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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 18/02/2009 Scarica PDF
La stabilità degli effetti indotti dalle clausole di close-out netting
Ugo Minneci, Professore Associato di Diritto CommercialeSOMMARIO: 1. Struttura e funzione della clausola. - 2. Il dato normativo. - 3. Questioni risolte alla luce della declaratoria di validità ed efficacia della clausola. - 4. I problemi legati alla conversione. - 5. L'assoggettamento alla revocatoria fallimentare. - 6. L'invalidità delle operazioni da cui scaturiscono le posizioni reciproche.
1. Struttura e funzione della clausola
E' noto che le clausole di close-out netting (altrimenti detti accordi di
compensazione per close-out) non identificano un tipo negoziale autonomo, ma
integrano una delle pattuizioni normalmente contenute in quei contratti
normativi (i. c.d. Master Agreements) che gli intermediari finanziari fanno
sottoscrivere alla clientela al fine di sottoporre la successiva operatività su
strumenti finanziari a una disciplina unitaria1.
Gli accordi in esame sono volti a consentire che, al verificarsi di certi
eventi (contrattualmente predefiniti) le transazioni poste in essere dalle
parti in base al Master Agreement e ancora pendenti possano formare oggetto di
una vicenda di carattere compensativo: così permettendo di considerare
esistente solo l'esposizione netta (ossia il saldo risultante dalla
compensazione delle posizioni reciproche)2.
All'origine delle convenzioni di close-out netting vi è l'intuizione che la
compensazione possa operare come tecnica di riduzione del rischio di credito:
ovvero come tecnica di contenimento delle conseguenze pregiudizievoli legate al
mancato buon fine della operazione3. In effetti, l'attivazione del meccanismo
compensativo rimane subordinato al sopravvenire di eventi che si atteggiano
come sintomo dell'esito infausto dell'affare o come espressione - a giudizio
delle parti - della maggiore probabilità del suo verificarsi. E ciò a
prescindere che si tratti di situazioni di carattere soggettivo (inadempimento,
mancata prestazione delle garanzie promesse o estinzione di quelle prestate,
falsità delle dichiarazioni contrattuali, insolvenza, fallimento o apertura di
altra procedura concorsuale, ecc.) o oggettivo (sopravvenuta contrarietà a
norme imperative delle transazioni perfezionate in base al contratto normativo,
sopravvenuta onerosità fiscale conseguente a un provvedimento di legge,
amministrativo o giudiziale)4.
Non a caso il campo elettivo di simili clausole è rappresentato dalla
operatività su strumenti derivati (negoziati) over the counter (tra cui, in
primo luogo, vengono in considerazione i contratti di swap, nello loro svariate
forme5): ossia dalla operatività in un settore nel quale la mancanza di un
sistema di clearing house6 rende più acuto il c.d. rischio di inadempimento.
Sotto il profilo funzionale, gli accordi di compensazione per close-out si
prestano ad essere accostati alle garanzie in senso tecnico: entrambi
concorrendo, se non a neutralizzare, almeno a limitare il medesimo tipo di
rischio. In realtà, il rapporto che esiste tra gli uni e le altre si atteggia
piuttosto intenso, anzi di stretta complementarietà: in quanto la previsione
del congegno compensativo pone le condizioni per una riduzione del valore
complessivo delle garanzie da richiedere da parte dell'intermediario sulla base
di una prudente gestione del rischio di credito.
Preme altresì sottolineare che le clausole di close-out netting fanno
conseguire l'effetto compensativo anche in assenza dei requisiti previsti per
la compensazione legale. Di fatto, esse integrano la figura del «pactum de
compensando» di cui all'art. 1252, comma 2 c.c.7, costituendone una versione
alquanto raffinata, tenuto conto che la trasformazione di un portafoglio di
operazioni diverse in una serie di partite reciprocamente compensabili non si
presenta come una cosa semplice.
Scendendo più nel dettaglio, occorre premettere che, al pari di ogni
costruzione della autonomia privata, anche il congegno in esame sfugge a una
rigida schematizzazione: esibendo al proprio interno delle inevitabili
diversificazioni. A partire dagli anni '90, il fenomeno ha peraltro conosciuto
un processo di tipizzazione sociale sufficiente a giustificarne - almeno entro
certi limiti - una trattazione unitaria.
Ciò posto, si può osservare che il modo di operare degli accordi di close-out
ruota intorno a tre momenti fondamentali: a) al verificarsi di uno degli eventi
sopra indicati, la previsione della automatica scadenza di tutte le operazioni
in corso fra le parti, sempre che riconducibili al Master Agreement contenente
la relativa clausola: e ciò al fine di determinare l'esigibilità delle
obbligazioni scaturenti da contratti restitutori (ad esempio un contratto di
finanziamento) oppure l'interruzione anticipata degli eventuali contratti
derivati (cfr. contratti di swap) e quindi la necessità di una loro liquidazione8;
b) la trasformazione delle rivenienti posizioni in partite fra loro omogenee e
dunque compensabili sulla base di criteri di conversione a valori correnti
previamente fissati: e questo allo scopo di ridurre tutti i vari addendi
(obbligazioni esigibili ma eterogenee per oggetto e/o valuta, oppure contratti
derivati da liquidare) nella stessa moneta prescelta per denominare
l'esposizione netta; c) il calcolo della esposizione lorda di ciascuna delle
parti, l'elisione di l'una con l'altra fino a concorrenza e correlativa
determinazione della esposizione netta gravante sul contraente il cui debito
risulti più elevato.
E' appena il caso di notare che qualora l'attivazione della clausola consegua
alla instaurazione di una procedura fallimentare nei confronti di una delle
parti, il contraente in bonis sarà tenuto a insinuarsi nel passivo se al
termine della vicenda compensativa risulti in credito; sarà invece tenuto a
corrispondere alla massa il saldo netto, nell'ipotesi in cui questo debba
ascriversi a suo carico.
2. Il dato normativo
Gli accordi di close-out netting hanno formato oggetto di specifica attenzione
da parte del nostro legislatore nell'ambito della disciplina dedicata ai
contratti di garanzia finanziaria e introdotta dal D. Lgs. 21 maggio 2004, n.
170. Facendo seguito alla definizione di cui all'art. 1 lett. f 9, il
successivo art. 7 riconosce la clausola in oggetto come «valida ed efficace, in
conformità di quanto dalla stessa previsto, anche in caso di apertura di una
procedura di risanamento o di liquidazione nei confronti di una delle parti».
Di fronte a tale statuizione, porsi il problema della stabilità degli effetti
derivanti dalla attivazione della clausola rischia di apparire - almeno in
prima battuta - superfluo. In senso contrario non varrebbe sottolineare che la
norma in questione si presta a coprire solo una parte del fenomeno reale. Non
si può infatti negare che se è vero che il suo campo di applicazione deve
ritenersi limitato - stante il disposto di cui all'art. 1 lett. f - ai casi in
cui il congegno di close-out netting si trovi delineato nell'ambito di un
contratto di garanzia finanziaria10 o di contratto comprendente un contratto di
garanzia finanziaria11; è altrettanto vero che l'osservazione della prassi
dimostra che le ipotesi contemplate corrispondono proprio alle situazioni in
cui il ricorso alla clausola in oggetto si presenta più diffuso. Sicché non
sembra azzardato parlare di una sostanziale coincidenza tra il dato materiale e
la fattispecie normativa 12.
In realtà, le ragioni che spingono ad approfondire l'oggetto della presente
indagine vanno ricercate altrove. Più precisamente, non si può fare a meno di
notare l'inadeguatezza del precetto di cui all'art. 7 a chiudere il discorso
sulla clausola in esame.
Vi ostano per prima cosa le oscurità che affliggono la sua formulazione. In
effetti, resta ambiguo il senso da attribuire alla previsione di efficacia
della clausola anche in caso di apertura di una procedura fallimentare: la
lettera della norma lasciando aperta l'alternativa fra quello (più ristretto)
di una deroga al regime della compensazione nel fallimento (art. 56 l. fall.) e
quello (più ampio) di una sottrazione della relativa pattuizione e/o dei suoi
effetti alla revocatoria fallimentare 13.
Ma a venire in considerazione è altresì la limitatezza del suo contenuto. Alla
generale (se non generica) declaratoria di validità ed efficacia della clausola
non fa invero riscontro l'enunciazione di una disciplina esaustiva in ordine al
momento operativo della medesima. E pure che le questioni che l'attivazione del
meccanismo di close-out è in grado di sollevare non sembrano di poco conto:
basti solo pensare al problema della congruità dei criteri di conversione
indicati nella clausola 14.
Alla luce di un simile scenario, la questione riguardante la stabilità degli
effetti delle clausole di close-out netting si presenta tutt'altro che superata
o priva di rilevanza pratica. Peraltro, i rapidi cenni appena svolti lasciano
già intuire che essa non potrà essere affrontata sulla base del solo disposto
dell'art. 7, ma occorrerà allargare lo sguardo, oltre che ad altre disposizioni
del Decreto medesimo, anche a regole ed istituti di carattere più generale.
3. Questioni risolte alla luce della declaratoria di validità ed efficacia
della clausola
Non si può certo affermare che la statuizione di cui all'art. 7 abbia segnato
una rivoluzione copernicana rispetto agli esiti ai quali erano pervenuti gli
interpreti nel silenzio del legislatore.
Già da tempo la dottrina aveva dissipato i principali ordini di perplessità che
erano sorti intorno agli accordi di compensazione per closeout al momento
della loro comparsa intervenuta agli inizi degli anni '90 e dovuta alla
importazione di modelli contrattuali di matrice anglo-americana.
Più precisamente, il timore di una contrarietà della convenzione rispetto a una
ipotetica «cherry picking rule» (ossia al principio che attribuisce al curatore
del fallimento in cui sia incorsa una delle parti il potere di scelta tra la
risoluzione o la prosecuzione del rapporto) era stato - almeno nella sostanza -
accantonato dopo che l'art. 203 Tuf aveva espressamente esteso la soluzione
della interruzione automatica dei rapporti pendenti (originariamente prevista
dal'art. 76 l. fall con riferimento ai soli contratti di borsa) a quelle
tipologie di operazioni che sono solite essere concluse sulla base degli
Accordi quadro contenenti la clausola di close-out: ossia «agli strumenti finanziari
derivati ... alle operazioni a termine su valute, nonché alle operazioni di
prestito titoli, di pronti contro termine e di riporto» 15.
D'altro canto, il riferimento all'art. 56 l.fall. (che permette al debitore di
portare in compensazione nei confronti del Fallimento crediti vantati verso lo
stesso anche se non ancora scaduti prima dell'inizio della procedura) era valso
a sgombrare il campo da ogni remora fondata sulla constatazione - in sé
ineccepibile - della attitudine del meccanismo compensativo a derogare al
principio della par condicio creditorum.
Peraltro, sarebbe eccessivo ritenere che il contesto in cui è stato calato
l'art. 7 fosse del tutto privo di tensioni. In realtà, residuava più di un
profilo in attesa di una definizione compiuta.
Di portata incerta si presentava ad esempio l'incidenza del limite di cui al
capoverso dell'art. 56 l. fall. che vieta di opporre in compensazione al
Fallimento crediti acquistati per atto tra vivi nell'anno anteriore. In un
panorama fluido (e talvolta reticente) spiccava l'opinione di chi,
identificando la ratio del divieto nella esigenza di prevenzione degli abusi
(e, quindi, muovendo dall'assunto che il requisito della anteriorità fosse da
collegare non al momento in cui le reciproche pretese vengono ad esistenza per
effetto della scadenza anticipata dei rapporti, bensì al tempo di
perfezionamento della fattispecie costitutiva del rapporto giuridico tra le
parti) concludeva nel senso che l'ostacolo alla compensabilità fosse da
riferire esclusivamente ai crediti scaturenti dallo scioglimento delle
operazioni concluse nell'anno precedente all'apertura della procedura
concorsuale. Salvo aggiungere che qualora nel predetto torno di tempo vi fosse
stato il perfezionamento addirittura dell'accordo di close-out, questo si
sarebbe dovuto considerare (prima ancora che revocabile) nullo per violazione
della norma imperativa di cui all'art. 56, comma 2 l. fall.16.
Del pari, continuava a creare un qualche imbarazzo l'ipotesi in cui sulla base
del Master Agreement fossero state realizzate figure contrattuali diverse da
quelli contemplati dalla elencazione di cui all'art. 203 Tuf. La prospettazione
di una applicazione analogica della regola, pur apparendo la strada più ovvia,
era destinata a serbare un certo margine di opinabilità, soprattutto perché
finiva per impattare - quasi che si trattasse dell'apertura del vaso di Pandora
- su taluni nodi tradizionalmente irrisolti della disciplina fallimentare
previgente. Basti pensare al problema della natura eccezionale o meno delle
regole dettate per la sorte dei vari tipi di rapporti pendenti e alla
possibilità di istituire fra le stesse una sorta di ordine gerarchico .
Dubbia si rivelava infine l'utilizzabilità della regola di cui all'artt. 203
Tuf anche nell'ambito delle procedure concorsuali c.d. minori, posto che tale
norma si limita a evocare il fallimento e la liquidazione coatta
amministrativa.
Ai fini della definizione delle predette questioni l'avvento dell'art. 7 ha
fornito un contributo senz'altro decisivo: e sempre nella direzione di un
rafforzamento della stabilità degli effetti prodotti dalla clausola.
Per prima cosa, il cambio di prospettiva accolto dalla norma - opportunamente
incentrata sulla convenzione di close-out netting in sé, anziché sulle varie
tipologie contrattuali riconducibili all'accordo quadro - ha permesso di
lasciare alle spalle ogni discussione sul carattere rigido o elastico della elencazione
declinata dall'art. 203 Tuf.
La precisazione che la clausola ha effetto in conformità di quanto dalla stessa
previsto anche in caso di apertura di una procedura concorsuale ha poi offerto
il supporto normativo per neutralizzare - in nome della prevalenza della legge
speciale su quella generale - l'operatività del limite di cui all'art. 56,
comma 2 l. fall. In altri termini, la lettera della norma autorizza a ritenere
compensabili le pretese derivanti dalla scadenza anticipata di tutte le operazioni
intercorse tra le parti: incluse cioè quelle perfezionate anche nell'anno
anteriore alla dichiarazione di insolvenza.
Altrettanto significativo si è rivelato in ultimo l'uso delle espressioni
«procedura di risanamento o di liquidazione» all'interno dell'inciso finale
della norma. Come desumibile dalle enunciazioni definitorie di cui
rispettivamente alle lett. r e s dell'art. 1, la portata della declaratoria di
validità ed efficacia della clausola risulta destinata a valere in modo
indifferenziato per ogni tipo di procedura concorsuale prevista nel nostro
ordinamento.
4. I problemi legati alla conversione
Malgrado la formulazione dell'art. 7 rifletta in modo evidente l'intento del
legislatore di presidiare - nella misura maggiore possibile - gli effetti
derivanti dalla attivazione delle clausole di close-out netting, molteplici si
rivelano i profili di instabilità che ancora permangono.
Uno dei momenti più delicati attiene alla c.d. fase della conversione. Si
rivela per vero di intuitiva evidenza che l'attività volta a tradurre in
situazioni omogenee e a valori correnti posizioni tra loro differenziate (siano
esse costituite da obbligazioni eterogenee per oggetto o valuta di
denominazione, oppure da contratti differenziati da liquidare per differenza o in
base al costo di rimpiazzo)17 presenta una intrinseca pericolosità dovuta sia
alla possibilità di errori di conteggio (dovuti alla erronea applicazione dei
criteri previsti), sia - ed è il caso più insidioso - al rischio di gravi abusi
(qualora i parametri adottati non siano conformi a congruità).
Ora, nell'eventualità del verificarsi di un errore materiale, non vi è ragione
per negare il ricorso allo strumento della rettifica. Semmai è da chiedersi se
ciò non debba avvenire entro un termine ristretto in nome della certezza e
stabilità dei rapporti. Di per sé il legislatore tace; ma di fronte a una norma
(cfr. art. 8, comma 3) che consente all'eventuale procedura concorsuale di fare
valere l'incongruità dei criteri di valutazione non oltre l'anno dalla
intervenuta conversione, sembra azzardato ritenere che, per dare luogo alla
rettifica, possa valere un termine superiore.
Per l'altro tipo di rischio il discorso si presenta più complesso. Al riguardo,
si deve sottolineare che, con riferimento al pegno su attività finanziarie, il
primo comma dell'art. 8 stabilisce che i criteri di valutazione delle stesse
oltre che delle obbligazioni finanziarie garantite, nonché le condizioni di
realizzo della garanzia devono essere ragionevoli sotto il profilo commerciale.
Si è osservato che la norma identifica una ulteriore clausola generale
destinata ad affiancarsi ai canoni tradizionali quali ad esempio la buona fede
in executivis e la correttezza18. Riferita all'ambito dei criteri di
valutazione (delle attività finanziarie e delle obbligazioni garantite), il
timone della clausola sembra da orientare nella direzione della «giustezza
economica»: ovvero verso ciò che una volta si sarebbe denominato il «giusto
prezzo». E ciò alla luce sia del significato stesso della espressione
«ragionevolezza commerciale», sia della ovvia necessità di attribuire alla
nuova venuta un ambito non già coperto da clausole preesistenti. In altri
termini, la conformità dei criteri di valutazione adottati al parametro di
nuovo conio sarebbe volta a garantire che i risultati della valutazione non si
discostino dai reali valori di mercato. Del resto, proprio nell'ottica di
promuovere la diffusione di modelli affidabili anche sotto il suddetto profilo
si deve inquadrare la presunzione (di cui alla parte finale del già citato
primo comma) di conformità con riguardo a quelle clausole che, nel fissare i
criteri di valutazione, ricalchino gli schemi contrattuali che la Banca
d'Italia, d'intesa con la Consob, abbia a preordinare attingendo alla prassi (anche)
internazionale degli operatori del mercato: lo scrutinio esercitato da un
soggetto in posizione di indiscutibile terzietà (quali sono le Autorità di
settore appena ricordate) assicurando la migliore garanzia contro il rischio di
abusi19.
L'ipotesi della violazione del parametro risulta espressamente contemplata
dall'ultimo comma dell'art. 8. Tale previsione attribuisce invero agli organi
di una procedura di liquidazione la possibilità di far valere (nel termine di
sei mesi dalla apertura della stessa) la violazione della ragionevolezza
commerciale con riferimento (tra l'altro) ai criteri di valutazione delle
attività finanziarie e delle obbligazioni finanziarie garantite, qualora la
determinazione dell'importo da restituire a titolo di eccedenza derivante dalla
escussione del pegno sia intervenuta entro l'anno che precede l'apertura della
procedura di liquidazione stessa. E questo al fine di ottenere una
rideterminazione della somma dovuta.
Ora, non sembra esservi motivo per escludere la valenza del principio della
ragionevolezza commerciale anche con riguardo ai criteri attraverso i quali, in
sede di close-out, si procede alla conversione delle reciproche posizioni
scaturenti dalla scadenza anticipata delle varie transazioni in essere tra le
parti. L'esigenza di tutela che il momento della trasformazione delle
differenti poste in valori omogenei è in grado di suscitare appare del tutto
simile a quella tenuta presente dal legislatore con riferimento al pegno su
attività finanziarie: sollevandosi in entrambi i casi il rischio di un abuso
suscettibile di integrare una fonte di pregiudizio sia per la parte
svantaggiata (in quanto destinata a sopportare un impoverimento ingiustificato)
sia per i creditori della stessa(in quanto costretti a sopportare un assottigliamento
della garanzia generica del proprio debitore superiore al dovuto) 20.
In tale prospettiva si rivela plausibile ipotizzare la proponibilità della c.d.
azione di ragionevolezza commerciale di cui all'art. 8 u.c. anche nell'ipotesi
in cui la previsione e conseguente applicazione di criteri di conversione
contrari alla ragionevolezza commerciale solleciti una rideterminazione del
saldo netto.
Peraltro, un problema di violazione della clausola della ragionevolezza
commerciale può porsi anche a prescindere dalla apertura di una procedura
concorsuale. E difatti tale eventualità risulta contemplata dal legislatore;
ma, con una formulazione per certi versi enigmatica, il secondo comma dell'art.
8 attribuisce il rimedio della rideterminazione solo per l'ipotesi della
contrarietà al parametro delle condizioni di realizzo: sempre che ciò avvenga
nel termine di tre mesi dalla comunicazione di cui all'art. 4, comma 2 e fatto
salvo il caso in cui le suddette condizioni risultino pattuite fra le parti.
Ora, appare arduo ritenere che la disposizione da ultimo ricordata possa avere
come effetto ulteriore quello di lasciare senza tutela la parte che si scopra -
seppur ancora in bonis - svantaggiata dalla adozione di criteri valutativi
configgenti con la legge. Di fronte alla conferma normativa - di cui all'art.
8, ult. comma - che la determinazione di parametri di valutazione irragionevoli
dal punto di vista commerciale è in grado di integrare un abuso suscettibile di
impugnazione, non ha senso condizionare la relativa reazione alla circostanza
(sotto tale profilo, estrinseca) della pendenza o meno di una procedura
concorsuale. Resta invero fermo il rilievo che approfittamento e pregiudizio
rimangono tali anche al di fuori del Fallimento.
Ne discende che la portata dell'art. 8 comma 2 non deve essere enfatizzata ma
va strettamente contenuta sul tipo di fattispecie contemplata: fattispecie che
riflette peraltro una propria specificità, dal momento che le modalità di
realizzo attengono a un momento lato sensu gestorio.
Dal canto suo, la previsione di criteri valutativi difformi dalla
ragionevolezza commerciale - sia che ciò avvenga con riferimento al pegno su
attività finanziarie, sia che ciò si verifichi nell'ambito della clausola di
close-out netting - si atteggia come una vicenda in grado di ingenerare lo
stesso ordine di inconvenienti suscitati dal patto commissorio. In fondo,
proprio la necessaria conformità al parametro rappresenta la contropartita
della disapplicazione (di cui all'art. 6, comma 2) del relativo divieto con
riferimento ai contratti di garanzia finanziaria che prevedono il trasferimento
della proprietà con funzione di garanzia21.
Non sembra pertanto azzardato scorgere nella violazione del parametro della
«ragionevolezza commerciale» una ipotesi di nullità. La possibilità concessa
sia dal 2° che dall'ultimo comma dell'art. 8 di richiedere una successiva
«rideterminazione» induce altresì a ipotizzare la configurabilità di una
vicenda integrativo-sostitutiva (sul modello di quella prevista dal combinato
disposto degli artt. 1419 e 1339) che porti al rimpiazzo del criterio contra
legem con uno conforme.
E' appena il caso di sottolineare che, trattandosi di una fattispecie di
nullità, il vizio potrà essere fatto valere da chiunque vi abbia interesse: e
quindi anche dagli stessi creditori della parte svantaggiata.
Va piuttosto mantenuta ferma la previsione di un termine ristretto per
l'attivazione del rimedio. Lo impongono quelle esigenze di certezza e rapida
definizione dei rapporti alle quali sia il comma 2 che l'ultimo dell'art. 8 si
mostrano sensibili: la condizione in bonis della parte svantaggiata induce
peraltro a optare per il termine di tre mesi rispetto a quello annuale. Che poi
ciò comporti una deroga a una delle tradizionali regole in materia di nullità
contrattuale non deve turbare: già da tempo la dottrina civilistica ha avuto
modo di avvertire che il regime comune di tale figura di invalidità non è da
intendere come una camicia di forza, potendo lo stesso essere modificato in
funzione delle esigenze sollevate dalla fattispecie concreta.
5. L'assoggettamento alla azione revocatoria fallimentare
Un ulteriore fattore di instabilità degli effetti derivanti dalla attivazione
degli accordi di close-out netting è costituito dalla azione revocatoria
fallimentare.
Per la verità, la previsione - di cui all'art. 7 - di validità ed efficacia
anche in ipotesi della apertura di una procedura concorsuale potrebbe, nella
sua laconicità, suscitare l'impressione che il legislatore abbia inteso
escludere alla radice ogni possibilità di revoca dei risultati rivenienti dalla
messa in moto del meccanismo compensativo.
Una simile interpretazione andrebbe senz'altro fuori dal segno: traducendosi in
una palese forzatura del dato normativo. In realtà, se è innegabile che la
formulazione dell'art. 7 presenti un certo margine di ambiguità, non può
tuttavia passare inosservato il dato della assenza di un qualsiasi (seppur
minimo) cenno alla figura degli accordi di compensazione per close-out in seno
alla disposizione (l'art. 9) che, nell'ambito della medesima sede normativa, il
legislatore ha appositamente dedicato alla materia della revocatoria
fallimentare al fine di delineare alcune ipotesi di esenzione o comunque di
deroga al regime generale. Tale silenzio si presta ad assumere un valore
decisivo sia di per sé sia (verrebbe quasi da dire) per contrasto rispetto al
disposto dell'art. 2 del d. lgs. 12 aprile 2001, n. 210, il quale statuisce
espressamente la definitività delle operazioni di compensazione nel contesto dei
sistemi di pagamento e di regolamento titoli, allorquando un intermediario
partecipante al relativo circuito rimanga assoggettato a una procedura
concorsuale22.
Ad ulteriore conforto della interpretazione qui accolta, si può ricordare che
l'ultimo paragrafo dell'art. 8 della Direttiva 2002/47/CE precisa che, al di là
delle deviazioni introdotte attraverso gli enunciati precedenti, rimangono per
il resto ferme «le norme generali della legislazione nazionale in materia di
insolvenza in relazione all'invalidità delle operazioni concluse» nel corso dei
periodi sospetti.
Una volta esclusa la configurabilità di una ipotesi di esenzione da revocatoria
fallimentare con riguardo agli accordi di close-out netting, occorre subito
avvertire che oggetto di revoca potrà essere il pactum ma non l'effetto
estintivo delle ragioni reciproche. Ricordando che la convenzione di close-out
integra una figura di contratto normativo di per sé riconducibile nell'alveo
dell'art. 1352 comma 2, può invero osservarsi che, con riguardo a tale
fattispecie, l'opinione consolidata è dell'avviso che «il curatore non possa
comunque precludere l'esercizio del potere di compensare del creditore-debitore
del fallito relativamente a ragioni di credito o debito preesistenti alla
dichiarazione di fallimento e debba quindi accettarne le conseguenze, salvo che
possa disconoscere il pactum de compensando»23, se questo, per le sue concrete
modalità, venga ad atteggiarsi come atto revocabile ex art. 67 l. fall.
Ciò posto, pare da escludere la revocabilità della clausola ai sensi dell'art.
67, comma 1, n. 2: la convenzione di close out non lasciandosi certo equiparare
a un atto estintivo di per sé (ma trattandosi piuttosto di un atto volto a
gettare le basi per la successiva compensazione di posizioni reciproche, pur in
assenza dei requisiti di legge). Non altrettanto è da dire con riferimento alla
fattispecie di cui al n. 1 del primo comma: non potendosi escludere la
sussistenza della sproporzione richiesta dalla legge 24, allorquando i criteri
di conversione fissati nel pactum (sempre che concluso nell'anno anteriore alla
dichiarazione di fallimento) siano tali da far risultare obiettivamente che le
posizioni attive e passive del fallito verranno fatte rispettivamente oggetto
di una sotto o sovra stima in misura superiore a un quarto.
In ogni caso, resta ferma la revocabilità della clausola ai sensi dell'art. 67,
comma 2, sempre che naturalmente essa sia stata pattuita nei sei mesi anteriori
alla dichiarazione di fallimento e il curatore fornisca la prova della
conoscenza dello stato di insolvenza da parte del contraente in bonis.
Merita di essere sottolineato il fatto che la dichiarazione di revoca risulta
destinata a provocare l'automatica caducazione degli effetti estintivi
verificatisi sulla base del pactum25. Sotto tale profilo, la differenza
rispetto all'azione di ragionevolezza commerciale si presenta netta:
quest'ultima limitandosi invece a dare luogo a una rideterminazione della
esposizione netta, ma senza, per l'appunto, intaccare l'an del meccanismo
compensativo.
6. L'invalidità delle operazioni da cui scaturiscono le posizioni reciproche
Altra ragione idonea a minare la stabilità degli effetti prodotti dal
meccanismo di close-out netting è data dalla sopravvenienza di una eventuale
dichiarazione di invalidità di una o più transazioni concluse sulla base del
Master Agreement di riferimento.
Si tratta, questo, di uno scenario che non può essere escluso a priori. Sia
perché, da un punto di vista generale, non vi è difficoltà ad ammettere che i
contratti successivi (c.d. contratti particolari) conclusi sulla base di un
accordo quadro di per sé inattaccabile possano essere portatori di autonomi e
specifici vizi. Sia perché proprio con riferimento ad alcuni contratti derivati
negoziati over the counter (cfr., ad esempio, i contratti di interest rate
swap) la questione della loro validità resta da giocare «essenzialmente sul
filo della fattispecie concreta ... e alla luce informante del principio di
meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti di cui all'art. 1322 c.c»:
non sempre la prassi offrendo all'interprete l'esempio standard di «una
operazione conclusa fra un soggetto, per una oggettiva e puntuale esigenza di
copertura dal rischio di cambio o di interessi, e un intermediario professionale
specializzato nello specifico settore del rischio da coprire»26.
Al di là di ogni ulteriore osservazione sul punto, rimane comunque il fatto che
la sopravvenuta declaratoria di invalidità di una o più transazioni conduce
alla necessità di una nuova rideterminazione del saldo netto. Nell'ambito della
più recente letteratura dedicata all'istituto della compensazione, non si manca
infatti di affermare che all'effetto retroattivo di una vicenda caducatoria
(sia essa di annullamento, di rescissione o di risoluzione del titolo di uno
dei debiti reciproci) «dovrebbe conseguire l'eliminazione ex tunc dell'effetto
estintivo: il che si spiega agevolmente, considerando che il rapporto, anche
dopo l'estinzione, è suscettibile di subire nuove vicende e che comunque l'estinzione
è un effetto lato sensu costitutivo di una fattispecie legale, suscettibile di
essere rimosso le volte che l'ordinamento lo preveda al fine di regolamentare
la relazione tra le vicende fisiologiche del rapporto e quelle patologiche»27.
Del resto, a ragionare diversamente, l'accordo di close-out verrebbe ad
assumere un valore costitutivo rispetto alla posizione assunta nella base di
calcolo del saldo netto, ma rimasta poi orfana della operazione dalla quale era
scaturita.
Proprio al fine di spezzare il suddetto nesso di derivazione, la prassi ricorre
talvolta a una variante che la stessa definizione di cui all'art. 1 lett. f
mostra di ben conoscere: ossia all'espediente di inserire all'interno del
meccanismo compensativo un momento per così dire novativo. Più precisamente, si
viene a prevedere che le obbligazioni divenute esigibili, anziché essere fatte
oggetto di conversione, siano estinte e sostituite dall'obbligazione di versare
l'importo che sarebbe risultato dalla loro semplice traduzione in valori
omogenei28.
Ora, il fatto che al momento della stipulazione della clausola di closeout
(che è poi quello della stipulazione del contratto quadro) le varie operazioni
siano ancora da compiere non sembra costituire di per sé un ostacolo
insormontabile, dal momento che la dottrina civilistica non mostra disagio di
fronte alla figura della novazione di obbligazione futura29.
Che poi, trattandosi nel caso di specie di una novazione per titolo (oltre che
per oggetto), la nuova obbligazione possa essere assoggettata a uno statuto
disciplinare diverso da quello delle obbligazioni estinte, risulta del pari
ammissibile30.
Cionondimeno, resta il fatto che l'art. 1234 c.c. stabilisce non soltanto che
la novazione è senza effetto se non esisteva l'obbligazione originaria; ma pure
che allorquando quest'ultima derivi da un titolo annullabile, la fattispecie
estintiva si considera ferma solo se il debitore ha assunto il nuovo debito
conoscendo il vizio di quello originario. Un presupposto, questo, che appare
difficilmente riscontrabile nella vicenda in oggetto, atteso che la convenzione
di close-out con la variante novativa integra una delle clausole del contratto
quadro, di per sé anteriore al compimento delle successive operazioni.
1) Le clausole di close-out netting hanno attirato l'attenzione della
letteratura italiana a partire dalla fine degli anni '90. In particolare, la
materia è stata esplorata da PERRONE prima con il saggio, Gli accordi di
close-out netting, in Banca borsa tit. cred., 1998, I, 50 s.; poi con
l'ulteriore approfondimento condotto all'interno del lavoro monografico La
riduzione del rischio di credito negli strumenti finanziari derivati, Milano,
1999, 85 s. Tra gli scritti pionieristici da ricordare, altresì, DE BIASI, Il
netting nei contratti derivati, in Riv. banca merc. fin., 1999, I, 232 s. e
LEMBO, Gli accordi di close-out netting, in Dir. fall. 2001, 1322 s. I
contributi più recenti sono per la maggior parte da inquadrare nell'ambito
degli studi incentrati sulla disciplina dei contratti di garanzia finanziaria
di cui al d. lgs. 21 maggio 2004, n. 170 (in attuazione della direttiva
2002/47/CE) che ha, come noto, dedicato alcune specifiche disposizioni agli
accordi in esame (cfr. artt. 1 lett. f e 7). Al riguardo si possono segnalare
ANNUNZIATA, Verso una disciplina comune delle garanzie finanziarie, in Banca
borsa tit. cred., 2003, I, 177 s.; 209 s.; LOIACONO, CALVI, BERTANI, Il
trasferimento in funzione di garanzia tra pegno irregolare, riporto e diritto
di utilizzazione, in Banca borsa tit. cred., 2005, Supplemento al fasc. n. 6,
65s.; MARINO, La disciplina delle garanzie finanziarie, Napoli, 2006, 203 s.;
ROZZI, BRUNO, La collaterizzazione degli strumenti finanziari derivati OTC
(over the counter) alla luce del d. lgs. 170/2004: cenni storici e problemi
irrisolti, in Società 2007, 1235 s.; GARDELLA, Le garanzie finanziarie nel
diritto internazionale privato, Milano, 2007, 140 s., 202 s., 289 s.; GUCCIONE,
I contratti di garanzia finanziaria, Milano, 2008, 185 s.
2) La possibilità di fare riferimento al solo saldo netto (ovvero al risultato
derivante dal netting) è stata reputata ragione idonea a determinare rispetto
alle banche una riduzione della misura del capitale da immobilizzare a fini
prudenziali (cfr. Accordo di Basilea II).
3) Al di là dello scopo pratico di evitare una molteplicità dei pagamenti, la
dottrina più avvertita non manca di sottolineare che il congegno compensativo
viene ad assolvere una funzione lato sensu di garanzia, consentendo al
creditore di «evitare il rischio di adempiere, o dover adempiere, senza
ricevere l'adempimento» (così PERLINGIERI, Dei modi di estinzione delle
obbligazioni diversi dall'adempimento, in Commentario Scialoja e Branca,
Bologna-Roma, 1975, 258). In termini simili, altresì, SCHLESINGER, voce
Compensazione, in Noviss. Dig. it., Torino, 1967, III, 722, quando scrive che
l'istituto risponde, tra l'altro, all'esigenza equitativa di prevenire «a
carico della parte più sollecita ad adempiere il rischio della insolvenza di
controparte». Tale linea risulta sviluppata in modo ulteriore da INZITARI,
Effetti del fallimento per i creditori, in Commentario Scialoja e Branca l.
fall., Bologna-Roma, 1988, 163, sulla base del rilievo che «la posizione del
soggetto legittimato ad opporre la compensazione appare molto simile, sotto
taluni aspetti, al creditore titolare di un diritto reale di garanzia sui beni
del proprio debitore. Allo stesso modo infatti in cui questi può realizzare il
proprio credito sul ricavato del bene concesso in garanzia, al creditore,
quando oppone la compensazione, è concesso di realizzare esclsuivamente e senza
il concorso di altri creditori, il proprio credito facendo proprio, appunto in
via esclusiva, un valore economico pari alla concorrenza tra il proprio debito
e il controcredito».
4) Per una dettagliata casistica degli eventi assunti dalla prassi contrattuale
come idonei a propiziare la messa in moto del meccanismo di compensazione per
close-out, v. PERRONE, La riduzione, cit., 88 s.
5) Il termine swap risulta invero sprovvisto di un preciso - e/o unitario -
referente materiale: trovandosi abbinato a tipologie di operazioni della prassi
alquanto diverse fra loro. In effetti, se con riferimento al c.d. currency swap
è riscontrabile una struttura modellata sul doppio scambio rovesciato, uno «a
pronti», l'altro «a termine» (nella sua versione più elementare, lo scambio a
pronti e quello a termine avendo per oggetto una somma di denaro espressa in
due differenti valute), non altrettanto può dirsi con riguardo ai contratti di
interest rate swap e di equità swap. Qui si parla, al più, di un unico scambio
e fra pagamenti. Per qualche rapido cenno sul tema, cfr., DOLMETTA, MINNECI,
voce Contratti di borsa (ovvero dei mercati mobiliari regolamentati), in Il
Diritto Enc. giur., Milano, 2007, IV, 130.
6) E' noto che, con riferimento ai contratti derivati negoziati all'interno dei
mercati regolamentati (ad esempio, contratti futures) il buon fine delle
operazioni viene assicurato attraverso lo strumento della interposizione
necessaria di una clearing house (ossia della cassa di compensazione e
garanzia) in abbinamento con il c.d. meccanismo dei margini. Più precisamente,
una volta conclusa l'operazione, la clearing house assume ambedue le posizioni
che ciascun contraente avrebbe avuto nei confronti dell'altro. Alla scadenza
del contratto, ciascuna della parti è tenuta ad eseguire la propria prestazione
verso la cassa, che, a sua volta, resta obbligata ad assolvere ai propri debiti
nei confronti delle stesse. In tale modo, il rischio di inadempimento viene
traslato sulla clearing house. Al fine di permettere a quest'ultima di gestire
in modo efficiente un simile rischio, si prevede che ciascuna delle parti al
momento del perfezionamento della operazione, corrisponda alla Cassa un margine
iniziale (in contanti o titoli di Stato) pari a una ridotta percentuale del
valore nominale del contratto. Nella fase di pendenza del rapporto e al termine
di ogni giornata di contrattazione, un ulteriore versamento (denominato margine
di variazione) viene poi effettuato dalla parte che ha subito l'effetto
negativo della oscillazione giornaliera del valore del contratto in corso.
7) Sulla figura del pactum de compensando, v. F. MARTORANO, Note sulla
compensazione nel conto corrente bancario, in Banca borsa tit. cred., 1957, II,
319; PERLINGIERI, Dei modi di estinzione , cit., 381 s.; DI PRISCO, I modi di
estinzione diversi dall'adempimento, in Trattato Rescigno, Torino, 1984, IX,
338 s.; MASCIANGELO, MORCAVALLO, VOMERO, La compensazione, in Trattato delle
obbligazioni a cura di Burdese e Moscati, Padova, 2008, III, 231 s.
8) A seconda degli accordi intercorsi tra le parti, la liquidazione di un
contratto derivato (ad esempio, una operazione di interest rate swap) può
avvenire per differenza o in virtù della determinazione del suo costo di
sostituzione. Nel primo caso, si procede a un regolamento in via differenziale,
sulla base di quanto verificatosi nel periodo intercorso tra la data di
efficacia iniziale del contratto e quella della scadenza anticipata del medesimo
(ossia facendo riferimento alla differenza tra gli interessi dovuti
dall'intermediario al cliente dall'inizio del rapporto alla sua cessazione e
quelli dovuti nello stesso periodo dal cliente all'intermediario). L'altra
soluzione passa attraverso la determinazione del costo di rimpiazzo del
contratto al tempo della scadenza anticipata, ossia del valore a tale data di
un contratto destinato ad essere eseguito nel termine originariamente stabilito
dalle parti. In argomento, v. PERRONE, La riduzione, cit., 110 s.
9) Si è peraltro osservato (LOIACONO, CALVI, BERTANI, Il trasferimento, cit.,
66) che la definizione legislativa degli accordi di close-out netting può
indurre in confusione nella parte in cui separa con la avversativa «ovvero» la
fase in cui «le obbligazioni diventano immediatamente esigibili e vengono
convertite nella obbligazione di versare un importo pari al loro valore
corrente stimato ...» da quella in cui «viene calcolato il debito di ciascuna
parte nei confronti dell'altra con riguardo alle singole obbligazioni e viene
determinata la somma netta globale risultante dal saldo e dovuta dalla parte il
cui debito è più elevato»: quasi che, al di là di talune evidenti ridondanze,
si trattasse di momenti fra loro alternativi. In realtà tra i due segmenti è da
scorgere un rapporto di successione (se non cronologica) almeno logica. Scrive
al riguardo GUCCIONE, I contratti di garanzia, cit., 193, che «a differenza
della direttiva che prevede un legame tra il close-out descritto nella lett. i)
e il netting nella lett. ii) della lett. n), il decreto sembrerebbe recidere
tale legame con l'inserimento dell'avverbio ovvero tra le previsioni contenute
nei numeri 1) e 2). La portata pratica di questa differenza è invero molto
limitata, in quanto le uniche obbligazioni reciproche risultanti dalla
conversione presentano tutti i requisiti perché, quantomeno nel nostro
ordinamento, operi la compensazione legale anche in mancanza di un accordo tra
le parti».
10) Da segnalare che tra le obbligazioni suscettibili di essere sottoposte al
meccanismo del closeout, l'art. 5, comma 4 consente di farvi rientrare anche
quella gravante sul creditore pignoratizio e avente per oggetto la
ricostituzione di una garanzia equivalente, una volta compiuti atti di
alienazione sulle attività finanziarie ricevute in pegno.
11) E' appena il caso di notare che il riferimento ai «contratti di garanzia
finanziaria» si traduce in un limite di carattere anche soggettivo. Ai sensi
dell'art. 1 lett d, tali contratti si prestano infatti ad essere conclusi
(oltre che da talune istituzioni pubbliche) solo tra imprese operanti (grosso
modo) nel settore finanziario, oppure fra da un lato le suddette imprese e
dall'altro (quello cioè del datore) «persone diverse dalle persone fisiche,
incluse imprese e associazioni prive di personalità giuridica».
12) E ciò proprio alla luce di quel nesso di complementarietà - riferito nel
precedente paragrafo - che può ravvisarsi tra le clausole di close-out e le
garanzie collaterali.
13) Pongono il problema del coordinamento fra la declaratoria di validità ed
efficacia di cui all'art. 7 e la disciplina fallimentare LOIACONO, CALVI,
BERTANI, Il trasferimento, cit., 71. Sembra propendere per una sostanziale
opponibilità della clausola al Fallimento MARINO, La disciplina, cit., 206.
14) La questione risulta avvertita da DE BIASI, Il netting, cit., 244 e
GUCCIONE, I contratti, cit., 194.
15) Per una disamina approfondita del relativo dibattito, v. PERRONE, La
riduzione, cit., 106 s.
16) Cfr. PERRONE, La riduzione, cit., 115 s. Per una diversa interpretazione
del disposto dell'art. 56, comma 2 l. fall. (volta ad escluderne la rilevanza
nel caso degli accordi di close-out netting) v. LOIACONO, CALVI, BERTANI, Il
trasferimento, cit., 74.
17) E' peraltro da escludere che l'attività di conversione implichi di per sé
effetti novativi. In realtà, si tratta di un momento di monetizzazione, o
meglio di riduzione a una identica unità di conto, ad uso (per così dire)
interno della vicenda compensativa. Diversamente, si dovrebbe attribuire una
valenza novativa in ogni ipotesi di pactum de compensando che conduca alla
reciproca elisione di situazioni fra loro eterogenee (da un punto di vista
logico, non potendosi prescindere dalla traduzione delle stesse in valori
reciprocamente raffrontabili): il che pare francamente eccessivo. Del resto, lo
stesso n. 1 della lett. f dell'art. 1 affianca all'ipotesi della conversione
quella in cui le obbligazioni fra le parti sono estinte e sostituite da una
nuova obbligazione (in ordine a tale fattispecie, v., infra, § 6). In
argomento, v., altresì, GUCCIONE, I contratti di garanzia, cit., 192.
18) Così E. GABRIELLI, Contratti di garanzia finanziaria, stabilità del mercato
e procedure concorsuali, in Riv. dir. priv., 2005, I, 521.
19) Naturalmente, affermare che la clausola di ragionevolezza commerciale
indirizzi verso il traguardo della «giustezza economica» non significa che si
sia di fronte a un esito a portata di mano. Fermo restando che, in caso di
lite, non si può comunque prescindere da una perizia, proprio gli
sconvolgimenti che investono nel tempo presente i mercati finanziari
costituiscono la migliore prova della aleatorietà (e, per certi aspetti,
inattendibilità) dei valori attingibili non soltanto over the counter, ma anche
dai listini (per così dire) ufficiali. Il che sembra quasi un paradosso (ma in
realtà non lo è se si considera che un conto è l'economia finanziaria, come è
venuta modellandosi nell'ultimo decennio, altro è invece l'economia reale) nel
momento in cui, con riferimento ai contratti di impresa, la dottrina più
recente valorizza proprio il mercato quale criterio extracontrattuale di
determinazione del giusto prezzo (cfr. GITTI, La determinazione del contenuto,
in Il terzo contratto a cura di Gitti e Villa, Bologna, 2008, 90).
20) Si interroga sulla applicabilità dell'art. 8 alle clausole di close-out
anche GUCCIONE, I contratti di garanzia, cit., 194.
21) Così E. GABRIELLI, Contratti di garanzia finanziaria, cit., 514 s.
22) Cfr. SCIARRONE ALIBRANDI, La definitività dei pagamenti dalla direttiva
98/26/CE al D. Lgs. 12 aprile 2001, n. 210, in Europa dir. priv., 2002, 806.
23) La frase è di FOSCHINI, La compensazione nel fallimento, Napoli, 1965, 251.
In senso analogo anche PERLINGIERI, Dei modi di estinzione, cit., 317, nota 11.
24) Ammettono la configurabilità di tale ipotesi, sia pure considerandola
remota, LOIACONO, CALVI, BERTANI, Il trasferimento, cit., 75, nota 206.
25) Così FOSCHINI, La compensazione nel fallimento, cit., 252, nota 24.
26) Entrambi i rilievi virgolettati sono di DOLMETTA, MINNECI, Contratti di
borsa, cit., 129.
27) In questi termini, MASCIANGELO, MORCAVALLO, VOMERO, La compensazione, cit.,
353.
29) Cfr. PERLINGIERI, Dei modi di estinzione, cit., 139.
30) Secondo l'opinione prevalente (cfr, LAMBRINI, La novazione, in Trattato
delle obbligazioni a cura di Burdese e Moscati, Padova, 2008, III, 482),
nell'ipotesi di novazione causale, il titolo viene in considerazione non solo
come fatto generatore della obbligazione ma anche come fonte del regolamento
delle sue modalità.
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