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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 08/03/2015 Scarica PDF

I principi di attestazione dei piani di risanamento approvati dal CNDCEC e il ruolo del professionista

Stefano Ambrosini e Alberto Tron, Stefano Ambrosini, Professore ordinario di Diritto Commerciale nell'Università del Piemonte Orientale. Alberto Tron, Professore incaricato di Economia Aziendale all'Università di Pisa, Dottore commercialista e revisore legale


Sommario: 1. Premessa – 2. Nomina del professionista e accettazione dell’incarico – 3. I principi di attestazione dei piani di risanamento e l’attività di verifica della veridicità dei dati aziendali: peculiarità e criticità – 4. Analisi delle cause della crisi, frodi e responsabilità degli organi sociali –5. L’attività di valutazione della fattibilità dei piani di risanamento ed i Principi di attestazione dei piani di risanamento – 6. La valutazione delle assunzioni di piano e l’evoluzione delle variabili di tipo economico-finanziario: la primaria importanza dell’analisi di sensitivity e stress test ai fini del giudizio di fattibilità del piano di risanamento aziendale – 7. L’indispensabile valutazione del programma di intervento (action plan) del piano di risanamento: la fase di deployment e monitoring – 8. Il giudizio finale del professionista attestatore


     

1. Premessa

Il documento approvato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili il 3 settembre 2014 rappresenta il frutto del meritorio e fecondo lavoro di alcuni esponenti dei mondi universitario e professionale diretto a formare best practices nella redazione delle attestazioni (dichiarato è infatti l’intento di “indicare modalità operative e costruire modelli virtuosi di comportamento”: principio 1.2.).

 Il corposo elaborato è intitolato “Principi di attestazione dei piani di risanamento(d’ora in avanti anche solo “Principi”) ([3]) e il ricorso a quest’ultima espressione, in luogo di altre astrattamente possibili (“piani di soluzione della crisi” o simili), denota chiaramente che la prospettiva adottata è essenzialmente quella del risanamento dell’esposizione debitoria e del riequilibrio finanziario.

Ciò significa che tali princìpi sono destinati elettivamente alle situazioni nelle quali il superamento della crisi presuppone la continuità aziendale, attagliandosi solo parzialmente a strumenti di tipo liquidatorio (tanto da trovare, in quest’ultimo caso, limitata applicazione). Il che non comporta peraltro che l’ambito di operatività vada circoscritto alla fattispecie dei piani di risanamento di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d), l. fall., rientrandovi a pieno titolo anche l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo.

In limine, si ritiene opportuno evidenziare che il rafforzamento della responsabilizzazione del professionista attestatore operata, da ultimo, con la riforma legislativa operata nel 2012 ([4]) comporta l’esigenza, imprescindibile, che la relazione in discorso venga redatta con determinati requisiti soggettivi contenutistici senza i quali non pare possibile parlare di una relazione “conforme” ai principi ([5]).

Va poi osservato (sebbene, forse, superfluo) come la conformità dell’attestazione ai criteri di redazione di cui trattasi non costituisca condizione di ammissibilità della domanda di concordato preventivo o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, se non nel caso in cui l’inammissibilità derivi, di per sé, da norme di legge in materia. E ciò quand’anche l’attestatore abbia dichiarato, nelle premesse dell’elaborato, di volersi attenere a detti criteri.

In altre parole, l’integrale osservanza dei “Principi di attestazione” non può considerarsi alla stregua di una condizione necessaria (e in ipotesi, per di più, non sufficiente) per l’ammissione al concordato preventivo, né per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione. Ne consegue che la loro adozione, pur sicuramente opportuna, non può considerarsi obbligatoria, se non – ripetiamo – nei limiti in cui discostarsene comporti l’impossibilità di qualificare il documento come attestazione idonea a produrre gli effetti di legge.

Com’è noto, tuttavia, la centralità della figura dell’attestatore nel sistema delle soluzioni negoziate è, nelle riflessioni de jure condendo, da tempo in discussione, tanto più alla luce delle previsioni della Raccomandazione UE del marzo 2014 e del riferimento in essa contenuto all’istituto della mediazione. E altrettanto dicasi per la designazione privatistica dell’attestatore, seppur coerente all’odierna impostazione normativa, basata sul meccanismo di pesi e contrappesi. E’ lecito supporre che anche di tali profili si occuperà la Commissione per la riforma della legge fallimentare istituita dal Ministro della Giustizia con decreto del 28 gennaio 2015, che si è insediata, iniziando i propri lavori, il 18 febbraio scorso.

   

2. Nomina del professionista e accettazione dell’incarico

Nella parte dedicata a “Nomina e accettazione” si ribadisce quanto chiarito dall’art. 67, terzo comma, lett. d), L.F. come novellato nel 2012, vale a dire che la designazione dell’esperto spetta in via esclusiva al debitore ([6]). Condivisibilmente, si precisa che la regola deve intendersi implicitamente richiamata nelle ipotesi in cui pure le norme non ne fanno espressa menzione (artt. 182-quinquies e 160, secondo comma, L.F.), anche alla luce della valenza paradigmatica del precetto testè citato.

Opportunamente (tanto più a seguito dell’introduzione dell’art. 236-bis L.F.) si afferma che il professionista, “prima di accettare l’incarico, deve procedere alla valutazione del rischio che presenta l’attività da svolgere” ([7]). Ove il piano non risulti ultimato al momento dell’accettazione dell’incarico, il professionista attestatore può valutare detti rischi alla luce sia delle informazioni ricevute dal debitore, sia delle caratteristiche dell’advisor da questi prescelto ([8]).

Quanto al requisito dell’indipendenza, che va espressamente dichiarato e deve permanere fino alla conclusione dell’incarico ([9]), non è sfuggita agli estensori la delicatezza dell’ipotesi in cui l’esperto abbia in precedenza rilasciato altre attestazioni, essendo egli chiamato a “valutare se permanga il suo stato di indipendenza anche per l’esecuzione di un successivo incarico” ([10]).

Chi scrive ritiene, non da oggi, la situazione in parola costellata da significative criticità: per un verso, perché quella dell’attestatore ben può rientrare nell’attività di “lavoro autonomo in favore del debitore” di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d), L.F.; per l’altro, perché egli potrebbe considerarsi (in un’ottica, per così dire, di autotutela rispetto al proprio pregresso operato) non del tutto scevro da un interesse al buon fine dell’operazione di risanamento. Senza dire che ove l’attestatore vanti ancora ragioni di credito verso il debitore per l’attività pregressa dovrebbe scattare l’ulteriore preclusione di cui all’art. 28 L.F. che, come noto, prescinde dalla concreta idoneità a compromettere l’indipendenza di giudizio.

Tutt’altro che ozioso – data una perniciosa tendenza, in alcuni casi, al “race to the bottom” – risulta poi il monito ad “accettare solamente incarichi i cui compensi siano adeguati all’attività da svolgere e ai rischi connessi” ([11]). Il che dovrebbe idealmente scongiurare (o, quanto meno, limitare) quella sorta di concorrenza sleale fra professionisti che viene innescata da offerte economiche al ribasso finalizzate a ottenere l’incarico dal debitore a prescindere dalla sua adeguata remunerazione, con inevitabili conseguenze dal punto di vista della qualità del prodotto.

Pare d’uopo precisare, inoltre, che l’incarico in parola, come tale, attiene alla redazione dell’attestazione, per cui non pare agevolissimo ritenere che rientri nel relativo perimetro la c.d. attestazione negativa (che potrebbe quasi definirsi priva di “diritto di cittadinanza” nel nostro ordinamento). Piuttosto, è bene disciplinare attentamente, all’atto di redigere il contratto fra debitore e professionista incaricato, il profilo del diritto al compenso da parte di quest’ultimo a prescindere dalla consegna di un elaborato conforme alle attese del committente, dovendo essere remunerata in ogni caso l’attività compiuta, ancorché sfociata poi in un – talora doveroso e dunque commendevole – rifiuto di rilasciare l’attestazione (un po’ come accade, mutatis mutandis, con l’opinion del revisore contabile).

   

3. I principi di attestazione dei piani di risanamento e l’attività di verifica della veridicità dei dati aziendali: peculiarità e criticità

E’ stato osservato in dottrina che il giudizio del professionista contempla contenuti accertativi, valutativi e previsionali, ma che, sicuramente, la previsione ne costituisce il nucleo centrale ([12]).

Per quanto concerne il primo profilo, quello accertativo, il professionista non può limitarsi ad affermare la conformità dei dati alle risultanze delle scritture contabili, ma deve controllarne la “veridicità”; il suo compito, in sintesi, consiste nel verificare sia l’esistenza delle attività di impresa (beni mobili, immobili, crediti, ecc.) e il loro effettivo valore, sia l’entità dell’esposizione debitoria e la correttezza della quantificazione dei creditori come chirografari o privilegiati ([13]).

Ma, come anzi detto, la verifica della veridicità dei dati aziendali, ancorché oggetto di un autonomo giudizio del professionista, deve essere considerato come dato di partenza, strettamente strumentale, al giudizio sulla fattibilità del piano che rappresenta l’obiettivo principale dell’attestazione ([14]). In tale senso si esprimono i Principi che evidenziano che il professionista “deve sempre considerare che tale accertamento è strumentale al giudizio di fattibilità del piano e di attuabilità dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o della proposta concordataria, nel senso che una base dati non veritiera rende inattendibile il piano costruito su di essa e impedisce nella sostanza il giudizio sulla fattibilità di quest’ultimo” ([15]).

Con riferimento all’espressione “veridicità” dei dati aziendali utilizzata nella legge fallimentare, il documento in commento precisa che la stessa non deve essere intesa nel senso di “verità oggettiva del bilancio” che è “irraggiungibile con riguardo ai valori stimati” ([16]), ma come equivalente di rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, economica e finanziaria ([17]). I dati devono essere “veridici” e non veri, cioè conformi a corretti processi di rilevazione e appostati secondo metodologie quantitative rispettose dei criteri di legge e degli statuiti principi contabili ([18]). L’espressione “veridicità” rappresenta, pertanto, un implicito rinvio ai principi e postulati per la redazione del bilancio, che saranno rilevanti nei limiti in cui siano funzionali alla redazione di una situazione patrimoniale che costituisca un’attendibile base informativa di partenza per la formulazione delle prospettive economiche, finanziarie e patrimoniali contenute nel piano di risanamento d’impresa ([19]).

Passando a indicazioni operative in merito al profilo in esame, i Principi indicano che la pianificazione e lo svolgimento dell’attività di verifica del professionista devono essere finalizzati alla rilevazione del rischio di errori significativi che interessino i dati posti a base delle stime prognostiche; ne deriva che l’attività di vaglio dei dati aziendali deve essere diversamente articolata a seconda della dimensione dell’azienda, del suo assetto amministrativo contabile e dell’ambiente di controllo. E’ proprio con riferimento a questi aspetti che il professionista deve scegliere tra una verifica diretta dei dati (anche su base campionaria) e una verifica di processo, in particolare, dei processi che sovraintendono alla rilevazione dei dati ([20]).

Le procedure di riferimento per tali attività sono le “tecniche di revisione”, con l’accortezza di adottare i principi di revisione che saranno ritenuti più idonei per la tipologia di controlli decisi dal professionista al fine del compiuto assolvimento del proprio incarico ([21]). E’ da precisare, però, che nelle situazioni di crisi e nei contesti di urgenza in cui opera il professionista, gli statuiti principi di revisione costituiscono un importante standard di riferimento che deve informare le attività da effettuare ma sono da considerarsi applicabili solo parzialmente ([22]); la selezione delle procedure di verifica deve, infatti, basarsi sulla valutazione del rischio della presenza di errori significativi (e possibili frodi) nella situazione contabile di partenza del piano (definita in prosieguo anche “base dati contabile”) nonché sull’analisi di risk assessment effettuata dal professionista (anche in ordine agli aspetti amministrativi dell’azienda).

Come indicato nei Principi in commento, riguardo alle procedure operative di verifica, nella scelta delle stesse il professionista dovrà tenere in considerazione tre aspetti critici:

a) perimetro, oggetto ed ampiezza delle verifiche;

b) attribuzioni di valore degli elementi patrimoniali;

c) utilizzo dei lavoro di altri revisori contabili.

In merito al primo aspetto critico, la pianificazione e lo svolgimento dell’attività di verifica devono essere informati alla rilevazione del rischio di errori significativi che interessano i dati posti a base delle stime prognostiche ([23]). Ne deriva che l’attività di verifica della “base dati contabile” è diversamente articolata a seconda delle dimensioni dell’impresa, del suo assetto amministrativo-contabile e dell’ambiente di controllo ([24]).

Nei Principi è stato precisato che la “base dati contabile” non deve necessariamente includere tutti i dati aziendali alla data di partenza del piano, ma può essere limitata ai soli dati che possono, anche potenzialmente, influire sulle successive dinamiche finanziarie del piano stesso. Qualora la data di partenza del piano coincida con la chiusura dell’esercizio sociale, oggetto di verifica da parte del professionista, restano i soli dati aziendali riportati nel piano e non quelli contenuti nel bilancio d’esercizio a quella data; sebbene questi ultimi ordinariamente coincidono è, però, possibile che determinati criteri di valutazione differiscano in ragione della diversa natura, finalità e principi di redazione dei due documenti ([25]).

Della “base dati contabile” così determinata, andranno verificate, attraverso le tecniche di revisione del c.d. “Balance Sheet Audit” ([26]), l’esistenza, nei limiti del possibile attraverso accessi diretti agli elementi patrimoniali, e l’entità delle attività dell’impresa (beni mobili, immobili, crediti, contratti, ecc.), unitamente all’entità dell’esposizione debitoria e alla qualificazione dei creditori, fornendo particolare attenzione agli elementi di maggiore importanza in termini quantitativi (es. crediti rilevanti), alle componenti del capitale circolante che produrranno prospetticamente i flussi di cassa (es. scorte, crediti, debiti, acconti), agli elementi con profili di rischio elevato ai fini dell’attestazione (es. avviamenti di assets da dismettere, debiti e contenziosi tributari, fondi rischi e oneri) e, infine, agli elementi di sospetto circa l’affidabilità delle operazioni di gestione (es. operazioni con parti correlate) ([27]).

Tra le procedure di revisione che dovranno essere poste in essere dal professionista, una posizione rilevante sarà assunta dai campionamenti eseguiti per le selezioni documentali da verificare (secondo il principio di revisione ISA 530) nonché dalla richiesta di conferme esterne (c.d. procedura di circolarizzazione) che dovrà essere svolta sulla base delle indicazioni del principio di revisione ISA 505, nonché dall’effettuazione di verifiche sull’inventario delle rimanenze di magazzino (e correlata valorizzazione) secondo i criteri previsti nei principi di revisione ISA 500-501 ([28]).

In relazione al secondo aspetto critico, le procedure di analisi del professionista devono soddisfare gli obiettivi di controllo che assumono rilevanza diversa a seconda di come le attività e le passività sono riflesse nel piano, in funzione delle modalità di estinzione, realizzo o esercizio delle stesse ([29]).

Il professionista deve, infatti, verificare i criteri di valutazione adottati nella “base dati contabile” in ordine, in specifico, alla loro coerenza rispetto al piano di risanamento; in ipotesi di dismissione di taluni cespiti o di procedura liquidatoria pura gli elementi patrimoniali attivi e passivi dovranno essere valutati rispettivamente ai presumibili valori di realizzo diretto “per stralcio” e ai presunti valori di estinzione. Qualora, viceversa, il piano di risanamento preveda la continuità dell’attività dell’azienda, i criteri di valutazione da verificare saranno quelli di funzionamento.

In quest’ultima ipotesi, il professionista dovrà verificare che il valore dei beni immateriali e avviamenti iscritti nell’attivo non sia inferiore al valore di bilancio (svolgendo l’attività tipica di impairment test), in particolar modo nei casi in cui tali poste abbiano una rilevanza numerica considerevole ([30]). Del pari si dovrà sottoporre a verifica di tenuta dei valori anche gli immobili, attraverso l’esame delle perizie più aggiornate fornite dalla società, o da esperti indipendenti di fiducia del professionista.

Il documento in commento raccomanda particolare attenzione alla verifica delle eventuali passività potenziali non contemplate nei fondi rischi e oneri accantonati dall’azienda, che possono essere sottovalutate in periodi di crisi; sarà opportuno indagare con attenzione le cause in corso mediante ricognizione del legale dell’azienda quale utile evidenza probativa, valutando altresì contenziosi fiscali e le partecipazioni strategiche, spesso non svalutate anche in presenza di perdite, nonché tutti quegli elementi contabili eventualmente originati da comportamenti potenzialmente fraudolenti posti in essere dagli amministratori, quali distrazioni di risorse aziendali (mediante sovrafatturazioni da parte dei fornitori) o registrazioni di ricavi derivanti da operazioni inesistenti.

Come già precisato, nell’effettuare tali analisi, lo scopo è quello attestare la veridicità dei dati in quanto utilizzati per la redazione del piano di risanamento; in tale prospettiva le verifiche sulla corretta capitalizzazione di certi costi o sugli ammortamenti stanziati rivestono minore interesse rispetto alla corretta e completa rappresentazione dei debiti; i primi, infatti, non influenzeranno i flussi di cassa futuri, i secondi invece sì ([31]).

Con riguardo al terzo aspetto critico,i Principi contemplano l’ipotesi (auspicata) che il professionista possa utilizzare il lavoro di revisione svolto da altri revisori.

L’accesso alle verifiche predisposte da terzi (test di conformità e test di sostanza) permette, infatti, in linea teorica, di comprimere i tempi dei controlli della “base dati contabile”([32]); i ristretti tempi a disposizione del professionista, ma anche dell’azienda nella materiale elaborazione del piano, rappresentano, infatti, una significativa criticità.

Pur considerata la diversa finalità tra l’attività di revisione legale ed il lavoro di verifica della “base dati contabile” da parte del professionista, la collaborazione con i revisori legali e l’accesso alle risultanze dei loro controlli è auspicabile nell’interesse dell’azienda per consentire un più celere svolgimento dell’attività di verifica. Ciò vale, in particolare, per alcune procedure di revisione, quali l’analisi e valutazione del sistema amministrativo e dei controlli esistenti, la riconciliazione dei conti bancari, le verifiche (comprese le cd. circolarizzazioni) sui crediti verso clienti e i debiti verso fornitori, sui fondi rischi ed oneri, sui debiti e rischi tributari, le analisi fisiche e contabili sul magazzino che richiedono, di norma, tempi abbastanza lunghi non comprimibili ([33])([34]).

Non deve essere trascurato, come ribadito nei Principi, che, in ogni caso, la responsabilità del giudizio di veridicità della “base dati contabile” ricade sul professionista in quanto la relazione di quest’ultimo è diretta a sostituire l’attività istruttoria del tribunale ed a garantire che i creditori siano adeguatamente e correttamente informati ([35])([36])([37]).

E’ un fattore di criticità, inoltre, la questione riguardante il fattore temporale relativo alla situazione patrimoniale ed economico-finanziaria dell’impresa.

A tale riguardo di ritiene opportuno evidenziare, ancorché non esplicitato nei Principi, che il professionista dovrà richiedere e ottenere, unitamente all’ultimo bilancio o situazione periodica sottoposta a verifica della veridicità dei dati aziendali (“base dati contabile”), la situazione contabile più aggiornata, effettuando su di essa attività di verifica, quale, ad es., una (eventuale) nuova procedura di cd. circolarizzazione dei saldi dei crediti verso clienti e debiti verso fornitori, nonché il lavoro di verifica dell’inventario delle scorte di magazzino. In taluni casi, in particolare quando si è valutato positivamente il sistema amministrativo e di controllo interno societario, tale analisi potrà essere eseguita utilizzando, alternativamente, le tecniche di revisione limitata eseguite in accordo con il principio di revisione internazionale ISRE 2410 ([38]). In tale ambito potranno essere utilizzate le analisi comparative, dette anche procedure analitiche di revisione di cui al principio di revisione n. 520. Le procedure analitiche includono la comparazione dei dati contabili con i dati comparabili dell’esercizio precedente, le relazioni tra elementi di bilancio (come, ad es., il margine lordo raffrontato con quello dell’esercizio precedente, ecc.), le relazioni tra dati contabili e non contabili (come il costo del lavoro totale per il numero dei dipendenti), e così via.

Nello svolgimento delle procedure analitiche di revisione, si dovrà seguire una procedure basata sui seguenti punti:

- definire una differenza significativa o valore soglia;

- calcolare le differenze;

- indagare le differenze significative e trarre le conclusioni ([39]).

In ultimo, nei Principi è indicato che, con riferimento all’analisi della “base dati contabile”, il professionista debba compiutamente relazionare e documentare le verifiche strumentali al giudizio sulla veridicità svolte sulle singole poste dell’attivo e del passivo ([40])([41])([42]).

La relazione di attestazione può contenere un giudizio positivo sulla veridicità dei dati aziendali anche se, limitatamente ad alcune poste, riscontra carenze ed errori. Ciò purché questi siano tali da non compromettere la veridicità complessiva della “base dati contabile” ([43]).

In assenza di un giudizio positivo in merito alla veridicità della base dati non si ritiene possibile, però, giungere a esprimere un giudizio finale positivo sulla fattibilità del piano ed è, pertanto, inopportuno, salvo casi eccezionali, che il professionista si esprima in merito alla fattibilità del piano ([44]).

Per quanto riguarda i dati relativi agli esercizi precedenti i Principi indicano, opportunamente, che il professionista non debba esprimere alcun giudizio su di essi, né tantomeno sulla correttezza della gestione in tali esercizi ([45]).

Altresì, al professionista non è richiesto di ricercare informazioni che ineriscono all’eventuale sussistenza di “atti in frode” di cui all’art. 173 L.F., né di esprimere giudizi circa l’esperibilità di eventuali azioni di responsabilità nei confronti degli organi di amministrazione e di controllo della società (salvo che le stesse non siano esplicitamente previste o menzionate nel Piano), né individuare e/o prevenire atti distrattivi o depauperativi del patrimonio del debitore ([46]).

   

4. Analisi delle cause della crisi, frodi e responsabilità degli organi sociali

I Principi attribuiscono al professionista il compito di verificare che il piano di risanamento, sia esso liquidatorio o in continuità, abbia correttamente individuato le cause della crisi.

Di cause del fallimento o del dissesto parlano, com’è noto, gli artt. 33 e 172 L.F., nel disciplinare il contenuto delle relazioni, rispettivamente, del curatore fallimentare e del commissario giudiziale. Nel documento in parola, tuttavia, l’ottica non è di tipo “investigativo”: l’informazione sulle vicende che hanno condotto l’impresa nell’attuale condizione di crisi è strumentale ad appurare che gli interventi ipotizzati nel piano risultino idonei a “rimuovere le criticità che hanno provocato la crisi stessa” ([47]). E, come appare chiaro, detta verifica è a sua volta funzionale al giudizio dell’attestatore sulla fattibilità del piano ([48]).

In altri termini, senza l’enucleazione delle ragioni, interne ed esterne, cui è riconducibile lo stato di crisi risulta impossibile costruire un piano concretamente e proficuamente finalizzato al superamento di detto stato e, di conseguenza, consentire all’esperto lo scrutinio sull’effettiva fattibilità del piano medesimo.

L’elaborato in commento, nel declinare in modo analitico le attività spettanti al professionista attestatore, ha giustamente cura di precisare ciò che invece esula dai suoi compiti: intervenire sul contenuto del piano apportandovi modifiche (ma solo, semmai, segnalare errori rilevanti che possano comportare la necessità di un successivo adeguamento)([49]); verificare se il piano scrutinato sia il migliore possibile ([50]) o se sia conveniente per i creditori ([51]); segnalare il compimento di pregressi atti di frode ([52]), atti distrattivi o depauperativi ([53]), ovvero – in linea generale – profili di responsabilità in capo ai componenti degli organi sociali ([54]).

Per vero, un sindacato di convenienza non è del tutto estraneo all’attività dell’esperto, se si considera che gli artt. 186-bis, secondo comma (menzionato anche dal principio n. 4.8.3.) – e 182-quinquies, primo comma, L.F. postulano, rispettivamente, che la prosecuzione dell’attività d’impresa e la concessione di finanziamenti siano funzionali alla miglior soddisfazione dei creditori.

Quanto all’individuazione di atti frodatori, distrattivi o depauperativi, essa non compete certamente all’attestatore, cui è estraneo – come si diceva – un approccio “investigativo” in chiave sanzionatoria. In tema di concordato preventivo, nondimeno, occorre ricordare che, a prescindere dal tenore dell’attestazione, assumono valenza ostativa alla prosecuzione dell’iter concordatario (i) gli atti di frode non rivelati dal debitore bensì scoperti dal commissario giudiziale, indipendentemente dal voto espresso dai creditori che ne siano stati resi edotti dal commissario ([55]) e (ii) gli atti di frode pur rivelati dal debitore ma da questi posti in essere con la prospettiva e la finalità di avvalersi dello strumento concordatario, ponendo i creditori di fronte a una situazione di pregiudicata garanzia patrimoniale e inducendoli a preferire il concordato alla deteriore opzione fallimentare ([56]).

Per quanto attiene al tema delle responsabilità, si è detto che in linea di massima l’attestatore non deve farsene carico nel porre mano alla sua relazione. Tuttavia, ciò può non valere in ragione delle peculiarità della fattispecie, in termini di incidenza di tale aspetto sull’attivo o sul passivo.

Ad esempio, se la società in questione esercita attività di direzione e coordinamento, gli advisor che predispongono il piano (e la domanda giudiziale) dovrebbero scrutinare possibili profili di responsabilità in capo alla holding, dal momento che la loro verificata sussistenza comporterebbe un (potenziale) incremento del passivo.

Analogamente, nel caso di concordato preventivo liquidatorio che contempli, fra i beni oggetto di cessione, il credito risarcitorio da mala gestio degli amministratori ([57]), l’attestatore dovrebbe esaminare questo profilo, assumendo ove possibile informazioni sulla capienza patrimoniale degli amministratori rispetto alle pretese azionande nei loro confronti; e ciò in quanto tale verifica incide sull’effettiva consistenza dell’attivo e quindi in ultima analisi, come pure nell’esempio precedente (sul versante, in quel caso, del passivo), sulla fattibilità del piano.

   

5. L’attività di valutazione della fattibilità dei piani di risanamento ed i Principi di attestazione dei piani di risanamento

La fase successiva di verifica del professionista riguarda la fattibilità del piano (per il concordato preventivo e per il piano attestato), ovvero l’attuabilità dell’accordo, con particolare riferimento, relativamente a quest’ultimo, alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei al medesimo.

L’obiettiva complessità del compito di cui è onerato l’attestatore nel valutare la fattibilità del piano discende essenzialmente dal fatto che – diversamente da quanto accade in relazione alla veridicità dei dati, la quale implica l’analisi di elementi attuali (ferme, naturalmente, le non trascurabili difficoltà connesse all’individuazione dei criteri valutativi più acconci alla singola fattispecie) – il giudizio di fattibilità è, per definizione, di natura prognostica e, come tale, non può basarsi sulla categoria della certezza, appartenendo al contrario al mondo della probabilità.

Affinché il professionista attestatore possa effettuare una convinta prognosi sulla fattibilità è anzitutto indispensabile che il documento sottoposto al suo esame espliciti con chiarezza i propri presupposti ([58]), tenendo conto, con riguardo alla prosecuzione dell’attività, della ragionevole evoluzione tanto del mercato di riferimento, quanto dei rapporti con clienti, fornitori e concorrenti; rapporti, questi, sui quali ben può incidere l’impatto reputazionale connesso all’adozione di uno strumento oggetto di pubblicità (senza dire degli effetti che – nel caso di concordati preventivo – possono discendere dal divieto di pagare debiti pregressi).

Per quanto concerne, poi, le eventuali dismissioni di cespiti, occorre dare atto della sussistenza di soggetti interessati all’acquisto (ammesso che siano stati preventivamente individuati, il che peraltro non costituisce condicio sine qua non della fattibilità) o, comunque, dei criteri di loro valorizzazione nella prospettiva della liquidazione.

Dovendosi dare luogo a un giudizio basato, come si è detto, sulla regola del “più probabile che non”, è indispensabile che esso muova da assunti la cui attendibilità sia stata adeguatamente vagliata: di qui la necessità – ben evidenziata dai menzionati Principi – che il professionista verifichi funditus le assunzioni del piano. È evidente, infatti, che laddove esse non dovessero risultare condivisibili (come accade nell’ipotesi di proiezioni improntate a eccessivo ottimismo), l’intera costruzione del progetto di turnaround (o, comunque, la soluzione prospettata ai creditori), quand’anche di per sé immune da intrinseci vizi di contraddittorietà, rischierebbe di costituire un mero esercizio astratto, privo dell’imprescindibile aggancio con la realtà che costituisce invece la vera “cifra” dell’attestazione di fattibilità.

Nella corretta individuazione dello scenario in cui si colloca (ed è destinata a collocarsi, nell’arco del piano) la ristrutturazione, va in qualche modo individuata la “premessa maggiore” dell’attestazione, la quale deve poi passare a verificare la ragionevolezza delle azioni che l’imprenditore si propone di implementare, verificandone sia l’effettiva praticabilità, sia l’idoneità a conseguire l’obiettivo del superamento della crisi.

A questo proposito, opportunamente i Principi enucleano due livelli di valutazione: il primo di carattere generale e sintetico, relativo alla complessiva “strategia del risanamento” ([59]); il secondo di dettaglio e analitico, afferente all’action plan ([60]). Al professionista attestatore si richiede di verificare, da un lato, che il piano, nel suo insieme, presenti un’adeguata risposta alla crisi, superando – mediante iniziative caratterizzate da un sufficiente livello di discontinuità col passato – i fattori che l’abbiano generata; dall’altro, che siano individuate – quantomeno sinteticamente e per macro-categorie – le azioni che l’imprenditore si propone di mettere in atto e i tempi di realizzazione delle stesse.

A ciò si aggiunga che il professionista è onerato della verifica che le ipotesi afferenti alle grandezze economiche e finanziarie del piano siano compatibili con le ipotesi strategiche formulate ([61]), con conseguente necessità di effettuare gli opportuni riscontri sui dati previsionali ([62]). Il che equivale a dire – volendo mutuare le locuzioni usate dalle Sezioni Unite della Cassazione nella nota sentenza del 23 gennaio 2013, n. 1521 – che gli si richiede di attestare non solo la fattibilità giuridica del piano, ma anche – e soprattutto, ratione materiae – quella economica. In altre parole, il suo vaglio deve tradursi in un’analisi a “tutto tondo”: egli non può limitarsi a verificare l’astratta percorribilità del percorso di soluzione della crisi, ma è tenuto a farsi carico di verificarne la concreta attuabilità (sia pure, lo si ripete, in una prospettiva giocoforza prognostica), sulla scorta di valutazioni sia qualitative che quantitative.

Come indicato nei Principi, il professionista è opportuno che effettui un’analisi di coerenza del piano che si appresta ad attestare in relazione a variabili sia esterne che interne all’azienda, ai fini della comprensione del funzionamento dell’economia dell’impresa e per operare un opportuno confronto fra i dati storici e quelli previsionali ([63])([64]).

Per quanto concerne le variabili esterne, la coerenza andrà appurata in relazione a variabili macro-economiche, dinamiche di settore, contesto tecnologico e normativo.

Quanto alle variabili interne all’azienda, risulterà utile, un’analisi approfondita riguardante punti di forza/debolezza dell’azienda, dati storici, analisi dei costi fissi e variabili, calcolo del break even point, analisi dei rendiconti finanziari ([65]).

Per comprendere l’importanza, ai fini delle verifiche del professionista, dell’arco temporale del piano di risanamento da attestare occorre richiamare il contenuto dell’ISAE 3400 ([66]) emesso dall’IFAC (International Federation of Accountants), documento che costituisce lo standard di riferimento per le verifiche in merito alle analisi dei dati e dei piani previsionali.

Tale principio di revisione, nel fornire la definizione di dati previsionali distingue tra “forecast” e “projection”, indica che mentre i forecast sono dati previsionali a breve termine, redatti sulla base di best-estimate assumptions, le projection sono dati basati su hypotetical assumption, ovvero assunzioni ipotetiche non supportate da dati storici ed a effetti di azioni del management che potrebbero anche non verificarsi.

Da ciò consegue che l’informativa prospettica finanziaria può assumere la forma di una previsione, quando è predisposta su best estimate assumption, ovvero la forma di una proiezione, laddove basata su hypotetical assumption, ovvero potrà essere una combinazione di entrambe ([67]).

Ridurre l’ampiezza dell’orizzonte temporale dell’attestazione allo stretto necessario per escludere pregiudizi ai creditori consente di limitare il grado d’incertezza e, conseguente-mente, di rafforzare il convincimento di fattibilità del piano di risanamento ([68]). Il rischio di tali pregiudizi, quindi, deve condurre il professionista a individuare l’orizzonte temporale minimo di riferimento dell’attestazione; tale orizzonte potrebbe essere, peraltro, inciso dalla presenza, o meno, della “nuova” finanza.

Esiste un trade-off tra orizzonte temporale e capacità di previsione delle tendenze future di lungo periodo che induce a ritenere opportuno non estendere l’orizzonte temporale oltre i tre o cinque anni, periodo considerato dalla prassi aziendale sufficiente per mostrare gli effetti economico-finanziari degli interventi di risanamento ([69]).

Ciò non esclude che si possa considerare un periodo più limitato in casi di forti turbolenze del mercato ([70]). La delimitazione dell’arco temporale di riferimento in particolare di lungo periodo non è priva di difficoltà ([71]).

La durata del piano può variare in funzione di diversi fattori tra cui le condizioni di partenza dell’impresa in crisi (situazione economico-finanziaria), il tipo di produzione e le criticità dell’attività dell’impresa, il settore in cui opera, la situazione del mercato, gli orientamenti strategici di fondo e la capacità effettiva del soggetto responsabile ad attuare le misure indicate nel piano ([72]).

L'attenzione e il livello di approfondimento del professionista dovranno pertanto essere tanto più alti quanto maggiore è il ricorso, da parte del redattore del piano di risanamento, a hypotetical assumption nella predisposizione dei dati previsionali; più l’orizzonte temporale del piano sarà ampio, più il professionista si troverà in quest’ultima fattispecie.

Sul profilo qualitativo, si deve tenere conto che ogni qualvolta si prospetti l’alienazione di un bene, il professionista non potrà limitarsi ad attestarne l’astratta cedibilità (vale a dire l’insussistenza di elementi ostativi alla vendita, la cui presenza determinerebbe la non fattibilità giuridica dell’ipotizzata traslazione), ma dovrà verificare – sulla scorta dello scenario economico di riferimento e delle eventuali manifestazioni di interesse disponibili – la concreta probabilità che esso sia davvero venduto entro l’arco temporale del piano a un valore in linea con quello nello stesso indicato, se del caso avvalendosi del supporto di perizie di stima di terzi, di cui peraltro non potrà accettare acriticamente le risultanze, ma che, al contrario, dovrà fare proprie con convinzione e – ciò che più conta – sotto la propria responsabilità.

Del pari, in caso di continuità aziendale, non sarà sufficiente accertare che l’impresa mantenga per tutto l’arco di piano i requisiti giuridici – quali, ad esempio, le licenze e le autorizzazioni – necessarie per la regolare prosecuzione dell’attività, dovendosi altresì acclarare se, sempre sulla scorta dello scenario di cui sia stata attestata la complessiva ragionevolezza, la continuazione risulti davvero sostenibile sotto il profilo patrimoniale, economico e finanziario.

Profilo ulteriore – che, per vero, i Principi non affrontano espressamente – è se l’attestatore debba farsi carico anche dell’aspetto della fattibilità giuridica. La risposta sembra dover essere in linea di massima positiva, tenuto conto che il riferimento alla fattibilità tout court deve ragionevolmente intendersi inclusivo delle due sotto-categorie nelle quali la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto di ripartire la nozione. Di qui la necessità che l’attestatore verifichi – avvalendosi, ove necessario, della consulenza del legale che assiste l’imprenditore in crisi – la tenuta giuridica delle soluzioni proposte, anche alla luce dello strumento giuridico adottato.

In questa prospettiva, il giudizio di fattibilità finisce necessariamente per includere le scelte “strategiche” del piano e delle eventuali intese con i creditori o della proposta di concordato, comprese le questioni riguardanti, inter alia, la falcidia dei creditori privilegiati, il trattamento da riservare all’Erario, i criteri di divisione in classi. Anche su questi aspetti, infatti, l’esperto deve obbligatoriamente pronunciarsi, pur nella consapevolezza che l’onere d’individuare la corretta veste giuridica del piano e, più in generale, della soluzione alla crisi, compete anzitutto al legale che assiste l’imprenditore, di cui l’esperto ben potrà limitarsi a recepire le indicazioni, soprattutto nei casi di materie oggettivamente controverse.

   

6. La valutazione delle assunzioni di piano e l’evoluzione delle variabili di tipo economico-finanziario: la primaria importanza dell’analisi di sensitivity e stress test ai fini del giudizio di fattibilità del piano di risanamento aziendale

La verifica della parte “numerica” del piano, con la rappresentazione degli effetti della strategia nei bilanci prospettici, presuppone, anzitutto, la valutazione della congruità delle ipotesi circa l’evoluzione delle variabili di tipo economico-finanziario.

La tenuta prospettica del piano sotto il profilo della sostenibilità economico-finanziaria è condizionata dal modo in cui i risultati prospettici indicati reagiscono in seguito ad una variazione delle componenti da cui gli stessi dipendono.

Per analisi di sensitivity del piano di risanamento s’intende quell’attività volta a comprendere gli impatti economico-patrimoniali e soprattutto finanziari di andamenti delle principali variabili del piano diversi rispetto a quelli previsti, al fine di comprendere se, anche in ipotesi di stress, il piano medesimo conservi la propria tenuta prospettica e sia, comunque, in grado di rispettare i covenant di solito presenti nell’accordo di ristrutturazione ([73]).

La sensitivity dei risultati è valutata modificando lo scenario di base in funzione di assunti maggiormente conservativi rispetto ai valori del piano. Gli scenari conservativi devono riguardare sia il Piano economico sia quello finanziario, in modo da comprendere quale dimensione risulterebbe maggiormente sensibile, e quindi pregiudicata, al verificarsi di un peggioramento del contesto ([74]).

I Principi raccomandano che il professionista effettui una ricognizione delle variabili critiche (competitive e gestionali) che più sono in grado di esercitare un influsso sulla creazione di valore, sull’equilibrio finanziario e sul risanamento della posizione debitoria. Se per alcune simulazioni l’attestatore crede che taluni dati non contenuti nel piano siano particolarmente significativi, ne fa richiesta al management ([75]).

Il professionista deve verificare per quale variazione massima dei Key Performance Indicator (KPI),si raggiungerà il punto di “rottura” ([76]), ovvero il piano non potrà più considerarsi attuabile per il risanamento, e per quali variazioni, invece, l’impresa raggiungerà i migliori livelli di performance.

Pertanto, l’analisi consentirà di immaginare scenari di rottura del piano e scenari di delta-performance che dovranno essere oggetto di verifica di deployment e di monitoring da parte del management aziendale al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi di risanamento contenuti nel piano stesso.

Analogamente alla gap analysis “economico-finanziaria” che normalmente si articola attraverso i KPI di natura economica, finanziaria e patrimoniale indicati nel piano, è necessario strutturare anche la gap analysis “organizzativa”.

Il successo del piano industriale non dipende soltanto da una rinnovata architettura strategica, ma anche da un’analisi organizzativa dettagliata finalizzata ad individuare le zone di specifiche assunzioni di responsabilità delle azioni definite nel piano stesso.

Una corretta e puntuale realizzazione di queste ultime comporterà il riequilibrio aziendale descritto ([77]).

L’analisi organizzativa permetterà di evidenziare il gap, relativo alle dimensioni delle capacità e competenze operative, tra la situazione attuale, che ha portato alla crisi, e la situazione futura prevista nel piano.

Le modalità di copertura di tale gap (formazione tecnica, formazione manageriale, spostamenti e/o accorpamenti di funzioni, ridefinizione delle linee di responsabilità e di comando ecc.) devono essere previste nel piano di risanamento e devono, soprattutto, essere pianificate, in base a priorità e propedeuticità, affinché la nuova organizzazione (competenze, processi ecc.) sia adeguata per sostenere l’efficace ed efficiente implementazione delle azioni a supporto del piano.

In sintesi, per ridurre al minimo il rischio di effettiva attuazione del piano, sarebbe opportuno che questo prevedesse le variabili critiche (che più sono in grado di esercitare un influsso sulla creazione di valore, sull’equilibrio finanziario e sul risanamento della posizione debitoria), una specifica fase di deployment e monitoring, unitamente all’elaborazione di specifici piani di contingency al fine di mitigare un’eventuale performance non soddisfacente rispetto a quella attesa, che, in alcuni casi, potrebbe inficiare il successo del risanamento.

   

7. L’indispensabile valutazione del programma di intervento (action plan) del piano di risanamento: la fase di deployment e monitoring

L’elaborazione di un piano di risanamento dovrebbe essere, in via generale, l’esplicitazione di una più vasta strategia di turnaround intrapresa dall’impresa, anche attraverso una ridefinizione del piano industriale. In quanto attività strategica, l’azienda dopo aver elaborato il piano di risanamento dovrà stabilire quale struttura organizzativa sia in grado di realizzarlo nel modo più efficiente ed efficace possibile, recuperando al tempo stesso quel vantaggio competitivo sostenibile nel lungo periodo, che permetterà il superamento della crisi. L’argomento è stato ampiamente trattato in letteratura ed è si è notato come le persone agiscano, con maggiore o minore motivazione, anche in rapporto alla struttura organizzativa in cui operano, al sistema delle deleghe e delle responsabilità, ed al sistema delle decisioni, cosa che spiega i forti legami fra strategie e strutture ([78]).

Nel progettare, e soprattutto implementare, una nuova archittettura organizzativa in rapporto alle strategie definite nel piano di risanamento, l’azienda dovrebbe avere trovato un’adeguata soluzioni a tre domande principali, utili al professionista per poter valutare anche la cosiddetta “fattibilità operativa” ([79]) del piano medesimo:

· chi, e con quale professionalità e capacità implementerà il piano di risanamento?

· quali attività si dovranno svolgere per realizzare il piano?

· quali attività sono cruciali per il successo del risanamento?

Il tema della fattibilità operativa, e quindi dell’implementazione ed interiorizzazione da parte dell’azienda ([80]), del piano di risanamento è di assoluta rilevanza ed è trattato nel capitolo 6.3 dei Principi di attestazione.

Non è infrequente, infatti, riscontrare piani industriali e di risanamento che, nella fase di realizzazione, non mantengono le promesse enunciate ([81]). Questo accade, anche nelle ipotesi in cui i redattori del piano, siano essi dei professionisti, dei consulenti o lo stesso management team aziendale, abbiano utilizzato le proprie competenze professionali e le proprie conoscenze specifiche dell’azienda e del mercato/comparto di riferimento, per redigere in maniera coerente e strutturata il piano stesso; quandanche questo fosse risultato sufficientemente analitico e completo per essere giudicato come “corretto” e ben fatto sotto un profilo industriale ed economico-aziendale.

Al fine di poter ridurre al minimo il rischio di effettiva attuazione del piano, che si ricorda essere l’obiettivo del professionista, sarà importante, quindi, che questo preveda una specifica fase deployment e monitoraggio, unitamente all’elaborazione di specifici piani di contingency al fine di mitigare un’eventuale performance non soddisfacente rispetto a quella attesa, che, in alcuni casi, potrebbe inficiare il successo dell’operazione di risanamento ([82]). Infatti, la probabilità che la corretta implementazione del piano determini la performance positiva attesa in grado di supportare il risanamento aziendale è strettamente correlata ad una progettazione organizzativa che sia coerente, non solo con una rinnovata architettura strategica, ma anche, e soprattutto, con tutti i singoli elementi costituenti lo specifico impianto organizzativo, i cosiddetti “organization design elements” ([83]):

· le competenze (people & skills);

· il lavoro (task & job description);

· la struttura organizzativa (organization chart);

· il processo decisionale e le deleghe di autorità (decision-making);

· il sistema informativo e di reporting (information);

· il sistema di retribuzione basato sui risultati (rewarding system).

Il piano di risanamento, di conseguenza, dovrebbe ben descrivere, con un livello di dettaglio adeguato, che rappresenti, quindi, con il minor margine di dubbio possibile, le zone di specifiche assunzioni di responsabilità (accountability) delle azioni definite per governare e gestire l’impresa verso un rinnovato equilibrio aziendale, attraverso l’individuazione dell’eventuale “gap” (relativo all’assetto che ha portato alla crisi, e quelle relative alla situazione futura, prevista nel piano) tra capacità e competenze operative ([84]).

Del pari, il piano dovrebbe prevedere anche le modalità di copertura di tale “gap” (formazione tecnica, formazione manageriale, spostamenti e/o accorpamenti di funzioni, ridefinizione delle linee di responsabilità e di comando, ecc.), fornendo una pianificazione, in base a priorità e propedeuticità, affinché la nuova organizzazione (competenze, processi, ecc.) sia adeguata per sostenere l’efficace ed efficiente implementazione delle azioni a supporto del piano ([85]).

   

8. Il giudizio finale del professionista attestatore

La relazione di attestazione del professionista è il risultato della verifica della ragione d’essere del piano e della sua idoneità nel condurre al risanamento l’impresa (nell’ipotesi di cui agli artt. 67, terzo comma, lett. d) L.F.). Analoga considerazione andrà effettuata per gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis L.F. laddove il professionista dovrà esprimersi anche su: (i) le previsioni contenute nel piano rispetto alle disposizioni contrattuali previste negli accordi sottoscritti (o in via di sottoscrizione) con i creditori aderenti all’accordo; (ii) verificare che questi ultimi rappresentino correttamente almeno il 60% dei debiti della società; (iii) garantire, attraverso i flussi di cassa previsti nel piano, il regolare soddisfacimento integrale dei creditori estranei all’accordo ([86]).

Nei casi di concordato preventivo, una volta verificata la veridicità dei dati aziendali, l’attestazione di fattibilità del piano si dovrà tradurre in un giudizio sulla concreta realizzabilità della forma e della misura di soddisfacimento dei creditori individuata nella domanda di concordato preventivo stesso.

Nell’ipotesi del piano di risanamento predisposto al fine di presentare una domanda di concordato in continuità aziendale (ex art. 186-bis LF), la valutazione operata dal professionista incaricato dell’attestazione sarà relativa alla convenienza della continuazione dell’attività aziendale rispetto all’ipotesi di liquidazione dei beni aziendali. Si dovrà, pertanto, operare un confronto tra i due scenari, tenendo conto che, nell’ipotesi di continuità aziendale, la prosecuzione dell’attività aziendale potrà avvenire sia in capo al debitore medesimo sia attraverso la cessione, o il conferimento, dell’azienda ad un soggetto terzo.

Indipendentemente dall’istituto prescelto dall’impresa per la soluzione della crisi, quindi, la relazione di attestazione consiste in un giudizio di verifica informata e diligente sui presupposti del piano, sulla logicità e ragionevolezza delle analisi previsionali e sulle metodologie organizzative, cui l’attestatore perverrà dopo aver espletato tutte le attività ritenute dai Principi necessarie per la verifica dei dati previsionali. In tal modo, e solo in tal modo, il professionista potrà valutare criticamente, secondo metodiche, considerate best practice, gli aspetti di variabilità e di vulnerabilità delle ipotesi che sottostanno ai dati presentati dal debitore.

La relazione di attestazione deve contenere separatamente il giudizio sulla veridicità dei dati aziendali e il giudizio di fattibilità del piano ([87]).

Con riferimento all’analisi della base dati contabile l’attestatore deve compiutamente relazionare e documentare le verifiche strumentali al giudizio sulla veridicità svolte sulle singole poste dell’attivo e del passivo ([88]). A tale fine deve evidenziare: a) le tecniche di revisione utilizzate; b) le categorie di asserzioni indagate (esistenza, completezza, diritti e obblighi, manifestazione, valutazione, misurazione, presentazione e informativa); c) l’estensione dei campioni osservati; d) i risultati ottenuti.

Con riguardo alla fattibilità, il professionista esprime se le ipotesi alla base del piano siano in linea con l’orizzonte temporale del piano stesso e esplicita il proprio giudizio sulla correttezza e la coerenza dello sviluppo quantitativo del piano sulla base delle ipotesi formulate dalla società. Sulla strategia di risanamento contenuta nel piano, l’attestatore deve sinteticamente riassumerne i tratti fondamentali ed esprimere il proprio giudizio circa l’idoneità a consentire il superamento della crisi ([89]).

Il giudizio sulla veridicità dei dati aziendali, come indicato in precedenza, può essere positivo o negativo; al giudizio negativo è equiparato il caso nel quale vi sia l’impossibilità di esprimere un giudizio (ad es. impossibilità di verificare la fondatezza di ipotesi che condizionano significativamente la fattibilità del piano)([90]).

Come evidenziato nei Principi “in assenza di un giudizio positivo in merito alla veridicità della base dati non si crede possibile giungere ad esprimere un giudizio finale sulla fattibilità del piano ed è pertanto inopportuno, salvo casi eccezionali, che l’attestatore si esprima in merito alla fattibilità del piano” ([91]).

Il giudizio di fattibilità del piano può essere positivo o negativo; al giudizio negativo è equiparato il caso nel quale vi sia impossibilità di esprimere un giudizio (ad esempio impossibilità di verificare la fondatezza di ipotesi che condizionano significativamente la fattibilità del Piano).

Nei Principi si afferma, infine, che “qualora la fattibilità del piano dipenda da specifici eventi futuri circoscritti nel tempo l’attestazione è immediatamente efficace se l’attestatore attesta che sussiste una elevata probabilità che essi si verifichino; é sospensivamente condizionata negli altri casi. Nel secondo caso, la condizione deve verificarsi perché l’attestazione produca i propri effetti. L’attestazione condizionata è da considerarsi ammissibile purché gli eventi iniziali siano specificatamente individuati ed esplicitati dall’attestatore che deve anche indicare l’orizzonte temporale entro quale devono verificarsi” ([92]).

Contestualmente al rilascio della relazione di attestazione, li Principi raccomandano che l’attestatore ottenga, da parte della direzione aziendale, l’evidenza del riconoscimento della propria responsabilità per la corretta predisposizione della situazione patrimoniale, economica e finanziaria (oggetto di verifica ed attestazione) in osservanza alle norme che ne disciplinano la redazione. Le attestazioni della direzione ([93])sono tra l’altro volte a garantire all’attestatore, anche ai sensi e per gli effetti degli artt. 1227 e 2409 cod. civ., completezza, autenticità e attendibilità della documentazione messa a disposizione ai fini dell’espletamento dell’attività, nonché correttezza ed esattezza delle informazioni ivi contenute e di quelle comunicate verbalmente e riepilogate nella cd. “representation letter” ([94]).



[1]Il presente lavoro è frutto di una stretta collaborazione tra gli autori in fase sia di impostazione, sia di elaborazione. Tuttavia, i paragrafi 1, 2, 4 e 5 sono da attribuirsi a Stefano Ambrosini e i paragrafi 3, 6, 7 e 8 sono da attribuirsi ad Alberto Tron.

[2]Stefano Ambrosini è professore ordinario di Diritto Commerciale all’Università del Piemonte Orientale, docente di Diritto della Crisi d’Impresa alla LUISS Guido Carli e avvocato. E’ stato membro del Tavolo tecnico istituito nel 2012 presso il Ministero della Giustizia. E’ componente della Commissione di riforma della legge fallimentare nominata dal Ministro della Giustizia nel gennaio 2015. Alberto Tron è professore incaricato di Economia Aziendale all’Università di Pisa, dottore commercialista e revisore legale. Ha fatto parte del Gruppo di lavoro che ha redatto i “Principi di attestazione dei piani di risanamento”.

[3] I Principi di attestazione dei piani di risanamento sono stati redatti da AIDEA–IRDCEC–ANDAF–APRI-OCRI.Si tratta del frutto di un progetto di ricerca, sorto nel 2013, che è stato occasione di collaborazione tra il mondo accademico (AIDEA, associazione che riunisce i docenti universitari delle discipline aziendali) e quello professionale rappresentato da IRDCEC (Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e Esperti Contabili), da ANDAF (Associazione Nazionale dei Dottori Amministrativi e Finanziari), da APRI (Associazione Professionisti Risanamento delle imprese) e da OCRI (Osservatorio Crisi e Risanamento delle imprese) che ha portato alla pubblicazione della bozza in consultazione, nel febbraio 2014, ed alla stesura definitiva, nel giugno 2014, del documento intitolato “Principi di attestazione dei piani di risanamento”.

[4] Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella Legge 7 agosto 2012, n. 134.

[5] Ambrosini-Aiello, I piani attestati di risanamento: questioni interpretative e profili applicativi, in www.ilcaso.it, 11 giugno 2014, p. 43 e ss.; Corsi, I piani attestati, in Vassalli-Luiso-Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, vol. III, Gli effetti del fallimento, Torino, 2014; Fabiani, sub art. 2221, in De Nova (a cura di), Fallimento e concordato preventivo. Commentario del codice civile e codici collegati Scialoja-Branca-Galgano, vol. II, Bologna, 2014, p. 117; Fabiani, Fase esecutiva degli accordi di ristrutturazione e varianti del piano e dell’accordo, in Il Fallimento, n. 6/2013, p. 769; Guiotto, L’attestazione negli artt. 67 e 182 bis: profili comparativi, in Il Fallimento, n. 10/2014, p. 1029; Stasi, La terzietà dell’attestatore, in Il Fallimentarista.it, 2012; Vitiello, Attestazione di veridicità e fattibilità nelle soluzioni concordate della crisi d’impresa. Profili problematici, Il Fallimentarista, 6 dicembre 2011. L’autore indica, peraltro, che “la relazione attestatrice per essere idonea e conforme ai principi, deve essere analitica, completa, esaustiva, coerente e non contradditoria, esplicativa dell’iter dei controlli posti in essere per concludere positivamente in punto di veridicità e fattibilità”. Una recente sentenza del Tribunale di Genova indica che la relazione di un professionista, ex art. 182-bis L.F., difetta di sufficiente analiticità e motivazione sulla veridicità dei dati aziendali in quanto non sono osservati i principi elaborati dalla dottrina commercialistica con il documento redatto da AIDEA-IRDCEC-ANDAF-OCRI. Tali principi, pur non avendo efficacia normativa, costituiscono un valido orientamento idoneo a valutare in qualità delle attestazioni, Trib. di Genova, Sez. Fallimentare, 7 luglio 2014.

[6] Principio 2.1, Principi di attestazione.

[7] Principio 2.2.1, Principi di attestazione.

[8] Principio 2.2.4, Principi di attestazione.

[9] Principio 2.5.2, Principi di attestazione.

[10] Principio 2.5.5, Principi di attestazione.

[11] Principio 2.6.1, Principi di attestazione.

[12] I dati contenuti nella relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale ed economico-finanziaria dell’impresa… costituiscono la base da cui muovere per la verifica circa la fattibilità del piano: cfr., tra gli altri, Ambrosini, Profili giuridici della crisi d’impresa alla luce della riforma del 2012, in Ambrosini – Andreani – Tron, Crisi d’impresa e restructuring. Aspetti economico-aziendali, giuridici e fiscali alla luce delle prime applicazioni e interpretazioni delle norme introdotte dalla legge 134/2012, Milano, 2013, 150 ss.. Nei Principi di attestazione dei piani di risanamento, nel rafforzare tale fondamento, si legge che il giudizio sulla veridicità è una valutazione che riguarda il complessivo sistema di dati attorno ai quali è costruito il piano. Si possono quindi verificare situazioni nelle quali l’Attestatore considera non veritieri alcuni dati, senza che per questo sia inficiata la veridicità complessiva del suddetto sistema. Tali situazioni richiederanno particolare attenzione per capirne il riflesso nella costruzione del piano ed andranno comunque espressamente menzionate nella relazione finale”, principio n. 4.1.1. Per ulteriori approfondimenti si rinvia a Quagli, Le attestazioni di fattibilità dei piani di risanamento nelle procedure concorsuali, in Esercizio provvisorio e strumenti alternativi per la continuità aziendale, di Galletti-Panizza-Danovi-Ferri-Riva-Cesare-Quagli, Milano, 2013; Bertolini Clerici – Bottai – Paglighi, Il professionista attestatore: relazioni e responsabilità, Milano, 2014.

[13] Ambrosini-Aiello, I piani attestati di risanamento: questioni interpretative e profili applicativi, in Il Caso, sez. Crisi d’impresa e Fallimento, 11 giugno 2014; Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, XI, 1, Padova, 2008, 69.

[14] Nei Principi di attestazione dei piani di risanamento, nel rafforzare tale fondamento, si legge che il giudizio sulla veridicità è una valutazione che riguarda il complessivo sistema di dati attorno ai quali è costruito il piano. Si possono quindi verificare situazioni nelle quali l’Attestatore considera non veritieri alcuni dati, senza che per questo sia inficiata la veridicità complessiva del suddetto sistema. Tali situazioni richiederanno particolare attenzione per capirne il riflesso nella costruzione del piano ed andranno comunque espressamente menzionate nella relazione finale”, art. 4.1.1. Per ulteriori approfondimenti si rinvia a Quagli, Le attestazioni di fattibilità dei piani di risanamento nelle procedure concorsuali, in Esercizio provvisorio e strumenti alternativi per la continuità aziendale, di Galletti-Panizza-Danovi-Ferri-Riva-Cesare-Quagli, Milano, 2013.

[15], Principio n. 4.1., Principi di attestazione. Non a caso, già prima della novellazione degli artt. 67, terzo comma, lett. d), e 182-bis avvenuta nel 2012, in molti avevano sostenuto come il requisito della veridicità dei dati dovesse considerarsi implicitamente prescritto anche in ambito non concordatario.

[16] In tale senso la Relazione di accompagnamento del Decreto Legislativo 9 aprile 1991, n. 127.

[17] Principi di attestazione dei piani di risanamento, principio n. 4.2.1.

[18] Meo, I piani attestati di risanamento, in “Scritti in onore di Marcello Foschini”, Padova, 2011

[19] Valensise, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, Torino, 2012.

[20] A tale scopo il professionista può avvalersi, secondo i principi di revisione, di metodi di verifica del sistema di controllo interno (SCI) e dei processi aziendali; si tratta di sondaggi, osservazioni e “walk through test”. Tale ultima metodologia consiste in una ricostruzione dettagliata di un’operazione aziendale dall’inizio alla fine, compresi i documenti ad esso legati quali, ad es. ordini, bolle di consegna, fatture, visti, ecc. In particolare, i “walk through test” vengono esplicitamente sottolineati nello standard di revisione come un adeguato strumento in materia. Per approfondimenti si rinvia, inter alia, a Sutter – Hunziker - Grab – Ferrari, Guida al Sistema di controllo Interno, Haupt, 2012.

[21] Più specificatamente, nei Principi di attestazione si ribadisce che “le procedure da svolgere non costituiscono una revisione contabile completa, o una revisione limitata in accordo con gli statuiti principi di revisione e, di conseguenza, non comportano l’espressione di un giudizio professionale sulla situazione patrimoniale emergente dalla contabilità aziendale posta alla base del Piano. Le procedure di revisione che l’Attestatore è chiamato a utilizzare in relazione alla base dati contabile del piano sono finalizzate alla espressione del giudizio di veridicità e fattibilità del piano nel suo insieme. Non essendo, tuttavia, esse applicabili in toto, il richiamo ai principi di revisione nazionali ed internazionali deve essere inteso come riferimento a “tecniche di revisione” da impiegarsi come strumenti metodologici e ispiratori del lavoro di attestazione”, principio n. 4.3.6.

[22] Come indicato nei Principi di attestazione, prevedere che i principi di revisione siano adottabili in toto non è di fatto attuabile in quanto non necessario in relazione alle finalità del giudizio di attestazione ed in considerazione, vieppiù, della scarsità di tempo disponibile. Ne consegue che il professionista non può essere equiparato, sotto il profilo giuridico, al revisore legale di società, e conseguentemente non deve ritenersi soggetto al rispetto di tali principi, come accade per quest’ultimo. Si rinvia, per approfondimenti, al principio n. 1.6, Principi di attestazione.

[23] Si considerano quali riferimenti di estrema utilità, oltre agli statuiti principi di revisione, anche gli International Standard on Assurance Engagements (ISAE) che si riferiscono a incarichi “other than audits or reviews of historical financial information” principalmente agli ISAE n. 3000 e 3400.

[24] Al fine di una corretta pianificazione delle verifiche da effettuare da parte del professionista è importante analizzare l’attività che svolge l’azienda, come la svolge e qual è la sua organizzazione, non solo nel settore amministrativo, che è quello più toccato dal professionista, ma in tutti i settori. Ad es., l’attività di verifica sarà programmata diversamente in una società che svolge attività di produzione e vendita di beni di largo consumo, che in un’azienda che produce beni per l’industria; la prima avrà una clientela molto più vasta, con un giro d’affari più limitato, la seconda avrà un numero di clienti più ristretto, ma con un giro d’affari più elevato. Per approfondimenti si rinvia, ex multis, a Marchi, Revisione aziendale e sistemi di controllo interno, seconda edizione, Milano, 2008.

[25] Il che conferma come i bilanci difformi dal principio di rappresentazione veritiera e corretta non contrastino di per sé con la veridicità dei dati aziendali. L’assunto, d’altronde, costituisce ormai jus receptum, avendo la giurisprudenza di legittimità di recente ribadito che “i dati aziendali non sono quelli risultanti dalle scritture contabili, la cui regolare tenuta (…), dopo la riforma, non è più prevista tra le condizioni di ammissibilità del concordato”, (…) bensì “in quelli risultanti dai documenti che devono essere prodotti unitamente al ricorso”, cfr. Cass., 31 gennaio 2014, n. 2130

[26] Principio n. 4.7.1, lett. m), Principi di attestazione. Il Balance Sheet Audit, ossia la revisione del solo stato patrimoniale, è una tecnica di analisi utilizzata dal revisore quando riceve l’incarico di effettuare il primo intervento di revisione del bilancio di un’impresa che non era stata assoggettata a tali procedure. Generalmente in questi casi non si ha la possibilità di concludere sui dati mostrati dal conto economico perché, in mancanza di una revisione del bilancio precedente, qualsiasi errore sui saldi di apertura che riflette sul conto economico dell’esercizio, senza che il revisore abbia la possibilità di rilevarlo. Per approfondimenti si rinvia, ex multiis, a Il processo di revisione contabile, a cura di Cadeddu e Portaluppi, Milano, 2009, p. 24.

[27] Con riferimento alla verifica delle componenti di conto economico si ritiene che quest’ultima sia necessaria solo nei casi in cui i dati reddituali consuntivi costituiscano un elemento fondamentale posto alla base delle proiezioni (certamente maggiormente utili per un piano in continuità). Cfr. principio n. 4.3.2, Principi di attestazione,

[28] Una recente sentenza del 7 luglio 2014 del Tribunale di Genova ha richiesto un’integrazione alla relazione di attestazione in un ricorso ex art. 182-bis LF in quanto la stessa “difetta di sufficiente analiticità e motivazione sulla veridicità dei dati aziendali, quantomeno in relazione alla sussistenza dei crediti verso clienti e alle scorte di magazzino” e rinvia ai Principi di attestazione dei piani di risanamento in parola che “pur privi di efficacia normativa, possono essere ritenuti un valido orientamento idoneo a valutare la qualità delle attestazioni”, cfr. www.ilcaso.it. Altra sentenza del 19 aprile 2013 del Tribunale di Bassano del Grappa ha affermato che l’attestazione di veridicità dei dati contabili aziendali implica non solo la verifica della loro corrispondenza con quelli esposti nella proposta concordataria ma anche un accertamento preventivo che tali dati trovino riscontro nella realtà effettiva. La ristrettezza del tempo a disposizione non può in alcun modo giustificare la sommarietà e la superficialità degli accertamenti, così come l’attestazione della verifica dei dati aziendali e il conseguente giudizio di fattibilità del piano concordatario non possono essere fondati su un’apodittica ricezione dei dati ricavabili delle scritture contabili dell’impresa proponente (massima). Secondo la giurisprudenza, pertanto, l’attestatore non può limitarsi a mere presunzioni di conformità, ma deve analizzare funditus tutti i dati esposti dall’impresa, e ciò mediante una verifica della consistenza effettiva del suo patrimonio, verifica che deve essere la più completa possibile oltre che motivata adeguatamente. Siffatto orientamento è condiviso dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritaria; il concetto di veridicità dei dati aziendali si concretizza nella “rappresentazione veritiera e corretta ex art. 2423” intesa “in termini di corrispondenza al vero” (cosi, da ultimo, Trib. Benevento, 23.4.2013, ma già Trib. Monza 22.01.2013), cfr. De Micheli, L’attestatore che non verifica la veridicità dei dati aziendali non da diritto al compenso per il suo operato, in Il Fallimentarista, 01.10.2013.

[29] Potito-Incollingo, La ristrutturazione del debito e le relazioni attestative nella prospettiva economico-aziendale, in Paparella (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano, 2013., 972.

[30] In tale senso Chiaruttini, Il contenuto dell’attestazione professionale, in Fabiani - Guiotto (a cura di), Il ruolo del professionista nei risanamenti aziendali, Torino, 2012.

[31] Quagli, op. cit., 2013.

[32] In caso di verifica del lavoro di altri revisori da parte del professionista, quest’ultimo deve formulare apposita richiesta all’azienda circa l’intenzione di consultare le risultanze dei controlli del revisore legale e/o dialogare con tale soggetto in merito ai controlli svolti o da svolgere. Si deve menzionare, a tale fine, il documento di ricerca n. 180 di Assirevi (gennaio 2014) denominato “La società di revisione e l’attività dell’attestatore nelle procedure di risoluzione della crisi d’impresa alternative al fallimento” in cui vengono tracciate linee guida di comportamento della società di revisione che, nell’ambito delle procedure di risoluzione della crisi d’impresa alternative al fallimento, riceva richieste di svolgimento di attività da parte della società in crisi o da parte del professionista a cui è affidato l’incarico di attestatore.

[33] Principio n. 4.6.5, Principi di attestazione

[34] La collaborazione con il revisore legale rappresenta un elemento che può ridurre i rischi della verifica sulla veridicità dei dati aziendali propria del professionista, specie nel caso in cui vi sia una relazione positiva senza rilievi del revisore legale riferita ad una recente situazione contabile. Nel caso in cui il professionista decida di basare il proprio giudizio di veridicità in parte sull’attività di revisione posta in essere da terzi, egli fa letteralmente suo il lavoro svolto da questi e ne risponde con la conseguenza che, nel caso in cui in seguito tale lavoro si dovesse rilevare non attendibile, il professionista ne sarebbe responsabile come se avesse effettuato le verifiche in prima persona. In tale senso v. art. 4.6.6., Principi di attestazione dei piani di risanamento, op. cit..

[35] Incollingo-Potito, op. cit., 2013; Riva, L’attestazione dei piani delle aziende in crisi, Milano, 2009.

[36] In tale senso si è espresso il Tribunale di Novara, con sentenza del 29 giugno 2012, evidenziando come “quanto al requisito dell'attestazione di veridicità dei dati aziendali, la relazione del professionista assume il carattere di documento rappresentativo non di fatti, ma di un vero e proprio giudizio (v. Trib. Salerno 4.7.2006 in www.ipsoa.it/fallimento), il quale riveste, a sua volta, ruolo propedeutico e strumentale rispetto alla successiva prognosi di fattibilità del piano, pure devoluta al professionista (v. Trib. Monza 17.10.2005, in Diritto e Pratica Società, 2005, n. 22, p. 67). In particolare, i dati aziendali sono veridici se risultano idonei a rappresentare l'effettiva situazione patrimoniale, economica e finanziaria, analiticamente esposta, della società, cosicché possa ritenersi che i beni e le attività aziendali, correttamente valutati, siano effettivamente idonei a soddisfare i creditori concorrenti nelle percentuali proposte (v. Trib. Ancona, 30.11.2006). In considerazione dell'essenziale funzione informativa assegnata dalla nuova disciplina alla relazione in esame, il livello di accertamento richiesto al professionista è delineato in termini necessariamente rigorosi; pertanto, l'attestazione di veridicità dei dati aziendali non può costituire un mero atto di fede ricollegabile all'esistenza di documenti formali, bensì un giudizio fondato su elementi obiettivi che consentano di desumerne una sicura affidabilità (v. sul punto C. App. Torino, 19.6.2007)”.

[37] In sede di ammissione al concordato preventivo, il tribunale deve verificare che la relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa contenga una dettagliata esposizione della situazione stessa, che lo stato analitico ed estimativo delle attività possa considerarsi tale e che la relazione del professionista attestante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano sia adeguatamente motivata, indicando le verifiche effettuate nonché la metodologia ed i criteri seguiti per pervenire all’attestazione; non deve, invece, valutare se effettivamente i dati aziendali siano veridici o meno, contrariamente a quanto affermato dal professionista, posto che tale attività spetta al commissario giudiziale dopo l’apertura della procedura, il quale, se riscontra la non veridicità dei dati esaminati, ne informa immediatamente il tribunale, che d’ufficio procede alla revoca del concordato.  Cass.civ., sez I, 25 ottobre 2010, n.21860 in www.ilcaso.it., 2010.

[38]ISRE 2410 – Review of interim financial information performed by the independent auditor of the entity.

[39]Per approfondimenti si rinvia, inter aliis, a Il processo di revisione contabile, a cura di Cadeddu e Portaluppi, op. cit., p. 89. In relazione alla verifica sulla coerenza tra l’informativa fornita dagli amministratori nella relazione intermedia sulla gestione ed il bilancio intermedio si rinvia a ISRE 2410, par. 36: “The auditor should read the other information that accompanies the interim financial information to consider whether any such information is materially inconsistent with the interim financial information. If the auditor identifies a material inconsistency, the auditor considers whether the interim financial information or the other information needs to be amended. If an amendment is necessary in the interim financial information and management refuses to make the amendment, the auditor considers the implications for the review report. If an amendment is necessary in the other information and management refuses to make the amendment, the auditor considers including in the review report an additional paragraph describing the material inconsistency, or taking other actions, such as withholding the issuance of the review report or withdrawing from the engagement. For example, management may present alternative measures of earnings that more positively portray financial performance than the interim financial information, and such alternative measures are given excessive prominence, are not clearly defined, or not clearly reconciled to the interim financial information such that they are confusing and potentially misleading”. ISRE 2410, par. 37: “If a matter comes to the auditor's attention that causes the auditor to believe that the other information appears to include a material misstatement of fact, the auditor should discuss the matter with the entity's management. While reading the other information for the purpose of identifying material inconsistencies, an apparent material misstatement of fact may come to the auditor's attention (i.e., information, not related to matters appearing in the interim financial information, that is incorrectly stated or presented). When discussing the matter with the entity's management, the auditor considers the validity of the other information and management's responses to the auditor's inquiries, whether valid differences of judgment or opinion exist and whether to request management to consult with a qualified third party to resolve the apparent misstatement of fact. If an amendment is necessary to correct a material misstatement of fact and management refuses to make the amendment, the auditor considers taking further action as appropriate, such as notifying those charged with governance and obtaining legal advice”.

[40] Il professionista deve conservare la documentazione dell’attività svolta che fornisca sufficiente ed appropriata evidenza degli elementi a supporto del giudizio ed evidenzia che il lavoro sia stato svolto in conformità ai principi ed alle norme e ai regolamenti applicabili (principio n. 7.5.1, Principi di attestazione). Nel documentare la natura, la tempistica e l’estensione delle procedure di revisione svolte, è opportuno rilevare gli elementi identificativi delle specifiche voci o degli aspetti oggetto di verifica. Rilevare gli elementi identificativi è utile per diverse finalità. Ad esempio, consente di dare conto dell’attività svolta e agevola l’analisi di eccezioni o incongruenze. Gli elementi identificativi variano a seconda della natura della procedura impiegata e della voce o dell’aspetto da verificare (cfr. principio n. 7.5.6, Principi di attestazione, op. cit.

[41] Principio n. 7.2.6, Principi di attestazione.

[42] Sotto il profilo metodologico, il professionista deve redigere la relazione in modo tale da consentire la ricostruzione dell'iter logico posto a base delle sue valutazioni, dando conto dei riscontri e della documentazione esaminata, nonché della metodologia seguita nei controlli effettuati. In tal senso si sono espressi il Tribunale di Messina, con sentenza del 30 dicembre 2005, e più recentemente il Tribunale di Novara, con sentenza del 29 giugno 2012

[43] Principio n. 7.4.3, Principi di attestazione.

[44] Principio n. 7.4.4, Principi di attestazione.

[45]Principio n. 4.3.5, Principi di attestazione.

[46] Principi nn. 4.6.4, 4.7.1, 4.7.2 ,Principi di attestazione.

[47] Principio 5.1.1., Principi di attestazione.

[48] Principio 5.1.2., Principi di attestazione.

[49] Principio 4.5.10., Principi di attestazione.

[50] Principio 4.8.2., Principi di attestazione.

[51] Principio 4.8.3, Principi di attestazione.

[52] Principio 4.8.4, Principi di attestazione.

[53] Principio 4.9.2, Principi di attestazione.

[54] Principio 4.9.1, Principi di attestazione.

[55] Cass., 26 giugno 2014, n. 14552.

[56] Cass., 4 giugno 2014, n. 12533.

[57] Principio 4.9.1, Principi di attestazione.

[58] Principio 6.1, Principi di attestazione.

[59] Principio n. 6.2, Principi di attestazione.

[60] Principio n. 6.3, Principi di attestazione.

[61] Principio n. 6.4, Principi di attestazione.

[62] Principio n. 6.5, Principi di attestazione.

[63] Cfr. principio n. 5.3.3, Principi di attestazione, op.cit. in cui si raccomanda che «l’esame degli indici di bilancio di redditività, liquidità, efficienza e solidità, permette di evidenziare gli effetti della crisi su fenomeni di natura reddituale, finanziaria (insufficiente generazione di cassa), e patrimoniale. Quest’analisi aiuta l’attestatore nella valutazione del percorso che l’azienda intende intraprendere valutando se lo stesso conduca al risanamento».

[64] Al riguardo è possibile, ed auspicato, l’utilizzo delle metodologie proprie delle analisi aziendali come ad esempio l’analisi PEST (Politica, Economica, Sociale e Tecnologica) o SWOT (punti di forza, debolezza, opportunità e minacce). Possono fornire utile approfondimento, tra gli altri, i seguenti testi Alberti, Gandolfi, Larghi, La pratica del problem solving, Milano, 2004; Costa, Gubitta, Organizzazione aziendale. Mercati, gerarchie e convenzioni, McGraw-Hill, 2004; Daft, Organizational Theory and Design, South-Western Thomson Learning, 2004; De Vecchi, Grandori., I processi decisionali d'impresa la scelta dei sistemi informativi, Milano, 1983; Porter, Competitive Advantage, The Free Press, New York, 1985; Van Aken, Berends., Van Der Bij, Problem Solving in Organizations, Cambridge University Press, 2009.

[65] Per approfondimento si rinvia, inter aliis, a Riva, La relazione di attestazione: struttura e contenuto, in Danovi-Quagli, Crisi aziendali e processi di risanamento, Milano, 2010, 273.

[66] ISAE (International Standards on Assurance Engagements) 3400 è relativo a“The Examination of Prospective Financial Information”.

[67] Per approfondimenti si rinvia, ex aliis, Riva, op. cit., e Quagli, Comunicare il futuro. L’informativa economico-finanziaria di tipo previsionale delle società quotate in Italia”, Milano, 2004.

[68] Nei Principi di attestazione si fa esplicito riferimento all’”arco temporale oggetto di considerazione (che) deve …. attestarsi a data non anteriore al momento in cui, in base al Piano, è previsto che siano soddisfatti i creditori, ovvero, nel caso di continuità aziendale siano ripristinate le normali condizioni di finanziamento (e di fido) ovvero nel caso di prosecuzione di contratti pubblici, siano ripristinate condizioni che consentano un regolare adempimento degli stessi”, art. 6.5.11.

[69] Di Pace, Le procedure concorsuali dopo il decreto sviluppo, Rimini, 2012.

[70] Sul punto anche Assonime ritiene che l’arco temporale del piano, entro il quale l’impresa deve raggiungere una condizione di equilibrio economico-finanziario, non deve estendersi oltre i tre-cinque anni. Il piano potrebbe avere una durata più lunga fermo restando che il raggiungimento dell’equilibrio non dovrebbe avvenire in un termine maggiore. In una tale circostanza è però necessario motivare adeguatamente una tale lunga durata, argomentando anche le ipotesi e le stime previsionali utilizzate.

[71] Danovi - Quagli, op. cit.

[72] «Preso atto dell'importanza della componente temporale, è utile soffermarsi sui principali fattori che possono influenzare la durata di un piano di ristrutturazione e che, pertanto, dovranno essere tenuti in considerazione insieme in sede di pianificazione. È possibile segnalare, tra gli altri: i tempi necessari alla definizione delle linee guida dei progetti risanamento e allo svolgimento di tutte le analisi propedeutiche di natura economica, finanziaria, industriale e strategica; la multietnicità dei soggetti coinvolti (banche, fornitori, sindacati, consulenti, amministrazioni centrali e locali, ecc.) con i quali l’azienda è chiamata dialogare al fine di condividere e negoziare i termini dello stesso; gli adempimenti previsti dalle disposizioni di legge nel caso in cui si prevede che si effettuino operazioni straordinarie (es. fusioni, scissioni, conferimenti, liquidazioni volontarie, ecc.); la presenza di competenze interne all’azienda adeguate a gestire un’accresciuta complessità dei processi finanziari e una molteplicità di attività di natura straordinaria», cfr. Castellano, Pajardi, Pianificare il risanamento, in Quagli-Danovi, Gestione della crisi aziendale e dei processi di risanamento. Prevenzione e diagnosi, terapie. Casi aziendali, Ipsoa, 2008, p. 229. Inoltre si veda, tra gli altri, Riva, op.cit., p. 162 e ss.

[73] Nei Principi di attestazione si indica che “mediante l’analisi di sensitività l’Attestatore verifica gli effetti di eventuali modifiche nelle ipotesi alla base del Piano. Le analisi di sensitività si estrinsecano nello stimare come si modifichino i valori del Piano al verificarsi di variazioni nelle ipotesi di fondo (what-if analysis), al fine di comprendere se il Piano conservi o meno la propria tenuta prospettica sotto il profilo sia della sostenibilità economico-finanziaria. L’analisi assume particolare rilevanza anche sotto il profilo della “bancabilità” con particolare riferimento al rispetto dei covenants di solito presenti negli accordi di ristrutturazione”, principio n. 6.6.3. Cfr. per approfondimenti, ex aliis, Lewis, Organizational Crisis Managment: The Human Factor, Taylor & Francis, 2006; Buterra, Il cambiamento organizzativo. Analisi e progettazione, Laterza 2009; Basile, Brevi note in tema di impostazione delle analisi di sensitività nell’ambito dei piani di risanamento, in Economia Diritto e Finanza di Impresa, 2013, v. 14, n. 3.

[74] Principio n. 6.6.4, Principi di attestazione

[75] Principio n. 6.6.6, Principi di attestazione. In nota viene indicato che “lo stress test dei risultati economici potrebbe riguardare i seguenti punti: tasso di crescita dei volumi o dei prezzi di vendita; incidenza del costo del venduto sul fatturato; margine lordo di contribuzione in percentuale [(Ricavi – costi variabili)/Ricavi]; tasso di riduzione dei costi di struttura; grado di esternalizzazione di servizi/funzioni. In particolare il tasso di crescita dei ricavi dovrebbe essere ancorato alla variabile chiave dello sviluppo quale il numero di clienti, il numero di punti vendita, la percentuale di occupazione, il fattore di carico, il fatturato per metro lineare, etc. Lo stress test del riequilibrio della situazione finanziaria potrebbe riguardare le seguenti ipotesi: incidenza del capitale circolante netto sul fatturato; tasso di reinvestimento del flusso di cassa operativo corrente a sostegno della crescita; modifiche delle condizioni riservate ai clienti e ottenute dai fornitori; giorni di rotazione del magazzino. Lo stress test del risanamento della posizione debitoria potrebbe riguardare le seguenti ipotesi: percentuale dell’attivo immobilizzato destinato a disinvestimento e smobilizzo; passività originate dalla riorganizzazione aziendale (es: organico interno o revisione rete commerciale; tasso di autofinanziamento; costo dell’indebitamento”.

[76] «Lo scostamento si intende “significativo” allorquando l’ipotesi contenuta nel piano e assunta a milestone non sia più realizzabile ovvero lo sia, ma a condizioni economiche e/o temporali incompatibili con il rispetto del cronoprogramma e/o degli obiettivi su cui si basa il piano», cfr. Linee-guida per il finanziamento delle imprese in crisi, op. cit., 48.

[77] Cfr., per approfondimenti, ex aliis, Lenahan, Turnaround, Shudown and Outage Management: Effective Planning and Step-by-Step Execution of Planned Maintenance Operations, Elsevier Science, 201; Reina, Gestione del personale e cambiamento organizzativo nell’amministrazione pubblica, Milano, 2000.

[78] Fin dai primi anni Sessanta, si dimostrò che i cambiamenti nelle strategie provocano mutamenti nelle strutture organizzative e che durante lo sviluppo, le organizzazioni evolvono da una struttura a un’altra, spinte dalle inefficienze della struttura precedente. Cfr. Chandler, Strategy and Structure. Chapters in the History of American Industrial Enterprise, MIT Press, 1962; Sloan, My Years with General Motors, Doubleday, 1964. Cfr. anche, tra gli altri, Cafferata (a cura di) Direzione e Organizzazione Aziendale, Aracne, 2007; Cafferata, Management in Adattamento. Tra Razionalità Economica e Imperfezione dei Sistemi, Il Mulino, Bologna, 2009.

[79] Per una più approfondita disanima dei concetti qui esposti è possibile prendere come riferimento Ambrosini, Andreani, Tron, op. cit., 2013.

[80] Si rinvia, per approfondimenti, tra gli altri, a Paton e MCCalman, Change Management: A Guide to Effective Implementation, SAGE Publications, 2008; Anderson e Anderson, Beyond Change Management: How to Achieve Breakthrough Results Through Conscious Change Leadership, Wiley, 2010.

[81] Ci si riferisce, ovviamente, ai piani che si trovino a non mantenere le attese per un’insufficiente presenza delle competenze distintive necessarie all’implementazione delle azioni previste all’interno dell’azienda, e non per peggioramenti delle condizioni del mercato, non imputabili all’azienda, e non prevedibili nel piano.

[82] Cfr. Ambrosini, Andreani, Tron, op.cit., 2013, p. 213 e ss.

[83] Al riguardo per approfondimenti si veda, tra gli altri, J. Child, Organization: Contemporary Principles and Practice, Wiley, 2005; Burton, Organization design: the evolving state-of-the-art, Springer Science+Business Media, LLC, 2006; Burton, Obel e De Sanctis, Organizational Design: A Step-by-Step Approach, Cambridge University Press, 2011; Stanford, Organization Design, Taylor & Francis, 2012.

[84] Cfr. Ambrosini, Andreani, Tron, op.cit., 2013, p. 213 e ss., e per approfondimenti Lehanan, Turnaround, Shutdown and Outage Management: Effective Planning and Step-by-Step Execution of Planned Maintenance Operations, Elsevier Science, 2011; Reina, Gestione del personale e cambiamento organizzativo nell'amministrazione pubblica, Rubbettino, 2003; Brusa, Sistemi manageriali di programmazione e controllo, Giuffrè Editore, Milano, 2000.

[85] Cfr. Ambrosini, Andreani, Tron op.cit., 2013, p. 213 e ss., e per approfondimenti Lewis, Organizational Crisis Management: The Human Factor, Taylor & Francis, 2006; Slatter e Lovette, Corporate recovery: managing companies in distress, Beard Group Incorporated, 1999; Butera, Il cambiamento organizzativo. Analisi e progettazione, Laterza, 2009; Trequattrini, Processo decisionale e valore delle aziende. Un approccio integrato, Giappicchelli, 2004; Campedelli, La salvaguardia del valore aziendale. Rischio, controllo, performance. Giappichelli, 2007; Bianchi Martini, Introduzione all’analisi strategica dell’azienda, Giappichelli, 2009; Foglio, Change management come strategia d’impresa. Governare futuro e cambiamenti e tramutarli in opportunità, Franco Angeli, 2011; Greiner, Patterns of organizational change, Harvard Business Review, Vol. 45: Albanese, Managing: toward accountability for performance, 1981.

[86] Si rinvia, per una comparazione delle analogie e differenze dei piani attestati ex art. 67, terzo comma, lett. d) L.F. e degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis L.F., segnatamente agli aspetti attinenti alle attività di attestazione del professionista incaricato a Guiotto, L’attestazione negli artt. 67 e 182bis: profili comparativi, in Il Fallimento n. 10/2014.

[87] Principio n. 8.4.1, Principi di attestazione.

[88] A tale fine si rinvia al capitolo 4 dei Principi di attestazione afferente alla “verifica sulla veridicità dei dati aziendali”.

[89] Principio n. 8.3.4 e 8.3.5, Principi di attestazione.

[90] Principio n. 8.4.3, Principi di attestazione.

[91] Principio n. 8.4.4, Principi di attestazione.

[92] Principio n. 8.4.7, Principi di attestazione.

[93] Per approfondire gli aspetti relativi al tema delle conferme della Direzione dell’impresa si rinvia al Principio di revisione internazionale ISA n. 580, Le attestazioni della Direzione.

[94] Cfr. Assirevi, Documento di ricerca n. 167, 2011.


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