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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 25/11/2014 Scarica PDF
La bancarotta fraudolenta impropria e il concorso degli istituti di credito
Raffaella Mancini, Dottoranda in RicercaNegli ultimi anni si assiste ad una moltiplicazione della pendenza di procedimenti e di processi penali nei quali si perseguono fatti di bancarotta a causa dello sviluppo della crisi economica che causa il fallimento o l’ammissione ad altre procedure concorsuali di molte imprese in difficoltà economiche.
Le fattispecie di bancarotta semplice, fraudolenta, propria ed impropria sono sempre di più oggetto di interpretazioni giurisprudenziali e di elaborazioni dottrinali tali da determinare una maggiore attenzione verso tutte le peculiarità di siffatte ipotesi criminose.
Particolare attenzione merita la fattispecie di bancarotta fraudolenta impropria con riguardo alla possibile partecipazione nel delitto degli istituti bancari.
Clamoroso, infatti, è stato il “caso Parmalat”nel
quale sono stati imputati alcuni appartenenti ad istituti di credito, rei
secondo l’ipotesi accusatoria per aver “concorso nella bancarotta impropria
prevista dall’art. 223, comma 2, n.2 L.F. con il debitore ad orchestrare
operazioni finanziarie ai danni di piccoli risparmiatori”.
Il nostro ordinamento giuridico prevede più fattispecie di bancarotta che si suole distinguere in bancarotta “propria”, nella quale il soggetto attivo del reato è l’imprenditore, e bancarotta “impropria”nella quale i soggetti attivi sono gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite.
In relazione alla fattispecie di bancarotta
fraudolenta impropria, l’art. 223, comma 2 n.
La prima fattispecie recita “hanno cagionato con dolo il fallimento della società”, in relazione alla quale va rilevato che il legislatore del 1942 utilizza come evento il fallimento e non il dissesto.
La fattispecie è descritta non solo come un classico reato di danno nella quale il fallimento assume la natura giuridica di evento del reato,ma è anche delineata chiaramente come reato a forma libera, in quanto la condotta criminosa non è descritta sul piano materiale, essendo contrassegnata soltanto dal dolo [2].
Infatti la disposizione penale allinea il fallimento, quale derivazione causale, ad una condotta non meglio descritta se non tramite rinvio al termine dolo, individuandosi così un reato a forma libera di evento.
L’evento è costituito, quindi, dal fallimento inteso non in riferimento alla sentenza dichiarativa di fallimento, bensì al presupposto materiale della dichiarazione medesima e, cioè,al dissesto dell’impresa, il quale come fenomeno naturalistico costituisce effetto materiale della condotta [3].
Il dissesto deve essere considerato anche in termini di aggravamento dello stesso. Sul punto la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha stabilito che “in tema di bancarotta cd. impropria, la particolare fattispecie di cui all’art. 223, comma secondo, n. 2 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267, riguardante gli amministratori, i direttori generali, i sindaci ed i liquidatori di società fallite che hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società, si applica anche nell’ipotesi in cui la condotta di una delle anzidette persone abbia aggravato una situazione di dissesto già esistente. L’aggravamento del dissesto deve essere considerato globalmente e non già con riferimento a singole situazioni debitorie, sicché quando l’entità complessiva del medesimo sia comunque rimasta invariata o sia stata persino ridotta, la circostanza che la condotta abusiva abbia incrementato determinate voci di passivo, non giustifica, di per sé, un’affermazione di responsabilità ai sensi della disposizione in questione, salvo che non si accerti che la diminuzione del passivo, con riguardo ad altre voci, sia stata causata da fattori autonomi ed indipendenti. Solo in questo caso, infatti, è possibile affermare che, essendo per tali fattori migliorata la situazione, la condotta del soggetto, in sé considerata, ha comunque comportato un peggioramento”[4].
Notevoli sono le difficoltà di interpretazione della norma dovute dalla genericità della condotta descritta di individuare i confini della stessa condotta del reato, essendo controverso il significato da attribuirsi al termine dolo.
Alla luce della definizione di dolo fornita dall’art. 43 c.p. l’evento dissesto, e quindi il fallimento, deve essere espressamente previsto e voluto dall’agente come conseguenza della sua azione od omissione. Detto delitto si intende integrato in tutte quelle ipotesi in cui la società operi in continua violazione delle norme che regolano l’attività di impresa.
Con riguardo, invece, alla seconda ipotesi criminosa
di cui all’art. 223, comma 2, n.
Per operazione dolosa si intende in genere “qualsiasi atto o complesso di atti implicanti una disposizione patrimoniale compiuti dalle persone preposte all’amministrazione della società, con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti la loro qualità, con l’intento di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto a danno della società o dei creditori, o anche con la sola intenzione di arrecare un danno alla società o ai creditori” [5].
Sarà, quindi, necessario considerare che al momento della commissione delle operazioni dolose il fallimento deve rappresentare una oggettiva conseguenza in concreto prevedibile e/o evitabile. Dette operazioni dolose comportano, comunque, una previa inosservanza di una norma cautelare alla quale aggiungere la previsione e la volontà dell’evento.
Anche in detta fattispecie il legislatore non ha fornito una descrizione precisa ed analitica della condotta incriminata, non essendo state tipizzate le modalità della stessa.
La dottrina è unanime nel considerare che “operazione dolosa” non significa necessariamente delittuosa atteso che le condotte rilevanti ai fini della configurabilità della bancarotta in questione ben possono non avere autonomo rilievo penale.
Con riguardo alla definizione di “operazioni dolose”
Tra le condotte che, pur non costituendo reato,
possono integrare l’illecito penalein oggetto
sono i fenomeni di sviamento della clientela e di svuotamento del patrimonio
societario di quegli elementi costitutivi della sua capacità produttiva che ne
definiscono l’avviamento. Sul punto
In via generale,il delitto si configura allorché le operazioni dolose provocano un indebita diminuzione dell’asse attivo e, quindi, un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa [8].
Da ultimo è intervenuta nuovamente
La fattispecie di fallimento determinato da operazioni dolose si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto degli artt. 223, comma 1, e 216, comma 1, n. 1), L.F., in quanto la nozione di "operazione" postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato[10].
Invece le due figure delittuose disciplinate dall’art.
223, comma 2 n.
Alla luce della giurisprudenza formatasi in argomento, ad integrare il reato richiede la sussistenza del dolo (generico) per quanto si riferisce al compimento delle operazioni, per l’appunto, dolose, causatrici del fallimento; ma relativamente a quest’ultimo richiede la prevedibilità[12].
In relazione alla possibile partecipazione di istituti di credito nella bancarotta impropria occorre analizzare in primis il tema del concorso atipico del dipendente dell’istituto di credito nel delitto di bancarotta impropria per effetto di operazioni dolose.
La condotta di “operazione dolosa”
concepita in dottrina ed in giurisprudenza comprende “qualsiasi atto o
complesso di atti, implicanti una disposizione patrimoniale, compiuti dalle
persone preposte all’amministrazione della società, con abuso dei poteri o
violazione dei doveri inerenti alla loro qualità, con l’intento di conseguire
per sé o per altri un ingiusto profitto, a danno della società o dei creditori,
o anche con la sola intenzione di arrecare un danno alla società o ai creditori”[13].
E’ necessario, quindi, ai fine dell’affermazione della responsabilità penale
dell’istituto di credito, analizzare l’elemento soggettivo del direttore
richiesto per integrare il delitto in commento. Tradizionalmente la bancarotta
per operazioni dolose è stata considerata un delitto preterintenzionale[14]:
occorrono la percezione e la volontà di realizzare un’operazione dolosa non
essendo necessario la rappresentazione o la prevedibilità del fallimento della
società. Recentemente
Si tenga conto che in materia di dolo
dell’extraneus nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, a
seguito di vari interventi giurisprudenziali, da ultimo
In relazione al caso Parmalat,
precedentemente accennato,
In una sommaria elencazione, esse sono: il ricorso a strumenti di debito, ovvero a finanziamenti, in alcune occasioni tra l'altro occultati attraverso simulate operazioni di investimento nel capitale, in una situazione di squilibrio economico-finanziario irreversibile, la conversione dello strumento societario denominato Wishaw Trading, per ottenere credito in assenza di programmi commerciali definiti, l'aumento di capitale della Parmalat Finanziaria s.p.a. organizzato nel 1996 con l’intervento dell’Unione delle Banche Svizzere (UBS), il prestito obbligazionario Par.Fin. del 1994, produttivo di fondi non impiegati nel piano industriale, ma nelle società personali dell’imputato Calisto Tanzi, nonché finanziamenti concessi con l’intervento di Bank of America e prestiti obbligazionari volti a sostituire debiti verso banche con debiti verso investitori; i finanziamenti ottenuti attraverso simulate operazioni di investimento nel capitale.
In particolare, veniva evidenziato in sentenza l’uso spregiudicato di strumenti negoziali volti a occultare, attraverso la stipulazione di onerosi finanziamenti, talora fittiziamente strutturati come aumenti di capitale, il crescente indebitamento di varie società facenti parte del gruppo e di quest’ultimo nel suo insieme: onde le operazioni dolose punite ex art. 223, comma 2, n. 2) L.F. non hanno riguardato le scelte imprenditoriali originarie, ma i rimedi utilizzati per nascondere le conseguenze di esse. Autorevole dottrina in passato ha ritenuto ipotizzabile il concorso del banchiere “specificamente nel caso in cui l’operazione dolosa causatrice del dissesto sia costituita dall’assunzione di un debito”.
In tale visione nel concetto di operazione
dolosa “possono ben essere ricondotte anche le operazioni di ricorso al
credito a condizioni anormali, ad esempio ad un tasso superiore a quello di
mercato o con garanzie eccessive, quando esse abbiano come effetto la
causazione od un aggravamento del dissesto”, a condizione che “colui che
eroga il credito sia consapevole di contribuire a provocare o ad aggravare lo
stato di dissesto”[18].
Sul punto
In tema di elemento oggettivo, il Supremo Collegio ha precisato che “il momento caratteristico della condotta dedotta dalla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, si recepisce nel richiamo alla nozione di operazione la quale richiama necessariamente un "quid pluris" rispetto ad ogni singola azione (o singoli atti di una medesima azione), postulando una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente, non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale, quale è dato riscontrare in qualsiasi iniziativa societaria che implichi un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato; proprio l'autonomia concettuale della condotta dettata dall'art. 223, comma 2, n. 2 esclude che per lo stesso atto discendano due distinte sanzioni penali”.
In tema, invece, di elemento soggettivo
Parte della dottrina ha evidenziato che in caso di concorso dell’istituto di credito nel delitto in esame l’operazione dolosa potrebbe comportare un intervento ideativo o gestorio dell’ente creditizio. Altresì, possono verificarsi casi di banche che partecipino attivamente, pur con diverse modalità, all’organizzazione e al collocamento di obbligazioni, così da consentire a gruppi in palese deficit di liquidità di reperire ingenti risorse sul mercato.
[1] Cass. Pen., sez. V., 07.03.2014, n. 32352.
[2] L. GHIA, C. PICCININNI, F. SEVERINI, Trattato delle Procedure Concorsuali, UTET, 2012, 254.
[3] E. CORUCCI, La bancarotta e i reati fallimentari, Giuffrè, 2013, 195.
[4] Cass. Pen., sez.
V, 29.04.2003 n. 19806, rv
[5] AMBROSETTI, I reati fallimentari, in AMBROSETTI, MEZZETTI, RONCO, Diritto penale dell’impresa, 258.
[6] Cass. Pen., sez.
V, 16.06.1998, n. 6992, rv
[7]Cass. Pen., sez. V,
22.03.2006, n. 9813, rv
[8] Cass. Pen., sez.
V, 07.05.2010, n. 17690, rv
[9] Cass. Pen., sez. V, 23.09.2014, n. 38728.
[10] Cass. Pen., sez.
V, 18.02.2010, n.
[11] Cass. Pen., sez.
V, 26.02.1998, n.
[12] Cass. Pen., sez.
V., 18.02.2010, n.
[13] In dottrina, tra i tanti: PEDRAZZI, Reati fallimentari, in Manuale di diritto penale dell’impresa, Parte generale e reati fallimentari, Bologna, 2004,172 . In senso analogo la giurisprudenza: Cass. pen., sez. I, 25.04.1990, in Cass. Pen. 1992, 164.
[14] PEDRAZZI-SGUBBI, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, Zanichelli, 1995, pag. 322; Cass. Pen., sez. V, 18.2.2010, n. 17690.
[15] Cass. Pen., sez. V, 23.3.2011, n. 16388.
[16] Cass. Pen. n. 16388 del 23 marzo 2011
[17] Cass. Pen., sez. V, 18.02.2009, Ferrari, Ced Cass., rv.243612.
[18] Così STELLA, Insolvenza del debitore e responsabilità penale del banchiere, inFallimento, n. 3/1985, 306.
[19] Cass. Pen., sez.
V, 07.05.2010, n.
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