante il fallimento l’azione di responsabilità contro il curatore revocato è proposta dal nuovo curatore …”; menzionandosi soltanto l’ipotesi dell’intervenuta revoca e non le altre ipotesi.

Appare evidente che tale soluzione sarebbe frutto di un’interpretazione formalisticamente letterale: in questo caso il legislatore minus dixit quam voluit; come esattamente osservato in giurisprudenza[55], la norma fa riferimento all’ipotesi “normale”, ma non è pensabile che tale specificazione abbia natura tassativa: diversamente, si dovrebbe ammettere la conclusione veramente paradossale per cui il curatore che avesse cagionato i più gravi danni alla massa dei creditori potrebbe tranquillamente andare esente da responsabilità semplicemente dimettendosi una volta scoperta la sua infedeltà[56].

Del resto, la regola generale dettata dall’art. 116 l.f. è che il curatore ha l’obbligo di rendere il conto alla cessazione del suo incarico, quale che sia la ragione per cui egli cessi dalle funzioni[57].

Infine, la previsione letterale dell’art. 38 l.f., che prevede un’autorizzazione all’azione che provenga dal giudice delegato ovvero dal comitato dei creditori, ha fatto sorgere qualche perplessità; in dottrina qualcuno ha sostenuto che dovrebbe richiedersi l’autorizzazione di entrambi gli organi (siccome deputato uno al controllo di legittimità e l’altro a quello di merito)[58]; ma l’opinione prevalente è nel senso che la disposizione è nel senso di prevedere una legittimazione alternativa[59] (anche se, di tale alternatività, non si comprende bene il fondamento).

   

5. Prescrizione dell’azione

Quanto alla prescrizione dell’azione, non può dubitarsi del fatto che, trattandosi di responsabilità contrattuale, essa è decennale[60].

Si è affermato (in modo discutibile) che non costituirebbe motivo di sospensione l’ipotesi di cui all’art. 2941, n. 6, c.c.[61]; tale disposizione, avente carattere eccezionale, è interpretata dalla giurisprudenza in modo rigoroso, negandosene l’estensibilità analogica ad ipotesi diverse da quelle espressamente menzionate (come nel caso della prescrizione dei diritti di credito nella fase liquidatoria del concordato preventivo, sulla base del principio per cui il liquidatore giudiziale non ha poteri di amministrazione su beni dei creditori, essendo questi del debitore[62]). Per poter affermare che la prescrizione non decorrerebbe dunque finché il curatore è in carica, si è affermato che la decorrenza non può che farsi risalire al momento della sostituzione[63], e tanto in omaggio alla regola contenuta nell’art. 2935 c.c., secondo cui “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere[64].

Trattandosi di azione a tutela dei diritti della massa pare implicito che essa non possa che esercitarsi finché la procedura è in corso, e cioè che le azioni di responsabilità a norma dell’art. 38 l.f. non possono che esercitarsi pendente procedura; in tal senso vale l’argomento che la stessa disposizione attribuisce in via esclusiva la legittimazione processuale al nuovo curatore fallimentare, ma, ancor prima, l’argomento logico per cui, una volta chiusa la procedura, non si vede bene quali azioni collettive possano essere esercitate e da chi, contro il curatore che abbia provocato danno alla massa dei creditori.

In tale caso, peraltro, non potrebbe escludersi l’esercizio di azioni individuali da parte dei singoli creditori per i danni individualmente subiti; s’intende che tali azioni non potranno che esercitarsi nei limiti, appunto, del pregiudizio arrecato al singolo creditore e che esse dovranno scontare la possibile intervenuta prescrizione dell’azione, dovendosi, dette azioni individuali, ritenersi di natura extracontrattuale e dovendosi altresì negare per loro che possa operare una qualsiasi sospensione della prescrizione (sul punto, rimandiamo infra, al § 7).

Per quanto specificamente attiene alla prescrizione dell’azione del fallito, la giurisprudenza ha affermato che: a) la prescrizione non s’inizia a decorrere dalla sostituzione del curatore con altro curatore, bensì, secondo una tesi, dal fatto dannoso[65], ovvero, secondo altra lettura, soltanto una volta che il curatore abbia reso il conto (in omaggio alla previsione per cui la prescrizione è sospesa fin tanto che non sia stato reso il conto tra chi amministra patrimoni altrui ed il titolare degli stessi (art. 2941, n. 6, c.c.)[66]; b) secondo l’interpretazione più risalente, il termine prescrizionale è di dieci anni, pur potendo il fallito, a cagione della sua limitata capacità processuale, poter esercitare l’azione soltanto una volta che la procedura si sia conclusa (ed egli sia tornato in bonis) e sempre che, medio tempore, la prescrizione non si sia realizzata[67].

   

6. Ammissibilità della cessione dell’azione

Infine, metterà conto menzionare che la giurisprudenza ha esaminato e risolto positivamente la questione della possibile cessione dell’azione di responsabilità[68]: in tal caso, l’azione era stata esercitata da una banca che aveva concluso una transazione con il nuovo curatore fallimentare per la responsabilità conseguente ad aver consentito al precedente indebiti prelievi dal conto intestato alla procedura; la banca, transigendo con la curatela, si era fatta trasferire l’azione di responsabilità e l’aveva poi esercitata contro il curatore precedente. Essendo stato eccepito il difetto di legittimazione, per la competenza esclusiva della curatela, la Cassazione ha rigettato l’eccezione sia sulla base della considerazione che l’azione era esercitata in surroga, vertendosi in caso di coobbligato in solido, che essendo tenuto con altri al pagamento del debito aveva interesse di soddisfarlo (art. 1203, n. 3, c.c.): ed infatti la banca e il precedente curatore erano responsabili in solido per il danno alla procedura; sia perché si trattava di un’azione di regresso tra condebitori a norma dell’art. 1299 c.c.

   

7. Responsabilità per danni cagionati al singolo creditore e a terzi: natura, casistica, aspetti processuali e prescrizione

La responsabilità del curatore si atteggia diversamente nel caso di danno provocato non alla massa dei creditori, bensì al singolo creditore, ovvero al terzo. La distinzione è chiara: le condotte pregiudizievoli nei confronti della massa dei creditori sono quelle che comportano un danno al patrimonio complessivo e quindi all’esito della liquidazione e cioè alle aspettative di soddisfazione dei creditori, intesi collettivamente. Solo per questa ipotesi può parlarsi una responsabilità di natura contrattuale e solo a questa ipotesi, ovviamente, si riferisce la previsione dell’art. 38 l.f. circa l’azione di responsabilità del nuovo curatore contro il precedente. Nel caso di danni cagionati ai terzi (al singolo creditore e ai terzi in genere), la responsabilità è indubbiamente di natura extracontrattuale[69].

Gli esempi che possono farsi sono moltissimi: a partire dal caso dell’omessa comunicazione – ex art. 92 l.f. - dell’intervenuto fallimento al creditore che pure risulti dalle scritture contabili e la cui esistenza il curatore avrebbe potuto e comunque dovuto accertare usando la diligenza richiesta (omessa comunicazione che, se diversamente non rimediata dalla conoscenza che il creditore possa acquisire aliunde può pregiudicare la possibilità di concorrere nelle distribuzioni e quindi cagionare il danno di non poter partecipare al concorso); all’ipotesi in cui il curatore non dia comunicazione al creditore iscritto del riparto e ne pregiudichi perciò la possibilità di soddisfazione ovvero ritardi la redazione del piano di riparto[70]; alle ipotesi in cui ad essere danneggiato è un terzo, quale, ad esempio, l’acquirente il bene liquidato (nel caso di beni viziati, di evizione, o di aliud pro alio[71]), ovvero nel caso in cui il curatore abbia preteso, in caso di vendita di un immobile, l’IVA, anziché l’imposta di registro[72]; ovvero, infine, nel caso del passante che sia stato danneggiato dalla rovina dell’edificio non posto in sicurezza ovvero ancora del lavoratore che sia stato licenziato illegittimamente[73]; o, per finire qui l’elencazione, il proprietario del bene la cui titolarità sia contestata, ma la cui custodia sia affidata al curatore, il quale subisca pregiudizio dalla incuria nella custodia.

Tutti questi casi menzionati si contraddistinguono per l’inesistenza di un pregiudizio generalizzato per la massa dei creditori e per la sussistenza di danni arrecati individualmente a singoli, creditori o terzi.

In questi casi la giurisprudenza è chiara nell’affermare che la responsabilità è di natura extracontrattuale, e che la legittimazione ad agire non potrà che spettare al singolo, creditore o terzo, danneggiato[74]; proprio perché si tratta di responsabilità extracontrattuale il termine prescrizionale è quinquennale[75], e decorre dalla produzione del danno; pertanto, è pacifico che non si attua alcuna sospensione del termine prescrizionale, e in particolare, che non ricorre quella di cui all’art. 2941, n. 6, c.c.[76].

La natura extracontrattuale è, del resto, coerente con l’analoga[77], espressa, previsione dell’art. 2395 c.c., per i danni cagionati per dolo o colpa dall’amministratore non alla società, bensì al terzo, al creditore o al socio[78].

Dal punto di vista processuale, l’azione di responsabilità in questione non è in alcun modo collegata con la previsione dell’art. 38 l.f.: essa spetterà dunque al singolo creditore o terzo, e, soprattutto, essa potrà esercitarsi anche in corso di procedura fallimentare, nei confronti del curatore in carica[79], ovvero anche dopo la chiusura della procedura[80].

Per quanto riguarda tutti gli altri terzi, non potrà operare la speciale disposizione dell’art. 2941, n. 6, c.c. La prescrizione decorrerà quindi anche in corso di procedura e finché il curatore sia in carica.

   

8. La legittimazione passiva nelle azioni di responsabilità ex delicto: profili critici

Il punto più delicato della questione della responsabilità extracontrattuale del curatore verso singoli creditori o terzi attiene alla legittimazione passiva delle azioni in parola.

La giurisprudenza della corte regolatrice ha chiarito che, allorquando il curatore agisca, sia pure cagionando un danno ingiusto a terzi, nell’esercizio di quelle che sono le sue funzioni, la responsabilità ricade in capo alla procedura di fallimento, per imputazione del fatto del rappresentate al rappresentato; e il credito risarcitorio va ricompreso, a tutti gli effetti, nel novero dei crediti in prededuzione, a norma dell’art. 111, primo comma, n. 1, l.f.[81]

Nel caso esaminato l’acquirente dei beni mobili acquistati dal curatore fallimentare aveva agito nei confronti della persona fisica del curatore lamentando che i beni erano stati danneggiati tra la data dell’aggiudicazione e la data della consegna, non avendoli il curatore custoditi adeguatamente; il curatore, convenuto in giudizio personalmente, oltre a sollevare questioni in ordine all’inapplicabilità ex art. 2922 c.c. alle vendite forzate delle norme sulla garanzia per i vizi della cosa venduta, aveva altresì eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, eccezione che la Cassazione ha ritenuto fondata[82].

E’ evidente che, in tutti questi casi, il principio generale è quello che, se nei confronti dei terzi la responsabilità va attribuita alla procedura e, per l’effetto, questa debba sopportare il relativo onere (soprattutto trattandosi di regola di crediti in prededuzione), tale aggravio per la procedura non può, d’ordinario, ritenersi privo di rilievo per ciò che riguarda i rapporti tra la procedura e il curatore.

Se il curatore, nell’ambito delle funzioni, ha cagionato danno a terzi e la procedura è stata chiamata a risponderne, ciò costituirà di regola un’ipotesi di responsabilità del curatore verso la procedura con conseguente possibile azione di responsabilità verso il curatore, una volta cessato dall’ufficio.

Queste considerazioni implicano, come ciascuno intende, che la procedura sia tuttora in corso; se essa già fosse chiusa, è evidente che il terzo danneggiato non avrebbe possibilità di insinuarsi al passivo. E ciò pone una delicata questione che non pare per vero essere stata adeguatamente considerata: e cioè che alla responsabilità della procedura non può non accompagnarsi una responsabilità anche personale della persona fisica del curatore, così come eventuali responsabilità della società per il fatto rilevante ex art. 2395 c.c. dell’amministratore, concorre con la responsabilità personale di quest’ultimo. Del resto, la responsabilità della procedura è l’effetto dell’immedesimazione organica e cioè del principio generale per cui del fatto del rappresentante risponde il rappresentato; ma, si badi bene, tale regola non elide l’affermazione contraria: se la società o l’ente risponde per il fatto di colui i cui atti si riverberano in capo al rappresentato, ciò non esclude affatto – ed anzi presuppone – che una responsabilità possa ed anzi debba ravvisarsi in capo all’agente: questi, infatti, non è esonerato da responsabilità perché è responsabile anche il soggetto ch’egli rappresenta, così come, nella responsabilità extracontrattuale, la responsabilità del padrone e committente (ex art. 2049 c.c.) non esclude – ed anzi si aggiunge – a quella del commesso o dipendente, che è dunque direttamente responsabile[83]; e, nella responsabilità contrattuale, il debitore che si avvalga di ausiliari risponde dei fatti dolosi e colposi di questi (art. 1228 c.c.), concorrendo, con quella del debitore, l’eventuale responsabilità extracontrattuale dell’ausiliario[84].

Per tali ragioni, la giurisprudenza dovrebbe quindi riconsiderare l’affermazione della carenza della legittimazione passiva della persona fisica che esercita le funzioni di curatore fallimentare; e almeno, in un precedente di merito, è stata riconosciuta tale legittimazione passiva dopo la chiusura del fallimento[85].



[1] Testo scritto della relazione tenuta al convegno “Aspetti problematici in tema di responsabilità del curatore fallimentare” organizzato dall’Associazione Veronese dei Concorsualisti, nell’ambito delle celebrazioni per i quindici anni dell’associazione (Verona, 10 luglio 2015).

[2] La questione è complessa: possono esservi condotte che pregiudicano più creditori, ma non necessariamente tutti; ad esempio, nel caso in cui non venga eccepita la revocabilità di un’ipoteca di grado posteriore ad altre, ad essere pregiudicati non sono indifferentemente tutti i creditori, ma soltanto i creditori chirografari (per i privilegiati di rango poziore l’omissione è indifferente); in tal caso non si può parlare di una responsabilità nei confronti dell’intero ceto dei creditori, bensì di singoli, e l’azione rientrerà nell’ipotesi di responsabilità extracontrattuale del singolo creditore (o dei singoli creditori) e dei terzi (così G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, (Commento sub art. 38), a cura di A. Nigro, M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2010, 517, che ricorda analoga soluzione giurisprudenziale nel caso dell’azione per abusiva concessione di credito).

[3] A. Penta, Gli organi della procedura fallimentare, Padova, 2009, 287; M. R. Grossi, La riforma della legge fallimentare, II ed., Milano, 2008, 356; A. Ruggiero, in La legge fallimentare, a cura di M. Ferro, Padova, 2007, 290; M. R. Grossi, La riforma della legge fallimentare, Milano, 2006, 573; E.F. Ricci, Lezioni sul fallimento, II ed., Milano, 1997, I, 278 (seppure senza motivare). Per la prevalenza della natura contrattuale della responsabilità (verso i creditori) cfr. F. Abate, Gli organi delle procedure concorsuali, Padova, 1999, 255.

[4] Così, per un’esplicita equiparazione dell’incarico del curatore fallimentare al rapporto contrattuale di mandato, cfr. Cass. 5 aprile 2001, n. 5044, in Fall. 2002, 57; Trib. Milano 13 giugno 2006, in Guida al diritto 2006, 47, 56 (s.m.); cfr. anche S. Scarafoni, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di A. Didone, Torino, 2009, 423.

[5] S. Scarafoni, in Le riforme della legge fallimentare, cit., 423.

[6] Per entrambi tali argomenti: M. R. Grossi, La riforma della legge fallimentare, cit., 357 (che, peraltro, poco appresso, sottolinea come la riforma abbia ridotto il carattere pubblicistico della figura del curatore ed accresciuto compiti e responsabilità nella liquidazione del patrimonio del fallito, ciò che – ma non ne è spiegato il motivo – avrebbe rafforzato la tesi della natura contrattuale della responsabilità dell’organo); A. Ruggiero, in La legge fallimentare, cit., 290.

[7] Il termine di prescrizione dipende dalla natura del contratto, quindi se per esso è prevista una prescrizione breve, essa varrà evidentemente anche per l’azione risarcitoria.

[8] Andrà ricordato che la legge prevede una diversa durata della prescrizione se il danno deriva da circolazione stradale (due anni) ovvero se il fatto è previsto dalla legge reato e per esso sia prevista una prescrizione più lunga (art. 2947 c.c.).

[9] E’ bene tenere presente che responsabilità di natura extracontrattuale possono darsi anche in capo a colui il quale abbia dato esecuzione ad un contratto e anche nei confronti del suo creditore: in tal senso , può distinguersi tra responsabilità (ex contractu) per vizi, mancanza di qualità, etc. e responsabilità (ex delicto) per danni arrecati all’acquirente, per fatti estranei al normale sinallagma contrattuale: si pensi all’ipotesi di fornitura di prodotti difettosi che abbiano cagionato lesioni all’acquirente; in tal caso è possibile ipotizzare il concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

[10] Per la recente Trib. Milano 23 luglio 2014, in Foro it. 2014, 3294, con nota di Palmieri, la responsabilità del medio, al di fuori del caso del contratto di spedalità, sarebbe di natura extracontrattuale.

[11] Cass. sez. un. 26 giugno 2007, n. 14712, in Foro it. 2008, 2968.

[12] Cass. 3 marzo 2010, n. 5067, in CED Cass. rv 611582.

[13] Cass. sez. un. 26 giugno 2007, n. 14712, cit.; G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 525.

[14] Cass. 11 luglio 2012, n. 11642, in CED Cass. rv 623269, secondo cui (dalla motivazione) “E’ opinione oramai quasi unanimemente condivisa dagli studiosi quella secondo cui la responsabilità … può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l’obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto … ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall’inesatto adempimento di un’obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte.” Così, ad un dipresso, anche G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 525.

[15] A. Ruggiero, in La legge fallimentare, cit., 290.

[16] In ordine al rilievo dell’adempimento degli obblighi derivanti dal programma di liquidazione, v. G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 518. E’ significativo che il d.l. n. 83 del 2015 abbia previsto, nel riformare l’art. 104-ter l.f., che il mancato rispetto dei termini del programma di liquidazione , comporta la revoca del curatore.

[17] Riferisce di condividere la tesi, affermata prevalente, dell’orientamento prevalente, secondo cui la responsabilità è in questi casi contrattuale proprio per la preesistenza di un “obbligo specifico” F. Abate, Gli organi delle procedure concorsuali, cit., 254

[18] Le diversità, rispetto all’art. 2392 c.c., riguardano, da un lato, lo statuto (cui corrisponde, nel fallimento, il programma di liquidazione) e, dall’altro lato, che nel fallimento si dà per scontata la competenza del curatore (dovendo egli avere una particolare qualificazione professionale), mentre nelle società, tale qualificazione, in capo agli amministratori, è meramente eventuale. Al riguardo vale la pena menzionare l’osservazione di G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 519, secondo cui, il nuovo testo dell’art. 28 l.f., come licenziato dalla riforma, prevedeva che “nel provvedimento di nomina, del il tribunale indica le specifiche caratteristiche e attitudini del curatore”, disposizione poi soppressa (con il decreto correttivo del 2007), ma il cui significato può ritenersi conservato, nella parte in cui presuppone (ed esige) una speciale competenza, dalla quale non potrà dunque prescindersi ai fini della valutazione della colpa nell’espletamento delle funzioni.

[19] Cass. 11 novembre 2010, n. 22911, in Foro it. 2011, 1437; Cass. 29 ottobre 2008, n. 25977, in Giust. civ. Mass. 2008, 1534.

[20] Cass. 29 ottobre 2013, n. 24362, in Resp. civ. e prev. 2014, 1612 (in tema di responsabilità dei sindaci; al proposito sull’attore grava l’onere di allegare e provare che una diversa condotta avrebbe evitato il danno); Trib. Parma 5 febbraio 2014, in Juris Data e Trib. Milano 9 aprile 2013, in Giur. merito 2013, 1308 (entrambe relative ad azioni di responsabilità ex art. 146 l.f.).

[21] Cass. 11 novembre 2010, n. 22911, cit.; Cass. 29 ottobre 2008, n. 25977, cit.; Cass. 24 marzo 1999, n. 2772, in Le Società 1999, 1065 e in Giur. it. 1999, 1869; pare opportuno riferire testualmente la massima tralaticia: “incombe su amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti”.

[22] Cass. 29 luglio 2011, n. 16738, in Foro it. 2011, I, 2983.

[23] F. Abate, Gli organi delle procedure concorsuali, Padova, 1999, 255.

[24] Così G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 519, secondo cui la previsione dell’art. 2236 c.c. in tanto potrà trovare applicazione in quanto i problemi da risolvere presentino oggettiva difficoltà.

[25] Per l’affermazione della configurabilità di uno specifico obbligo del curatore fallimentare e, per l’effetto, di una sua corrispondente responsabilità, cfr. G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 515.

[26] Va ricordata, a questo proposito, sia pure per aver adombrato la questione in un obiter dictum, la nota sentenza in tema di efficacia preclusiva endofallimentare del decreto di esecutività dello stato passivo (Cass. Sez. Un. 14 luglio 2010, n. 16508, in Foro it., 2010, 3376, con nota di M. Fabiani), in cui l’omessa contestazione della compensazione ad opera dl curatore e la conseguente inammissibilità dell’esercizio della revocatoria fallimentare viene considerata come potenziale danno per la massa dei creditori, con minaccia di trasmissione degli atti al giudice della responsabilità contabile.

[27] Cass. 5 novembre 2013, n. 24801, in Ragiusan 2014, 357-358, 230; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17143, in Riv. it. med. leg. 2013, 3, 1588.

[28] Cfr. F. Abate, Gli organi delle procedure concorsuali, cit., 252.

[29] Cfr. M. R. Grossi, La riforma della legge fallimentare, cit., 358-359.

[30] Per tali considerazioni C. Proto, in Il diritto fallimentare riformato, a cura di G. Schiano di Pepe, Padova, 2007, 122.

[31] Per considerazioni consimili, v. G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 522-524, il quale osserva che la responsabilità per atti autorizzati è un’ipotesi statisticamente infrequente (la responsabilità consegue di regola ad omissioni) e perché, di regola, l’autorizzazione dovrebbe servire a scriminare la condotta del curatore, escludendo il profilo della colpa (eccettuati i casi in cui il curatore abbia omesso il compimento di un atto autorizzato ovvero il caso in cui l’atto autorizzato doveva apparire manifestamente illegittimo).

[32] Cass. 17 febbraio 2014, n. 3706, in Giust. civ. Mass. 2014, rv 630016; Cass. 4 marzo 2013, n. 5300, Juris Data; Cass. 13 gennaio 2011, n. 710, in Giust. civ. Mass. 2011, 52.

[33] Cass. 8 maggio 2009, n. 10599, in Giust. civ. Mass. 2009, 738; nella prima parte della sentenza si precisa che, intervenuta la dichiarazione di fallimento, il curatore subentra ex lege, a norma dell’art. 107 l.f., al creditore procedente, tale sostituzione operando di diritto, senza necessità di intervento ad opera del curatore o di provvedimento ad opera del giudice dell’esecuzione, di talché ove sia stato nominato un custode, anche la custodia dei beni pignorati si trasferisce immediatamente in capo al curatore, ex art. 42 l.f. e 559 c.p.c. (per tale affermazione presupposta, cfr. Cass. 16 luglio 2005, n. 15103, in Rep. Foro it. 2005, voce 534, 577, 578 e 592; Cass. 24 settembre 2002, n. 13865, in Fall. 2003, 631).

[34] Trib. Napoli 13 marzo 2004, in Fall. 2004, 1401 (s.m.); G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 520; L. Abete, in Il nuovo diritto fallimentare, a cura di A. Jorio, coordinato da M. Fabiani, Bologna, 2006, 642.

[35] Trib. Napoli 13 marzo 2004, cit., e Trib. Milano 15 marzo 2001, in Giur. merito 2002, 408 (entrambe in casi di responsabilità per omesso esercizio di azioni di recupero crediti, e salva la necessità della prova che da tale omissione sia derivato un danno); G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 520.

[36] Così, ad esempio, nel caso di mancato esperimento di un’azione di responsabilità verso un amministratore, il danno andrà commisurato non riferendosi all’ammontare del petitum dell’azione che sarebbe dovuto promuoversi, bensì avuto riguardo al patrimonio di colui che sarebbe dovuto essere convenuto: G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 521.

[37] Cass. 8 settembre 2011, n. 18438, in Diritto e giustizia online; cfr. anche Trib. Novara 14 ottobre 2011, in Juris Data (in un caso in cui il convenuto era un commissario di una amministrazione straordinaria, ritenendosi la norma di cui all’art. 38 l.f., in difetto di specifica norma per la procedura amministrativa maggiore applicabile per analogia anche a tale procedura (cfr. in tal senso anche Cass. 11 febbraio 2000, n. 1507, in Giust. civ. Mass. 2000, 296).

[38] Trib. Milano 15 marzo 2001, cit.

[39] Trib. Milano 20 marzo 1985, ibidem, entrambe citate da M. R. Grossi, La riforma della legge fallimentare, cit., 357, nota 6. Anche secondo G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 520, il ritardo nella vendita dei beni determina responsabilità in capo al curatore.

[40] G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 520.

[41] Cass. 27 ottobre 2006, n. 23264, in Giust. civ. 2007, I (CTRL), 392.

[42] Cass. 9 settembre 2004, n. 18194, in Giust. civ. 2005, I, 652.

[43] G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 519. La specularità delle disposizioni degli artt. 38 l.f. e 2932 c.c. sono già state sopra evidenziate.

[44] G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 519. Cass. 12 febbraio 2013, n. 3409, in Giust. civ. Mass. 2013: “agli amministratori di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale” e può costituire titolo per la revoca, non per l’azione di responsabilità.

[45] G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 521.

[46] Di talché, ove la questione fosse stata sollevata nell’ambito di un reclamo ex art. 26 l.f. (seconda la disposizione previgente alla riforma), e la pretesa fosse stata disattesa, doveva considerarsi ammissibile il ricorso per cassazione, dovendosi considerare quella decisione non suscettibile di definitività, potendo essere riproposta in sede di procedimento di approvazione del rendiconto, deputato appunto proprio alla soluzione delle questioni di responsabilità personale del curatore: Cass. 20 dicembre 2002, n. 18144, in Giust. civ. Mass. 2002, 2219.

[47] Per l’ammissibilità dell’azione nonostante l’intervenuta approvazione del conto, cfr. C. Proto, in Il diritto fallimentare riformato, cit., 122.

[48] Contra G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 527, secondo cui la modifica dell’art. 116 l.f. e l’espressa menzione che, il conto della gestione debba contenere “l’esposizione analitica delle operazioni contabili e dell’attività di gestione della procedura” induce a ritenere che l’esame del conto non è limitato a meri aspetti contabili e numerici, ma investe anche l’operatività e le scelte gestionali. Coerentemente con tale tesi, l’A. citato afferma che, una volta che il rendiconto sia approvato, questo preclude la possibilità di esperire azioni di responsabilità ad opera di tutti gli interessati, compresi coloro che non abbiano partecipato al giudizio di rendiconto.

[49] Trib. Napoli 18 ottobre 2010, in Giur. comm. 2012, 148, con nota di D’Aiello.

[50] Cass. 8 settembre 2011, n. 18438 cit.; Cass. 22 gennaio 2014, n. 1280, in Diritto e Giustizia 2014.

[51] Ma la giurisprudenza anteriore alla riforma forniva una lettura più ampia del controllo operato nell’ambito del rendiconto, estendendo la disamina anche alla “gestione del curatore” e all’“accertamento delle sue personali responsabilità per il compimento di atti che abbiano arrecato pregiudizio alla massa o ai diritti dei singoli creditori” (così Cass. 10 settembre 2007, n. 18940, in Juris Data, che espressamente cita in motivazione Cass. 19 gennaio 2000, n. 547; Cass. Cass. 14 ottobre 1997, n. 1028).

[52] Cass. 26 maggio 2011, n. 11626, in Giust. civ. Mass. 2011, 810; Cass. 2 dicembre 2010, n. 24548, in Giust. civ. 2011, 50.

[53] S. Scarafoni, in Le riforme della legge fallimentare, cit., 424; C. Proto, in Il diritto fallimentare riformato, cit., 122 (che aggiunge che, naturalmente, i singoli creditori ed i terzi mantengono intatta la facoltà di agire anche dopo la chiusura del fallimento); A. Ruggiero, in La legge fallimentare, cit., 291.

[54] Cfr. Cass. 17 febbraio 2014, n. 3706, cit.

[55] Cass. 8 settembre 2011, n. 18438, cit.

[56] Non basta osservare che per “curatore revocato” possa intendersi il curatore nei cui confronti sussistano i presupposti per la revoca, come inclina a ritenere S. Scarafoni, in Le riforme della legge fallimentare, cit., 427; il punto è che l’azione è data nei confronti del curatore cessato, tout court.

[57] Art. 116 l.f.: “compiuta la liquidazione dell’attivo e prima del riparto finale, nonché in ogni caso in cui cessa dalle funzioni …”.

[58] Per tale lettura, L. Abete, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., 653.

[59] In tal senso G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 526.

[60] Per la decennalità della prescrizione, cfr. Cass. 5 aprile 2001, n. 5044, cit.; Cass. 4 ottobre 1996, n. 8716, in Fall. 1997, 601 e in Giust. civ. 1997, I, 1903; Cass. 11 febbraio 2000, n. 1507, cit.; Trib. Milano 15 marzo 2001, cit. In dottrina: G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 525; M. R. Grossi, La riforma della legge fallimentare, cit., 360.

[61] Sempre Cass. 4 ottobre 1996, n. 8716, cit.

[62] Cass. 10 febbraio 2009, n. 3270, in Giur. comm. 2010, II, 809 e in Il Caso.it, pubb. 1.8.2010; Cass. 3 agosto 2007, n. 17060, in Giust. civ. Mass. 2007, 1526; Cass. 17 aprile 2003, n. 6166, in Fall. 2004, 178 con nota di D. Plenteda. Nello stesso senso M. M. Gaeta, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, vol. III, Torino, 2009, 1658. Contra Trib. Mantova 27 gennaio 2006, cit.; App. Brescia 7 aprile 2004, in Il Caso.it, doc. n. 616/2004.

[63] Secondo L. Abete, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., 653, il termine decorre dalla data in cui è pervenuta al giudice delegato l’accettazione della carica del nuovo curatore. Ma, in realtà, l’accettazione della carica non è condizione per l’esercizio delle funzioni (tant’è vero che si accetta comunemente la possibilità di un’accettazione tacita, che si realizza quando il curatore nominato adempie ai suoi compiti), e, se il principio di diritto è nel senso che ciò che rileva è la potenziale esperibilità dell’azione, è dalla data in cui interviene la nomina che decorre il termine.

[64] Cass. 5 aprile 2001, n. 5044, cit. E’ il principio actioni nondum natae non praescribitur (così, in materia tributaria, Cass. sez. trib. 25 febbraio 2010, n. 4597, in Juris Data, in tema di mancata decorrenza del termine prescrizionale ad un rimborso sino a quando non se ne verifichino i presupposti ed il credito non sia quindi esigibile; ) non diversamente, ad esempio, se l’azione revocatoria nell’amministrazione straordinaria non può essere esercitata se non dal commissario, fin tanto quando questi non è nominato, il termine prescrizionale non decorre: Cass. 29 luglio 2014, n. 17200, in Giust. civ. Mass. 2014, rv 632058; Cass. 9 aprile 2008, n. 9177, in Foro it. 2009, 394, con nota di M. Fabiani, per il caso assimilabile dell’azione revocatoria nella liquidazione coatta amministrativa (ove pure il termine non decorre sino a quando il commissario liquidatore, unico legittimato all’azione, non sia stato nominato).

[65] Cass. 23 luglio 2007, n. 16214, in Giust. civ. 2007, 2412 (essendo stata qualificata, nel caso di specie, l’azione proposta come un’azione extracontrattuale, estranea alla tutela del patrimonio del debitore, perché così qualificata nei precedenti gradi del giudizio).

[66] Cass. 4 ottobre 1996, n. 8716, cit.

[67] Cass. 4 ottobre 1996, n. 8716, cit.

[68] Cass. 17 febbraio 2014, n. 3706, cit.

[69] A. Penta, Gli organi della procedura fallimentare, cit., 287; M. R. Grossi, La riforma della legge fallimentare, cit., 357.

[70] App. Roma 6 febbraio 1995, in Gius 1995, 3367.

[71] Queste sono ipotesi diverse, per le quali mette conto ricordare come l’art. 2921 c.c. stabilisca l’ammissibilità delle azioni di evizione nel caso di vendite forzate (in cui rientrano anche le vendite fallimentari: Cass. 4 luglio 2012, n. 11151, in Guida al diritto 2012, 37, 67 (s.m.); Cass. 14 ottobre 2010, n. 21249, in Fall. 2011, 197, con nota di G.P. Macagno; in Resp. civ. e prev., 2011, 1571 e in Il Caso.it, pubb. 1.8.2010, sez. Giurisprudenza, n. 3642; Cass. 25 febbraio 2005, n. 4085, in Fall. 2005, 1384; Cass. 21 dicembre 1994, n. 11018, in Giust. civ., 1995, I, 917; Cass. 3 dicembre 1983, n. 7233, in Giust. civ. Mass., 1983, 2463; Trib. Bari 19 marzo 2012, in Juris Data; in dottrina: A. Bonsignori, Effetti della vendita forzata e dell’assegnazione, in Il codice civile commentato, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1988, 127); mentre l’art. 2922 c.c. la escluda nell’ipotesi di azioni edilizie; affermando invece, in giurisprudenza, la legittimazione dell’aggiudicatario a chiedere l’annullamento (o la risoluzione) della vendita (ma non la riduzione del prezzo) nel caso di aliud pro alio (Cass. 2 aprile 2014, n. 7708, in Juris Data; Cass. 11 ottobre 2013, n. 23140, in Riv. del Notariato 2013, 1385; Cass. 4 luglio 2012, n. 11151, cit.; Cass. 14 ottobre 2010, n. 21249, cit.; Cass. 25 febbraio 2005, n. 4085, cit.; Cass. 9 ottobre 1998, n. 10015, in Giust. civ. Mass., 1998, 2048; Cass. 21 dicembre 1994, n. 11018, cit.; Cass. 3 ottobre 1991, n. 10320, in Giur. it., 1992, I, 1, 1792; Trib. Larino 8 febbraio 2005, in Juris Data).

[72] Trib. Milano 22 febbraio 1993, in Banca dati Il Fallimento; Trib. Milano 20 marzo 1985, ibidem, entrambe citate da M. R. Grossi, La riforma della legge fallimentare, cit., 357, nota 6.

[73] A norma dell’art. 2119 c.c. l’apertura della procedura di fallimento (così come di liquidazione coatta amministrativa) non costituisce giusta causa di scioglimento del rapporto di lavoro; e, quand’anche il curatore, com’è sua facoltà, a norma dell’art. 72 l.f., opti per lo scioglimento, egli deve comunque rispettare le regole giuslavoristiche in ordine alla forma della dichiarazione relativa e alle relative procedure (il licenziamento dev’essere intimato per iscritto; dev’essere motivato; non è ammesso nel caso di licenziamenti illegittimi – maternità, etc. -; in caso di licenziamenti collettivi debbono essere rispettate le procedure di consultazione preventiva).

[74] Trib. Roma 18 giugno 2013, in Juris Data.

[75] G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 528.

[76] Cass. 23 luglio 2007, n. 16214, cit.

[77] G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 528 afferma che l’azione di responsabilità nei confronti del curatore, in tali ipotesi, “ricorda da vicino l’azione ex art. 2395 …”.

[78] In questi casi, la responsabilità dell’amministratore è extracontrattuale, mentre quella della società da lui amministrata può essere contrattuale, se la condotta dell’amministratore sia consistita nella stipulazione dei un contratto, ed abbia quindi fatto sorgere un’obbligazione in capo alla società rappresentata; così, se l’amministratore, con comportamenti dolosi o colposi, induce il terzo a fornire la società nonostante essa sia del tutto insolvente (e, poi, non adempie); la società debitrice sarà tenuta ex contractu; l’amministratore, ai sensi dell’art. 2395 c.c., che è un caso di responsabilità ex delicto (cfr.Trib. Bari 4 settembre 2012, in Juris Data). Ma, per il principio d’immedesimazione organica, alla responsabilità personale dell’amministratore – ex art. 2395 c.c. - consegue anche la responsabilità dell’ente, cioè della società, per lo stesso titolo: così, ad esempio, per il fatto dei consiglieri di amministrazione di una banca popolare che abbiano illegittimamente escluso dei soci e disposto il trasferimento delle loro azioni a terzi, è stata affermata la responsabilità dei componenti l’organo di gestione nonché della stessa società: Cass. 5 dicembre 2011, n. 25946, in Giust. civ. Mass. 2011, 1727. Resta il fatto che la responsabilità ex art. 2395 c.c. postula una condotta pregiudizievole, dolosa o colposa della amministratore, e che a configurarla non è sufficiente il mero inadempimento della società amministrata (Cass. 23 giugno 2010, n. 15220, in Guida al diritto 2010, 30, 81; Cass. 5 agosto 2008, n. 21130, in Foro it. 2009, 447 e in Giur. comm. 2010, 240.

[79] App. Roma 6 febbraio 1995, in Gius 1995, 3367; Trib. Bologna 29 febbraio 1984, in Dir. fall. 1985, II, 240; S. Scarafoni, in Le riforme della legge fallimentare, cit., 427; G. D’Attorre, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 528; G. Caselli, Organi del fallimento, Bologna-Roma, 1977, 220-221.

[80] S. Scarafoni, in Le riforme della legge fallimentare, cit., 427.

[81] Cass. 10 dicembre 2008, n. 28894, in Giust. civ. Mass. 2008, 1758.

[82] Un caso non dissimile è rappresentato da Cass. 23 luglio 2012, n. 12785, in Juris Data, in cui, pure, questioni risarcitorie relative a vendite di beni del patrimonio fallimentare sono state ritenute da attribuirsi alla legittimazione passiva della procedura e non alla persona fisica del titolare dell’organo; cfr. anche Cass. 8 maggio 2009, n. 10599, cit., relativo all’omessa custodia fra l’aggiudicazione e la consegna di un bene mobile liquidato; anche in questo caso la Cassazione ha ritenuto che il credito va insinuato al passivo del fallimento in prededuzione.

[83] Cfr., per un’ipotesi di responsabilità di un carabiniere (in solido con il Ministero della difesa) per lesioni provocate ingiustamente durante un arresto (Trib. L’Aquila 30 ottobre 2014, in Juris Data); di promotori finanziari (in solido con la banca che li aveva indicati) per i danni cagionati ai risparmiatori (Cass. 4 marzo 2014, n. 5020, in Guida al diritto 2014, 26, 62; Trib. Salerno 2 luglio 2014, in Juris Data).

[84] Così, ad esempio, nell’ipotesi in cui la gestante non sia stata informata delle malformazioni del feto riscontrate nel corso di una ecografia, l’Unità Sanitaria Locale risponderà, a titolo di responsabilità contrattuale, per il fatto dell’ausiliario ex art. 1228 c.c., mentre il medito (non intercorrendo tra lo stesso e la paziente alcun rapporto di natura contrattuale), risponderà a titolo di responsabilità extracontrattuale: Cass. 14 luglio 2006, n. 16123, in Resp. civ. e prev. 2007, 1, 56. Circa l’ammissibilità del concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale (sia pure nel caso in cui l’unico evento pregiudizievole sia ascrivibile al concorso di più autori, alcuni responsabili ex contractu, altri ex delicto, cfr. Cass. 9 aprile 2014, n. 8372, in Giust. civ. Mass. 2014, rv 630460.

[85] App. Salerno 22 maggio 2009, in Juris data.


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