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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 18/02/2009 Scarica PDF

La stabilità degli effetti indotti dalle clausole di close-out netting

Ugo Minneci, Professore Associato di Diritto Commerciale


SOMMARIO: 1. Struttura e funzione della clausola. - 2. Il dato normativo. - 3. Questioni risolte alla luce della declaratoria di validità ed efficacia della clausola. - 4. I problemi legati alla conversione. - 5. L'assoggettamento alla revocatoria fallimentare. - 6. L'invalidità delle operazioni da cui scaturiscono le posizioni reciproche.



1. Struttura e funzione della clausola
E' noto che le clausole di close-out netting (altrimenti detti accordi di compensazione per close-out) non identificano un tipo negoziale autonomo, ma integrano una delle pattuizioni normalmente contenute in quei contratti normativi (i. c.d. Master Agreements) che gli intermediari finanziari fanno sottoscrivere alla clientela al fine di sottoporre la successiva operatività su strumenti finanziari a una disciplina unitaria1.
Gli accordi in esame sono volti a consentire che, al verificarsi di certi eventi (contrattualmente predefiniti) le transazioni poste in essere dalle parti in base al Master Agreement e ancora pendenti possano formare oggetto di una vicenda di carattere compensativo: così permettendo di considerare esistente solo l'esposizione netta (ossia il saldo risultante dalla compensazione delle posizioni reciproche)2.


All'origine delle convenzioni di close-out netting vi è l'intuizione che la compensazione possa operare come tecnica di riduzione del rischio di credito: ovvero come tecnica di contenimento delle conseguenze pregiudizievoli legate al mancato buon fine della operazione3. In effetti, l'attivazione del meccanismo compensativo rimane subordinato al sopravvenire di eventi che si atteggiano come sintomo dell'esito infausto dell'affare o come espressione - a giudizio delle parti - della maggiore probabilità del suo verificarsi. E ciò a prescindere che si tratti di situazioni di carattere soggettivo (inadempimento, mancata prestazione delle garanzie promesse o estinzione di quelle prestate, falsità delle dichiarazioni contrattuali, insolvenza, fallimento o apertura di altra procedura concorsuale, ecc.) o oggettivo (sopravvenuta contrarietà a norme imperative delle transazioni perfezionate in base al contratto normativo, sopravvenuta onerosità fiscale conseguente a un provvedimento di legge, amministrativo o giudiziale)4.


Non a caso il campo elettivo di simili clausole è rappresentato dalla operatività su strumenti derivati (negoziati) over the counter (tra cui, in primo luogo, vengono in considerazione i contratti di swap, nello loro svariate forme5): ossia dalla operatività in un settore nel quale la mancanza di un sistema di clearing house6 rende più acuto il c.d. rischio di inadempimento.
Sotto il profilo funzionale, gli accordi di compensazione per close-out si prestano ad essere accostati alle garanzie in senso tecnico: entrambi concorrendo, se non a neutralizzare, almeno a limitare il medesimo tipo di rischio. In realtà, il rapporto che esiste tra gli uni e le altre si atteggia piuttosto intenso, anzi di stretta complementarietà: in quanto la previsione del congegno compensativo pone le condizioni per una riduzione del valore complessivo delle garanzie da richiedere da parte dell'intermediario sulla base di una prudente gestione del rischio di credito.


Preme altresì sottolineare che le clausole di close-out netting fanno conseguire l'effetto compensativo anche in assenza dei requisiti previsti per la compensazione legale. Di fatto, esse integrano la figura del «pactum de compensando» di cui all'art. 1252, comma 2 c.c.7, costituendone una versione alquanto raffinata, tenuto conto che la trasformazione di un portafoglio di operazioni diverse in una serie di partite reciprocamente compensabili non si presenta come una cosa semplice.


Scendendo più nel dettaglio, occorre premettere che, al pari di ogni costruzione della autonomia privata, anche il congegno in esame sfugge a una rigida schematizzazione: esibendo al proprio interno delle inevitabili diversificazioni. A partire dagli anni '90, il fenomeno ha peraltro conosciuto un processo di tipizzazione sociale sufficiente a giustificarne - almeno entro certi limiti - una trattazione unitaria.
Ciò posto, si può osservare che il modo di operare degli accordi di close-out ruota intorno a tre momenti fondamentali: a) al verificarsi di uno degli eventi sopra indicati, la previsione della automatica scadenza di tutte le operazioni in corso fra le parti, sempre che riconducibili al Master Agreement contenente la relativa clausola: e ciò al fine di determinare l'esigibilità delle obbligazioni scaturenti da contratti restitutori (ad esempio un contratto di finanziamento) oppure l'interruzione anticipata degli eventuali contratti derivati (cfr. contratti di swap) e quindi la necessità di una loro liquidazione8; b) la trasformazione delle rivenienti posizioni in partite fra loro omogenee e dunque compensabili sulla base di criteri di conversione a valori correnti previamente fissati: e questo allo scopo di ridurre tutti i vari addendi (obbligazioni esigibili ma eterogenee per oggetto e/o valuta, oppure contratti derivati da liquidare) nella stessa moneta prescelta per denominare l'esposizione netta; c) il calcolo della esposizione lorda di ciascuna delle parti, l'elisione di l'una con l'altra fino a concorrenza e correlativa determinazione della esposizione netta gravante sul contraente il cui debito risulti più elevato.


E' appena il caso di notare che qualora l'attivazione della clausola consegua alla instaurazione di una procedura fallimentare nei confronti di una delle parti, il contraente in bonis sarà tenuto a insinuarsi nel passivo se al termine della vicenda compensativa risulti in credito; sarà invece tenuto a corrispondere alla massa il saldo netto, nell'ipotesi in cui questo debba ascriversi a suo carico.


2. Il dato normativo
Gli accordi di close-out netting hanno formato oggetto di specifica attenzione da parte del nostro legislatore nell'ambito della disciplina dedicata ai contratti di garanzia finanziaria e introdotta dal D. Lgs. 21 maggio 2004, n. 170. Facendo seguito alla definizione di cui all'art. 1 lett. f 9, il successivo art. 7 riconosce la clausola in oggetto come «valida ed efficace, in conformità di quanto dalla stessa previsto, anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione nei confronti di una delle parti».
Di fronte a tale statuizione, porsi il problema della stabilità degli effetti derivanti dalla attivazione della clausola rischia di apparire - almeno in prima battuta - superfluo. In senso contrario non varrebbe sottolineare che la norma in questione si presta a coprire solo una parte del fenomeno reale. Non si può infatti negare che se è vero che il suo campo di applicazione deve ritenersi limitato - stante il disposto di cui all'art. 1 lett. f - ai casi in cui il congegno di close-out netting si trovi delineato nell'ambito di un contratto di garanzia finanziaria10 o di contratto comprendente un contratto di garanzia finanziaria11; è altrettanto vero che l'osservazione della prassi dimostra che le ipotesi contemplate corrispondono proprio alle situazioni in cui il ricorso alla clausola in oggetto si presenta più diffuso. Sicché non sembra azzardato parlare di una sostanziale coincidenza tra il dato materiale e la fattispecie normativa 12.


In realtà, le ragioni che spingono ad approfondire l'oggetto della presente indagine vanno ricercate altrove. Più precisamente, non si può fare a meno di notare l'inadeguatezza del precetto di cui all'art. 7 a chiudere il discorso sulla clausola in esame.
Vi ostano per prima cosa le oscurità che affliggono la sua formulazione. In effetti, resta ambiguo il senso da attribuire alla previsione di efficacia della clausola anche in caso di apertura di una procedura fallimentare: la lettera della norma lasciando aperta l'alternativa fra quello (più ristretto) di una deroga al regime della compensazione nel fallimento (art. 56 l. fall.) e quello (più ampio) di una sottrazione della relativa pattuizione e/o dei suoi effetti alla revocatoria fallimentare 13.
Ma a venire in considerazione è altresì la limitatezza del suo contenuto. Alla generale (se non generica) declaratoria di validità ed efficacia della clausola non fa invero riscontro l'enunciazione di una disciplina esaustiva in ordine al momento operativo della medesima. E pure che le questioni che l'attivazione del meccanismo di close-out è in grado di sollevare non sembrano di poco conto: basti solo pensare al problema della congruità dei criteri di conversione indicati nella clausola 14.
Alla luce di un simile scenario, la questione riguardante la stabilità degli effetti delle clausole di close-out netting si presenta tutt'altro che superata o priva di rilevanza pratica. Peraltro, i rapidi cenni appena svolti lasciano già intuire che essa non potrà essere affrontata sulla base del solo disposto dell'art. 7, ma occorrerà allargare lo sguardo, oltre che ad altre disposizioni del Decreto medesimo, anche a regole ed istituti di carattere più generale.


3. Questioni risolte alla luce della declaratoria di validità ed efficacia della clausola
Non si può certo affermare che la statuizione di cui all'art. 7 abbia segnato una rivoluzione copernicana rispetto agli esiti ai quali erano pervenuti gli interpreti nel silenzio del legislatore.
Già da tempo la dottrina aveva dissipato i principali ordini di perplessità che erano sorti intorno agli accordi di compensazione per close­out al momento della loro comparsa intervenuta agli inizi degli anni '90 e dovuta alla importazione di modelli contrattuali di matrice anglo-americana.
Più precisamente, il timore di una contrarietà della convenzione rispetto a una ipotetica «cherry picking rule» (ossia al principio che attribuisce al curatore del fallimento in cui sia incorsa una delle parti il potere di scelta tra la risoluzione o la prosecuzione del rapporto) era stato - almeno nella sostanza - accantonato dopo che l'art. 203 Tuf aveva espressamente esteso la soluzione della interruzione automatica dei rapporti pendenti (originariamente prevista dal'art. 76 l. fall con riferimento ai soli contratti di borsa) a quelle tipologie di operazioni che sono solite essere concluse sulla base degli Accordi quadro contenenti la clausola di close-out: ossia «agli strumenti finanziari derivati ... alle operazioni a termine su valute, nonché alle operazioni di prestito titoli, di pronti contro termine e di riporto» 15.


D'altro canto, il riferimento all'art. 56 l.fall. (che permette al debitore di portare in compensazione nei confronti del Fallimento crediti vantati verso lo stesso anche se non ancora scaduti prima dell'inizio della procedura) era valso a sgombrare il campo da ogni remora fondata sulla constatazione - in sé ineccepibile - della attitudine del meccanismo compensativo a derogare al principio della par condicio creditorum.
Peraltro, sarebbe eccessivo ritenere che il contesto in cui è stato calato l'art. 7 fosse del tutto privo di tensioni. In realtà, residuava più di un profilo in attesa di una definizione compiuta.
Di portata incerta si presentava ad esempio l'incidenza del limite di cui al capoverso dell'art. 56 l. fall. che vieta di opporre in compensazione al Fallimento crediti acquistati per atto tra vivi nell'anno anteriore. In un panorama fluido (e talvolta reticente) spiccava l'opinione di chi, identificando la ratio del divieto nella esigenza di prevenzione degli abusi (e, quindi, muovendo dall'assunto che il requisito della anteriorità fosse da collegare non al momento in cui le reciproche pretese vengono ad esistenza per effetto della scadenza anticipata dei rapporti, bensì al tempo di perfezionamento della fattispecie costitutiva del rapporto giuridico tra le parti) concludeva nel senso che l'ostacolo alla compensabilità fosse da riferire esclusivamente ai crediti scaturenti dallo scioglimento delle operazioni concluse nell'anno precedente all'apertura della procedura concorsuale. Salvo aggiungere che qualora nel predetto torno di tempo vi fosse stato il perfezionamento addirittura dell'accordo di close-out, questo si sarebbe dovuto considerare (prima ancora che revocabile) nullo per violazione della norma imperativa di cui all'art. 56, comma 2 l. fall.16.
Del pari, continuava a creare un qualche imbarazzo l'ipotesi in cui sulla base del Master Agreement fossero state realizzate figure contrattuali diverse da quelli contemplati dalla elencazione di cui all'art. 203 Tuf. La prospettazione di una applicazione analogica della regola, pur apparendo la strada più ovvia, era destinata a serbare un certo margine di opinabilità, soprattutto perché finiva per impattare - quasi che si trattasse dell'apertura del vaso di Pandora - su taluni nodi tradizionalmente irrisolti della disciplina fallimentare previgente. Basti pensare al problema della natura eccezionale o meno delle regole dettate per la sorte dei vari tipi di rapporti pendenti e alla possibilità di istituire fra le stesse una sorta di ordine gerarchico .
Dubbia si rivelava infine l'utilizzabilità della regola di cui all'artt. 203 Tuf anche nell'ambito delle procedure concorsuali c.d. minori, posto che tale norma si limita a evocare il fallimento e la liquidazione coatta amministrativa.
Ai fini della definizione delle predette questioni l'avvento dell'art. 7 ha fornito un contributo senz'altro decisivo: e sempre nella direzione di un rafforzamento della stabilità degli effetti prodotti dalla clausola.
Per prima cosa, il cambio di prospettiva accolto dalla norma - opportunamente incentrata sulla convenzione di close-out netting in sé, anziché sulle varie tipologie contrattuali riconducibili all'accordo quadro - ha permesso di lasciare alle spalle ogni discussione sul carattere rigido o elastico della elencazione declinata dall'art. 203 Tuf.
La precisazione che la clausola ha effetto in conformità di quanto dalla stessa previsto anche in caso di apertura di una procedura concorsuale ha poi offerto il supporto normativo per neutralizzare - in nome della prevalenza della legge speciale su quella generale - l'operatività del limite di cui all'art. 56, comma 2 l. fall. In altri termini, la lettera della norma autorizza a ritenere compensabili le pretese derivanti dalla scadenza anticipata di tutte le operazioni intercorse tra le parti: incluse cioè quelle perfezionate anche nell'anno anteriore alla dichiarazione di insolvenza.
Altrettanto significativo si è rivelato in ultimo l'uso delle espressioni «procedura di risanamento o di liquidazione» all'interno dell'inciso finale della norma. Come desumibile dalle enunciazioni definitorie di cui rispettivamente alle lett. r e s dell'art. 1, la portata della declaratoria di validità ed efficacia della clausola risulta destinata a valere in modo indifferenziato per ogni tipo di procedura concorsuale prevista nel nostro ordinamento.


4. I problemi legati alla conversione
Malgrado la formulazione dell'art. 7 rifletta in modo evidente l'intento del legislatore di presidiare - nella misura maggiore possibile - gli effetti derivanti dalla attivazione delle clausole di close-out netting, molteplici si rivelano i profili di instabilità che ancora permangono.
Uno dei momenti più delicati attiene alla c.d. fase della conversione. Si rivela per vero di intuitiva evidenza che l'attività volta a tradurre in situazioni omogenee e a valori correnti posizioni tra loro differenziate (siano esse costituite da obbligazioni eterogenee per oggetto o valuta di denominazione, oppure da contratti differenziati da liquidare per differenza o in base al costo di rimpiazzo)17 presenta una intrinseca pericolosità dovuta sia alla possibilità di errori di conteggio (dovuti alla erronea applicazione dei criteri previsti), sia - ed è il caso più insidioso - al rischio di gravi abusi (qualora i parametri adottati non siano conformi a congruità).
Ora, nell'eventualità del verificarsi di un errore materiale, non vi è ragione per negare il ricorso allo strumento della rettifica. Semmai è da chiedersi se ciò non debba avvenire entro un termine ristretto in nome della certezza e stabilità dei rapporti. Di per sé il legislatore tace; ma di fronte a una norma (cfr. art. 8, comma 3) che consente all'eventuale procedura concorsuale di fare valere l'incongruità dei criteri di valutazione non oltre l'anno dalla intervenuta conversione, sembra azzardato ritenere che, per dare luogo alla rettifica, possa valere un termine superiore.
Per l'altro tipo di rischio il discorso si presenta più complesso. Al riguardo, si deve sottolineare che, con riferimento al pegno su attività finanziarie, il primo comma dell'art. 8 stabilisce che i criteri di valutazione delle stesse oltre che delle obbligazioni finanziarie garantite, nonché le condizioni di realizzo della garanzia devono essere ragionevoli sotto il profilo commerciale.
Si è osservato che la norma identifica una ulteriore clausola generale destinata ad affiancarsi ai canoni tradizionali quali ad esempio la buona fede in executivis e la correttezza18. Riferita all'ambito dei criteri di valutazione (delle attività finanziarie e delle obbligazioni garantite), il timone della clausola sembra da orientare nella direzione della «giustezza economica»: ovvero verso ciò che una volta si sarebbe denominato il «giusto prezzo». E ciò alla luce sia del significato stesso della espressione «ragionevolezza commerciale», sia della ovvia necessità di attribuire alla nuova venuta un ambito non già coperto da clausole preesistenti. In altri termini, la conformità dei criteri di valutazione adottati al parametro di nuovo conio sarebbe volta a garantire che i risultati della valutazione non si discostino dai reali valori di mercato. Del resto, proprio nell'ottica di promuovere la diffusione di modelli affidabili anche sotto il suddetto profilo si deve inquadrare la presunzione (di cui alla parte finale del già citato primo comma) di conformità con riguardo a quelle clausole che, nel fissare i criteri di valutazione, ricalchino gli schemi contrattuali che la Banca d'Italia, d'intesa con la Consob, abbia a preordinare attingendo alla prassi (anche) internazionale degli operatori del mercato: lo scrutinio esercitato da un soggetto in posizione di indiscutibile terzietà (quali sono le Autorità di settore appena ricordate) assicurando la migliore garanzia contro il rischio di abusi19.
L'ipotesi della violazione del parametro risulta espressamente contemplata dall'ultimo comma dell'art. 8. Tale previsione attribuisce invero agli organi di una procedura di liquidazione la possibilità di far valere (nel termine di sei mesi dalla apertura della stessa) la violazione della ragionevolezza commerciale con riferimento (tra l'altro) ai criteri di valutazione delle attività finanziarie e delle obbligazioni finanziarie garantite, qualora la determinazione dell'importo da restituire a titolo di eccedenza derivante dalla escussione del pegno sia intervenuta entro l'anno che precede l'apertura della procedura di liquidazione stessa. E questo al fine di ottenere una rideterminazione della somma dovuta.
Ora, non sembra esservi motivo per escludere la valenza del principio della ragionevolezza commerciale anche con riguardo ai criteri attraverso i quali, in sede di close-out, si procede alla conversione delle reciproche posizioni scaturenti dalla scadenza anticipata delle varie transazioni in essere tra le parti. L'esigenza di tutela che il momento della trasformazione delle differenti poste in valori omogenei è in grado di suscitare appare del tutto simile a quella tenuta presente dal legislatore con riferimento al pegno su attività finanziarie: sollevandosi in entrambi i casi il rischio di un abuso suscettibile di integrare una fonte di pregiudizio sia per la parte svantaggiata (in quanto destinata a sopportare un impoverimento ingiustificato) sia per i creditori della stessa(in quanto costretti a sopportare un assottigliamento della garanzia generica del proprio debitore superiore al dovuto) 20.
In tale prospettiva si rivela plausibile ipotizzare la proponibilità della c.d. azione di ragionevolezza commerciale di cui all'art. 8 u.c. anche nell'ipotesi in cui la previsione e conseguente applicazione di criteri di conversione contrari alla ragionevolezza commerciale solleciti una rideterminazione del saldo netto.
Peraltro, un problema di violazione della clausola della ragionevolezza commerciale può porsi anche a prescindere dalla apertura di una procedura concorsuale. E difatti tale eventualità risulta contemplata dal legislatore; ma, con una formulazione per certi versi enigmatica, il secondo comma dell'art. 8 attribuisce il rimedio della rideterminazione solo per l'ipotesi della contrarietà al parametro delle condizioni di realizzo: sempre che ciò avvenga nel termine di tre mesi dalla comunicazione di cui all'art. 4, comma 2 e fatto salvo il caso in cui le suddette condizioni risultino pattuite fra le parti.
Ora, appare arduo ritenere che la disposizione da ultimo ricordata possa avere come effetto ulteriore quello di lasciare senza tutela la parte che si scopra - seppur ancora in bonis - svantaggiata dalla adozione di criteri valutativi configgenti con la legge. Di fronte alla conferma normativa - di cui all'art. 8, ult. comma - che la determinazione di parametri di valutazione irragionevoli dal punto di vista commerciale è in grado di integrare un abuso suscettibile di impugnazione, non ha senso condizionare la relativa reazione alla circostanza (sotto tale profilo, estrinseca) della pendenza o meno di una procedura concorsuale. Resta invero fermo il rilievo che approfittamento e pregiudizio rimangono tali anche al di fuori del Fallimento.
Ne discende che la portata dell'art. 8 comma 2 non deve essere enfatizzata ma va strettamente contenuta sul tipo di fattispecie contemplata: fattispecie che riflette peraltro una propria specificità, dal momento che le modalità di realizzo attengono a un momento lato sensu gestorio.
Dal canto suo, la previsione di criteri valutativi difformi dalla ragionevolezza commerciale - sia che ciò avvenga con riferimento al pegno su attività finanziarie, sia che ciò si verifichi nell'ambito della clausola di close-out netting - si atteggia come una vicenda in grado di ingenerare lo stesso ordine di inconvenienti suscitati dal patto commissorio. In fondo, proprio la necessaria conformità al parametro rappresenta la contropartita della disapplicazione (di cui all'art. 6, comma 2) del relativo divieto con riferimento ai contratti di garanzia finanziaria che prevedono il trasferimento della proprietà con funzione di garanzia21.
Non sembra pertanto azzardato scorgere nella violazione del parametro della «ragionevolezza commerciale» una ipotesi di nullità. La possibilità concessa sia dal 2° che dall'ultimo comma dell'art. 8 di richiedere una successiva «rideterminazione» induce altresì a ipotizzare la configurabilità di una vicenda integrativo-sostitutiva (sul modello di quella prevista dal combinato disposto degli artt. 1419 e 1339) che porti al rimpiazzo del criterio contra legem con uno conforme.
E' appena il caso di sottolineare che, trattandosi di una fattispecie di nullità, il vizio potrà essere fatto valere da chiunque vi abbia interesse: e quindi anche dagli stessi creditori della parte svantaggiata.
Va piuttosto mantenuta ferma la previsione di un termine ristretto per l'attivazione del rimedio. Lo impongono quelle esigenze di certezza e rapida definizione dei rapporti alle quali sia il comma 2 che l'ultimo dell'art. 8 si mostrano sensibili: la condizione in bonis della parte svantaggiata induce peraltro a optare per il termine di tre mesi rispetto a quello annuale. Che poi ciò comporti una deroga a una delle tradizionali regole in materia di nullità contrattuale non deve turbare: già da tempo la dottrina civilistica ha avuto modo di avvertire che il regime comune di tale figura di invalidità non è da intendere come una camicia di forza, potendo lo stesso essere modificato in funzione delle esigenze sollevate dalla fattispecie concreta.


5. L'assoggettamento alla azione revocatoria fallimentare
Un ulteriore fattore di instabilità degli effetti derivanti dalla attivazione degli accordi di close-out netting è costituito dalla azione revocatoria fallimentare.
Per la verità, la previsione - di cui all'art. 7 - di validità ed efficacia anche in ipotesi della apertura di una procedura concorsuale potrebbe, nella sua laconicità, suscitare l'impressione che il legislatore abbia inteso escludere alla radice ogni possibilità di revoca dei risultati rivenienti dalla messa in moto del meccanismo compensativo.
Una simile interpretazione andrebbe senz'altro fuori dal segno: traducendosi in una palese forzatura del dato normativo. In realtà, se è innegabile che la formulazione dell'art. 7 presenti un certo margine di ambiguità, non può tuttavia passare inosservato il dato della assenza di un qualsiasi (seppur minimo) cenno alla figura degli accordi di compensazione per close-out in seno alla disposizione (l'art. 9) che, nell'ambito della medesima sede normativa, il legislatore ha appositamente dedicato alla materia della revocatoria fallimentare al fine di delineare alcune ipotesi di esenzione o comunque di deroga al regime generale. Tale silenzio si presta ad assumere un valore decisivo sia di per sé sia (verrebbe quasi da dire) per contrasto rispetto al disposto dell'art. 2 del d. lgs. 12 aprile 2001, n. 210, il quale statuisce espressamente la definitività delle operazioni di compensazione nel contesto dei sistemi di pagamento e di regolamento titoli, allorquando un intermediario partecipante al relativo circuito rimanga assoggettato a una procedura concorsuale22.
Ad ulteriore conforto della interpretazione qui accolta, si può ricordare che l'ultimo paragrafo dell'art. 8 della Direttiva 2002/47/CE precisa che, al di là delle deviazioni introdotte attraverso gli enunciati precedenti, rimangono per il resto ferme «le norme generali della legislazione nazionale in materia di insolvenza in relazione all'invalidità delle operazioni concluse» nel corso dei periodi sospetti.
Una volta esclusa la configurabilità di una ipotesi di esenzione da revocatoria fallimentare con riguardo agli accordi di close-out netting, occorre subito avvertire che oggetto di revoca potrà essere il pactum ma non l'effetto estintivo delle ragioni reciproche. Ricordando che la convenzione di close-out integra una figura di contratto normativo di per sé riconducibile nell'alveo dell'art. 1352 comma 2, può invero osservarsi che, con riguardo a tale fattispecie, l'opinione consolidata è dell'avviso che «il curatore non possa comunque precludere l'esercizio del potere di compensare del creditore-debitore del fallito relativamente a ragioni di credito o debito preesistenti alla dichiarazione di fallimento e debba quindi accettarne le conseguenze, salvo che possa disconoscere il pactum de compensando»23, se questo, per le sue concrete modalità, venga ad atteggiarsi come atto revocabile ex art. 67 l. fall.
Ciò posto, pare da escludere la revocabilità della clausola ai sensi dell'art. 67, comma 1, n. 2: la convenzione di close out non lasciandosi certo equiparare a un atto estintivo di per sé (ma trattandosi piuttosto di un atto volto a gettare le basi per la successiva compensazione di posizioni reciproche, pur in assenza dei requisiti di legge). Non altrettanto è da dire con riferimento alla fattispecie di cui al n. 1 del primo comma: non potendosi escludere la sussistenza della sproporzione richiesta dalla legge 24, allorquando i criteri di conversione fissati nel pactum (sempre che concluso nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento) siano tali da far risultare obiettivamente che le posizioni attive e passive del fallito verranno fatte rispettivamente oggetto di una sotto o sovra stima in misura superiore a un quarto.
In ogni caso, resta ferma la revocabilità della clausola ai sensi dell'art. 67, comma 2, sempre che naturalmente essa sia stata pattuita nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento e il curatore fornisca la prova della conoscenza dello stato di insolvenza da parte del contraente in bonis.
Merita di essere sottolineato il fatto che la dichiarazione di revoca risulta destinata a provocare l'automatica caducazione degli effetti estintivi verificatisi sulla base del pactum25. Sotto tale profilo, la differenza rispetto all'azione di ragionevolezza commerciale si presenta netta: quest'ultima limitandosi invece a dare luogo a una rideterminazione della esposizione netta, ma senza, per l'appunto, intaccare l'an del meccanismo compensativo.


6. L'invalidità delle operazioni da cui scaturiscono le posizioni reciproche
Altra ragione idonea a minare la stabilità degli effetti prodotti dal meccanismo di close-out netting è data dalla sopravvenienza di una eventuale dichiarazione di invalidità di una o più transazioni concluse sulla base del Master Agreement di riferimento.
Si tratta, questo, di uno scenario che non può essere escluso a priori. Sia perché, da un punto di vista generale, non vi è difficoltà ad ammettere che i contratti successivi (c.d. contratti particolari) conclusi sulla base di un accordo quadro di per sé inattaccabile possano essere portatori di autonomi e specifici vizi. Sia perché proprio con riferimento ad alcuni contratti derivati negoziati over the counter (cfr., ad esempio, i contratti di interest rate swap) la questione della loro validità resta da giocare «essenzialmente sul filo della fattispecie concreta ... e alla luce informante del principio di meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti di cui all'art. 1322 c.c»: non sempre la prassi offrendo all'interprete l'esempio standard di «una operazione conclusa fra un soggetto, per una oggettiva e puntuale esigenza di copertura dal rischio di cambio o di interessi, e un intermediario professionale specializzato nello specifico settore del rischio da coprire»26.
Al di là di ogni ulteriore osservazione sul punto, rimane comunque il fatto che la sopravvenuta declaratoria di invalidità di una o più transazioni conduce alla necessità di una nuova rideterminazione del saldo netto. Nell'ambito della più recente letteratura dedicata all'istituto della compensazione, non si manca infatti di affermare che all'effetto retroattivo di una vicenda caducatoria (sia essa di annullamento, di rescissione o di risoluzione del titolo di uno dei debiti reciproci) «dovrebbe conseguire l'eliminazione ex tunc dell'effetto estintivo: il che si spiega agevolmente, considerando che il rapporto, anche dopo l'estinzione, è suscettibile di subire nuove vicende e che comunque l'estinzione è un effetto lato sensu costitutivo di una fattispecie legale, suscettibile di essere rimosso le volte che l'ordinamento lo preveda al fine di regolamentare la relazione tra le vicende fisiologiche del rapporto e quelle patologiche»27. Del resto, a ragionare diversamente, l'accordo di close-out verrebbe ad assumere un valore costitutivo rispetto alla posizione assunta nella base di calcolo del saldo netto, ma rimasta poi orfana della operazione dalla quale era scaturita.
Proprio al fine di spezzare il suddetto nesso di derivazione, la prassi ricorre talvolta a una variante che la stessa definizione di cui all'art. 1 lett. f mostra di ben conoscere: ossia all'espediente di inserire all'interno del meccanismo compensativo un momento per così dire novativo. Più precisamente, si viene a prevedere che le obbligazioni divenute esigibili, anziché essere fatte oggetto di conversione, siano estinte e sostituite dall'obbligazione di versare l'importo che sarebbe risultato dalla loro semplice traduzione in valori omogenei28.
Ora, il fatto che al momento della stipulazione della clausola di close­out (che è poi quello della stipulazione del contratto quadro) le varie operazioni siano ancora da compiere non sembra costituire di per sé un ostacolo insormontabile, dal momento che la dottrina civilistica non mostra disagio di fronte alla figura della novazione di obbligazione futura29.
Che poi, trattandosi nel caso di specie di una novazione per titolo (oltre che per oggetto), la nuova obbligazione possa essere assoggettata a uno statuto disciplinare diverso da quello delle obbligazioni estinte, risulta del pari ammissibile30.
Cionondimeno, resta il fatto che l'art. 1234 c.c. stabilisce non soltanto che la novazione è senza effetto se non esisteva l'obbligazione originaria; ma pure che allorquando quest'ultima derivi da un titolo annullabile, la fattispecie estintiva si considera ferma solo se il debitore ha assunto il nuovo debito conoscendo il vizio di quello originario. Un presupposto, questo, che appare difficilmente riscontrabile nella vicenda in oggetto, atteso che la convenzione di close-out con la variante novativa integra una delle clausole del contratto quadro, di per sé anteriore al compimento delle successive operazioni.



1) Le clausole di close-out netting hanno attirato l'attenzione della letteratura italiana a partire dalla fine degli anni '90. In particolare, la materia è stata esplorata da PERRONE prima con il saggio, Gli accordi di close-out netting, in Banca borsa tit. cred., 1998, I, 50 s.; poi con l'ulteriore approfondimento condotto all'interno del lavoro monografico La riduzione del rischio di credito negli strumenti finanziari derivati, Milano, 1999, 85 s. Tra gli scritti pionieristici da ricordare, altresì, DE BIASI, Il netting nei contratti derivati, in Riv. banca merc. fin., 1999, I, 232 s. e LEMBO, Gli accordi di close-out netting, in Dir. fall. 2001, 1322 s. I contributi più recenti sono per la maggior parte da inquadrare nell'ambito degli studi incentrati sulla disciplina dei contratti di garanzia finanziaria di cui al d. lgs. 21 maggio 2004, n. 170 (in attuazione della direttiva 2002/47/CE) che ha, come noto, dedicato alcune specifiche disposizioni agli accordi in esame (cfr. artt. 1 lett. f e 7). Al riguardo si possono segnalare ANNUNZIATA, Verso una disciplina comune delle garanzie finanziarie, in Banca borsa tit. cred., 2003, I, 177 s.; 209 s.; LOIACONO, CALVI, BERTANI, Il trasferimento in funzione di garanzia tra pegno irregolare, riporto e diritto di utilizzazione, in Banca borsa tit. cred., 2005, Supplemento al fasc. n. 6, 65s.; MARINO, La disciplina delle garanzie finanziarie, Napoli, 2006, 203 s.; ROZZI, BRUNO, La collaterizzazione degli strumenti finanziari derivati OTC (over the counter) alla luce del d. lgs. 170/2004: cenni storici e problemi irrisolti, in Società 2007, 1235 s.; GARDELLA, Le garanzie finanziarie nel diritto internazionale privato, Milano, 2007, 140 s., 202 s., 289 s.; GUCCIONE, I contratti di garanzia finanziaria, Milano, 2008, 185 s.
2) La possibilità di fare riferimento al solo saldo netto (ovvero al risultato derivante dal netting) è stata reputata ragione idonea a determinare rispetto alle banche una riduzione della misura del capitale da immobilizzare a fini prudenziali (cfr. Accordo di Basilea II).
3) Al di là dello scopo pratico di evitare una molteplicità dei pagamenti, la dottrina più avvertita non manca di sottolineare che il congegno compensativo viene ad assolvere una funzione lato sensu di garanzia, consentendo al creditore di «evitare il rischio di adempiere, o dover adempiere, senza ricevere l'adempimento» (così PERLINGIERI, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adempimento, in Commentario Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1975, 258). In termini simili, altresì, SCHLESINGER, voce Compensazione, in Noviss. Dig. it., Torino, 1967, III, 722, quando scrive che l'istituto risponde, tra l'altro, all'esigenza equitativa di prevenire «a carico della parte più sollecita ad adempiere il rischio della insolvenza di controparte». Tale linea risulta sviluppata in modo ulteriore da INZITARI, Effetti del fallimento per i creditori, in Commentario Scialoja e Branca l. fall., Bologna-Roma, 1988, 163, sulla base del rilievo che «la posizione del soggetto legittimato ad opporre la compensazione appare molto simile, sotto taluni aspetti, al creditore titolare di un diritto reale di garanzia sui beni del proprio debitore. Allo stesso modo infatti in cui questi può realizzare il proprio credito sul ricavato del bene concesso in garanzia, al creditore, quando oppone la compensazione, è concesso di realizzare esclsuivamente e senza il concorso di altri creditori, il proprio credito facendo proprio, appunto in via esclusiva, un valore economico pari alla concorrenza tra il proprio debito e il controcredito».
4) Per una dettagliata casistica degli eventi assunti dalla prassi contrattuale come idonei a propiziare la messa in moto del meccanismo di compensazione per close-out, v. PERRONE, La riduzione, cit., 88 s.
5) Il termine swap risulta invero sprovvisto di un preciso - e/o unitario - referente materiale: trovandosi abbinato a tipologie di operazioni della prassi alquanto diverse fra loro. In effetti, se con riferimento al c.d. currency swap è riscontrabile una struttura modellata sul doppio scambio rovesciato, uno «a pronti», l'altro «a termine» (nella sua versione più elementare, lo scambio a pronti e quello a termine avendo per oggetto una somma di denaro espressa in due differenti valute), non altrettanto può dirsi con riguardo ai contratti di interest rate swap e di equità swap. Qui si parla, al più, di un unico scambio e fra pagamenti. Per qualche rapido cenno sul tema, cfr., DOLMETTA, MINNECI, voce Contratti di borsa (ovvero dei mercati mobiliari regolamentati), in Il Diritto Enc. giur., Milano, 2007, IV, 130.
6) E' noto che, con riferimento ai contratti derivati negoziati all'interno dei mercati regolamentati (ad esempio, contratti futures) il buon fine delle operazioni viene assicurato attraverso lo strumento della interposizione necessaria di una clearing house (ossia della cassa di compensazione e garanzia) in abbinamento con il c.d. meccanismo dei margini. Più precisamente, una volta conclusa l'operazione, la clearing house assume ambedue le posizioni che ciascun contraente avrebbe avuto nei confronti dell'altro. Alla scadenza del contratto, ciascuna della parti è tenuta ad eseguire la propria prestazione verso la cassa, che, a sua volta, resta obbligata ad assolvere ai propri debiti nei confronti delle stesse. In tale modo, il rischio di inadempimento viene traslato sulla clearing house. Al fine di permettere a quest'ultima di gestire in modo efficiente un simile rischio, si prevede che ciascuna delle parti al momento del perfezionamento della operazione, corrisponda alla Cassa un margine iniziale (in contanti o titoli di Stato) pari a una ridotta percentuale del valore nominale del contratto. Nella fase di pendenza del rapporto e al termine di ogni giornata di contrattazione, un ulteriore versamento (denominato margine di variazione) viene poi effettuato dalla parte che ha subito l'effetto negativo della oscillazione giornaliera del valore del contratto in corso.
7) Sulla figura del pactum de compensando, v. F. MARTORANO, Note sulla compensazione nel conto corrente bancario, in Banca borsa tit. cred., 1957, II, 319; PERLINGIERI, Dei modi di estinzione , cit., 381 s.; DI PRISCO, I modi di estinzione diversi dall'adempimento, in Trattato Rescigno, Torino, 1984, IX, 338 s.; MASCIANGELO, MORCAVALLO, VOMERO, La compensazione, in Trattato delle obbligazioni a cura di Burdese e Moscati, Padova, 2008, III, 231 s.
8) A seconda degli accordi intercorsi tra le parti, la liquidazione di un contratto derivato (ad esempio, una operazione di interest rate swap) può avvenire per differenza o in virtù della determinazione del suo costo di sostituzione. Nel primo caso, si procede a un regolamento in via differenziale, sulla base di quanto verificatosi nel periodo intercorso tra la data di efficacia iniziale del contratto e quella della scadenza anticipata del medesimo (ossia facendo riferimento alla differenza tra gli interessi dovuti dall'intermediario al cliente dall'inizio del rapporto alla sua cessazione e quelli dovuti nello stesso periodo dal cliente all'intermediario). L'altra soluzione passa attraverso la determinazione del costo di rimpiazzo del contratto al tempo della scadenza anticipata, ossia del valore a tale data di un contratto destinato ad essere eseguito nel termine originariamente stabilito dalle parti. In argomento, v. PERRONE, La riduzione, cit., 110 s.
9) Si è peraltro osservato (LOIACONO, CALVI, BERTANI, Il trasferimento, cit., 66) che la definizione legislativa degli accordi di close-out netting può indurre in confusione nella parte in cui separa con la avversativa «ovvero» la fase in cui «le obbligazioni diventano immediatamente esigibili e vengono convertite nella obbligazione di versare un importo pari al loro valore corrente stimato ...» da quella in cui «viene calcolato il debito di ciascuna parte nei confronti dell'altra con riguardo alle singole obbligazioni e viene determinata la somma netta globale risultante dal saldo e dovuta dalla parte il cui debito è più elevato»: quasi che, al di là di talune evidenti ridondanze, si trattasse di momenti fra loro alternativi. In realtà tra i due segmenti è da scorgere un rapporto di successione (se non cronologica) almeno logica. Scrive al riguardo GUCCIONE, I contratti di garanzia, cit., 193, che «a differenza della direttiva che prevede un legame tra il close-out descritto nella lett. i) e il netting nella lett. ii) della lett. n), il decreto sembrerebbe recidere tale legame con l'inserimento dell'avverbio ovvero tra le previsioni contenute nei numeri 1) e 2). La portata pratica di questa differenza è invero molto limitata, in quanto le uniche obbligazioni reciproche risultanti dalla conversione presentano tutti i requisiti perché, quantomeno nel nostro ordinamento, operi la compensazione legale anche in mancanza di un accordo tra le parti».
10) Da segnalare che tra le obbligazioni suscettibili di essere sottoposte al meccanismo del close­out, l'art. 5, comma 4 consente di farvi rientrare anche quella gravante sul creditore pignoratizio e avente per oggetto la ricostituzione di una garanzia equivalente, una volta compiuti atti di alienazione sulle attività finanziarie ricevute in pegno.
11) E' appena il caso di notare che il riferimento ai «contratti di garanzia finanziaria» si traduce in un limite di carattere anche soggettivo. Ai sensi dell'art. 1 lett d, tali contratti si prestano infatti ad essere conclusi (oltre che da talune istituzioni pubbliche) solo tra imprese operanti (grosso modo) nel settore finanziario, oppure fra da un lato le suddette imprese e dall'altro (quello cioè del datore) «persone diverse dalle persone fisiche, incluse imprese e associazioni prive di personalità giuridica».
12) E ciò proprio alla luce di quel nesso di complementarietà - riferito nel precedente paragrafo - che può ravvisarsi tra le clausole di close-out e le garanzie collaterali.
13) Pongono il problema del coordinamento fra la declaratoria di validità ed efficacia di cui all'art. 7 e la disciplina fallimentare LOIACONO, CALVI, BERTANI, Il trasferimento, cit., 71. Sembra propendere per una sostanziale opponibilità della clausola al Fallimento MARINO, La disciplina, cit., 206.
14) La questione risulta avvertita da DE BIASI, Il netting, cit., 244 e GUCCIONE, I contratti, cit., 194.
15) Per una disamina approfondita del relativo dibattito, v. PERRONE, La riduzione, cit., 106 s.
16) Cfr. PERRONE, La riduzione, cit., 115 s. Per una diversa interpretazione del disposto dell'art. 56, comma 2 l. fall. (volta ad escluderne la rilevanza nel caso degli accordi di close-out netting) v. LOIACONO, CALVI, BERTANI, Il trasferimento, cit., 74.
17) E' peraltro da escludere che l'attività di conversione implichi di per sé effetti novativi. In realtà, si tratta di un momento di monetizzazione, o meglio di riduzione a una identica unità di conto, ad uso (per così dire) interno della vicenda compensativa. Diversamente, si dovrebbe attribuire una valenza novativa in ogni ipotesi di pactum de compensando che conduca alla reciproca elisione di situazioni fra loro eterogenee (da un punto di vista logico, non potendosi prescindere dalla traduzione delle stesse in valori reciprocamente raffrontabili): il che pare francamente eccessivo. Del resto, lo stesso n. 1 della lett. f dell'art. 1 affianca all'ipotesi della conversione quella in cui le obbligazioni fra le parti sono estinte e sostituite da una nuova obbligazione (in ordine a tale fattispecie, v., infra, § 6). In argomento, v., altresì, GUCCIONE, I contratti di garanzia, cit., 192.
18) Così E. GABRIELLI, Contratti di garanzia finanziaria, stabilità del mercato e procedure concorsuali, in Riv. dir. priv., 2005, I, 521.
19) Naturalmente, affermare che la clausola di ragionevolezza commerciale indirizzi verso il traguardo della «giustezza economica» non significa che si sia di fronte a un esito a portata di mano. Fermo restando che, in caso di lite, non si può comunque prescindere da una perizia, proprio gli sconvolgimenti che investono nel tempo presente i mercati finanziari costituiscono la migliore prova della aleatorietà (e, per certi aspetti, inattendibilità) dei valori attingibili non soltanto over the counter, ma anche dai listini (per così dire) ufficiali. Il che sembra quasi un paradosso (ma in realtà non lo è se si considera che un conto è l'economia finanziaria, come è venuta modellandosi nell'ultimo decennio, altro è invece l'economia reale) nel momento in cui, con riferimento ai contratti di impresa, la dottrina più recente valorizza proprio il mercato quale criterio extracontrattuale di determinazione del giusto prezzo (cfr. GITTI, La determinazione del contenuto, in Il terzo contratto a cura di Gitti e Villa, Bologna, 2008, 90).
20) Si interroga sulla applicabilità dell'art. 8 alle clausole di close-out anche GUCCIONE, I contratti di garanzia, cit., 194.
21) Così E. GABRIELLI, Contratti di garanzia finanziaria, cit., 514 s.
22) Cfr. SCIARRONE ALIBRANDI, La definitività dei pagamenti dalla direttiva 98/26/CE al D. Lgs. 12 aprile 2001, n. 210, in Europa dir. priv., 2002, 806.
23) La frase è di FOSCHINI, La compensazione nel fallimento, Napoli, 1965, 251. In senso analogo anche PERLINGIERI, Dei modi di estinzione, cit., 317, nota 11.
24) Ammettono la configurabilità di tale ipotesi, sia pure considerandola remota, LOIACONO, CALVI, BERTANI, Il trasferimento, cit., 75, nota 206.
25) Così FOSCHINI, La compensazione nel fallimento, cit., 252, nota 24.
26) Entrambi i rilievi virgolettati sono di DOLMETTA, MINNECI, Contratti di borsa, cit., 129.
27) In questi termini, MASCIANGELO, MORCAVALLO, VOMERO, La compensazione, cit., 353.
29) Cfr. PERLINGIERI, Dei modi di estinzione, cit., 139.
30) Secondo l'opinione prevalente (cfr, LAMBRINI, La novazione, in Trattato delle obbligazioni a cura di Burdese e Moscati, Padova, 2008, III, 482), nell'ipotesi di novazione causale, il titolo viene in considerazione non solo come fatto generatore della obbligazione ma anche come fonte del regolamento delle sue modalità.



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