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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 24/02/2015 Scarica PDF

Rent to buy e fallimento. Note a margine di un provvedimento del Tribunale di Verona

Giorgio Aschieri e Gianluca Fiori, Avvocati in Verona


Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il “nuovo” RTB secondo il Tribunale scaligero. - 3. Le condizioni contrattuali del RTB autorizzato dal Tribunale di Verona. - 4. L’importanza della decisione. - 5. Disciplina del fallimento (e dell’inadempimento). - 6. Conclusioni.


     

1. A quasi tre mesi esatti dall’entrata in vigore del c.d. “Decreto Sblocca Italia” ([1]) (di seguito, il “Decreto”), il cui art. 23 ha introdotto nel nostro ordinamento una disciplina autonoma del contratto di rent to buy (di seguito, “RTB”) ([2]), la Sezione Fallimentare del Tribunale di Verona si è pronunciata, a quanto consta per la prima volta, sulla natura del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili, più noto, appunto, come contratto di RTB, ritenendo che esso rappresenti una nuova tipologia contrattuale, non assimilabile al contratto di locazione, la cui relativa disciplina non è, quindi, applicabile, ben potendo le parti determinarne liberamente il contenuto ([3]).

Il Tribunale di Verona, stimolato dal curatore del Fallimento di una società scaligera, ha di conseguenza autorizzato l’esperimento di una procedura competitiva di vendita di una azienda, implicante la stipula, a particolari condizioni (tra cui la durata triennale), di un contratto di RTB avente ad oggetto un capannone industriale.

Nel caso di specie, il provvedimento, fermo quanto diremo in seguito, appare condivisibile e consente di condurre una riflessione sul “nuovo” contratto di RTB, con riferimento, in particolare, all’ambito fallimentare.

 

2. Guardando alla disciplina introdotta, il contratto di RTB può essere definito come quell’accordo in forza del quale una parte, detta concedente, si obbliga a far godere un immobile ad un'altra, detta conduttore, verso un determinato corrispettivo, riconoscendole il diritto, da esercitarsi entro un termine preciso, di ottenere il trasferimento della proprietà a fronte del pagamento di un prezzo, calcolato imputando ad esso, in tutto o in parte, il canone di locazione fino a quel momento versato.

Elementi costitutivi del RTB “all’italiana” ([4]), pertanto, sono: (i) la concessione da parte del concedente del godimento immediato in favore del conduttore di un immobile (e di  immobili soltanto e, dunque, non anche di beni mobili); (ii) il pagamento da parte del conduttore di un canone di locazione in favore del concedente; (iii) il diritto da parte del conduttore di acquistare entro un determinato termine l’immobile a fronte del pagamento di un prezzo; (iv) in tal caso, l’imputazione (in tutto o in parte) al prezzo di quanto corrisposto dal conduttore fino al trasferimento del diritto di proprietà.

La prima domanda che sorge spontanea e che è lecito porsi è sicuramente se si tratti, dunque, di una locazione o di una vendita. E a quale disciplina sia soggetto un contratto di RTB, oltre a quella prevista dall’art. 23 del Decreto: la disciplina della locazione o la disciplina della vendita? La risposta non è priva di conseguenze sul piano giuridico, attesa l’inderogabilità di numerose disposizioni in materia locatizia, a cominciare, tra le molte, dall’art. 27 della Legge 392/1978, che impone una durata minima di sei anni (o di nove anni, a seconda dei casi) delle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, rinnovabili per altrettanto tempo senza che il locatore possa opporsi, tranne che nei limitati casi di cui al successivo art. 29. Il dubbio, peraltro, può derivare anche dalla terminologia utilizzata dal Legislatore (“conduttore”).

Secondo il Tribunale scaligero il contratto di RTB disciplinato dall’art. 23 del Decreto rappresenta un contratto “nuovo” a cui non si applica la disciplina prevista per le locazioni. E’, quindi, evidente come lo stesso abbia riconosciuto che la causa prevalente del contratto, quantomeno nel caso concreto considerato, è il trasferimento della proprietà dell’immobile, sebbene esso non sia immediato e, in definitiva, neppure certo, dipendendo dalla volontà del conduttore.

In effetti, l’indole traslativa del contratto di RTB è confermata dalla stessa disciplina introdotta, a cominciare dalla rubrica dell’art. 23 del Decreto, che si riferisce, come in precedenza già ricordato, ai contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili, configurabili come una “nuova tipologia contrattuale a valenza generale” ([5]). Ciò in quanto il contratto di RTB riconosce un vero e proprio diritto al conduttore di acquistare l’immobile, poiché, una volta che egli abbia manifestato la propria volontà in tal senso, almeno secondo il meccanismo astrattamente previsto, la vendita diviene inevitabile per il concedente: di conseguenza, possiamo ritenere che, quanto meno per quest’ultimo, l’interesse sotteso alla sottoscrizione di un contratto di RTB debba essere la compravendita.

Neppure il fatto che le parti possano definire contrattualmente “la quota dei canoni imputata a corrispettivo che il concedente deve restituire nel caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell’immobile entro il termine stabilito” può portare ad una diversa conclusione. Coerentemente con quanto affermato poc’anzi, infatti, la disposizione intende unicamente consentire la disciplina del “diritto al ripensamento” da parte del conduttore.

D’altra parte, si spiega così anche il motivo per cui possa essere contrattualmente previsto che l’intero canone debba essere imputato al prezzo, privando addirittura in tal modo un ipotetico rapporto locatizio del sinallagma tra l’obbligazione del locatore di consentire il godimento dell’immobile e l’obbligazione del conduttore di corrispondere, in cambio, il canone di locazione.

Il distacco dalla disciplina della locazione è, peraltro, legislativamente segnata dai comma 1 e 3 dell’art. 23 del Decreto. Il comma 1 prevede che i contratti di RTB “sono trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis codice civile” (così come i contratti preliminari di compravendita) e tale trascrizione “produce anche i medesimi effetti di quella di cui all’articolo 2643, comma primo, numero 8) del codice civile” (contratti di locazione di beni immobili ultranovennali).

A prescindere dall’ambiguità della disposizione e dal rinvio alla trascrizione dei contratti di locazione, sebbene di effetti della trascrizione il codice civile parli nell’art. 2644, il Legislatore, nel comma 3 dell’art. 23 del Decreto, precisa che “il termine triennale previsto dal comma terzo dell’articolo 2645-bis del codice civile è elevato a tutta la durata del contratto e comunque per un periodo non superiore a dieci anni”, in tal modo ammettendo implicitamente che il contratto di RTB possa avere una durata diversa da quella minima inderogabilmente prevista per i contratti di locazione (a seconda dei casi “3+2”, “4+4”, “6+6” o “9+9”) ([6]).

Ulteriore conferma di quanto sopra deriva poi dalla disciplina della risoluzione in caso di inadempimento, ossia il comma 2 dell’art. 23 del Decreto, a norma del quale “il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo”.

Sulla disciplina dell’inadempimento avremo modo di tornare successivamente. Per ora basti evidenziare come la previsione si discosti nettamente da quanto contemplato in materia locatizia (ad esempio, dall’art. 5 della Legge 392/1978), apparendo, invece, affine alla disciplina prevista in tema di vendita con riserva di proprietà (art. 1525 c.c.). Ed infatti, nei contratti di locazione l’interesse principale del locatore è quello di percepire regolarmente il canone di locazione (ed allora trova giustificazione l’art. 5 della Legge 392/1978, che individua quale causa di risoluzione del contratto il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l’importo non pagato superi quello di due mensilità), mentre nei contratti di vendita con riserva di proprietà l’interesse del venditore è quello di ottenere il pagamento del prezzo, seppur rateizzato (ed allora trova giustificazione l’art. 1525 c.c., che non attribuisce rilevanza, ai fini della risoluzione, al mancato pagamento di una sola rata, a meno che non superi l’ottava parte del prezzo).

Analogamente, poiché nei contratti di RTB la corresponsione del canone è funzionale al pagamento del prezzo, il concedente potrà invocare la risoluzione del contratto unicamente nel caso in cui l’inadempimento del conduttore sia tale da frustrare l’interesse del concedente in tal senso. Ipotesi che il Legislatore ha ritenuto si verifichi allorquando il conduttore ometta di corrispondere un numero minimo di canoni non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo, poiché ciò andrebbe ad incidere in maniera rilevante sul pagamento finale del prezzo. In tal caso il concedente avrà diritto ad ottenere la restituzione dell’immobile e a ritenere interamente i canoni a titolo di indennità, “se non è stato diversamente convenuto nel contratto” (comma 5) ([7]).

Attraverso un’attenta disamina della disciplina introdotta, dunque, il Tribunale di Verona ha dedotto come il contratto di RTB (almeno secondo lo schema standard previsto dalla norma) non abbia come causa prevalente il godimento di un bene immobile in locazione, non applicandosi, di conseguenza, la relativa disciplina, posto che esso mira a consentire, sebbene con modalità particolari, il trasferimento futuro della proprietà ([8]) ([9]).


3. È evidente, peraltro, che a tale conclusione con riferimento al caso concreto in esame, il Tribunale di Verona è potuto giungere unicamente dopo aver verificato in concretole condizioni proposte da curatore per la sottoscrizione eventuale di un contratto di RTB.

Diversamente, avrebbe trovato applicazione la Legge 392/1978 e la sottoscrizione del contratto di RTB non avrebbe potuto (probabilmente) essere autorizzata, in quanto la durata legale dei contratti di locazione sarebbe risultata incompatibile con la ragionevole durata del Fallimento.

In sintesi, le condizioni proposte dal curatore e condivise dal Tribunale sono state le seguenti:

- durata triennale del contratto di RTB, senza possibilità di tacito rinnovo, ferma restando la possibilità per il conduttore di recedere liberamente dal contratto dando un preavviso di almeno sei mesi;

- diritto di acquistare l’immobile riconosciuto al conduttore entro trenta mesi dalla sottoscrizione del contratto. Una volta comunicata la sua volontà in tal senso, obbligo di concludere il contratto di compravendita entro e non oltre sessanta giorni, con una notevole accelerazione, dunque, verso la cessione definitiva dell’immobile;

- parte del canone da imputare in conto prezzo, nel caso di acquisto dell’immobile da parte del conduttore, pari al 90% dello stesso e obbligo di restituzione per il concedente, nel caso di risoluzione per inadempimento del conduttore, del 50% del canone di locazione versato. In tal modo si è sottolineato ulteriormente come la causa del contratto sia la compravendita dell’immobile, venendo il canone quasi completamente imputato in conto prezzo ed essendo prevista la restituzione di una parte del canone anche in ipotesi di risoluzione per inadempimento del conduttore ([10]);

- rapporto tra le rate del canone di locazione da corrispondere ed il prezzo di vendita concordato tale da far sì che, in caso di acquisto dell’immobile, risulti già versato oltre il 50% del prezzo stesso;

- esclusione della rivalutazione ISTAT, per meglio evidenziare, ancora un volta, che la causa del contratto è la compravendita e non la locazione (dove la rivalutazione ISTAT trova normalmente applicazione);

- oneri ordinari e straordinari di manutenzione dell’immobile interamente a carico del conduttore. Tale previsione è facilmente comprensibile se si considera che il conduttore è destinato a divenire il proprietario dell’immobile;

- nel caso di esercizio della facoltà di cui all’art. 107, co. 4 o dell’art. 8, co. 1, della Legge Fallimentare, restituzione integrale di quanto corrisposto dal conduttore, posto che, in tali casi, la compravendita non si concluderebbe per ragioni indipendenti dalla volontà del conduttore.

A tali condizioni ([11]) il Tribunale scaligero ha ritenuto di poter autorizzare l’esperimento della procedura competitiva finalizzata alla sottoscrizione di un contratto diRTB, richiedendo, tuttavia, che:

- venga inserita la “espressa previsione che l’immobile deve essere rilasciato alla scadenza della durata di tre anni qualora il conduttore non intenda esercitare l’opzione di acquisto” e che

- il contratto venga “stipulato per mezzo di notaio (a spese del conduttore) nel quale sia indicato espressamente che l’immobile dovrà essere rilasciato libero da persone e da cose (di proprietà del conduttore) alla scadenza”.

Tale ultima prescrizione si spiega tenendo presente che l’art. 474, co. 3, c.p.c. prevede che l’esecuzione forzata per consegna rilascio non possa avvenire che in virtù, tra l’altro, di atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato (co. 2 n. 3). In tal modo sarà, dunque, possibile ottenere, qualora ciò non avvenga spontaneamente da parte del conduttore, la riconsegna dell’immobile, senza dover prima munirsi di un altro titolo esecutivo idoneo in tal senso.

 

4. L’ordinanza del Tribunale di Verona presenta l’indubbio merito di avere inaugurato l’utilizzo del contratto di RTB in ambito fallimentare. Un ambito forse poco o per nulla considerato in principio, ma all’interno del quale, ad avviso degli scriventi, esso potrà trovare invece applicazione ([12]).

In ambito fallimentare, infatti, spesso le difficoltà maggiori attinenti alla liquidazione dell’attivo sorgono proprio dalla presenza, tra i beni del Fallimento, di uno o più immobili, che rappresentano non di rado i cespiti di maggior valore. Nella ben nota difficoltà per i potenziali acquirenti di ottenere il necessario finanziamento da parte di un soggetto istituzionale, infatti, il patrimonio immobiliare resta sovente invenduto o deve essere ceduto ad un prezzo ben inferiore al suo valore effettivo. Se a ciò poi si aggiunge, magari, la conseguente ed inevitabile rinuncia anche all’acquisto dell’azienda, è evidente il danno per i creditori ([13]).

Lo scenario potrebbe mutare sensibilmente, almeno in taluni casi, con l’introduzione della disciplina del RTB. L’impegno finanziario immediato per il potenziale acquirente viene, infatti, in tal modo notevolmente abbattuto, rendendo più facile l’accesso, magari in un secondo tempo, al credito.

Potendo essere sottoscritti, come confermato espressamente dal Tribunale scaligero, contratti di RTB aventi durata inferiore di quella legale prevista per le locazioni, le esigenze del conduttore potranno pure essere contemperate con quelle del concedente, nel caso di specie un Fallimento, il quale mira come ovvio a liquidare, nel più breve tempo possibile, il proprio patrimonio.

E tutto ciò con la possibilità, non di poco conto, per il conduttore di cambiare programma, qualora le cose non dovessero andare nel modo sperato, semplicemente non esercitando l’opzione e quindi limitando i danni alla perdita di una quota dei canoni versati (secondo la previsione del comma 1bis della norma in commento).

L’art. 23 del Decreto introduce, dunque, una disciplina “a maglie larghe”, tale da “consentire all’autonomia privata di meglio modulare il contenuto del contratto in funzione delle specifiche esigenze e nell’ottica del miglior soddisfacimento degli interessi di entrambe le parti” ([14]), in grado di consentire l’equilibrato contemperamento di tutti gli interessi coinvolti ([15]).

Ad ogni modo, ad avviso degli scriventi, pur essendo vero che il Legislatore parla di una “nuova tipologia contrattuale” ([16]) - ed il Tribunale di Verona  si riferisce ad un “nuovo contratto” – è, altresì, possibile qualificare il contratto di RTB come un contratto complesso, ossia un contratto contrassegnato “dall'esistenza di una causa unica, che si riflette sul nesso intercorrente tra le varie prestazioni con un'intensità tale da precludere che ciascuna delle predette prestazioni possa essere rapportata ad una distinta causa tipica e faccia sì che le predette prestazioni si presentino tra loro organicamente interdipendenti e tendenti al raggiungimento di un intento negoziale oggettivamente unico” ([17]). Il contratto di RTB può essere, altresì, indicato come contratto misto, posto che “la sua causa risulta dalla fusione di elementi tipici” ([18]).

In materia, la giurisprudenza tende ad utilizzare due distinti criteri per individuare la disciplina legale applicabile al contratto: il criterio dell’assorbimento, in base al quale si applica la disciplina del contratto “principale” ovvero il criterio della combinazione, in forza del quale “ciascun elemento contrattuale dev’essere disciplinato dalle regole tipo cui l’elemento appartiene” ([19]). Ovviamente, con riferimento al contratto di RTB l’individuazione della disciplina legale applicabile sarà necessaria in tanto in quanto si tratti di ambiti con riferimento ai quali l’art. 23 del Decreto nulla preveda in proposito.

Nel caso analizzato dal Tribunale di Verona, pochi dubbi potevano esserci in merito alla prevalenza della causa della compravendita, con la conseguente mancata applicazione della disciplina contrattuale relativa alle locazioni, posto che, in caso di esercizio del diritto di acquisto, il 90% del canone di locazione dovrà essere imputato in conto vendita.

In altri casi, tuttavia, potrebbe anche non essere così. Si pensi, ad esempio, ad un contratto di RTB di durata notevole in cui il diritto per il conduttore ad acquistare l’immobile venga limitato ad un breve periodo iniziale ovvero è esercitabile solo dopo molto lungo tempo e solo una quota modesta del canone sia imputata in conto prezzo in caso di esercizio dell’opzione. Peraltro, in caso di “reviviscenza” della causa locatizia, sorgerebbe nuovamente il problema della inderogabilità della relativa disciplina.

Indubbiamente, infine, vi saranno pure problemi pratici da risolvere. Ad esempio, la già citata finalità di sostegno al venditore e, in particolare, al costruttore, rischia di essere vanificata dall’ipoteca iscritta sull’immobile a garanzia del finanziamento concesso per la costruzione, in quanto il conduttore potrebbe non essere ragionevolmente disposto ad assumersi il rischio di vedersi un giorno espropriato l’immobile ([20]).

Ciò, tuttavia, non toglie l’utilità che lo strumento giuridico del RTB potrà avere in futuro anche in ambito fallimentare (forse addirittura più che in altri contesti).

 

5. Riteniamo opportuno, per ragioni di completezza, concludere il presente contributo con un breve cenno relativamente alla disciplina del fallimento prevista dallo stesso art. 23 del Decreto, nonché con quella dell’eventuale inadempimento di una delle parti, alla quale la disciplina del fallimento è “agganciata” per espressa previsione legislativa.

Nel caso in cui il fallimento riguardi il concedente, non troverà applicazione l’art. 72 L.F., in quanto il comma 6 dell’art. 23 del Decreto dispone che il contratto prosegua, salva l’applicazione dell’art. 67, co. 3, lett. c) della Legge Fallimentare ([21]). Alle medesime condizioni, dunque, anche i contratti di RTB saranno sottratti all’esperibilità dell’azione revocatoria.

Qualora, invece, il fallimento investa il conduttore, tornerà ad applicarsi, come previsto dal medesimo comma 6, l’art. 72 della Legge Fallimentare. Il contratto di RTB, quindi, resterà sospeso, fino a quando il curatore del fallimento, “con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo”.

In questo ultimo caso, però, il comma 6 dell’art. 23 del Decreto prevede che si applichino le disposizioni di cui al precedente comma 5, in caso di inadempimento. Quest’ultimo, ovviamente, distingue l’ipotesi in cui l’inadempimento sia imputabile al concedente, nel qual caso “lo stesso deve restituire la parte dei canoni imputata a corrispettivo, maggiorata degli interessi legali”, da quella in cui l’inadempimento sia imputabile al conduttore, nel qual caso “il concedente ha diritto alla restituzione dell’immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità, se non è stato diversamente convenuto nel contratto” ([22]).

Ricordiamo, a tal proposito, che il comma 2 dell’art. 23 del Decreto prevede che “il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo”. La portata di tale norme desta alcune difficoltà interpretative.

Potrebbe sembrare che la norma non consenta alle parti di stabilire soglie inferiori rilevanti ai fini della risoluzione del contratto, coerentemente con quanto disposto dall’art. 1525 c.c., in tema di vendita con riserva di proprietà, che non ammette patto contrario. Così ragionando, bisognerebbe anche concludere il Giudice, in una sua eventuale valutazione, resterebbe libero di considerare o meno un inadempimento di non scarsa rilevanza (art. 1455 c.c.), ma non potrebbe prescindere dalla soglia legislativamente prevista (o a quella superiore fissata dalle parti).

Tale soluzione, però, si espone ad una facile critica: mentre l’art. 1525 c.c. prevede espressamente l’invalidità di eventuali patti contrari, il comma 2 dell’art. 23 non contiene una simile previsione. Ed, allora, si può presumere che il Legislatore quod voluit dixit, quod non dixit noluit.

Dando applicazione al principio espresso dal suddetto brocardo si può, quindi, considerare il comma 2 dell’art. 23 del Decreto norma suppletiva, destinata ad intervenire soltanto quando le parti nulla abbiano previsto al riguardo.

Peraltro, la disciplina dell’inadempimento pone rilevanti difficoltà ermeneutiche anche con riferimento all’esecuzione in forma specifica. Il comma 3 dell’art. 23 del Decreto sancisce l’applicabilità dell’art. 2932 c.c. “in caso di inadempimento”.

È evidente che tale disposizione non potrà essere invocata dal concedente per obbligare il conduttore ad acquistare la proprietà dell’immobile, in quanto ciò si porrebbe in aperto contrasto con la previsione che riconosce al conduttore il diritto di procedere in tal senso, ma non il dovere di farlo.

Di conseguenza, verrebbe da pensare che l’art. 2932 c.c. troverà applicazione nel caso in cui il conduttore abbia esercitato tale diritto, ma a quel punto, per qualche ragione, il concedente sia inadempiente al proprio obbligo di trasferire la proprietà. In realtà, tale ricostruzione non è del tutto corretta e, sostanzialmente, dipende dalle modalità con cui il contratto di RTB disciplina l’esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore.

Se, infatti, il contratto di RTB riconosce al conduttore una vera e propria opzione per l’acquisto (art. 1331 c.c.), allora è sufficiente la semplice manifestazione scritta della sua volontà per perfezionale il contratto di compravendita ai sensi dell’art. 1350 c.c. Poiché, tuttavia, per ottenere la trascrizione è necessario dotarsi di un titolo idoneo che, a norma dell’art. 2657 c.c., possono essere unicamente le sentenze, gli atti pubblici o le scritture private con sottoscrizione autenticata, nel caso di rifiuto del concedente di presentarsi avanti il notaio sarà necessario un provvedimento giudiziale dichiarativo dell’avvenuto perfezionamento del contratto.

Al contrario, se il contratto di RTB attribuisce alla dichiarazione del conduttore l’effetto di concludere un contratto preliminare, allora, qualora il concedente rifiuti di darvi esecuzione, potrà essere invocato il rimedio di cui all’art. 2932 c.c.

In entrambi i casi è possibile che il rifiuto provenga non dal concedente, ma dal conduttore stesso (dopo aver reso la propria dichiarazione di voler esercitare il proprio diritto all’acquisto dell’immobile). Anche in tale ipotesi sarà possibile per il concedente chiedere un provvedimento giudiziale dichiarativo (nel primo caso) ovvero azionare l’esecuzione in forma specifica (nel secondo caso).

Tornando, ad ogni modo e per concludere, all’ipotesi di fallimento del conduttore, abbiamo detto che il comma 6 dell’art. 23 del Decreto rinvia alla disciplina dell’inadempimento nel caso in cui il curatore scelga di sciogliersi dal contratto. Il riferimento è, ovviamente, all’inadempimento del conduttore, non del concedente incolpevole, il quale nulla può di fronte alla scelta del curatore. Il concedente, quindi, avrà diritto in tal caso alla restituzione dell’immobile e a ritenere i canoni a titolo di indennità ([23]). È evidente che il curatore del fallimento dovrà, dunque, valutare attentamente la convenienza di sciogliersi dal contratto di RTB.

 

6. Il disciplina del RTB rappresenta, indubbiamente, un’importante novità. Ad avviso di chi scrive, il Legislatore non ha introdotto nel nostro ordinamento una nuova tipologia contrattuale autosufficiente, quanto una disciplina minimale di un contratto complesso (misto), che dovrà necessariamente essere integrata con la normativa esistente. In tal senso, una prima difficoltà sarà rappresentata, come visto, dalla corretta individuazione della stessa, con tutto ciò che ne consegue.

Inoltre, le disposizioni contenute nell’art. 23 del Decreto presentano alcune difficoltà interpretative a cui la dottrina e la giurisprudenza saranno chiamate nel tempo a dare delle risposte.

Resta da vedere quale sarà l’utilizzo che del contratto di RTB “all’italiana” sarà fatto. Siamo convinti che esso sia potenzialmente idoneo a consentire, almeno in parte, la ripresa di talune contrattazioni economiche. Certo, in ambito fallimentare il ricorso allo strumento contrattuale del RTB potrebbe rappresentare un contributo importante alla risoluzione di alcune situazioni particolari. E questo con grande soddisfazione di tutti.



[1] Il D.L. 12 settembre 2014 n. 133 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 12 settembre 2014 n. 212 ed è entrato in vigore il giorno successivo (art. 45). Il predetto decreto è stato convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014 n. 164, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 11 novembre 2014 n. 262, S.O. n. 85 ed entrata in vigore il giorno successivo (art. 1). In sede di conversione l’art. 23 è stato modificato con la correzione di alcuni refusi contenuti nei comma 6 e 8 e l’introduzione ex novo del comma 1bis.

[2] Riportiamo, per comodità, il testo dell’art. 23 del Decreto, nel testo vigente a seguito della conversione in legge, rubricato Disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili:

«1. I contratti, diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l’immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto, sono trascritti ai sensi dell’articolo 2645bis codice civile. La trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all’articolo 2643, comma primo, numero 8) del codice civile.

1bis. Le parti definiscono in sede contrattuale la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell’immobile entro il termine stabilito.

2. Il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo.

3. Ai contratti di cui al comma 1 si applicano gli articoli 2668, quarto comma, 2775bis e 2825bis del codice civile. Il termine triennale previsto dal comma terzo dell’articolo 2645bis del codice civile è elevato a tutta la durata del contratto e comunque ad un periodo non superiore a dieci anni. Si applicano, altresì, le disposizioni degli articoli da 1002 a 1007, nonché degli articoli 1012 e 1013 del codice civile, in quanto compatibili. In caso di inadempimento si applica l’articolo 2932 del codice civile.

4. Se il contratto di cui al comma 1 ha per oggetto un’abitazione, il divieto di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122 opera fin dalla concessione del godimento.

5. In caso di risoluzione per inadempimento del concedente, lo stesso deve restituire la parte dei canoni imputata al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali. In caso di risoluzione per inadempimento del conduttore, il concedente ha diritto alla restituzione dell’immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità, se non è stato diversamente convenuto nel contratto.

6. In caso di fallimento del concedente il contratto prosegue, fatta salva l’applicazione dell’articolo 67, terzo comma, lettera c) del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e successive modificazioni. In caso di fallimento del conduttore, si applica l’articolo 72 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e successive modificazioni; se il curatore si scioglie dal contratto, si applicano le disposizioni di cui al comma 5.

7. Dopo l’articolo 8, comma 5, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, è aggiunto il seguente: “5bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti e di vendita con riserva di proprietà, stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione.”.

8. L’efficacia della disposizione di cui al comma 7 è subordinata al positivo perfezionamento del procedimento di autorizzazione della Commissione Europea di cui all’art. 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), di cui è data comunicazione nella gazzetta ufficiale».

[3] Tribunale di Verona, Sezione Fallimentare, autorizzazione, 12 dicembre 2014, dott. Fernando Platania.

[4] Il RTB si ispira ad una prassi immobiliare nata negli anni Cinquanta nei paesi di common law. Ciò giustifica l’utilizzo diffuso dell’espressione in lingua straniera, che risponde ad un costume in voga nella società moderna (vedi, sul punto, A. Fusaro, Rent to buy, Help to buy, Buy to rent, tra modelli legislativi e rielaborazioni della prassi, in Contratto ed Impresa, 2014, II, 421. L’Autore, in particolare, osserva come “nei tempi passati gli schemi portavano, ovviamente, etichette proprie dell’epoca; oggi che è in auge l’inglese, essi sono presentati conseguentemente, non sempre in ragione della ricezione da un altro ordinamento, oppure dalla prassi internazionale; talora nonostante la genericità del trapianto. Quest’ultima notazione vale per il Rent to buy, il Buy to rent e l’Help to buy, basati su idee mutuate dal mercato immobiliare anglo-americano, senza tuttavia riprodurne i formulari”). Con riferimento al RTB, ad ogni modo, tale utilizzo è legato sicuramente anche ad una maggiore capacità evocativa e di sintesi del concetto rispetto al nomen iuris italiano di “contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili”. In ogni caso, vuoi per una ragione vuoi per l’altra, non stupisce che fin da subito ci si sia riferito ad esso come RTB. Già prima del Decreto, peraltro, il risultato pratico del RTB era raggiunto mediante diversi negozi collegati tra loro. Tuttavia, si trattava (e si tratta ancora) di soluzioni non del tutto soddisfacenti (per un approfondimento sulle diverse soluzioni elaborate nella pratica si vedano A. Fusaro, Rent to buy, cit., 419ss., nonché A. Busani,Clienti senza rete in caso di cessione o di fallimento, in Il Sole 24 ore, 19 marzo 2012, reperibile su http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-03-19/clienti-senza-rete-caso-064215_PRN.shtml, ultimo accesso: 19 febbraio 2015). 

[5] Cfr. la Relazione al Disegno di Legge per la conversione del D.L. 12 settembre 2014 n. 133, p. 25, presentato il giorno stesso alla Camera dei Deputati e reperibile sul sito ufficiale della stessa (http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0024610.pdf, ultimo accesso: 19 febbraio 2015).

[6] L’interesse della parti sotteso ad un contratto di rent to buy (la compravendita dell’immobile) emerge anche dal richiamo insistente dell’art. 23 del Decreto alla disciplina dei contratti preliminari e, in particolare, all’art. 2668, co. 4, c.c. (obbligo di cancellazione della trascrizione dei contratti preliminari nel caso in cui la cancellazione sia debitamente consentita dalle parti interessate ovvero sia ordinata giudizialmente con sentenza passata in giudicato); all’art.2775bis c.c. (privilegio speciale per i crediti derivanti dalla mancata esecuzione dei contratti preliminari); all’art. 2825bis (ipoteca su beni oggetto di contratto preliminare). 

[7] Sul punto vedi infra, par. 5, p. 12ss., nota 22 e 23 in particolare.

[8] Vedi A. Busani – E. Lucchini Guastalla, Il «rent to buy» non è affitto, in Il Sole 24 Ore. Il Quotidiano del Diritto, 24 settembre 2014, reperibile su http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/parla-mento-e-giustizia/2014-09-23/il-rent-to-buy-non-e-affitto-215627.php?uuid=ABX1VZwB, ultimo accesso: 19 febbraui 2015). Gli Autori osservano che: “la formula del «rent to buy» si configura come una fattispecie contrattuale nuova. È infatti facile osservare come nel Dl 133/2014 (cosiddetto «Sblocca Italia») il legislatore abbia prestato particolare attenzione a conferire al contratto di rent to buy (Rtb) un assetto assai autonomo rispetto al contratto di locazione «ordinario». In altri termini, dal Dl 133/2014 emerge un contratto che non è qualificabile come uno «speciale» contratto di locazione, caratterizzato dalla sussistenza di una speciale clausola in base alla quale il conduttore ha il diritto di acquistare la proprietà del bene imputando a prezzo, in tutto o in parte i canoni pagati; ma uno schema contrattuale a sé stante rispetto alla «normale» locazione, e quindi caratterizzato da norme assai specifiche (e non da quelle che il Codice civile e la legislazione speciale rivolgono al «normale» contratto di locazione”.

[9] Così facendo, peraltro, il Tribunale scaligero ha dato continuità ad un orientamento giurisprudenziale dal quale non vi erano ragioni di discostarsi. In un suo risalente precedente, relativo ad una concessione ventennale del godimento di un terreno con corrispettivo anticipato costituito, essenzialmente, dalla costruzione di un fabbricato da parte del conduttore e acquisto della proprietà del medesimo da parte del concedente in virtù di accessione, la Corte di Cassazione ha affermato che “la disciplina dell’equo canone dettata dalla l. 27 luglio 1978 n. 392 […], concerne la locazione degli immobili urbani, adibiti o meno ad uso abitativo, e, pertanto, non è applicabile ai contratti di locazione di mobili o di aree nude, ovvero a rapporti negoziali secondo i quali il godimento di un immobile sia concesso nell’ambito di complesse operazioni economiche, non riconducibili alla tipologia della locazione” (cfr. Cass., 9 ottobre 1980, n. 5404, in Archivio delle locazioni e del condominio, 1980, 549). Sebbene, dunque, con riferimento ad un caso molto diverso dal RTB, già dagli anni immediatamente successiva all’emanazione della Legge 392/1978, i Supremi Giudici hanno chiarito che la relativa disciplina si applica alle sole locazioni “tradizionali”. Più recentemente, i Giudici del Palazzaccio, occupandosi di locazione con patto di futura vendita, hanno osservato quanto segue: “ove le parti abbiano considerato la locazione strumentalmente collegata alla promessa di vendita, per consentire al futuro acquirente l’uso dell’immobile fino al termine previsto per la vendita o il pagamento del prezzo, deve ravvisarsi un contratto atipico complesso costituita dalla fusione delle cause di due contratti tipici (vendita e locazione) in cui la causa principale è quella del trasferimento della proprietà con conseguente inapplicabilità della disciplina dell’equo canone dettata dalla l. 27 luglio 1978 n. 392 per le locazioni degli immobili urbani adibiti o non ad uso abitativo” (Cfr. Cass.,, 23 marzo 1992, n. 3587, in Repertorio del Foro Italiano, 1992, c. 657).

[10] Ciò in ossequio alla elaborazione giurisprudenziale formatasi in relazione all’art. 1526 c.c. e all’art.72quater L.F. E’ evidentemente apparso iniquo al Giudice Delegato, nonché al curatore stesso, l’eventualità che il fallimento potesse incorporare tutte le somme ricevute e che, in ipotesi di esercizio dell’opzione da parte del conduttore, sarebbero state quasi integralmente imputate in conto prezzo.

[11] Ulteriori condizioni inserite sono state: deposito cauzionale pari a tre mensilità; divieto di sublocazione anche solo parziale; divieto di miglioramenti ed addizioni senza consenso scritto del concedente e facoltà dello stesso di ritenerli senza corrispettivo o richiedere la remissione in pristino.

[12] L’esigenza alla base della disciplina introdotta è stata quella, nel contesto di crisi economica, di trovare strumenti giuridici in grado di stimolare la ripresa del mercato immobiliare. La decisione di introdurre nel nostro ordinamento “il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili, quale nuova tipologia contrattuale a valenza generale”, è volta a “favorire la ripresa delle contrattazioni immobiliari, soprattutto con riferimento a quelle categorie che hanno maggiore difficoltà ad acquistare per contanti” (cfr. la Relazione, cit., p. 25). Non a caso l’art. 23 si colloca nel Capo V del Decreto, che prevede, altresì, interventi di semplificazione in materia edilizia (artt. 17 e 17bis), agevolazioni di natura fiscale per gli accordi che prevedono esclusivamente la riduzione del canone di locazione (art. 19), misure per il rilancio del settore immobiliare (art. 20) con specifici incentivi per favorire la locazione di unità abitative (art. 21), interventi per agevolare la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e l’efficienza energetica in generale (artt. 22 e 22bis), misure agevolative della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio (art. 24), misure urgenti di semplificazione amministrativa e di accelerazione delle procedure in materia di patrimonio culturale (art. 25), misure urgenti per la valorizzazione degli immobili pubblici inutilizzati (art. 26) e misure urgenti in materia di patrimonio dell'INAIL. Merita, inoltre, di essere menzionato l’art.18, recante misure per la liberalizzazione del mercato delle grandi locazioni ad uso non abitativo, che modifica la L. 27 luglio 1978 n. 392, consentendo termini e condizioni in deroga alle disposizioni della medesima legge nel caso di locazioni ad uso non abitativo per le quali sia pattuito un canone annuo superiore a 250.000,00. Tali contratti devono essere provati per iscritto. Peraltro, non può essere taciuto il contributo del Consiglio Nazionale del Notariato all’introduzione nel nostro ordinamento di un’autonoma disciplina del contratto di rent to buy. Nel corso del XLVI Congresso Nazionale, tenutosi a Roma nel novembre 2013, è stato discusso il tema della “Proprietà dell’abitazione: risparmio familiare, tutela dei diritti e ripresa economica”. Le conclusioni del Congresso sono state portate all’attenzione del Governo e delle forze politiche.

[13] Si tratta, peraltro, di una difficoltà generalizzata la cui presa di coscienza è alla base della previsione dell’art. 23 del Decreto. Nel redigere la norma, il Legislatore ha tenuto a mente quella che è comunemente nota come “emergenza abitativa” in un contesto, come quello italiano, in cui la casa di proprietà ha sempre rappresentato un obiettivo primario per i risparmiatori. Vedi, sul punto, la Relazione, cit., p. 25 dove si sottolinea come il RTB permetta non solo di abbattere l’impegno finanziario necessario, che risulta diluito nel tempo, ma anche “l’immediato conseguimento del bene idoneo a soddisfare il bisogno abitativo”.

[14] Cfr. Relazione, cit., p. 25.

[15] In tal modo esaltando la c.d. “causa in concreto” del contratto, ossia “la sintesi degli interessi reali che il singolo, specifico contratto posto in essere è diretto a realizzare” (Cass., 8 maggio 2006, n. 10490, in Rivista del Notariato, 2007, I, 180, con nota di C. Ungari Transatti, La Cassazione sposa la tesi della causa in concreto del contratto, 184ss.)

[16] Ibidem.

[17] Cfr. Cass., 28 marzo 2006, n.7074, in Guida al diritto, 2006, fasc. 22, 39.

[18] Cfr. C.M. Bianca, Diritto civile. 3 Il contratto, Milano, 2000, 483, nota 132.

[19] Ivi, p. 480. Vedi, tra le tante, Cass., SS.UU., 12 maggio 2008, 11656, Rivista del Notariato, 2008, VI, 1475, con nota di M. Graziano, Le Sezioni Unite intervengono nella materia dei rapporti  tra vendita di cosa futura e appalto, 1487ss.

[20] Si tenga presente, peraltro, che il comma 4 dell’art. 23 del Decreto prevede, con una norma di non chiarissimo significato, che “se il contratto di cui al comma 1 ha per oggetto un’abitazione, il divieto di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 20 giungo 2005, numero 122, opera fin dalla concessione del godimento”.

[21] Disposizione a norma del quale “non sono soggetti ad azione revocatoria […] le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’art. 1645-bis codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o dei suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio”.

[22] Appare molto evidente il distacco tra questa disposizione ed i precetti contenuti negli artt.72-quater e 73 L.F., ossia le norme dal contenuto più prossimo a quella in esame. Mentre in tali ultime due previsioni normative l’intervento riequilibratore del Giudice è sempre possibile, la disciplina speciale qui in commento prevede l’incameramento di quanto versato a titolo di indennità “se non è stato diversamente convenuto nel contratto” e, quindi, manifesta la prevalenza dell’autonomia privata. Questo effetto, che appare peraltro sostanzialmente iniquo agli scriventi, deriva dall’interpretazione della voluntas legis e più specificamente dall’esame della Relazione citata, in cui a pag. 26 si afferma che tra gli elementi qualificanti della disciplina introdotta vi è anche “l’ampia delega all’autonomia privata, riguardo alla durata, all’imputazione al prezzo di una quota di canone, alla possibile previsione di diritti di recesso, clausole penali e meccanismi condizionali, cedibilità della posizione contrattuale ed effetti dell’inadempimento (commmi 2, 3 e 5)”. Va poi considerato che il predetto inciso dell’art.23 è da considerarsi norma speciale (se non eccezionale), oltreché successiva, rispetto alle suddette disposizioni della legge fallimentare e ciò sembrerebbe impedire di “recuperare” l’intervento del Giudice in via analogica.

[23] In tal caso appare condivisibile Il richiamo al V comma e quindi all’ipotesi di incameramento dei canoni a titolo di indennità da parte del concedente, salva contraria pattuizione. Il curatore è infatti libero di sciogliersi o meno dal contratto e la sua eventuale volontà positiva non concreta condotta antigiuridica bensì lecita in quanto prevista dall’art.72 L.F. dichiarato applicabile dalla norma in commento. Usciamo quindi, a ben vedere, dall’ambito del concetto di “risarcimento” ovvero di “clausola penale” e dai meccanismi di riequilibrio officioso previsti dagli artt.72-quater e 73 L.F. (e più in generale dagli artt.1526 e 1384 c.c.), per entrare nell’ambito concettuale dell’“indennizzo” e della multa penitenziale prevista dall’art.1373 c.c. Quanto alla differenza tra i due concetti, vedasi per tutte Cass., 27 settembre 1996, n. 8522, in Giustizia Civile. Massimario, 1996, p. 1330.


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