Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 08/04/2011 Scarica PDF
L'impostazione della consulenza tecnica d'ufficio in materia di interessi bancari (riflessioni a margine delle ultime novità giurisprudenziali e legislative)
Francesca Dell'Anna Misurale, ProfessoreSOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Gli orientamenti giurisprudenziali sul punto della decorrenza del termine di prescrizione dell'azione di ripetizione di somme asseritamente non dovute. - 3. Il principio di diritto affermato sul punto dalla sentenza delle Sezioni unite n. 24418/2010. - 4. La disposizione sulla decorrenza della prescrizione nei rapporti di conto corrente dettata dal d.lgs. 29 dicembre 2010, n. 2555 (c.d. milleproroghe), convertito con legge 26 febbraio 2011, n. 10: natura e portata dell'intervento. - 5. La ricaduta applicativa del nuovo quadro normativo e giurisprudenziale in tema di prescrizione sulle modalità di ricalcolo del rapporto in sede di indagine peritale tecnico - contabile. - 6. La risposta delle Sezioni unite agli interrogativi posti dalla caducazione della pattuizione anatocistica trimestrale. - 7. Segue. L'eliminazione di ogni forma di capitalizzazione per la banca e la conseguente applicabilità dell'art. 1194 c.c. sull'imputazione di pagamenti nella rielaborazione del conto. - 8. L'applicazione dell'art. 117 T.U.B. nelle indagini di consulenza alla luce della evoluzione interpretativa del disposto di legge.
1. A distanza di oltre dieci anni dal noto revirement della Cassazione1, sulla
capitalizzazione degli interessi si pronunciano nuovamente le Sezioni unite e
torna a farsi sentire il legislatore con un emendamento inserito nel c.d.
decreto milleproroghe.
E' noto come la materia degli interessi bancari composti non avesse ancora
trovato, con riferimento ai vecchi contratti, sistemazione appagante2:
inadeguato si era rivelato l'intervento del legislatore3, immediatamente
censurato dalla Consulta nella parte in cui cercava di limitare le ricadute sul
passato del nuovo indirizzo giurisprudenziale4; del tutto deludente la prima
pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione le quali, appiattitesi sul
percorso argomentativo delle sentenze della primavera del '99, rinunciavano, da
un lato, ad approfondire le premesse di fatto dalle quali quel percorso si
snodava, ovverosia l'indagine storica sulla nascita dell'uso bancario della
capitalizzazione5, e dall'altro, ad esaminare la diversa ricostruzione, da più
parti avanzata, che individua la disciplina applicabile ai contratti di conto
corrente bancario in quella dettata agli artt. 1852-1857 e 1831 c.c., piuttosto
che nel disposto dell'art. 1283 c.c. 6 Alla supina conferma della illegittimità
della capitalizzazione trimestrale non seguiva peraltro da parte dell'organo
depositario della funzione nomofilattica alcuna presa di posizione sul delicato
problema, già ampiamente dibattuto, delle conseguenze sul piano degli effetti
restitutori della caducazione della clausola contenente la pattuizione
anatocistica, trascurandosi del tutto di offrire soluzione in ordine
all'individuazione del dies a quo per il calcolo della prescrizione del diritto
alla ripetizione degli interessi, come pure di affermare se, per il passato, la
capitalizzazione dovesse essere semplicemente esclusa o invece ricalcolata su
base semestrale o sulla stessa base annuale con la quale matura sui conti
attivi a favore dei clienti.
2. L'orientamento giurisprudenziale in materia di prescrizione era tutt'altro
che uniforme perché a fronte di una parte, se pure consistente, di pronunce le
quali ritenevano di far decorrere la prescrizione dalla chiusura del conto7
facendo propria, per vero pigramente quanto acriticamente, una massima della
Cassazione risalente al 1984 secondo la quale versamenti e prelievi sarebbero
atti esecutivi di un rapporto giuridico unitario sicché solo con la chiusura
del conto si stabilirebbero definitivamente i crediti e i debiti delle parti
tra loro8, si potevano contare, sempre più numerosi, i Giudici che sostenevano
doversi fissare il dies a quo per il decorrere del termine di prescrizione in
quello dell'addebito asseritamente non dovuto9 (o, almeno nel giorno della
liquidazione di chiusura periodica contenuta nell'estratto conto comunicato al
cliente10).
Le ragioni di questi ultimi si snodano secondo un percorso logico che si articola
nei seguenti passaggi: il dies a quo del decorso della prescrizione è fissato,
in termini generali, dalla norma dell'art. 2935 c.c. che lo identifica «dal
giorno in cui il diritto può essere fatto valere»; un addebito non dovuto può
essere chiesto in restituzione ai sensi dell'art. 2033 c.c. già all'indomani
della sua esecuzione, non essendovi nessuna norma che sospenda l'esercizio di
quel diritto; ciò è vero anche con riferimento agli addebiti annotati in un
conto corrente bancario, anche perché a sensi dell'art. 1852 c.c. il saldo del
conto corrente bancario è, in ogni momento, esigibile da parte del correntista
(come è noto, ciò differenzia la disciplina del relativo rapporto da quello del
conto corrente ordinario, ove vige l'opposta regola della inesigibilità del
saldo fino alla scadenza)11; fra i casi che comportano la sospensione della
prescrizione non vi è traccia di quello in cui il mancato esercizio possa
dipendere dalla pendenza di un rapporto contrattuale tra le parti12. La legge
prevede bensì, in particolari fattispecie, la «sospensione della prescrizione»
allorquando, pur essendovi in astratto la possibilità di esercitare il diritto,
ciò possa essere reso in via di fatto difficoltoso per i particolari rapporti
intercorrenti fra le parti; ma si tratta di fattispecie tassative, di certo non
estensibili analogicamente tout court alle domande di ripetizione di indebite
prestazioni effettuate nello svolgimento di contratti di durata13, tenuto anche
conto del fatto che la sospensione è prevista dalla legge, come già detto, in
ragione di particolari situazioni soggettive, giammai oggettive, cioè
riferibili all'oggetto dei contratti di durata che abbiano dato luogo alle
indebite prestazioni; all'esercizio della pretesa restitutoria non può, del pari,
essere di ostacolo la circostanza che in concreto, prima del revirement
avvenuto in materia, la maggior parte dei clienti delle banche non si assumeva
il rischio dell'insuccesso della relativa azione giudiziaria. In proposito, la
Cassazione ha bene evidenziato14 che la possibilità o meno di prevedere l'esito
favorevole dell'azione proposta o da proporre non impedisce il decorso della
prescrizione e non giustifica l'inerzia del titolare. Il che è coerente con la
unanime interpretazione dell'art. 2935 c.c., secondo la quale la norma si
riferisce esclusivamente alla possibilità legale di far valere il diritto e,
quindi, agli impedimenti di ordine giuridico e non già a quelli di mero
fatto15. Ai fini del maturare del termine di prescrizione è stato, parimenti,
reputato irrilevante il vizio di legittimità costituzionale della norma in
applicazione della quale è stato effettuato un pagamento, sicché la
prescrizione del diritto alla ripetizione di quanto pagato decorre egualmente
dal giorno del pagamento e non dalla data della pronuncia di illegittimità
costituzionale. Al riguardo, per usare le parole della Corte di Cassazione, «Il
mancato esercizio del diritto assicurato dalla norma depurata
dell'incostituzionalità è comunque imputabile alla condotta omissiva dell'interessato,
e dunque non è idoneo a giustificare il mancato decorso della prescrizione, né
lo spostamento del dies a quo del relativo termine alla data della
pubblicazione della sentenza di accoglimento»16. Tutte quante le riflessioni
svolte valgono in egual modo anche se il carattere indebito di una prestazione
dipenda dall'accertamento della nullità del contratto nel cui svolgimento la
prestazione fu effettuata, stante il disposto dell'art. 1422 c.c.; norma che,
com'è stato giustamente osservato, sottolinea la preminenza che il legislatore
ha inteso attribuire al valore della certezza e della stabilità delle
attribuzioni patrimoniali, una volta decorso un ragionevole lasso di tempo,
fino a rendere definitive attribuzioni che pur siano derivate da un contratto
affetto dalla più grave delle patologie (la nullità) previste nella materia
negoziale17.
3. Della questione del dies a quo della decorrenza del termine prescrizionale
in ipotesi di conditio indebiti erano dunque investite, per la particolare
importanza, le Sezione unite della Cassazione alle quali era sottoposto il
seguente quesito di diritto: «se l'azione di ripetizione dell'indebito proposta
dal cliente di una banca, che sostenga la nullità della clausola di
capitalizzazione trimestrale degli interessi (c.d. anatocismo bancario) ed il
suo diritto alla restituzione, si prescriva a partire dalla data di chiusura
del conto, oppure, separatamente per ogni posta, da quando sia stato annotato
in conto ciascun addebito per interessi».
La risposta al quesito non è stata netta, ma articolata e questa sua
articolazione non ha contribuito alla chiarezza, consentendo di tirare la toga
degli ermellini ora di qua ora di là, sì che a dare ascolto alle associazioni
degli utenti dei servizi bancari la sentenza sarebbe stata favorevole alle loro
ragioni almeno quanto lo sarebbe stata alle ragioni delle banche stando ai
commenti dell'Abi.
Ebbene, la Cassazione ha posto certamente in discussione il risalente
orientamento, che faceva discendere dalla unitarietà del rapporto di conto
corrente la conseguenza che solo con la sua chiusura si sarebbero stabiliti
definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro e sarebbe cominciato
a decorrere il termine di prescrizione per la domanda di restituzione18,
statuendo che «l'unitarietà del rapporto contrattuale ed il fatto che esso sia
destinato a protrarsi ancora per il futuro non impedisce di qualificare
indebito ciascun singolo pagamento non dovuto, se ciò dipende dalla nullità del
titolo giustificativo dell'esborso, sin dal momento in cui il pagamento
medesimo abbia avuto luogo; ed è sempre da quel momento che sorge dunque il
diritto del solvens alla ripetizione e la relativa prescrizione inizia a
decorrere». Al tempo stesso, tuttavia, ha affermato che «qualora i versamenti
eseguiti dal correntista in pendenza di rapporto abbiano avuto solo funzione
ripristinatoria della provvista [...], il termine di prescrizione decennale cui
tale azione di ripetizione è soggetta, decorre dalla data in cui è stato
estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono
stati registrati» (così, testualmente, Cass., Sez. un., 2 dicembre 2010, n.
24418).
Il termine di prescrizione viene, quindi, fatto diversamente decorrere a
seconda della natura dei versamenti, nel senso di reputare ripetibili dalla
data della loro esecuzione, per la parte corrispondente a interessi
anatocistici, i versamenti solutori - ovverosia eseguiti su conto scoperto non
affidato o su conto affidato ma oltre il limite del fido - e non ripetibili i
versamenti che, per essere eseguiti su conto affidato movimentato nei limiti
del fido, non hanno carattere solutorio ma ripristinatorio della provvista: per
questi ultimi, l'azione di indebito può essere esercitata soltanto alla
chiusura del conto e, dunque, per essi il termine di prescrizione comincia a
decorrere dall'estinzione del rapporto; per quelli, invece, che integrano veri
e propri pagamenti, per avere natura solutoria, il dies a quo inizia a
decorrere immediatamente.
Nel solco tracciato dalle Sezioni unite, le consulenze tecniche nelle cause di
ripetizione di interessi anatocistici avrebbero dovuto, quindi, accertare se il
conto avesse operato con o senza apertura di credito e, nel primo caso, quando
fosse avvenuto il superamento del limite dell'apertura.
Per vero, di là del rischio di farraginosità del meccanismo di calcolo da
applicarsi in sede di indagine peritale, è sullo stesso fondamento della
distinzione operata tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie, con
riferimento all'addebito di interessi, che possono nutrirsi delle perplessità.
L'iter argomentativo della sentenza è, infatti, poco lineare evidenziandosi
passaggi che non sembra azzardato definire illogici: si muove dall'affermazione
che, per l'esperimento dell'azione di ripetizione dell'indebito, deve essere
intervenuto «un atto giuridico, definibile come pagamento» il che, seguendo il
pensiero della Corte, ricorre quando sia dato di riscontrare la esecuzione di
una prestazione da parte del solvens, con conseguente spostamento patrimoniale
in favore dell'accipiens; sulla base di detto assunto si esclude, in generale,
la configurabilità alla stregua di pagamenti dei versamenti su conti affidati
se effettuati nei limiti dell'affidamento e, in particolare, dell'«annotazione
in conto» degli interessi passivi perché - così si legge in sentenza - ciò
«comporta un incremento del debito del correntista, o una riduzione del credito
di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento»; qui
è l'anello che proprio non tiene: se è pagamento ogni spostamento patrimoniale
perché l'annotazione in conto degli interessi passivi, che determina un
incremento o una riduzione del debito, con conseguente passaggio di ricchezza a
svantaggio o a vantaggio del correntista, non dovrebbe potersi considerare a
tale stregua?
Posto che nella ricostruzione delle regole che riguardano il godimento della
provvista deve considerarsi l'utile che spetta all'istituto di credito per
l'affidamento concesso, né può trascurarsi che man mano che le somme vengono
utilizzate, ma anche ove per assurdo il denaro accreditato non fosse utilizzato
per niente, gli interessi sull'utilizzo e comunque le spese (l'obbligazione di
pagamento della provvigione di conto alla banca sorge anche a prescindere
dall'utilizzo) maturano anche quando il conto è movimentato all'interno del
fido e costituiscono poste negative, non può reputarsi esaurita la funzione
dell'annotazione di interessi e competenze in quella meramente contabile senza
considerare l'effetto immediato che essa consegue: l'aumento o la diminuzione
della disponibilità (id est: potere di acquisto) di cui il cliente è
legittimato a fruire. Piuttosto, come accorta dottrina non ha mancato di
rilevare, nell'apertura di credito l'annotazione in conto opera «quale criterio
di imputazione della somma di denaro al pari del possesso delle banconote, sì
da costituire tecnica di disciplina (convenzionale) per il trasferimento della
quota di ricchezza da un patrimonio all'altro»19. Così l'annotazione degli
interessi passivi rappresenta l'iscrizione di una posta negativa che, in quanto
determina automaticamente la diminuzione del saldo disponibile, può dirsi
equipollente sul piano degli effetti alla consegna di moneta cartacea: allo
stesso modo comporta uno spostamento di ricchezza da un patrimonio all'altro.
In conseguenza: la rimessa che copre il saldo negativo originato
dall'annotazione in conto degli interessi non può mai costituire strumento per
riportare a capitale la somma dovuta (non ha, quindi, natura ripristinatoria
della provvista come, incautamente trascinando in questa sede una distinzione
elaborata in ambito affatto diverso, prospetta la Corte), ma determina
immediatamente l'estinzione del debito per interessi sorto tra le parti
attraverso la destinazione a pagamento di una porzione della disponibilità
monetaria utilizzata.
L'equipollenza ravvisabile tra annotazione e pagamento potrebbe allora
consentire di anticipare il computo del termine alla data di ciascuna
annotazione poiché è in quel momento che il debito di interessi diviene
suscettibile di estinzione.
A tale conclusione non sembra costituire ostacolo neppure la circostanza che il
credito della banca, nel momento in cui il correntista effettui un versamento
su conto affidato nei limiti del fido, non sia esigibile. Al riguardo si legge
in sentenza: «Un versamento eseguito dal cliente su un conto il cui passivo non
abbia superato il limite dell'affidamento concesso dalla banca con l'apertura
di credito non ha né lo scopo né l'effetto di soddisfare la pretesa della banca
medesima di vedersi restituire le somme date a mutuo (credito che, in quel
momento, non sarebbe scaduto né esigibile), [...] non è, dunque, un pagamento,
perché non soddisfa il creditore». Sta di fatto che la inesigibilità del
credito non è in se stessa idonea ad escludere la natura solutoria del versamento:
la disciplina dell'adempimento del debito prima della scadenza (art. 1185 c.c.)
prevede che il debitore a favore del quale sia disposto il termine non possa
ripetere quanto versato qualora abbia adempiuto prima del suo spirare, il che
significa che l'ordinamento reputa comunque giustificato lo spostamento
patrimoniale, sebbene avvenuto prima della scadenza dell'obbligazione e dunque
quando il credito era inesigibile20.
Né al riguardo potrebbe obiettarsi che l'art. 1185 c.c., al pari delle
disposizioni contenenti la disciplina sull'imputazione del pagamento (artt.
1193-1195), non può trovare applicazione all'apertura di credito in conto
corrente. Il convincimento, fortemente radicato in dottrina21, fa perno sul
carattere unitario del rapporto in base al quale si esclude la stessa esistenza
di distinti e separati debiti, ma una volta ammesso che le rimesse possono
invece rilevare atomisticamente22, come affermano le Sezioni unite, per essere
assoggettate al vaglio della loro natura e ammesso, altresì, che ove solutorie
devono considerarsi idonee ad estinguere autonomi addebiti, l'impermeabilità
del contratto alla disciplina comune in materia di imputazione del pagamento
non appare più un dato intangibile.
4. Sgombrato, dunque, il campo dall'illusoria sensazione che la sentenza della
Sezioni unite avrebbe potuto porre fine al dibattito intorno alla
individuazione del dies a quo per il decorso del termine di prescrizione, ben
si comprende la natura dell'iniziativa legislativa concretizzatasi
nell'emendamento al decreto mille proroghe che ha sortito l'introduzione della
disposizione di cui all'art. 2 quinquies, comma 9 23.
Come è noto presupposto dell'interpretazione autentica è un'incertezza circa il
significato normativo del precetto; incertezza che, per quanto interessa l'art.
2935 c.c., sembra irrisolta, se non aggravata, a seguito del principio di
diritto enunciato dalla sentenza n. 24418/2010 e delle difficoltà che questo ha
immediatamente ingenerato nell'elaborazione di un canovaccio di quesiti
condivisi da adottare, in sede di indagine peritale, in modo uniforme sul
territorio nazionale.
Emilio Betti nel delineare la funzione dell'interpretazione autentica si
esprimeva in questi termini: «risolvendo il problema dell'intellegibilità del
precetto, l'interpretazione autentica soddisfa un'esigenza formale di certezza
del diritto e di eguaglianza, cioè di uniformità del trattamento giuridico di
fattispecie identiche, rimuovendo la possibile disparità dipendente dalla
pluralità di significati attribuibili al precetto. Del resto, la scelta
dell'apprezzamento interpretativo può essere suggerita e dettata da criteri di
convenienza (particolarmente da criteri di politica legislativa) tali da
portare a risultati che divergono in maggiore o minore misura da quelli cui
avrebbe portato una corretta applicazione dei criteri ermeneutici»24. L'Autore
prosegue, affermando: «Il suo valore vincolante non è condizionato
dall'esattezza dell'apprezzamento interpretativo che essa enuncia: esattezza
controllata alla stregua dei criteri ermeneutici. Non costituisce una
giustificazione di quel valore, ma una petizione di principio, il dire che chi
compie un'interpretazione autentica adotti la finzione che essa equivalga
logicamente ad un'interpretazione ricognitiva anche quando non coincide coi
risultati di questa. [...] Sotto l'aspetto sostanziale chi è competente a
operare un'interpretazione autentica, non è un interprete qualsiasi che si
trovi in posizione di stretta subordinazione rispetto a un'alterità
irriducibile che lo trascende, ma è lo stesso autore del precetto da
interpretare: e come tale, esso [...] è in posizione da escludere ogni diversa
intelligenza del precetto interpretato»25.
Non sembra, dunque, che l'art. 2935 c.c., nel testo frutto dell'interpretazione
autentica dettata dal legislatore, possa scontare, per così dire, la diversa
lettura offerta da ultimo dalla Cassazione, se pure a Sezioni unite. Il nuovo
disposto, allora, non può interpretarsi mutuando dal principio di diritto
dettato dalla giurisprudenza una differenza - quella tra rimesse solutorie e
rimesse ripristinatorie - che, nel significativo silenzio al riguardo, deve
invece considerarsi del tutto superata, nell'ottica di semplificazione
funzionale, dall'enunciazione di una regola chiara e suscettibile di uniforme
applicazione.
In sostanza, deve ritenersi che il Legislatore, a fronte di contrastanti
pronunce tra le quali semplicemente va annoverata quella da ultimo resa dalle
Sezioni Unite, abbia ritenuto opportuno intervenire con lo strumento
dell'interpretazione autentica del precetto normativo stabilendo che la
prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a
decorrere dal giorno dell'annotazione stessa, senza necessità di operare alcuna
distinzione fra le rimesse a seconda della loro natura.
Ne discende che il Magistrato, chiamato a pronunciarsi sulla eccezione di
prescrizione sollevata dalla banca, dovrà ritenere la stessa fondata con
riferimento a tutte le annotazioni che non siano state contestate entro il
termine di dieci anni dal giorno dell'annotazione stessa.
5. Resterebbe, allora, ben poco da osservare sulla formulazione dei quesiti
riservati al consulente per le indagini peritali da condursi al riguardo
perché, stando a quanto previsto dalla legge di interpretazione, queste
dovrebbero limitarsi a porre l'accento sulle annotazioni. Sennonché non è
necessario essere profeti per prevedere che i dubbi di incostituzionalità - già
adombrati con riferimento al disposto di legge26 - renderanno quanto mai
opportuno far spazio, nelle consulenze tecniche, all'utilizzazione di criteri
ulteriori che, in applicazione proprio dei principi delle Sezioni unite,
consentano di elaborare ipotesi di ricalcolo alternative27 per porre al riparo
il risultato dell'indagine dalla eventuale scure di incostituzionalità della
legge.
Se, dunque, la nuova disposizione aveva finalità deflattive del contenzioso in
atto tra banche e clienti, un primo bilancio, negativo, può già tracciarsi
perché allo stato la consulenza tecnica, non potrà non tenere conto, con
inevitabile aggravio di costi e di tempi, anche - e proprio - dei principi
dettati dalle Sezioni unite, sulla cui ricaduta, in termini di modalità
operative, sulle operazioni di indagine tecnica - contabile manca, peraltro,
uniformità di vedute.
Vi è, infatti, che per un opinione l'individuazione delle rimesse solutorie ai
fini di verificare se per esse sia maturato il termine di prescrizione
decennale debba essere preceduta dalla operazione di eliminazione dal conto di
tutte le competenze illegittime28. L'indagine da affidare al consulente tecnico
dovrebbe per ciò svolgersi secondo il seguente ordine: in primo luogo la
ricostruzione del rapporto depurato da tutte le poste illegittime; soltanto a
seguire la verifica di quali versamenti risultando effettuati extra o absque
fido possano considerarsi solutori ai fini della valutazione dell'eventuale
maturare della prescrizione: un po' come anteporre la cura alla diagnosi della
malattia.
L'impostazione oltre a risultare insoddisfacente sotto il profilo logico, non è
coerente con quanto enunciato dalle Sezioni unite. Se, infatti, secondo la
Cassazione, i versamenti all'interno del fido non si prescrivono perché non
sono solutori, ne segue che fino al momento in cui non si verifica una
scopertura non vi può essere pagamento, ma se il versamento non dovesse, per
così dire, «trovare» sul conto la somma addebitata a titolo di interesse o
altra competenza perché preventivamente eliminata, come se ne potrebbe
accertare la natura indebita e stabilire se per esso versamento è intervenuta
la prescrizione? Proprio l'impianto argomentativo della Cassazione impone di
considerare che ogni versamento sull'extra fido per essere ripetibile in quanto
solutorio deve per l'appunto impattare l'annotazione di addebiti illegittimi,
mentre operando ex ante la eliminazione dal conto delle poste negative
asseritamene non dovute si esclude che in concreto questo possa avvenire. Il
Giudice, allora in via preventiva non potrà che chiedere al consulente tecnico
di indicare in astratto tutte le poste ritenute indebite (in tale categoria
ricomprendendosi gli interessi ultralegali illegittimi perché determinati
secondo gli «usi piazza», le valute fittizie, le commissioni sul massimo
scoperto non pattuite o capitalizzate trimestralmente, le spese forfettarie e
soprattutto la capitalizzazione degli interessi) al fine di individuare i
versamenti imputabili a pagamento delle competenze non dovute ove, si
sottolinea ancora, se dette competenze venissero non solo in astratto indicate
ma anche preventivamente in concreto eliminate con la operazione consueta di
ricostruzione del rapporto bancario, verrebbe meno quella che in sentenza è
individuata come la essenziale precondizione per l'azione di ripetizione: il
pagamento non dovuto.
Al contrario la prima operazione contabile che dovrà essere svolta dal
consulente consisterà nel verificare per il periodo anteriore al decennio (cioè
tra l'inizio del rapporto e i dieci anni precedenti la notifica dell'atto di
citazione o di atto giuridico equivalente ai fini interruttivi del termine di
prescrizione), la situazione contabile esistente, sulla base delle annotazioni
effettuate dalla banca, al momento in cui sia stata effettuata dal correntista
una rimessa su conto scoperto o una rimessa su conto passivo. A questo punto,
dopo avere verificato se e in che misura il saldo giornaliero attesta
l'esistenza di una posizione negativa extra fido, per superamento dello stesso
o per mancanza dello stesso, provvederà ad annotare i versamenti aventi
carattere solutorio (che consistono in quella parte della rimessa eccedente il
fido o relativa ad un conto scoperto) imputando tali versamenti a pagamento
delle competenze annotate, a partire dalle più remote, secondo quanto previsto
dall'articolo 1194 del codice civile.
Terminata questa operazione, che riguarda esclusivamente le rimesse operate in
una fase di superamento del fido, il consulente provvederà a eseguire i
consueti conteggi, dal giorno successivo al pagamento avente carattere
solutorio di competenze.
Di seguito si riporta il testo dei quesiti da porre al C.T.U. sulla scorta
delle riflessioni svolte:
"Accerti il C.T.U. l'eventuale intervenuta prescrizione del diritto alla
ripetizione delle competenze addebitate sul conto corrente, in quanto - nel
rispetto del principio enunciato dalla Suprema Corte- risultino pagate con
effetti solutori alla banca nel periodo antecedente al decennio che precede
l'atto introduttivo del giudizio sulla base ai seguenti criteri:
Esamini il C.T.U. il rapporto di conto corrente per cui è causa a partire dal
primo estratto conto disponibile prendendo come riferimento le registrazioni
riportate negli estratti conto in atti e la restante documentazione al fine di
individuare gli affidamenti concessi nella loro evoluzione cronologica.
Dopo avere verificato il saldo giornaliero con il criterio del c.d. saldo
disponibile verifichi l'esistenza di saldi extrafido per superamento dello
stesso ovvero per mancanza di fido, ed in tal caso quantifichi i versamenti
aventi carattere solutorio - poiché eccedenti il fido ovvero allo scoperto - ed
imputi tali versamenti a pagamento delle competenze addebitate, a partire dalle
più remote, in conformità al principio dell'art.1194 c.c.
Terminata tale fase, ricostruisca il saldo finale del conto corrente, con i
criteri di seguito descritti, iniziando i conteggi dal giorno successivo
all'ultimo pagamento avente carattere solutorio di competenze."
6. Netta, invece, è la risposta offerta dalle Sezioni unite al secondo quesito
proposto alla sua attenzione; in sentenza si legge: «dichiarata la nullità
della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con
il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c. (il quale osterebbe
anche ad un'eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli
interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare
capitalizzazione alcuna»29.
Il principio di diritto così enunciato spazza via definitivamente le diverse
soluzioni che la giurisprudenza di merito aveva iniziato a elaborare, già nel
'99, all'indomani del revirement della Cassazione sulla validità della
capitalizzazione trimestrale, avvertendo fin da subito la necessità di
misurarsi con le conseguenze della declaratoria di illegittimità degli
interessi anatocistici per stabilire se da questa dovesse discendere sic et
simpliciter l'esclusione di qualsivoglia forma di capitalizzazione, oppure il
calcolo dell'interesse composto con periodicità diversa. A distanza di dieci
anni il nodo era ben lungi dall'essere sciolto esistendo un indirizzo
giurisprudenziale secondo il quale la nullità della clausola, in quanto
scaturente da violazione di norma di natura imperativa e inderogabile, non
lasciava spazio al calcolo di una diversa forma di capitalizzazione30; altro
indirizzo, secondo il quale la capitalizzazione trimestrale doveva essere
sostituita con quella semestrale31 e altra opinione, ancora più diffusa, che
reputava doversi applicare in luogo della periodicità trimestrale quella
annuale. Le motivazioni attraverso le quali si perveniva a detta ultima
conclusione, tuttavia, non erano univoche: per una tesi doveva farsi leva sulla
generale cadenza di produzione degli interessi prevista nell'art. 1284 c.c.32,
per altra sarebbe stato rinvenibile un uso normativo di capitalizzazione
annuale33; per altra ancora, vi sarebbero ragioni di equità da ricavarsi
principalmente nella simmetria con l'applicazione della capitalizzazione sugli
interessi attivi34; per altra, infine, la cadenza annuale sarebbe coerente con
un'interpretazione evolutiva della disciplina in considerazione della
previsione contenuta nella delibera del CICR in ordine alla validità della
capitalizzazione con uguale periodicità35. Non mancavano, infine, arresti che
motivavano attraverso il mero riferimento ad una molteplicità di ragioni, per
lo più evocate e poco sviluppate36 o, addirittura, omettevano del tutto di
motivare affermando apoditticamente la sostituibilità della capitalizzazione
trimestrale con quella annuale37.
Ebbene, la complessa questione, pervenuta alla decisione delle Sezioni unite
per la sua massima e particolare rilevanza, è affrontata e risolta in pochi e
poco argomentati passaggi non in grado di offrire il necessario supporto al
principio di diritto affermato, né tantomeno di giustificare perché se, come si
legge in sentenza, non esiste alcun uso che legittimi per il passato la
capitalizzazione degli interessi passivi, neanche annuale, debba poi reputarsi
legittima la capitalizzazione annuale degli interessi attivi38. D'altra parte,
la conclusione che la capitalizzazione rimanga operante solo in favore del
correntista, ripugna e non solo al diritto ma anche al buon senso39: si ammette
che la clausola statuente la pattuizione rimanga in piedi soltanto nella parte
in cui regolamenta l'interesse composto da applicarsi sui saldi attivi con
conseguente squilibrio normativo (e per vero anche economico) a danno di uno
dei contraenti (la banca), che finirebbe per subire una vera e propria sanzione
non prevista dall'ordinamento e tanto più ingiustificabile in considerazione
della disciplina che oggi ammette le pattuizioni anatocistiche, col solo limite
della uguale periodicità di calcolo.
Al riguardo, si è ben consapevoli che anche considerato l'uso di
capitalizzazione annuale esistente ciò non sarebbe stato sufficiente a
configurare le condizioni di applicabilità richieste dal combinato disposto
degli artt. 1419, comma 2 e 1339 c.c.: un uso di capitalizzazione valido non è
norma imperativa che possa automaticamente sostituirsi alla pattuizione di
capitalizzazione trimestrale inficiata dalla declaratoria di nullità. Sotto il
profilo dell'inserzione ex art. 1339 c.c. l'accertamento dell'esistenza
dell'uso normativo anteriore al 1942 sarebbe stato, dunque, muto; il suo
rilievo si sarebbe, tuttavia, potuto apprezzare sul piano equitativo,
giustificando le modalità di esercizio del potere integrativo attribuito al
giudice dall'art. 1374 c.c.
In questa prospettiva poteva concorrere il disposto dell'art. 120 TUB che,
subordinando attraverso il rinvio alla delibera del CICR la legittimità della
capitalizzazione alla sola uguale periodicità, poteva fungere da canone
ermeneutico in linea con la generale tendenza del sistema al riequilibrio delle
posizioni contrattuali e guidare l'esercizio del potere integrativo nel senso di
riempire il vuoto lasciato dalla caducazione della pattuizione di
capitalizzazione trimestrale con la capitalizzazione annuale.
Invero, una volta sancita la illegittimità della capitalizzazione trimestrale
non sembra potesse considerarsi un azzardo ricondurre all'esercizio giudiziale
del potere integrativo del contratto il compito di dare senso a ciò che restava
della regolamentazione data alla materia degli interessi40.
E' questo un compito che si sarebbe dovuto assolvere tenendo nel dovuto conto e
le ragioni che avevano determinato il revirement dell'ormai lontano '99 e le
esigenze, ancora attuali, di governare il cambiamento. In proposito occorreva,
per vero, soltanto, avere presente che le censure alla capitalizzazione erano
state originate dalla diseguale periodicità con la quale essa veniva dalle
banche applicata sui conti attivi e passivi, disuguaglianza avvertita, a
seguito della sensibilità acquisitasi in materia di tutela del consumatore,
come il prodotto di un'ingiusta imposizione e quindi non più tollerabile.
7. Segue. E' quanto mai opportuno fermarsi sulle conseguenze dell'esclusione
della validità di qualunque forma di capitalizzazione dell'interesse passivo
per sottolineare che alla eliminazione delle relative poste dal conto corrente
in sede di perizia deve procedersi eseguendo il ricalcolo ai sensi dell'art.
1194, ovverosia imputando ogni successivo versamento prima agli interessi e poi
al capitale. Al riguardo, si è già sopra osservato che una volta ammesso, come
fa la sentenza nell'individuare il dies a quo per il decorso del termine di
prescrizione, che le rimesse in conto hanno rilievo nella loro individualità e
che, ove solutorie, devono reputarsi idonee ad estinguere autonomi addebiti,
non sembra più esservi ragione per considerare il rapporto di conto corrente
impermeabile alla disciplina comune in materia di imputazione del pagamento. In
aggiunta deve qui osservarsi che a mettere in crisi la tradizionale sottrazione
del contratto di apertura di credito in conto corrente all'àmbito di
applicabilità delle dette disposizioni concorre proprio l'orientamento espresso
dalle Sezioni unite sul punto della capitalizzazione. Non sembra azzardato,
infatti, affermare che con la pronuncia di invalidità di qualunque forma di
capitalizzazione (per il passato) cade uno dei meccanismi peculiari di
funzionamento dell'apertura di credito in conto corrente che, consentendo di
portare l'interesse a capitale, ne escludeva in radice l'erosione il cui
rischio costituisce la ragione giustificatrice delle regole sull'imputazione
dei pagamenti. In altri termini, mentre laddove è ammessa la capitalizzazione
(per esempio, negli attuali rapporti di conto corrente bancario) la
conservazione del capitale fino all'estinzione del debito, che è interesse del
creditore giudicato meritevole di tutela dall'ordinamento, è assicurata dal
fenomeno anatocistico, nei contratti da assoggettarsi a indagine ai fini di
escludere la capitalizzazione dal conto, il ricalcolo ai fini restitutori non
sembra poter prescindere, in ossequio alla medesima ratio, dall'applicazione
delle regole di cui agli artt. 1191- 1195 c.c.
La seconda parte del quesito da porre al C.T.U., per la ricostruzione del conto
corrente secondo gli innovativi principi determinati dalla risposta offerta
dalle Sezioni unite al quesito relativo alla legittimità della capitalizzazione
annuale degli interessi per le operazioni a debito per il cliente, avrà quindi
il seguente tenore:
«Applichi il C.T.U. la capitalizzazione semplice degli interessi sino al
30.06.2000 imputando ogni pagamento intervenuto sul conto prima ad interessi,
quantificati senza alcuna capitalizzazione, maturati a quella data e poi a
capitale, in applicazione delle regole contenute nell'art.1194 c.c.;
successivamente, applichi la capitalizzazione trimestrale reciproca nel caso in
cui la banca abbia dato prova della comunicazione delle variazioni contrattuali
ai sensi dell'art. 7 comma 2 dalla delibera CICR del 09.02.2000, in caso
contrario operi come sopra; applichi le condizioni economiche contrattualmente
previste».
8. Altro profilo in ordine al quale la predisposizione dei quesiti da
sottoporre al C.T.U. ha costituito terreno di scontro tra contrapposte opinioni
attiene ai criteri di integrazione del contratto in ipotesi di declaratoria di
nullità della pattuizione degli interessi.
Per circa un decennio in ipotesi di nullità della clausola che prevede il
saggio di interesse sia attivo che passivo e dunque sia ultralegale che
infralegale (per mancanza della relativa convenzione scritta o a cagione del
rinvio in essa contenuto al c.d. uso di piazza) si è reputato di poter fare
ricorso alla previsione dettata dall'art. 117 T.U.B. che stabilisce la
sostituzione del tasso nullo con «il tasso nominale minimo e quello massimo dei
buoni ordinari del tesoro annuali emessi nei dodici mesi precedenti la
conclusione del contratto, rispettivamente per le operazioni attive e passive».
A un primo sguardo la disposizione poteva apparire un vero e proprio paracadute
aperto dal legislatore in favore del ceto bancario, prestandosi ad evitare la
falcidie del credito della banca che sarebbe derivata dall'applicazione, per
l'intero rapporto, del tasso legale; ombrello tanto più ampio perché idoneo,
secondo l'orientamento da principio formatosi in materia, a spiegare effetti
anche sui rapporti già iniziati alla data di entrata in vigore del T.U.B.41
Nella maggior parte dei Tribunali si consolidava uno schema di quesiti al
C.T.U. che, con riferimento alla nullità della clausola di rinvio agli usi,
prevedeva (ed in molti Tribunali ancora prevede): l'applicazione dell'interesse
nella misura legale fino al 9 luglio 1992 (data di entrata in vigore della
legge 17 febbraio 1992, n. 154 di cui gli artt. 4 e 5 che sono confluiti negli
artt. 117 e 118 d. lgs. 385/93); per il periodo successivo al 9 luglio 1992
l'applicazione degli interessi sulla base dei criteri stabiliti, in ultimo,
dall'art. 117 comma 7, lettera a), d. lgs 385/93. In tal caso il tasso di
riferimento dovrà essere quello relativo all'anno precedente all'entrata in vigore
della legge (per i contratti conclusi prima di questa), ovvero quello relativo
all'anno precedente alla data di stipulazione del contratto, se successivo. Il
tasso da applicare sarà quello nominale minimo e quello massimo dei buoni
ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari, eventualmente indicati
dal Ministro del tesoro, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle
passive (intendendo per operazioni attive quelle che producono interessi a
credito della banca); il tasso dei buoni del tesoro (minimo o massimo) dovrà
essere applicato solo se più favorevole al correntista.
Tuttavia, tale impostazione ha prodotto e, invero, continua a produrre
risultati aberranti e del tutto incoerenti con lo spirito della norma.
La inadeguatezza delle modalità di indagine si evidenziava dapprima con
riferimento ai contratti in itinere alla data di entrata in vigore del testo
unico, per i quali il tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni del
tesoro a cui riferirsi per operare la sostituzione era individuato, nei quesiti
generalmente sottoposti al C.T.U., in quello dell'anno precedente all'entrata
in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 154 i cui artt. 3, 4 e 5 erano di
poi trasfusi nell'art. 117 T.U.B (d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385). La circostanza
che tale tasso fosse eccezionalmente elevato ma, soprattutto, che nel tempo
esso fosse divenuto del tutto sproporzionato rispetto al costo di mercato del
denaro, in fase di notevole riduzione per rientrare nei parametri appena varati
a Maastricht, concorreva a evidenziare i limiti dei criteri sopra espressi.
Cominciavano ad emergere dalle consulenze tecniche d'ufficio risultati abnormi
che derivavano dalla combinazione di una serie di fattori: prima di tutto
l'applicazione del tasso legale su base passiva fino alla data del luglio 1992,
combinato con l'eliminazione dell'anatocismo trimestrale e lo scorporo di tutte
le commissioni e spese, sovente portava il correntista all'appuntamento con il
tasso sostitutivo già in veste di creditore e per somme notevoli ogni qual
volta fosse titolare di un conto corrente molto datato; si aggiungeva
l'applicazione del tasso di interesse fisso del 13,64% (tale essendo la misura
alla data di riferimento) e, per giunta, la capitalizzazione annuale
(considerandosi questa valida anche per il passato a favore del correntista)
per l'intera durata residua del rapporto; a volere tacere del fatto che, con
decorrenza dal luglio 2000, il cliente poteva altresì giovarsi anche della
capitalizzazione trimestrale degli interessi.
In un giudizio avente ad oggetto un rapporto di conto corrente con
caratteristiche, anche sotto il profilo della lunghezza, tali da far emergere i
guasti delle modalità di indagine testé segnalati, poteva accadere che il tasso
sostitutivo, così applicato, violasse la legge antiusura in danno dell'istituto
di credito42.
Non si doveva attendere a lungo, tuttavia, prima che la Suprema corte si
pronunciasse per affermare: «Le norme sulla nullità dei patti contrattuali
contenenti la determinazione degli interessi attraverso il rinvio agli usi,
introdotte con l'art. 4 della legge 17 febbraio 1992, n. 154, poi trasfuso
nell'art. 117 del d.lgs. 1°settembre 1983, n. 385, non sono retroattive, alla
pari della disciplina in materia di usura. L'irretroattività opera anche per la
previsione della sostituzione della clausola nulla con la diversa disciplina
legale all'uopo dettata dal legislatore»43.
L'orientamento della Cassazione era seguito dai giudici di merito44 tra i
quali, tuttavia, permaneva, pure a seguito dell'affermazione della
irretroattività della disciplina anche da parte della Corte Costituzionale45,
qualche voce di dissenso che continuava a reputare applicabile l'art. 117
T.U.B. ai rapporti in essere46.
L'evoluzione interpretativa del disposto interessava all'un tempo, di là dalla
portata applicativa, il contenuto stesso della norma e, segnatamente, la parte
ove si identifica «il tasso legale sostitutivo - delle clausole di contratti
nulle perché indeterminate - con riguardo al valore dei buoni del tesoro annuali
e di altri titoli similari emessi nei dodici mesi "precedenti la
conclusione del contratto"». Si evidenziava come ciò determinasse
l'anchilosarsi del tasso di riferimento in una misura fissa con buona pace
delle esigenze di variabilità dell'ammontare in considerazione delle
inevitabili fluttuazioni dei parametri del mercato finanziario che, invece,
sembravano avere ispirato le stesse previsioni di legge47. Si sviluppava,
dunque, un orientamento giurisprudenziale tendente a preferire «all'interpretazione
strettamente letterale del testo di legge un'interpretazione di tipo razionale
che tenga conto delle variazioni dei tassi di interesse in relazione alle
mutevoli condizioni di mercato»48.
Detto ultimo illuminato indirizzo ha consentito di richiedere al C.T.U. di
adeguare il tasso sostitutivo applicabile anno per anno e, addirittura,
trimestre per trimestre tenendo fermo il criterio di riferimento (tasso minimo
e massimo dei B.o.t.), così eliminando le aberrazioni che derivavano dalla
inelasticità del tasso, fonte per giunta di potenziale sforamento dei tassi
soglia previsti dalla legge 108/96.
Alla luce dei principi enunciati, il corretto quesito da porre al C.T.U. in
caso di nullità dell'accordo sul tasso di interessi (attivo o passivo) potrebbe
essere quello che preveda: «in ipotesi di contratto stipulato prima della data
del 9 luglio 1992, l'applicazione dell'interesse nella misura legale
dall'apertura del rapporto fino alla chiusura; in ipotesi di contratto
stipulato in data successiva al 9 luglio 1992 (data di entrata in vigore della
legge 17 febbraio 1992, n. 154, i cui artt. 4 e 5 sono confluiti negli artt.
117 e 118 TUB d. lgs. 385/93), l'applicazione degli interessi sulla base dei
criteri stabiliti dall'art. 117, comma 7, lettera a), d. lgs. 385/93. In tal
caso, il tasso di riferimento iniziale dovrà essere il tasso nominale dei
B.O.T. annuali relativo all'anno precedente alla data di stipulazione del
contratto per la prima applicazione e sarà adeguato tenendo come riferimento
quello dei titoli emessi nei dodici mesi antecedenti ad ogni chiusura
trimestrale del conto. Il tasso da applicare sarà quello nominale minimo e
quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali, rispettivamente per le
operazioni attive e per quelle passive (intendendo per operazioni attive quelle
che producono interessi a credito della banca); il tasso dei buoni del tesoro
(minimo o massimo) dovrà essere applicato solo se più favorevole al
correntista».
*Sebbene l'intero contributo sia frutto di una riflessione comune, i paragrafi
5, 7 e 8 sono stati scritti da G. Dell'Anna Misurale, mentre gli altri da F.
Dell'Anna Misurale.
1) La svolta della Cassazione si realizzava con due sentenze, depositate a
distanza di pochi giorni l'una dall'altra (Cass., 16 marzo 1999, n. 2374 e
Cass., 30 marzo 1999, n. 3096) le quali dichiaravano la illegittimità della
pattuizione di capitalizzazione trimestrale degli interessi contenuta nei
contratti di conto corrente bancario in quanto basata non già su un uso
normativo ma su un uso negoziale. Le sentenze si trovano pubblicate su tutte le
riviste di settore: tra le tante v. Foro it., 1999, I, cc. 1153 ss., con nota
adesiva di A. PALMIERI e R. PARDOLESI, i quali, tuttavia, non rinunciavano a
mettere in luce quanto la decisione si fondasse sulle «nebbie di una contesa
sul sesso degli angeli», qual è la contesa circa la «natura dell'uso»; in Corr.
giur., 1999, pp. 561 ss., con nota di V. CARBONE. Tra i numerosissimi commenti
che accompagnano le due pronunce, v.: G. GABRIELLI, Capitalizzazione
trimestrale degli interessi attivi ed usi creditizi, in Riv. dir. civ., 1999,
pp. 443 ss; G. DE NOVA, Capitalizzazione trimestrale: verso un «revirement»
della Cassazione? In Contratti, 1999, p. 442; G. GIACALONE, Illegittima la
capitalizzazione trimestrale degli interessi bancari a debito del cliente, in
Giust. civ., 1999, I, p. 1301 ss.; M. COSTANZA, Anatocismo: la svolta della
Cassazione, ibidem, p. 1585 ss.; G. COTTINO, La Cassazione muta indirizzo in
tema di anatocismo, in Giur. it., 1999, I, pp. 1221 ss.; F. DELL'ANNA MISURALE,
La nuova giurisprudenza in materia di anatocismo: riflessioni critiche sul
revirement della Cassazione, ibidem, p. 1873 ss.; A.A. DOLMETTA e A. PERRONE,
Risarcimento dei danni da inadempimento di obbligazioni di interessi e anatocismo,
in Banca, borsa e tit. cred., 1999, II, p. 408 ss.; F. FERRO-LUZZI, Prime
considerazioni a margine della sentenza della Corte di Cassazione del 16 marzo
1999, n. 2374, in tema di anatocismo, usi e conto corrente bancario, in Riv.
dir. comm., 1999, II, p. 175 ss.; A. RICCIO, E' dunque illegittima la
capitalizzazione degli interessi praticati dalle banche sulle somme prestate al
cliente, in Contratto impr., 1999, p. 317 ss.; G. CABRAS, Conto corrente
bancario ed anatocismo tra diritto e pregiudizio, in Dir. banc. merc. fin.,
1999, p. 272 ss.; G. MANTOVANO, Una breve disamina dei primi effetti contabili
del revirement giurisprudenziale, in Riv. dir. comm., 2002, II, p. 270; V.
FARINA, La determinazione giudiziale del credito «bancario» in conto corrente,
in Banca, borsa e tit. cred., 1999, pp. 340 ss. Il mutamento di indirizzo della
Cassazione è puntualmente ricostruito, attraverso una completa ricognizione
delle sentenze dei giudici di merito che lo hanno sollecitato e della dottrina
che lo ha commentato, nel case-book di A. RICCIO, L'anatocismo, 2002, Padova,
al quale si rinvia per gli ulteriori riferimenti bibliografici. Per un
approfondimento della materia v. G. PORCELLI, La disciplina degli interessi
bancari tra autonomia ed eteronomia, Napoli, 2003.
2) Per il futuro, in virtù di quanto disposto dal comma 2 dell'art. 25 del
d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342, il CICR con delibera 9 febbraio 2000 (pubblicata
sulla G.U. 22 febbraio 2000, n. 43, ed entrata in vigore il 22 aprile 2000),
stabiliva le modalità e i criteri per la produzione di interessi sugli
interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività
bancaria e finanziaria prevedendo, in ogni caso, che nelle operazioni in conto
corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel
conteggio degli interessi sia debitori sia creditori. Le clausole contenute nei
contratti già stipulati alla data del 22 aprile 2000 dovevano essere adeguate
al disposto della menzionata delibera, che prevedeva altresì le modalità di
pubblicizzazione dell'adeguamento, in difetto sarebbero divenute inefficaci.
3) Nel tentativo di dirimere il contenzioso apertosi tra banche e clienti sulla
validità delle pattuizioni anatocistiche, l'esecutivo dettava, nell'esercizio
della delega conferita dalla l. 128/98 per integrare e correggere il d.lgs.
385/93 (t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia), la disposizione
contenuta nel comma 3 dell'art. 25 d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342, con la quale
disponeva che: «le clausole relative alla produzione degli interessi sugli
interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data
di entrata in vigore della delibera di cui al comma secondo, sono valide ed
efficaci fino a tale data». La manifesta contrapposizione tra Governo e potere
giudiziario è colta da A. RICCIO, La capitalizzazione degli interessi nel
conflitto fra iurisdictio e legislatio, in Contratto impr., 2000, p. 1156 ss.;
fra i molti commenti all'intervento legislativo v. F. FERRO-LUZZI, Prolegomeni
in tema di «validità sopravvenuta» (considerazioni a margine delle modifiche al
testo unico bancario in tema di anatocismo), in Riv. dir. comm., 1999, I, p.
879 ss.
4) La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale per
violazione dell'art. 76 Cost., ovverosia per eccesso di delega, dell'art. 25
del d.lgs. 342/99, nella parte in cui (comma 3) stabiliva in maniera
indiscriminata la validità ed efficacia delle clausole relative alla produzione
di interessi anatocistici, contenute nei contratti bancari stipulati
anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera CICR: cfr. sentenza
17 ottobre 2000, n. 425, in Foro it., 2000, I, c.3045, con nota di A. PALMIERI;
nonché in Corr. giur., 2000, p. 1453 ss., con nota di V. CARBONE. Per una rassegna
delle diverse censure sollevate dai giudici remittenti v. P. FERRO-LUZZI, Le
opzioni ermeneutiche dell'ambito semantico: l'anatocismo arriva alla Corte
Costituzionale, in Riv. dir. priv., 2000, pp. 752 ss. Contra la fondatezza
della questione di illegittimità costituzionale si erano pronunciati alcuni
giudici di merito, tra i quali, vale la pena citare Trib. Palermo, 17 dicembre
1999, G.U. Conti, in Banca, borsa e tit. cred., 2000, II, p. 170, per la
accuratezza e profondità delle motivazioni.
5) L'intervento delle Sezioni unite è vi è più deludente ove si pensi che
l'aveva originato non già un contrasto giurisprudenziale, bensì proprio, ai
sensi dell'art. 374 c.p.c, la questione di «massima e particolare rilevanza»
riguardante l'esistenza di un uso normativo di capitalizzazione trimestrale
degli interessi precedente al 1999, cioè al manifestarsi del nuovo orientamento
della Cassazione. Cass., Sez. un., 4 novembre 2004, n. 21095, si legge in Foro
it., 2004, I, c. 3294 con note di A. PALMIERI - R. PARDOLESI, L'anatocismo
bancario e la bilancia dei Balek, di G. COLANGELO, Interessi bancari e
meccanismi moltiplicativi delle remunerazioni, e di F. FERRO-LUZZI, Canone
inverso. Le Sezioni Unite sull'anatocismo bancario: una sconfitta per i
consumatori?, nonché in Banca, borsa e tit. cred., 2005, II, ove è altresì
pubblicato l'interessantissimo «Stralcio della memoria conclusionale prodotta
nell'interesse della banca ricorrente» a firma G. MINERVINI e P. DALMARTELLO
nel giudizio che ha dato luogo all'intervento delle Sezioni unite, nonché le
note di N. SALANITRO, Le Sezioni unite e l'anatocismo bancario, di A.A.
DOLMETTA, Il divieto di anatocismo per le banche dalla gestione del pregresso
ai rapporti attuali. Per un uso laico della «certezza del diritto» e di D. MAFFEIS,
Banche, clienti, anatocismo e prescrizione; v. pure B. INZITARI, Le Sezioni
unite e il divieto di anatocismo: l'asimmetria contrattuale esclude la
formazione dell'uso normativo, in Corr. Giur., 2005, p. 214; nonché A. NIGRO,
Anatocismo nei rapporti bancari e Sezioni Unite: la fine della «storia
infinita»?, in Dir. banca merc. fin., 2005, p. 651
6) Secondo un orientamento delineatosi già immediatamente dopo la svolta della
Cassazione, la soluzione della questione non potrebbe prescindere dalla lettura
combinata delle norme in materia di conto corrente bancario con l'art. 1831
c.c. dettato nell'ambito della disciplina del conto corrente ordinario; in
questa prospettiva v. Trib. Roma, 14 aprile 1999, in Foro it., 1999, c. 2370;
Trib. Roma, 26 maggio 1999, ibidem, e in Il fallimento, 1999, p. 1230, con nota
di L. PANZANI, Anatocismo: tra giurisprudenza e nuova legislazione; Trib.
Lecce, 3 dicembre 1999, n. 3003 (inedita) e Trib. Firenze, 8 gennaio 2001, in
Foro it., 2001, c. 2362, secondo i quali il potere riconosciuto alle parti di
negoziare liberamente i termini di chiusura dei conti e la conseguente
maturazione sul saldo - nuova rimessa - di nuovi interessi, si traduce in una
indiretta pattuizione anatocistica, ammessa ex art. 1831 c.c. anche nel conto
corrente bancario, in deroga al principio generale della posteriorità di questa
rispetto al tempo di maturazione degli interessi. Segnatamente, secondo il
Tribunale di Lecce in entrambi i contratti (quello di conto corrente ordinario
e quello di conto corrente bancario) non può prescindersi, per la natura stessa
dei due contratti, dalla chiusura del conto quale momento in cui il saldo può
essere liquidato oppure può andare a costituire la prima partita del nuovo
conto, con interessi sino allora maturati che, venendo a far parte del nuovo
saldo, vengono capitalizzati al momento di detta chiusura. Nello stesso senso,
in dottrina v. G. CABRAS, Conto corrente bancario ed anatocismo tra diritto e
pregiudizio, in Bancaria, 1999, p. 8; la tesi che nega l'applicabilità
dell'art. 1283 cc. alla materia degli interessi maturati sui conti correnti
bancari, è portata all'estreme conseguenze da U. MORERA, Sulla non
configurabilità della fattispecie "anatocismo" nel conto corrente
bancario, in Riv. dir. civ., 2005, p. 17; nonchè da P. FERRO-LUZZI, Una nuova
fattispecie giurisprudenziale: "l'anatocismo bancario"; postulati e
conseguenze, in Giur. comm., 2001, p. 5 e, da ultimo è ripresa da V. BARBA,
Interessi dovuti per effetto dell'inderogabile divieto di anatocismo, in Obbl.
e contr., 2009, 6, p. 535.
7) V., ex multiis e tra le più recenti: Trib. Cassino, 29 ottobre 2004, in www.altalex.it;
Trib. Bari, 13 luglio 2010; Trib. Salerno, 15 giugno 2010; Trib. L'Aquila, 16
febbraio 2010; Trib. Novara, 12 febbraio 2010; Trib. Benevento, 12 febbraio
2010; Trib. Milano, 3 novembre 2009 nonché Trib. Benevento, 17 giugno 2009,
tutte in RDA online.
8) E' la nota Cass., 9 aprile 1984, n. 2262, in Mass. Giur. it., 1984.
9) Cfr. tra le tante, le più significative, alcune delle quali riprese nelle
note successive: Trib. Torino, 30 ottobre 2003, in Giur. it., 2004, p. 102;
Trib. Mantova, 12 luglio 2008, in www.ilcaso.it; Trib.
Novara, 9 febbraio 2006, n. 145, in RDA online (nonché www.novaraius.it);
Trib. Teramo, 18 gennaio 2010, n. 84 in http://annamariatanzi.wordpress.com/category/tribunaledi-teramo/.
10) V. Trib. Monza, 3 settembre 2008, in RDA online, ove si legge: «Venendo al
tema della prescrizione, il giudicante osserva che, poiché gli addebiti in
conto corrente costituiscono a tutti gli effetti dei pagamenti - in quanto
vanno ad erodere la somma capitale disponibile per il correntista - la
comunicazione della liquidazione di chiusura periodica, contenuta nell'estratto
conto trasmesso al cliente, vale come termine iniziale di decorso della
prescrizione ordinaria riguardo ad ogni possibile azione di contestazione della
legittimità delle operazioni effettuate dalla banca e per la ripetizione dei
relativi indebiti. Detta conclusione - che si scosta da un autorevole indirizzo
giurisprudenziale che sostiene la tesi del decorso della prescrizione dalla
chiusura definitiva del conto - è aderente al prevalente pensiero della
dottrina e della giurisprudenza minoritaria apparendo giuridicamente
irrilevante il richiamo alla natura unitaria del rapporto contrattuale, atteso
che tale caratteristica non incide sulla valenza autonoma delle singole
operazioni di pagamento e sulla tutela dei diritti dalle stesse scaturenti».
11) Sul punto v. Trib. Novara, 9 febbraio 2006, n. 145, in RDA online, cit.,
ove espressamente si legge: «è appena il caso di ricordare che, a differenza
del contratto di conto corrente c.d. ordinario (per il quale vale la opposta
regola dettata dal primo comma dell'art. 1823 c.c., non richiamata nella sedes
materiae della species bancaria), qualora un contratto di apertura di credito o
qualunque altro genere di operazione bancaria sia regolata in conto corrente di
corrispondenza, il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme
eventualmente risultanti a suo credito; il che comporta, per logica
conseguenza, che egli ha in qualunque momento facoltà di chiedere alla banca il
saldo o anche un estratto del conto (comprensivo delle spese e dei diritti di
commissione richiamata dal combinato disposto degli artt. 1826 e 1857 c.c.) al
fine di verificare l'esistenza di somme a suo credito, e pertanto anche -
poiché nel più sta il meno - di accertare l'indebita appostazione a debito di
interessi, competenze e spese e richiederne la restituzione. Ne consegue che il
correntista è posto nella giuridica possibilità di far valere in ogni momento
(e non solo nei momenti delle formali chiusure contabili del conto, quale ne
sia la periodicità) il proprio diritto alla eventuale ripetizione - nella forma
contabile dello storno e del riaccredito - di qualsiasi posta in ipotesi
illecitamente addebitatagli dall'istituto di credito. Pertanto, il mancato
esercizio da parte del correntista del diritto alla restituzione dell'indebito
nel quale si sostanzia il mancato esercizio della facoltà di verifica e
contestazione delle risultanze del conto, dà luogo immediatamente a quello
stato di inerzia che è il presupposto stesso della prescrizione. Deve quindi
concludersi che il diritto ad esercitare [...] sorge nel caso di operazioni
bancarie in conto corrente nel momento stesso in cui la banca abbia,
illegittimamente o addirittura illecitamente, addebitato al cliente la posta
contestata e che il dies a quo della prescrizione vada automaticamente
individuato in quella stessa data». Nel medesimo alveo si iscrive, da ultimo,
la recentissima sentenza Trib. Teramo, 18 gennaio 2010, n. 84 (inedita ma
disponibile su http://annamariatanzi.wordpress.com/2011/03/11/conto-corrente-di-corrispondenza-anatocismo/),
la quale nel reputare l'orientamento per cui il dies a quo decorre dai singoli
pagamenti non dovuti «maggiormente aderente al complesso normativo che regola
la materia», nonché alla ratio stessa della prescrizione da individuarsi nella
certezza del diritto e nella oggettiva necessità che decorso un determinato
lasso di tempo la situazione di fatto sia assimilata a quella di diritto, si
sofferma specificamente sulla natura del contratto di conto corrente con
valutazioni che vale la pena riportare: «Il fatto che, nei contratti di durata,
le singole prestazioni si trovano inserite in un rapporto unitario e siano tra
di loro avvinte da un nesso di continuità funzionale, non significa che non
siano autonome l'una dall'altra - omissis - quanto al contratto di conto
corrente bancario, anche alla luce degli artt. 1852, 1856 e 1829 c.c., si può
affermare che è un negozio giuridico atipico dominato dalle regole del mandato,
in quanto la banca assume l'incarico di compiere, nei limiti della sua
organizzazione, pagamenti o riscossioni di somme per conto del cliente e
secondo le sue istruzioni. La disponibilità del conto può essere costituita con
versamenti di somme, con accrediti sul conto, o anche con intervento da parte
della banca, la quale dà corso ad ordini di pagamento con fondi propri (per
esempio scoperto di conto corrente). In quest'ultima ipotesi, può aversi
un'apertura di credito, quando la banca si sia obbligata a concedere fido al
cliente per una somma determinata (per un certo tempo o a tempo indeterminato),
ovvero una concessione temporanea di credito - che nella complessità del
rapporto stesso ha carattere di prestazione accessoria rispetto a quella
principale di mandato assunta dalla banca - quando la banca non abbia assunto
alcun obbligo di anticipare fondi (Cass., n. 761/1969; Cass., n. 52/1995;
Cass., n. 3447/1986). Se dunque sono vere queste premesse, si può dire che il
saldo che risulta a seguito degli accrediti e degli addebiti, non è un vero e
proprio effetto giuridico derivante dai suddetti atti, ma solo una variazione
quantitativa: infatti il suddetto effetto non è la conseguenza di una
compensazione in senso tecnico perché la medesima presuppone due debiti
nascenti da due autonomi rapporti giuridici laddove, nella fattispecie, i
debiti nascono dallo stesso contratto. Appare dunque consequenziale ritenere
che: ogni atto compiuto dalle parti nell'ambito del contratto di conto
corrente, determina un preciso effetto giuridico: in particolare, rimanendo
all'addebito effettuato dalla banca in virtù della clausola di capitalizzazione
trimestrale di applicazione di interessi non pattuiti, il suddetto atto produce
l'effetto che il cliente/correntista è costituito debitore di quella somma non
solo dal punto di vista strettamente giuridico ma anche da quello puramente
fattuale perché, da quel momento, il saldo sul quale può contare rimane
diminuito della somma addebitatagli dalla banca-. Il correntista, quindi, da
quel momento sa che la banca si è appropriata di quella determinata somma,
sicché trattandosi di una atto, (rectius addebito) illegittimo (in quanto
derivante da una clausola nulla) è da quel momento che comincia a decorrere il
termine decennale di prescrizione. Omissis.
12) In questi termini D. MAFFEIS, Banche, clienti, anatocismo e prescrizione,
in www.ilcaso.it
ove, peraltro, si sottolinea che la tesi secondo la quale il termine deve
decorrere dai singoli pagamenti riceve altresì l'avallo di un argomento
sistematico oltre che di buon senso giacché dieci anni è esattamente il periodo
di tempo in relazione al quale la banca ha l'onere di tenere a disposizione del
cliente la documentazione inerente a singole operazioni, per adempiere
all'obbligo di consegna, che segue l'eventuale richiesta di questi. Il rilievo
è fatto proprio da Trib. Mantova, 12 luglio 2008, cit., ove si legge: «L'art.
119, comma 4, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 dispone che il cliente, colui
che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nella amministrazione
dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine
e comunque non oltre 90 giorni, copia della documentazione inerente a singole
operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni: questa norma nel disporre
che la banca deve conservare la documentazione non oltre i dieci anni dalle
singole operazioni poste in essere conferma, seppure indirettamente, che ogni
singola operazione compiuta oltre il decennio resta soggetta alla prescrizione
decennale».
13) In questo senso si è pronunciata la giurisprudenza con riguardo ad altro
contratto di durata, il contratto di locazione, precisando in materia che il
diritto alla ripetizione si prescrive nell'ordinario termine decennale
decorrente dalla corresponsione dei singoli ratei (così Trib. Bergamo, 12
dicembre 2001, in Giur. merito, 2002, p. 330 s.). In dottrina, cfr. G.
GABRIELLI, La locazione di immobili urbani, Padova, 1984, p. 174, nota 23, il
quale afferma che, qualora venga corrisposto nel corso degli anni un canone
mensile pattuito in misura superiore al massimo legale, il termine ordinario di
prescrizione decennale dell'azione di ripetizione delle somme corrisposte in
esubero decorre da ciascuno degli indebiti pagamenti mensili.
14) V. Cass., 20 gennaio 1961, n. 80, in Mass. Giur. it, 1961.
15) Così, tra le altre, Cass., 3 settembre 1994, n. 7645, in Mass. Giur. it,
1994.
16) In questi termini: Cass., 19 maggio 2000, n. 6486, in Mass. Giur. it, 2000,
ma vedi, nello stesso senso, anche Cass., 13 aprile 2005, n. 7651, in Guida
dir., 2005, p. 55 ss., nonché Cass., 19 settembre 2000, n. 12386, in Mass.
Giur. it, 2000, secondo la quale: «deve ritenersi che l'ostacolo rappresentato
dal significato plausibile di una norma, in seguito smentito da una legge di
interpretazione autentica, non è di carattere giuridico ma di mero fatto,
sicché non impedisce il decorso della prescrizione in quanto la legge
interpretativa, per sua natura, non esclude che l'interpretazione imposta
potesse essere adottata anche prima della sua entrata in vigore»; già in
precedenza, in tal senso, cfr. le risalenti Cass., 15 gennaio 1993, n. 414, in
Mass. Giur. it, 1993, nonché Cass., 11 agosto 1998, n. 7878, in Studium iuris,
1998, p. 1386.
17) Trib. Mantova, 12 luglio 2008, in www.ilcaso.it: «Il
fondamento della prescrizione risiede nella certezza del diritto e
nell'oggettiva necessità che, decorso un determinato lasso di tempo, la
situazione di fatto sia assimilata a quella di diritto, tanto che l'istituto
non è derogato neppure per i diritti costituzionalmente garantiti, fatte salve
le eccezioni previste dalla legge. È altresì noto che allorquando venga meno la
causa di un rapporto o di un'attribuzione patrimoniale si verifica un'ipotesi
di indebito oggettivo [...] Con riguardo al giorno di decorrenza a questo
giudice pare piuttosto strano il regime privilegiato attribuito al correntista
da Cass. 9.04.1984 n. 2262 (e da ultimo anche Cass. 14.05.2005, n. 10127 ove
tuttavia la suprema corte rimanda alle sue pregresse decisioni senza una espressa
motivazione sul punto) in forza del quale il termine decorra dalla chiusura del
conto e non già dal momento in cui il diritto alla ripetizione può essere fatto
valere, consentendo quindi al correntista di agire verso la banca per il
recupero di illegittimi addebiti di vari decenni prima. [...] La ratio della
prescrizione verrebbe dunque frustrata, tanto più che la possibilità di
ottenere la restituzione non sorge alla chiusura del conto, ma può essere
esercitata dal cliente in qualsiasi momento una volta postulata l'erroneità
della scritturazione, senza che rilevi l'ignoranza del relativo diritto. La
disposizione dell'art. 2935 c.c., infatti, nello stabilire che la prescrizione
decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, ha riguardo solo alla
possibilità legale di esercizio, non influendo sul decorso della prescrizione
l'impossibilità di fatto, quale l'ignoranza da parte del titolare
dell'esistenza del diritto. Il mutamento di un precedente giurisprudenziale,
così come le difficoltà o i dubbi sull'interpretazione di una norma ed anche
l'esistenza di un vizio di incostituzionalità non ancora rilevato costituiscono
impedimenti fattuali e non legali all'esercizio del diritto (cfr. Cass.
7.5.1996, n.4235). [...] A tali rilievi si aggiunga che l'unitarietà del
rapporto non vale di per sé a scalfire tale impostazione: da un lato ciascuno
dei singoli pagamenti indebiti costituisce una prestazione suscettibile di
restituzione anche all'interno di un rapporto di durata e, dall'altro, proprio
l'accertata nullità della clausola contrattuale e la conseguente natura
indebita del pagamento pongono tali attribuzioni patrimoniali al di fuori del
regolamento contrattuale (Cass. n.4389/99). [...] In altri casi la stessa
giurisprudenza di legittimità afferma il principio dell'immediata esigibilità
dei crediti, ad es. la questione dello scoperto di conto corrente e, quindi,
del superamento del fido e all'assoggettabilità a revocatoria fallimentare dei
versamenti compiuti sul conto corrente, e molte delle sentenze di legittimità
citate a supporto della tesi contraria hanno per oggetto il momento in cui
sorge il diritto in favore della banca di agire contro il fideiussore (cfr.
Cass. 23.03.2004, n. 5720; Cass. 11.05.1999, n. 4659; Cass. 14.04.1998, n. 3783
nonché Cass. 19.06.1997, n. 5481). A parere di chi scrive il correntista non
deve attendere la chiusura del conto per ottenere la restituzione delle somme
che indebitamente la banca abbia addebitato in forza di clausola nulla o
illegittima, ma può agire anche in costanza del rapporto e quindi coerentemente
la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere azionato».
18) Così, Cass., 9 aprile 1984, n. 2262, cit.
19) Così M. SEMERARO, Equilibrio del contratto e del rapporto nel c.d.
anatocismo bancario, nota a Cass., Sez. un., 2 dicembre 2010, n. 24418, in
Rass. dir. civ. (in corso di pubblicazione).
20) In questo senso, cfr. A. CALTABIANO, Il conto corrente bancario, Padova,
1967, p. 149, il quale peraltro sostiene che il credito della banca è esigibile
in ogni momento al pari di quello del correntista, tuttavia osservando che, in
ogni caso, «i versamenti fatti dal correntista dopo che la banca ha annotato
nel conto un proprio credito potrebbero, nonostante la supposta inesigibilità
fino alla chiusura del credito della banca, aver l'effetto di estinguere in
parte o in tutto quel credito prima annotato, giacché i versamenti del cliente
sarebbero, in questo caso, effettuati solvendi causa», nonché sub nota 27 ove
il riferimento all'art. 1185, cpv., c.c. Contra: G. TARZIA, Il contratto di
controcorrente bancario, Milano, 2001, p. 94, secondo il quale le regole comuni
in tema di adempimento delle obbligazioni non si applicano «a quello che l'art.
1852 c.c. chiama "credito disponibile"».
21) A. FIORENTINO, Del conto corrente. Dei contratti bancari, in Comm. Scialoja
Branca, IV, Delle obbligazioni, artt. 1823- 1860, Bologna-Roma, 1969, pp. 38 e
39; P. GRECO, Corso di diritto bancario, I, Padova, 1936, p. 14; F. MESSINEO,
Dottrina generale del contratto, Milano, 1948, p. 248, nonché G. MOLLE, I
contratti bancari, in Trattato Cicu Messineo, Milano, 1981, p. 132.
22) Come correttamente evidenziato da Trib. Teramo, 18 gennaio 2010, (inedita),
già cit., proprio sulla base della teoria dell'autonomia dei singoli atti,
nelle azioni revocatorie bancarie promosse dalla curatela dei fallimenti, per
lungo tempo, alle banche che chiedevano fosse revocato solo l'eventuale saldo
finale passivo, la giurisprudenza di legittimità, in modo compatto, ha
obiettato che al contrario doveva reputarsi «corretto revocare le singole
rimesse proprio perché si tratta di autonomi atti giuridici». Ciò è tanto vero
che per evitare gli effetti abnormi di detta interpretazione, il legislatore,
nel confermare che nel conto corrente bancario le singole rimesse o singoli
addebiti sono autonomi atti giuridici e come tali vanno considerati, emanava
nell'àmbito della riforma del diritto fallimentare, norme apposite (art. 67,
comma terzo, lett. b - art. 70 comma terzo) in materia di revocatoria.
23) La novella legislativa è oggi contenuta nel comma 61, art. 2, l. 10/2011,
che ha convertito il d.l. 29 dicembre 2010, n. 2555 recante «Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia
tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie». La legge di conversione
si trova pubblicata sul Supplemento Ordinario alla G.U. n. 47 del 26 febbraio
2011. La norma che qui interessa afferma: «In ordine alle operazioni bancarie
regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel
senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in
conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non
si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto».
24) E. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1971,
p. 190.
25) E. BETTI, op. cit., p. 192 s.; in proposito v. pure F. FERRARA, Trattato di
diritto civile, I, Roma, 1921, p. 208 s., ove si legge: «L'interpretazione
autentica vale non tanto come interpretazione, attingendo efficacia dalla legge
antica, quanto come nuova legge per forza propria, sia pure riproduttiva ed
esplicativa della precedente». «Spesso», prosegue l'A., « avviene che sotto
forma d'interpretazione autentica, invece di riprodurre in termini più chiari e
precisi la legge anteriore, coscientemente si devii da essa, innovandola, o
pure non si tenga conto del suo senso originario, specialmente se questo non è
più rintracciabile, come quando si interpretano leggi di molti secoli fa, e si
introduca un principio nuovo, il quale sarà iniettato e trasfuso nella legge
antica, fingendosi come se fosse il senso originario da cui deriva la
caratteristica delle leggi interpretative, cioè la loro efficacia retroattiva».
26) Con ordinanza del 10 marzo 2011 (inedita), il Tribunale di Benevento, G.U.
dott. Andrea Loffredo, ha promosso di ufficio questione di legittimità
costituzionale della legge 26.2.2011, n. 10 di conversione con modificazioni
del decreto legge 29.12.2010, n. 225, nella parte in cui ha introdotto
nell'ordinamento giuridico la norma in questione, per violazione degli artt. 3,
24, 41, 47 e 102 della Costituzione. A questa è seguita in data 14 marzo
l'ordinanza del Trib. Brindisi, sez.dist. di Ostuni, G.U. Antonio Ivan Natali,
con la quale la questione di legittimità è stata sollevata anche sotto il
profilo della violazione degli artt. 101, 104, 111 e 117, il provvedimento si
legge in www.ilcaso.it. Anche la dottrina si interroga sulla
legittimità costituzionale del comma 61 dell'art. 2, l. 10/11: v. in proposito
la riflessione di A.A. DOLMETTA, Prescrizione e «operazioni bancarie in conto
corrente»: sul comma 61 della legge n. 10/2011, in Il Caso.it, II, 239/2011.
27) In questo senso è orientata la Corte d'Appello di Lecce che con ordinanza
11 marzo 2011 (inedita), ha disposto la integrazione della C.T.U. prevedendo
nei quesiti da sottoporre al consulente sia l'ipotesi di ricalcolo conforme al
principio di diritto dettato dalle Sezioni unite sia quella rispondente al
contenuto del nuovo disposto legislativo.
28) V. in questo senso R. MARCELLI, Prescrizione e anatocismo negli affidamenti
bancari. I principi giuridici stabiliti dalla sentenza della Cassazione S.U. 2
dicembre 2010, n. 24418: quelli enunciati e quelli impliciti, in www.Ilcaso.it,
Sez.II, Dottrina, opinioni, interventi, 9 marzo 2011, spec. p. 18.
29) È questa la conclusione cui la Suprema corte perviene dopo avere affermato
che «L'interpretazione data dal giudice di merito dell'art. 7 del contratto di
conto corrente bancario, stipulato dalle parti in epoca anteriore al 22 aprile
2000, secondo la quale la previsione di capitalizzazione annuale degli
interessi contemplata dal primo comma di detto articolo si riferisce ai soli
interessi maturati a credito del correntista, essendo invece la
capitalizzazione degli interessi a debito prevista dal comma successivo su base
trimestrale, è conforme ai criteri legali di interpretazione del contratto ed,
in particolare, quello che prescrive l'interpretazione sistematica delle
clausole».
30) Così Trib. Brindisi, 13 maggio 2002, in Foro it., 2002, c. 1887; Trib.
Pescara, 6 maggio 2005, ivi, 2005, c. 2177, che si segnala per la ampiezza e
articolazione della motivazione; Trib. Genova, 21 novembre 2006 e 19 maggio
2006, entrambe in RDA online laddove si reputa inammissibile la sostituzione
della clausola che prevede l'anatocismo trimestrale con altra che regoli una
diversa periodicità dell'anatocismo. A tal fine si evidenzia che non vi è
alcuna norma imperativa che, ex art. 1419 c.c., sostituisca di diritto la
previsione contrattuale in forza della quale si procede a capitalizzazione
degli interessi né rinviene clausole di legge che, integrando il regolamento
contrattuale ex art. 1339 c.c., impongano o consentano l'anatocismo nei conti
correnti bancari; Trib. Lecce, 8 gennaio 2007, in Contratti, 2007, p. 795, ove
si reputa che ricavare dal sistema una capitalizzazione con periodicità più
lenta quale quella annuale vorrebbe dire derogare alla natura imperativa ed
inderogabile di cui all'art. 1283 c.c. e prevedere un «anatocismo generale e di
sistema ulteriore e di riserva rispetto all'anatocismo di cui all'art. 1283
cc»; lo stesso giudice considera impossibile prevedere una modifica del dato
contrattuale in assenza di una disposizione che regoli l'automatico inserimento
di norme imperative su una maggiore periodicità al posto delle clausole nulle;
infine, sulla scorta dei principi generali in tema di successione delle leggi
nel tempo non reputa neanche possibile applicare retroattivamente la previsione
contenuta nella delibera del CICR del 9 febbraio 2000 per poi estendere, in via
analogica, la cadenza annuale degli interessi attivi a quella degli interessi
passivi. Nello stesso senso Trib. Roma, 12 gennaio 2007, in Foro it., 2007, c.
1947; Trib. Benevento, 10 maggio 2007 e 11 ottobre 2007 entrambe in RDA online,
secondo cui le clausole di capitalizzazione degli interessi contenute nei
contratti bancari stipulati prima del 22/4/2000, qualunque sia la periodicità,
sono sempre nulle per violazione di norma imperativa (art. 1418, comma I,
c.c.); Trib. Bergamo, 13 dicembre 2007 in RDA online, ove si ritiene che il
debito per interessi (anche quando sia stata adempiuta l'obbligazione
principale) non si configura come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale
derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonché al risarcimento
del maggior danno ex art. 1224 comma II c.c., ma resta soggetto alla regola
dell'anatocismo di cui all'art. 1283 c.c., derogabile soltanto dagli usi
contrari ed applicabile a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il
pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi
natura. Da ciò, sulla scorta che gli usi contrari di cui all'art. 1283 c.c.
sono usi normativi, inesistenti nella specifica materia bancaria in esame, fa
discendere la nullità della clausola anatocistica per contrasto con la norma
imperativa di cui all'art. 1283 c.c., statuizione che involge l'intero
contenuto della clausola (e non solo, quindi, la parte di essa relativa alla
periodicità della capitalizzazione); Trib. Chieti, 23 aprile 2008 in RDA
online, ove si evidenzia la specificità del debito per interessi e la
peculiarità dell'art. 1283 c.c. in quanto norma espressamente dettata per la
disciplina dell'anatocismo, imperativa e posta a protezione della sfera
giuridica del debitore nonché derogatoria rispetto al principio generale
dell'art. 1224 c.c. per concludere che, in mancanza di valida pattuizione
anatocistica, nessuna capitalizzazione può essere riconosciuta alla banca;
Trib. Bari, 29 ottobre 2008, in Corr. merito, 2009, 1, 24: ritiene impossibile
supplire alla nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi con
altra tipologia avente diversa cadenza temporale in quanto l'anatocismo e la
capitalizzazione degli interessi sono ammessi solo nei tre casi eccezionali
previsti dall'art. 1283 c.c.; Trib. Salerno, 20 marzo 2009, in RDA online, si
discosta dalla soluzione mediana della legittimità di una capitalizzazione
annuale ex lege degli interessi, desunta dall'art. 1284 cc, in quanto in tal
modo si porrebbe un limite consistente, ma anche inaspettato, all'imperatività
dell'art. 1283 cc, e si farebbe confusione tra la maturazione degli interessi,
davvero fissata in ragione di anno dall'art. 1284 cc, e la scadenza e
l'esigibilità degli stessi, invece presupposte dall'art. 1283 cc.; nello stesso
senso: Trib. Benevento, 23 aprile 2009, Trib. Chieti, 21 aprile 2009 e Trib.
Salerno, 1° giugno 2009, tutte in RDA online per la quale ultima, qualora
manchi anche solo una delle condizioni previste dall'art. 1283 c.c., la
pattuizione dell'anatocismo è nulla e la sua nullità non rimane circoscritta
alla clausole relative alla frequenza di capitalizzazione, investendo piuttosto
l'intera convenzione; per ciò il contratto deve dirsi geneticamente privo di
una valida pattuizione sulla capitalizzazione sia essa trimestrale, semestrale
o annuale.
31) V., in questo senso, Trib. Monza, 7 aprile 2003, in Giur. merito, 2003, p.
2427.
32) Trib. Terni, 16 gennaio 2001, in Foro it., 2001, c. 1772; Trib. Reggio
Emilia, 17 novembre 2001 in Dir. banca merc. fin., 2003, 1, 1, p. 109; Trib.
Reggio Calabria, 28 giugno 2002, in RDA online; Trib. Lecce, 15 dicembre 2003,
inedita; Trib. Cassino, 29 ottobre 2004, in Corr. merito, 2005, 2, p.155; Trib.
Trani, 30 novembre 2004, in RDA online, ove dal tenore dell'art. 1284 c.c. si
argomenta che se è la legge stessa a ritenere adeguato l'anno quale termine
entro il quale l'obbligazione di interessi viene a scadenza appare, di
conseguenza, congruo ritenere che esso costituisca anche un termine reputato
dalla legge sufficientemente ampio per precludere quell'effetto di
moltiplicazione automatica del debito che l'art. 1283 c.c. vuole evitare
impedendo scadenze infrasettimanali; Trib. Bari, 25 maggio 2005 e Trib. Bari,
20 giugno 2005, entrambe in RDA online, ove si richiama il combinato disposto
di cui all'art. 2948, n. 4) c.c. (equiparazione degli interessi a tutto quello
che deve pagarsi periodicamente ad anno) ed all'art. 1248 c.c.; Trib. Bari, 4
luglio 2005, in RDA online, secondo cui per le motivazioni già citate non vi è
motivo per negare che sia assicurata la stessa periodicità annuale nel
conteggio degli interessi sia debitori che creditori; Trib. Bari, 31 agosto
2005, Trib. Bari, 26 settembre 2005, Trib. Bari, 26 settembre 2005, Trib. Bari,
28 settembre 2005, Trib. Trani, 31 gennaio 2006, tutte in RDA online, secondo
cui tale soluzione non stride col disposto dell'art. 1283 c.c. e avrebbe il
pregio di evitare la configurabilità nel sistema di obbligazioni il cui
inadempimento sia privo di sanzione; Trib. Monza, 3 aprile 2006, Trib. Bari, 6
giugno 2006, Trib. Bari, 28 giugno 2006, Trib. Bari, 19 ottobre 2006, Trib.
Bari, 14 novembre 2006, tutte in RDA online, secondo cui le disposizioni di cui
all'art. 1284 e 2948, n. 4, c.c., sarebbero indici rivelatori di un principio
latente nel sistema e, cioè, quello della cadenza annuale, e della esigibilità
degli interessi; Trib. Bari, 1 gennaio 2007; App. Roma, 11 aprile 2007, Trib.
Potenza, 14 novembre 2007, Trib. Bologna, 4 novembre 2008 e Trib. Monza, 19
novembre 2008, tutte in RDA online: oltre ad aderire a tale orientamento,
quest'ultima sentenza richiama, a supporto, il meccanismo di integrazione ex
lege del contratto stabilito con le disposizioni di carattere generale
dall'art. 1374 c.c. in virtù del quale «il contratto obbliga le parti non solo
a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne
derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità»; Trib.
Palermo, 19 gennaio 2009, in RDA online.
33) App. Lecce, 4 maggio 2006, inedita, particolarmente interessante giacché le
motivazioni addotte offrono uno spaccato delle ragioni generalmente spese a
sostegno dell'opzione sposata: a monte vi è la constatazione, gravida di implicazioni,
che le banche hanno da sempre contabilizzato annualmente gli interessi maturati
a credito della clientela; l'iter argomentativo che da questa prende le mosse
porta il collegio ad affermare la conformità al diritto anche della
capitalizzazione annuale in favore degli Istituti bancari, nell'ambito di un
regolamento di interessi adottato in regime di reciprocità, in posizione di
parità ed eguaglianza; al riguardo si osserva che nei rapporti antecedenti
all'entrata in vigore del codice civile del 1942 esistevano usi anatocistici
nella pratica commerciale relativa ai conti correnti, configurabili alla
stregua di usi normativi; App. Milano, 17 gennaio 2007 nonchè Trib. Torino, 19
dicembre 2007, in RDA online precisa che nulla è stato mai obiettato circa la
conformità della capitalizzazione annuale bilaterale ad un uso normativo idoneo
a derogare all'art. 1283 c.c. nei rapporti con le banche. Il fatto, poi, che il
tasso di interesse abbia cadenza annuale, secondo la generale previsione
dell'art. 1835 c.c. consente di affermare che tale scadenza, per le somme
dovute a titolo di interessi, sia sentita dalla collettività degli utenti dei
servizi bancari come rispondente ad un equilibrato regolamento delle posizioni
di cui si discute. A ciò si deve aggiungere che il fatto che la clausola
anatocistica determini, sui moduli predisposti dalle banche, l'operatività
bilaterale di questa regola a carico sia della banca che del correntista con
identica periodicità dovrebbe escludere che con riferimento a tale pattuizione
possa ravvisarsi un contenuto di imposizione che non consentirebbe (come
avvenuto per la clausola trimestrale) di ricondurlo ad un uso normativo idoneo
a derogare il generale divieto di anatocismo al di fuori delle previsioni
dell'art. 1283 c.c. Quindi si può affermare, per le ragioni appena indicate,
che per la ricostruzione dei rapporti dare/avere tra banca e correntista, una
volta ritenuta la nullità della clausola relativa alla capitalizzazione
trimestrale, possa essere utilizzata la clausola che prevede la chiusura
annuale del conto con accredito o addebito degli interessi a seconda che il
conto stesso presenti un saldo attivo o passivo; Trib. Monza, 9 settembre 2008,
in RDA online, secondo cui l'applicazione di una capitalizzazione annuale, sia
pure per i soli interessi creditori, ha creato un uso normativo preesistente
all'art. 25, comma 2, d. lgs. 342/99, come tale idoneo ad integrare il disposto
degli usi contrari ex art. 1283 c.c.; aggiunge, inoltre, che a supporto di tale
tesi militerebbero anche ragioni equitative, posto che l'esclusione
dell'applicazione dell'interesse composto determinerebbe una situazione di
squilibrio contrattuale, a sfavore della banca; Trib. Chieti, 18 settembre 2008
e Trib. Monza, 3 febbraio 2009, in RDA online.
34) Trib. Roma, 8 novembre 2002, in Giur. merito, 2003, p. 244; Trib. Monza, 12
dicembre 2005, in www.ilcaso.it, ove si richiama il parametro
dell'equità ex art. 1374 c.c. onde bilanciare i contrapposti interessi delle
parti; Trib. Monza, 6 febbraio 2006, in RDA online, secondo cui in tal modo si
assicurerebbe all'istituto di credito esattamente lo stesso termine previsto a
favore dei correntisti in caso di interessi a loro credito, Trib. Monza, 7
giugno 2006, Trib. Monza, 6 novembre 2006 e Trib. Cassino, 8 maggio 2007, tutte
in RDA online.
35) Trib. Roma, 2 gennaio 2008, in RDA online, secondo cui è opportuno operare
in sede applicativa giudiziale una opportuna uniformità di trattamento delle
situazioni sia antecedenti che successive alla nuova regolamentazione
introdotta; Trib. Trieste, 20 gennaio 2009 e Trib. Monza, 11 marzo 2009,
entrambe in RDA online.
36) Trib. Roma, 8 ottobre 2004, in Foro it., 2005, c. 2177; Trib. Monza, 19
febbraio 2007, App. Roma, 8 maggio 2007, Trib. Bari, 10 ottobre 2007, Trib.
Monza, 26 febbraio 2008, tutte in RDA online; App. Roma, 3 aprile 2008, in
Contratti, 2008, p.829; App. Napoli, 26 marzo 2009, in RDA online.
37) App. Firenze, 8 giugno 2001, in Foro tosc., 2001, p. 239; Trib. Latina, 17
maggio 2002, in Giur. romana, 2002, p. 455; Trib. Torino, 14 novembre 2002, in
Giur. merito, 2003, p. 243; Trib. Roma, 28 novembre 2002, Trib. Bari, 5 luglio
2006, Trib. Bari, 11 gennaio 2007, Trib. Bari, 7 febbraio 2007, Trib. Cassino,
18 dicembre 2007, Trib. Monza, 26 febbraio 2008, Trib. Salerno, 27 novembre
2008 e Trib. Bari, 28 aprile 2009, tutte in RDA online.
38) La contraddizione è sottolineata dai primi commentatori della sentenza, v.
M. SEMERARO, Equilibrio del contratto e del rapporto nel c.d. anatocismo
bancario, nota a Cass., Sez. un., 2 dicembre 2010, n. 24418, in Rass. dir. civ.
(in corso di pubblicazione).
39) In effetti, sancita l'assoluta illegittimità della capitalizzazione
bancaria per totale assenza del relativo uso normativo, si dovrebbe
coerentemente reputare illegittima anche la capitalizzazione annuale praticata
a favore dei clienti ed ammettere il diritto delle banche di agire nei
confronti dei titolari dei conti attivi per il recupero degli interessi da
questi ultimi illegittimamente negli anni percepiti. Conclusione questa
coerente sul piano sistematico ma che privilegerebbe gli imprenditori che sono
titolari di conti correnti con andamento fluttuante o in passivo rispetto ai
quali l'applicazione di una capitalizzazione semplice consentirebbe la
ripetizione delle somme indebitamente conteggiate quali passività, andando, per
contro, a tutto scapito dei consumatori o dei risparmiatori in generale i
quali, più probabilmente titolari di conti attivi, sarebbero esposti all'azione
delle banche per la restituzione degli interessi risultanti accreditati
indebitamente!!!
40) Almeno in nota è d'uopo sottolineare l'importanza del ruolo assunto dal
principio di proporzionalità in generale nel sistema e segnatamente
nell'interpretazione del contratto, ove si presta a riempire di contenuti
proprio l'interpretazione secondo equità: sul punto v., per tutti, P.
PERLINGIERI, Nuovi profili del contratto, in Rass. dir. civ., 2000, p. 560,
nonché ID., Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti,
ivi, 2001, pp. 334 ss.; circa la tendenza a prefigurare, in assenza di regole
legali atte a surrogare il contenuto riprovato del contratto, un intervento
integrativo del giudice che individua nel sistema, alla luce dei fondamentali
canoni di proporzionalità e ragionevolezza, la disciplina attraverso la quale
procedere alla perequazione del rapporto, v. F. GAZZONI, Equità e autonomia privata,
Milano, 1970, p. 328; nonché S. POLIDORI, Discipline della nullità e interessi
protetti, Napoli, 2001, pp. 235 ss. e 242 ss.
41) V. Trib. Salerno, 3 marzo 2008, in Merito, 2008, p. 5; Trib. Roma, 27
gennaio 2003, in Giur. merito, 2003, p. 898; Trib. Monza, 4 febbraio 1999, in
Foro it., 1999, I, c. 1340; Trib. Roma, 19 febbraio 1998, in Foro it., 1998, I,
c. 2998.
42) L'ipotesi si è realmente verificata nella causa Banca Popolare Pugliese/
Edilsartom ove il Giudice, accogliendo il risultato della perizia, ha
quadruplicato le più rosee aspettative dell'attore, v. Trib. Brindisi, Sez.
dist. Fasano, G.U. dott. Munno, 28 maggio 2008, n. 77 (inedita).
43) Cass., 21 dicembre 2005, n. 28302 in Contratti, 2006, p. 766, ove in
motivazione si legge «Questa Corte ha già affermato con la già ricordata
sentenza 5675/2001 e successivamente con la sentenza 25/02/2005 n. 4092, che le
norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano gli
interessi con rinvio agli usi, introdotte con la L.17 febbraio 1992 n.154,
art.4, poi trasfusa nel D.Lgs. 1 settembre 1993 n.385, art.117, non sono
retroattive, alla pari della disciplina in materia di usura. L'irretroattività
si estende anche alla previsione della sostituzione della clausola nulla con la
diversa disciplina legale all'uopo dettata dal legislatore. Va infatti
sottolineato che tale nuova regolamentazione da un lato costituisce un profilo
specifico della diversa disciplina della materia introdotta dalla L.n.154 del
1992 e successivamente dal D.Lgs. 1 settembre 1993 n.385 di cui si è esclusa la
retroattività e dall'altro che la regola introdotta dall'art.117, comma 7
D.Lgs. cit., deroga alla normativa previgente, Ai sensi dell'art.1418 c.c.,
comma 2, infatti, la nullità di una singola clausola del contratto di conto
corrente comporta la sua sostituzione con la disciplina prevista da norme
imperative e quindi l'applicazione degli interessi legali (il carattere
imperativo dell'art. 1284 c.c., comma 3 è stato già affermato, come s'è detto,
da Cass. 5675/2001). Innovando la materia l'art.117, comma D.lgs.cit, non può,
in difetto di un'espressa affermazione in tal senso del legislatore, che
disporre per l'avvenire in conformità ai principi generali». Conforme Cass. 1°
marzo 2007, n. 4853, secondo la quale «É superfluo, nel presente giudizio,
entrare nell'analisi della disciplina legale sostitutiva applicabile in caso di
nullità della clausola di determinazione del tasso d'interesse, in base al
R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, art. 117 (t.u. bancario). Come questa corte ha
già avuto occasione di affermare, le norme che prevedono la nullità dei patti
contrattuali che determinano gli interessi con rinvio agli usi, introdotte con
la L. 17 febbraio 1992, n. 154, art. 4, poi trasfuso nel D.Lgs. 1 settembre
1983, n. 385, art. 117, non sono retroattive».
44) Così, ex plurimis, App. Roma, 29 novembre 2007, in RDA on line, Trib. Bari,
27 febbraio 2007, in Guida dir., 2007, fasc. 46, p. 80; nonché Trib. Taranto,
15 luglio 2009, in www.studiotanza.it ove si legge «Accertata la
nullità della clausola uso piazza contenuta nei due citati contratti di cui si
controverte (entrambi stipulati anteriormente al 9.7.1992, data in cui è
entrata in vigore la legge n. 154/1992 sulla trasparenza ), resta però da stabilire
cosa accada degli interessi addebitati in forza della pattuizione invalida. Va
rilevato, difatti, che - come evidenziato dal c.t.u. nella propria relazione -
il contratto di c/c n. 17450-00 si è svolto in un arco di tempo compreso tra il
10.1.1991 ed il 30.6.1999; nel corso di tale rapporto, dunque, è entrata in
vigore la citata legge sulla trasparenza bancaria, sicché occorre verificare se
lo ius superveniens abbia avuto incidenza sul conto in esame [...] Il Tribunale
ritiene [...]che tanto le disposizioni in tema di trasparenza bancaria e
contenute nel testo unico bancario non possono avere efficacia retroattiva. A
riprova della correttezza di tale soluzione occorre innanzitutto evidenziare
che nel caso di specie la sanzione della nullità che colpisce la clausola di
determinazione degli interessi mediante rinvio agli usi della piazza deriva non
dalla diretta applicazione dell'art. 4 legge n. 154/1992 (che espressamente
sancisce la nullità delle clausole contrattuali di rinviagli usi), bensì dall'inosservanza
del disposto dell'art. 1346 c.c. (il quale, come detto, esige che l'oggetto del
contratto sia quanto meno determinabile per relationem) in relazione all'art.
1418. Il vizio di validità in questa sede accertato, quindi, attiene alla
struttura della fattispecie negoziale (che, come detto, ha un oggetto
indeterminabile in relazione alla misura degli interessi) e non si correla alla
violazione della norma proibitiva contenuta nella - sopravvenuta - legislazione
bancaria».
45) V. Corte cost., 18 dicembre 2009, n. 338, in RDA online, ove nel corpo
dell'ordinanza si legge: «invero, il rimettente muove dalla premessa secondo
cui «la previsione imperativa dell'art. 4 della legge n. 154 del 1992, poi
trasfuso nell'art. 117 del Testo unico bancario, là dove sancisce la nullità
delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione del tasso di interesse
[quali quelle contenute nei contratti oggetto di giudizio], se non incide, in
base al principio di cui all'art. 11 preleggi al c.c. - e dell'art. 161, comma
6, del Testo unico bancario che ne è puntuale esecuzione - , sulla validità
delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, impedisce
tuttavia che esse possano, per l'avvenire, produrre ulteriori effetti nei
rapporti ancora in corso [...], tali dovendosi ritenere i rapporti
anteriormente costituiti, non ancora esauriti alla data di inizio
dell'operatività della norma sopravvenuta»; che, da tale premessa il rimettente
fa derivare (senza, peraltro, addurre alcun supporto argomentativo in merito)
l'automatica conseguenza secondo cui «la nullità di tale indeterminata ed
indeterminabile pattuizione del tasso di interesse ultralegale comporta, per il
periodo successivo al 9 luglio 1992 [...] l'applicazione del tasso sostitutivo
legale di cui all'art. 5 della legge n. 154/1992 e, successivamente, all'art.
117, comma 7, TUB»; che tale conclusione viene basata esclusivamente sulla
assiomatica affermazione dell'applicabilità delle norme impugnate ai contratti
oggetto del giudizio a quo, che tuttavia non risulta essere l'unica opzione
ermeneutica praticabile (e di fatto praticata in sede giurisprudenziale); che,
infatti (come eccepito dall'Avvocatura), parte della giurisprudenza di
legittimità e di merito (si vedano: Cassazione 1° marzo 2007, n. 4853 e Cassazione
21 dicembre 2005, n. 28302; nonché Tribunale ordinario di Cagliari, sentenza 27
maggio 2002, n. 1441, e Tribunale ordinario di Reggio Emilia, sentenza 17
novembre 2001) - muovendo dalla premessa secondo cui la irretroattività
(espressamente sancita dall'art. 161, comma 6, del testo unico bancario) della
nuova disciplina della nullità delle clausole di rinvio agli usi per la
determinazione dei tassi di interesse si estende anche alla censurata
previsione (derogatoria rispetto a quella previgente, fondata su quanto
disposto dal terzo comma dell'art. 1284 c.c.) della sostituzione automatica
della clausola nulla, il cui effetto opera in ragione (ed a cagione) della
nullità parziale ex art. 1419, secondo comma, c.c., derivante dalla mancata
osservanza di requisiti sostanziali e formali di singole clausole di contratti
stipulati nella vigenza della nuova disciplina - conclude viceversa nel senso
della applicabilità ai contratti stipulati anteriormente non già della
censurata nuova previsione sostitutiva, bensì degli interessi legali di cui,
appunto, al citato art. 1284, terzo comma, del codice civile; che, dunque, è
sufficiente rilevare come la mancata sperimentazione (senza motivazione alcuna)
di una pur possibile lettura alternativa (che, peraltro, inciderebbe
direttamente anche sul concomitante profilo della rilevanza della sollevata
questione nel giudizio a quo: ordinanza n. 171 del 2009) determina la manifesta
inammissibilità della questione medesima, per essersi il rimettente sottratto
all'obbligo di interpretare la norma, ove possibile, in senso conforme a
Costituzione (ex plurimis e da ultimo, ordinanze n. 244 e n. 155 del 2009).
46) V. in questo senso Trib. Torino, 21 gennaio 2010, in www.ilcaso.it:
«Essendo nulla per indeterminatezza dell'oggetto la clausola che, per la
determinazione del saggio di interesse, fa rinvio agli usi su piazza, il tasso
sostitutivo va individuato in quello legale, ex art. 1284 c.c., fino
all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 385/1993 e, per il periodo successivo,
quello stabilito dall'art. 117 del predetto decreto legislativo che prevede
l'applicazione del tasso nominale minimo dei B.o.t. annuali ai saldi debitori
(attivi per la banca) e di quello massimo ai saldi creditori (passivi per la
banca)". Così anche App. Napoli, 8 novembre 2010, in RDA online: «Le norme
inderogabili attinenti alle modalità di stipula del contratto di conto corrente
introdotte con il D.Lgs. n. 385 del 1993 non trovano applicazione ai contratti
stipulati antecedentemente. Viceversa, per quanto attiene alle operazioni ed
effetti che producono in maniera continuativa, tali contratti sono regolati
dalla disciplina legale in vigore nel momento in cui il rapporto produce
effetti. In particolare, la disciplina dettata in tema di tassi di interesse
dall'art. 117 del D.Lgs. citato è applicabile, pertanto, ai rapporti iniziati
antecedentemente e che proseguono anche dopo la sua entrata in vigore. In tal
senso, in caso di nullità della clausola di determinazione degli interessi per
i contratti stipulati anteriormente alla entrata in vigore delle norme sulla
trasparenza bancaria, il tasso di interesse va applicato in misura
differenziata, e dunque, specificamente, nella misura legale (art. 1284 c.c.)
fino alla entrata in vigore della legge n. 154 del 1992, nella misura di cui
all'art. 5, lett. a) legge n. 154 del 1992 ed all'art. 117, D.Lgs. n. 385 del
1993 successivamente.
47) V. ordinanza di remissione alla Corte costituzionale del Tribunale di
Milano, 4 marzo 2009, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 2009 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie
speciale, dell'anno 2009: «secondo il remittente rispetto all'opzione del
legislatore (coerente con i fini della normativa sulla trasparenza bancaria) di
sanzionare con la nullità le clausole dei contratti bancari che per determinare
il tasso di interesse passivo, rinviano agli usi, nonché ad individuare un
valore sostitutivo legale, attraverso cui ancorare il costo del denaro all'andamento
del mercato finanziario, quale parametro oggettivo più prossimo al mondo delle
transazioni bancarie, con un rinvio al valore "minimo e massimo" dei
titoli di stato di un periodo prefissato di dodici mesi anteriori - il
successivo inciso "la conclusione del contratto" individua
irragionevolmente un ulteriore elemento temporale, che non sembra necessitato
dallo scopo prefisso dalla legge, e che cristallizza a un dato momento storico
il valore sostitutivo delle clausole nulle in un rapporto (quale quello di
conto corrente) che si sviluppa nel tempo e che strutturalmente segue i
mutevoli andamenti del mercato finanziario»
48) V. Trib. Monza, 3 settembre 2008, in RDA online, ove si riconosce essere la
variabilità dei tassi «esigenza ben presente allo stesso legislatore che, con
riferimento ai rapporti in esame ha previsto la facoltà di modificazione dei
tassi in via generalizzata e con modalità semplificata» tanto da ritenere che
«il tasso nominale dei B.o.t. annuali da prendere in considerazione sia quello
dei titoli emessi nei dodici mesi antecedenti ogni chiusura trimestrale del
conto»; in senso conforme, Trib. Roma, 29 marzo 2010, in RDA online e, più
risalenti, Trib. Monza, 4 febbraio 1999, in Foro it., 1999, I, c. 1340; Trib.
Roma, 27 gennaio 2003, in RDA online; Trib. Mantova, 16 gennaio 2004, in Dir.
fall., 2004, p. 362 nonché Trib. Lecce, 29 novembre 2005, in www.studiomarcelli.com.
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