Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 14/03/2009 Scarica PDF
Gli effetti restitutori dell'accoglimento della domanda di nullità
Luigi Bettini, Giudice1. Una
premessa circa l'ambito di operatività della ripetizione dell'indebito
In materia di intermediazione finanziaria il tema della restituzione delle
prestazioni indebitamente eseguite dalle parti ex art. 2033 c.c. si connette a
quello della nullità dei contratti posti in essere in tale ambito ed assume una
rilevanza particolare in conseguenza della discussa ampiezza dell'ambito di
operatività della categoria della nullità contrattuale.
È evidente che dalla maggiore o minore ampiezza che siamo disposti a
riconoscere alla categoria della nullità contrattuale dipende la maggiore o
minore ampiezza del diritto alla restituzione delle prestazioni già eseguite in
forza del contratto nullo.
Nel testo unico che disciplina l'intermediazione finanziaria - il D.l.vo n.
58/98 - è infatti anzitutto contenuta la previsione di un'importante ipotesi di
nullità testuale relativa al difetto di forma scritta del contratto.
Recita a tale proposito il primo comma dell'art. 23 D.l.vo n. 58/98: "I
contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento e accessori sono
redatti per iscritto ed un esemplare è consegnato al cliente. La CONSOB,
sentita la Banca d'Italia, può prevedere con regolamento che, per motivate
ragioni tecniche o in relazione alla natura professionale dei contraenti,
particolari tipi di contatto possano o debbano essere stipulati in altra forma.
Nei casi di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo."
Non possiamo dunque dubitare della nullità del contratto in tale ipotesi.
Ma parte della dottrina e della giurisprudenza1 ha anche ipotizzato l'esistenza
di nullità virtuali ex art. 1418/1 c.c. in relazione alla violazione dei doveri
posti a carico dell'intermediario finanziario dall'art. 21 del citato decreto.
Recita a tale proposito tale norma: "Nella prestazione dei servizi e delle
attività di investimento e accessori i soggetti abilitati devono:
a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio
l'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati;
b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi
siano sempre adeguatamente informati;
c) utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non
fuorvianti;
d) disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad
assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi e delle attività.
1-bis. Nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e dei
servizi accessori, le Sim, le imprese di investimento extracomunitarie, le Sgr,
le societa' di gestione armonizzate, gli intermediari finanziari iscritti
nell'elenco previsto dall'articolo 107 del testo unico bancario, le banche
italiane e quelle extracomunitarie:
a) adottano ogni misura ragionevole per identificare i conflitti di interesse
che potrebbero insorgere con il cliente o fra clienti, e li gestiscono, anche
adottando idonee misure organizzative, in modo da evitare che incidano
negativamente sugli interessi dei clienti;
b) informano chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, della natura
generale e/o delle fonti dei conflitti di interesse quando le misure adottate
ai sensi della lettera a) non sono sufficienti per assicurare, con ragionevole
certezza, che il rischio di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato;
c) svolgono una gestione indipendente, sana e prudente e adottano misure idonee
a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati.
2. Nello svolgimento dei servizi le imprese di investimento, le banche e le
società di gestione del risparmio possono, previo consenso scritto, agire in
nome proprio e per conto del cliente".
Secondo la citata opinione anche la violazione di tale norma dà luogo ad
altrettante ipotesi di nullità.
E solo riconoscendo l'esistenza di tali nullità virtuali possiamo fare
conseguente applicazione dell'art. 2033 c.c., quando i contratti risultino cioè
affetti da tale nullità. Tale prospettazione amplia sensibilmente l'ambito di
applicazione della disciplina restitutoria in oggetto rendendo centrale
l'argomento.
2. Ancora due premesse: la ripetizione come conseguenza della nullità
contrattuale; la prestazione avente ad oggetto un dare
Ciò detto, devono essere compiute alcune specifiche osservazioni sulla
ripetizione dell'indebito.
Che il rimedio delle restituzioni ex art. 2033 c.c. e seguenti sia applicabile
- con riferimento alle prestazioni eseguite - alle ipotesi di contratto nullo
non mi pare che sia dubitabile.
Recita infatti l'art. 1422 c.c.: "L'azione per far dichiarare la nullità
non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell'usucapione e della
prescrizione delle azioni di ripetizione."
Anche a prescindere dal dibattito dottrinale sull'ampiezza del diritto alla
ripetizione dell'indebito nelle diverse ipotesi di inefficacia del contratto2,
nel caso della nullità contrattuale ne fa espressa fede il citato art. 1422
c.c.
Tale norma, nel sancire l'imprescrittibilità dell'azione di nullità, fa salva
la prescrizione decennale di quella di ripetizione, con ciò intendendo
connettere alla suddetta invalidità contrattuale la ripetizione ex art. 2033
c.c. delle prestazioni eventualmente eseguite.
Possiamo dunque affermare che dalla nullità del contratto deriva il diritto per
ciascuna parte di ripetere la prestazione eseguita.
Ancora, con riferimento alla disciplina dell'indebito, non mi pare che vi siano
dubbi sul fatto che oggetto della ripetizione possano essere prestazioni aventi
ad oggetto un dare. In tal senso è sicuramente interpretato il termine
pagamento di cui all'art. 2033 c.c., essendo il dibattito incentrato
sull'applicabilità della norma alle prestazioni aventi ad oggetto un facere3 e
sui conseguenti rapporti con l'istituto dell'arricchimento senza causa ex art.
2041 c.c.
E dunque possiamo ragionevolmente sostenere che possano esserne oggetto somme
di denaro, da un lato, e strumenti finanziari, dall'altro.
3. I contratti le cui prestazioni costituiscono l'oggetto della restituzione
Occorre a questo punto delineare qual è l'oggetto della restituzione ex art.
2033 e seguenti c.c.
Andiamo con ordine.
Nella materia dell'intermediazione finanziaria, com'è noto, l'attività
contrattuale, o comunque avente natura negoziale, si esplica su un duplice
livello.
Anzitutto l'art. 23 D.l.vo n. 58/98, nel riferirsi ai contratti relativi alla
prestazione di servizi di investimento, prevede la conclusione di un contratto
cosiddetto quadro, di intermediazione finanziaria, con cui le parti si
accordano sul contenuto della futura attività di negoziazione - diciamo così,
in generale - degli strumenti finanziari, che il Legislatore ha voluto essere
condotta necessariamente per il tramite di intermediari autorizzati.
Alla conclusione di tale contratto quadro seguono poi i singoli ordini di
acquisto, con i quali il cliente investitore, già legato contrattualmente
all'intermediario dal contratto quadro, impartisce gli ordini di acquisto o di
vendita dei singoli strumenti finanziari.
Ordini che non possono che essere preceduti da un'adeguata informazione
prevista dall'art. 21 D.l.vo n. 58/98, così come dettagliatamente specificata
dagli artt. 28, 29 e 30 reg. CONSOB n. 12588/98 ora dagli artt. 39 e 40 reg. CONSOB
n. 16190/07, affinché l'acquisto degli strumenti finanziari da parte del
cliente investitore avvenga in modo consapevole, in relazione a natura,
caratteristiche, rischiosità di tali strumenti e più in generale a tutti i
profili che lo stesso Legislatore rende oggetto dell'informazione.
Ed è qui che nasce la controversia.
Secondo alcuni autori e giudici di merito le norme comportamentali poste
dall'art. 21 D.l.vo n. 58/98 agli intermediari sarebbero norme imperative la
cui violazione integrerebbe altrettante ipotesi di nullità del contratto di
negoziazione.
Esse tutelerebbero infatti non solo e non tanto la parte debole del contratto,
e cioè il cliente investitore, quanto l'integrità e la trasparenza del mercato
e solo di riflesso i singoli investitori. Costituirebbero in buona sostanza
l'articolazione ed il dipanarsi di una nuova accezione di ordine pubblico
economico che si sostanzierebbe nella regolazione della circolazione della
ricchezza secondo modalità inderogabili dalle parti e che il Legislatore
avrebbe tutelato attraverso la nullità dei singoli contratti in ipotesi di loro
violazione, così al tempo stesso tutelando anche gli interessi dei singoli
investitori.
Da qui si imporrebbe la scelta della sanzione più grave, la nullità appunto, a
presidio di nome imperative inderogabili, poste a tutela di interessi
necessariamente generali.
Secondo altri autori e giudici di merito, ma recentemente anche di
legittimità4, la nullità sarebbe invece da riservare alle sole ipotesi
espressamente previste dal Legislatore - ubi lex voluit dixit, ubi noluit
tacuit - fra cui il difetto di forma del cosiddetto contratto quadro ex art.
23/1 e 3 D.l.vo n. 58/98, configurando la violazione degli obblighi
comportamentali di cui all'art. 21 D.l.vo n. 58/98 da parte dell'intermediario
altrettante ipotesi di inadempimento da parte sua del contratto quadro, essendo
quella la fonte degli obblighi di comportamento, con i conseguenti effetti
risolutori, restitutori e risarcitori secondo le regole generali, riferiti peraltro
al contratto quadro.
Non devo prendere posizione sull'una o sull'altra ipotesi, mi basta solo
osservare che è fin troppo evidente che l'adesione all'una o all'altra opzione
ermeneutica determina una diversa ampiezza della categoria della nullità e
della disciplina delle restituzioni.
Affermare che la violazione degli obblighi informativi da parte
dell'intermediario finanziario, essendo imperative le norme che li prevedono,
dà luogo alla nullità dei singoli ordini di acquisto cui tali obblighi si
riferiscono significa far operare la disciplina degli artt. 2033 c.c. e
seguenti non solo nel caso in cui il contratto quadro sia nullo per difetto di
forma scritta, ma anche in cui lo siano i singoli ordini perché non preceduti
da un'adeguata informazione a favore del cliente investitore.
In entrambi i casi la sanzione sarà quella della nullità ed il rimedio quello
della ripetizione delle prestazioni indebitamente ricevute.
A tale proposito però si impongono ancora alcune precisazioni.
Gli strumenti finanziari oggetto dei singoli ordini possono appartenere allo
stesso intermediario o ad un terzo, normalmente un collocatore istituzionale di
essi, da cui l'intermediario li acquista.
L'intermediario può cioè averli nel proprio portafoglio o doverseli procurare
da un terzo.
Una volta che il cliente investitore ha impartito l'ordine, nel primo caso la
proprietà dei titoli oggetto di esso si trasferisce dall'intermediario - che li
ha già nel proprio portafoglio - al cliente investitore, nel secondo dal terzo
collocatore al cliente investitore.
Se si considerano i singoli ordini come altrettanti contratti conclusi fra
l'intermediario ed il cliente - ed in tal senso è orientata la maggioranza
della giurisprudenza di merito5 - nel primo caso si è in presenza di una
compravendita in cui l'intermediario è il venditore e il cliente il compratore,
nel secondo un mandato in cui l'intermediario è il mandatario ed il cliente il
mandante, o - più esattamente - una commissione ex art. 1731 c.c., che è
appunto un mandato a comprare.
Nel primo caso il cliente acquirente acquista i titoli direttamente
dall'intermediario che glieli vende, nel secondo gli conferisce l'incarico di
acquistarli presso un terzo. L'intermediario, quale mandatario del cliente, li
acquista dal terzo ed in forza del contratto di mandato gli effetti di
quell'acquisto, trattandosi di beni mobili non registrati, si verificano
direttamente in capo al mandante che ex art. 1706 c.c. ne acquista la
proprietà, senza che sia necessario alcun ritrasferimento dall'intermediario/mandatario
al mandante cliente, benché il primo non abbia speso il nome del secondo nella
compravendita, benché cioè sia un mandatario senza rappresentanza.
Recita infatti l'art. 1706/1 c.c.: "Il mandante può rivendicare le cose
mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio,
salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso di buona
fede".
Ciò avviene in espressa deroga alla regola di cui all'art. 1388 c.c. che esige
potere rappresentativo e spendita del nome perché gli effetti del contratto
posto in essere dal rappresentante si verifichino direttamente in capo al
rappresentato.
Nel caso di cui ci occupiamo invece ciò non è necessario poiché l'art. 1706
c.c. consente l'acquisto direttamente in capo al mandante, anche senza che il
mandatario ne spenda il nome: in tal senso deve essere intesa la sua facoltà di
rivendicare i beni acquistati dal mandatario.
Inoltre, è bene precisarlo, la nullità colpisce il solo contratto di mandato
fra il cliente e l'intermediario, non anche quello di compravendita fra
l'intermediario ed il terzo collocatore da cui l'intermediario acquista, e
dunque gli effetti che vengono meno sono solo quelli del primo contratto - e
cioè l'acquisto direttamente in capo al mandante, anziché al mandatario
acquirente ex art. 1706 c.c. citato - e le restituzioni conseguenti attengono
solo ad esso, non anche alla compravendita.
Il contratto fra intermediario e terzo collocatore non è mai colpito da
nullità: esso è valido ed efficace.
D'altra parte la violazione degli obblighi informativi attiene al primo
contratto e - se sussistente - travolge con la sua nullità solo quel contratto.
Gli effetti della compravendita fra intermediario e terzo collocatore restano
fermi, cosicché l'intermediario diviene proprietario dei titoli acquistati dal
terzo, venendo meno solo gli effetti del mandato fra cliente ed intermediario
al quale - non a caso - i titoli devono essere restituiti: la nullità del
mandato fa venir meno l'effetto di cui all'art. 1706 c.c. e consolida
l'acquisto in capo all'intermediario acquirente.
Ma a conclusioni analoghe si giunge a mio parere anche se si qualificano gli
ordini di acquisto come istruzioni che il mandante/cliente dà
all'intermediario/mandatario in forza del contratto quadro, e dunque come
negozi di attuazione di quel contratto di mandato6: la loro nullità e/o
inefficacia dà luogo ai medesimi effetti restitutori secondo il meccanismo che
ho appena delineato.
4. L'oggetto della ripetizione: il denaro ed i titoli
Occorre dunque valutare quale sia l'oggetto della ripetizione ex art. 2033
c.c., in relazione alla prestazione eseguita.
Recita l'art. 2033 c.c.: "Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha
diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti ed agli
interessi dal giorno del pagamento se chi lo ha ricevuto era in mala fede,
oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda."
La norma dispone quindi la restituzione della prestazione eseguita, insieme ai
frutti ed agli interessi, questi ultimi dal giorno del pagamento se l'accipiens
è in mala fede e da quello della domanda se in buona fede.
Ciò significa che essa in base allo stato soggettivo dell'accipiens non
distingue con riferimento alla restituzione della prestazione indebita, ma solo
alla restituzione di frutti ed interessi che da essa siano derivati, prevedendo
una diversa decorrenza.
Nel nostro caso, con riferimento alla prestazione eseguita l'intermediario
finanziario restituirà il quanto pagato dal cliente investitore per l'acquisto
degli strumenti finanziari, comprensivo delle eventuali commissioni applicate.
Se il contratto concluso è una compravendita, perché - è bene ricordarlo -
l'intermediario vende direttamente al cliente strumenti che ha già nel proprio
portafoglio, l'oggetto di quella restituzione sarà il prezzo pagato al
venditore, se invece il contratto concluso è un mandato, perché l'intermediario
acquista gli strumenti da un terzo, l'oggetto di quella restituzione sarà la
provvista fornita al mandatario per il compimento dell'affare, id est
l'acquisto dal terzo, oltre al corrispettivo per il mandato.
Viceversa il cliente restituirà i titoli oggetto dell'ordine nullo e - se li ha
alienati o comunque se ne è spogliato - sarà tenuto a restituire il tantundem,
trattandosi di beni fungibili, e dunque non facendosi applicazione - almeno di
regola - della disciplina di cui agli artt. 2037 e seguenti c.c. che viceversa
presuppongono che oggetto dell'indebito sia una cosa specifica, infungibile e
che quindi - una volta perita o alienata - non possa più essere restituita
nella sua individualità7.
A tale proposito deve infatti precisarsi che l'art. 2033 c.c. pone la regola:
oggetto dell'obbligo restitutorio è quanto ricevuto - bene fungibile o
infungibile che sia - o almeno il tantundem, se ciò è possibile (se cioè si
tratta di un bene fungibile).
E questo è il caso degli strumenti finanziari.
Gli artt. 2037 e seguenti c.c. disciplinano - viceversa - l'eccezione,
stabiliscono cioè quale sia l'oggetto della restituzione quando non possa più
essere restituito quanto ricevuto, e cioè quando non si tratti di un bene
fungibile e lo stesso sia perito o si sia deteriorato (art. 2037 c.c.) o sia
stato alienato (art. 2038 c.c.).
E questo, almeno di regola, non è il caso degli strumenti finanziari.
5. L'oggetto della ripetizione: l'eventuale applicabilità dell'art. 2038 c.c.
Si impongono però alcune precisazioni
La fungibilità, come categoria descrittiva delle cose, attiene al fatto che
tali cose sono identiche fra loro nella comune valutazione sociale, nel senso
che tutte quelle appartenenti al medesimo genere sono sostituibili,
surrogabili, ed il creditore non ha interesse ad avere una cosa o un'altra
all'interno del medesimo genere poiché, essendo identiche fra loro, sono
sostituibili le une alle altre8.
Sotto questo profilo gli strumenti finanziari oggetto di negoziazione sono beni
fungibili.
E tuttavia essi sono pur sempre appartenenti ad un genere non illimitato,
poiché la loro identità rispetto ad altri beni dello stesso genere, e dunque la
loro sostituibilità nell'indifferenza dell'interesse creditorio del solvens che
ne chiede la restituzione è comunque legata alle caratteristiche specifiche che
li accomunano all'interno del medesimo genere, ad esempio al fatto che siano
obbligazioni che appartengono tutte ad una medesima emissione, caratterizzate
da una certa durata, un certo rendimento, una certa periodicità nel
percepimento delle cedole e così via, tutte caratteristiche che distinguono le
obbligazioni di quell'emissione da quelle di altre emissioni.
Poiché il genere è limitato, può porsi in concreto un problema di perimento del
genere, se il cliente che ha alienato gli strumenti finanziari acquistati si
trova nell'impossibilità di procurarsi il tantundem, poiché sul mercato non se
ne trovano più appartenenti a quel genere.
In tal caso a mio parere trova applicazione l'art. 2038 c.c., in via analogica,
proprio perché - ancorché i beni da restituire siano fungibili - sono stati
alienati e non è più possibile procurarsi il tantundem, come accade per i beni
infungibili.
È vero che gli artt. 2037 e seguenti c.c. fanno espresso riferimento alle cose
determinate, con ciò intendendo quelle infungibili, poiché è questa l'evenienza
più comune, e non anche espressamente a quelle fungibili, come nel caso di cui
stiamo parlando.
Se però la ratio di tali norme è quella appena delineata, di esse può farsi
applicazione anche nell'ipotesi in cui il bene, ancorché fungibile, non possa
più essere restituito, vista l'analogia delle due fattispecie9 .
Occorre dunque stabilire che cosa debba essere restituito dal cliente in questo
particolare caso.
Recita l'art. 2038 c.c.: "Chi avendo ricevuto la cosa in buona fede, l'ha
alienata prima di conoscere l'obbligo di restituirla è tenuto a restituire il
corrispettivo conseguito. Se questo è ancora dovuto, colui che ha pagato
l'indebito subentra nel diritto dell'alienante. Nel caso di alienazione a
titolo gratuito, il terzo acquirente è obbligato, nei limiti del suo
arricchimento, verso colui che ha pagato l'indebito.
Chi ha alienato la cosa ricevuta in mala fede, o dopo aver conosciuto l'obbligo
di restituirla, è obbligato a restituirla in natura o a corrisponderne il
valore. Colui che ha pagato l'indebito può però esigere il corrispettivo
dell'alienazione e può anche agire direttamente per conseguirlo. Se
l'alienazione è stata fatta a titolo gratuito, l'acquirente, qualora
l'alienante sia stato inutilmente escusso, è obbligato, nei limiti
dell'arricchimento, verso colui che ha pagato l'indebito".
Il cliente è dunque tenuto alla restituzione del corrispettivo dell'alienazione
se in buona fede al momento in cui l'ha posta in essere oppure a tale
corrispettivo o al valore degli strumenti finanziari, a scelta
dell'intermediario finanziario creditore, se in mala fede, secondo la regola
posta dalla norma.
Si tratta in questo caso di un'obbligazione alternativa, sia pure sui generis
poiché la scelta è rimessa al creditore, volta ad impedire che l'accipiens,
alienante di mala fede, si arricchisca dall'alienazione o comunque pregiudichi
l'interesse del solvens nel caso in cui abbia venduto ad un prezzo inferiore al
valore dei beni.
Egli infatti è consapevole dell'esistenza del suo obbligo restitutorio a favore
di costui, ma nonostante questo aliena quanto indebitamente ricevuto. In tal
caso è tenuto a restituire la maggior somma fra il valore del bene ed il
corrispettivo dell'alienazione, o meglio la scelta fra le due somme è rimessa
allo stesso solvens.
Devo infine ricordare che - secondo l'unica pronuncia giurisprudenziale che mi
consta sull'argomento - l'impossibilità della restituzione del bene
indebitamente ricevuto non è fatto costitutivo del diritto a ripetere del
solvens, ma fatto modificativo di esso e come tale deve essere eccepito e
provato dall'accipiens, cosicché nel caso in cui il primo chieda la
restituzione non di quanto indebitamente pagato ma del suo valore o del suo
corrispettivo, poiché nel frattempo è stato alienato, e l'accipiens nulla
deduca sull'oggetto del suo obbligo restitutorio (se cioè debba essere quanto
richiesto o, viceversa, quanto originariamente ricevuto) deve ritenersi
incontroversa l'impossibilità da parte sua di restituire l'indebito -
presupposto implicito della domanda del solvens non contestato dall'accipiens -
con conseguente applicazione della disciplina degli artt. 2037 e seguenti
c.c.10.
6. L'oggetto della ripetizione: la nullità del contratto quadro
Tutte le considerazioni svolte finora relative alle nullità contrattuali ed al
conseguente oggetto della restituzioni possono poi essere ripetute anche nel
caso in cui la nullità colpisca non i singoli ordini ma il contratto quadro, in
virtù del collegamento negoziale che lo lega a tutti gli ordini posti in essere
sulla base di esso - e che non possono che essere posti in essere sulla base di
esso - e dunque in virtù della conseguente nullità (o comunque inefficacia) dei
diversi ordini.
In tal caso gli effetti restitutori riguarderanno - almeno potenzialmente -
tutte le prestazioni eseguite in esecuzione degli ordini travolti dalla nullità
del contatto quadro cui si riferiscono.
D'altra parte la negoziazione degli strumenti finanziari, pur disciplinata in
linea generale dal contratto quadro, avviene poi in forza dei singoli ordini, e
dunque sempre ad essi occorre far riferimento per valutare le restituzioni ex
art. 2033 c.c. potendo il contratto quadro, al limite, non essere seguito da
alcun ordine e restare, sotto questo profilo, ineseguito.
7. L'oggetto della ripetizione: interessi e frutti
Secondo il disposto dell'art. 2033 c.c., per l'intermediario finanziario deriva
anche l'obbligo di restituzione degli interessi sulle somme indebitamente
pagate dal cliente che devono ritenersi moratori non compensativi, così almeno
secondo il pacifico (attualmente) orientamento della Suprema Corte (fra le
tante Cass. civ., n. 6074/97), che non dubita dell'applicabilità in tale
materia dell'art. 1224 c.c. e non dell'art. 1282 c.c., salva la specialità
della previsione circa la loro decorrenza (in questo senso l'art. 2033 c.c.
deroga ad entrambe le norme).
Dunque l'accipiens dal momento in cui deve restituire l'indebito è considerato
in mora: il credito del solvens è liquido ed esibibile, ma il ritardo
dell'accipiens è colpevole.
Ovviamente l'applicabilità dell'art. 1224 c.c. fa salva la prova da parte del
solvens del maggior danno ai sensi del secondo comma della norma, secondo le
regole generali; e anche di questo non mi pare che dubiti la giurisprudenza di
merito, salvo poi in concreto negarlo quasi sempre perché non provato.
In modo corrispondente per il cliente deriva l'obbligo di restituzione dei
frutti degli strumenti finanziari, frutti civili ovviamente, e tali possono
essere considerate tutte le somme percepite dai titoli come, ad esempio, le
cedole periodiche dei titoli obbligazionari.
Poiché i frutti sono normalmente percepiti nel periodo intercorrente fra
l'acquisto degli strumenti finanziari e la domanda giudiziale, e non più dopo
di essa, diviene essenziale stabilire lo stato soggettivo dell'accipiens, e
cioè il cliente acquirente/mandante: solo se ritenuto in mala fede sarà tenuto
alla loro restituzione.
Secondo un'isolata sentenza della Suprema Corte - peraltro non riferita alla
materia in oggetto - nulla osta a che gli stessi frutti siano a loro volta
produttivi di interessi11.
8. Lo stato soggettivo dell'accipiens
Come accennato, la restituzione degli interessi e dei frutti dipende dallo
stato soggettivo dell'accipiens, se cioè di buona o mala fede, a seconda che
fosse consapevole o meno di ledere il diritto altrui - trattandosi di buona
fede soggettiva - e dunque in buona sostanza se fosse a conoscenza o meno della
nullità contrattuale: se in buona fede frutti ed interessi devono essere
restituiti dal giorno del pagamento, se in mala fede da quello della domanda.
A tale proposito occorre distinguere fra intermediario e cliente investitore.
Quanto all'intermediario, a mio parere può affermarsi la sua mala fede. Provo a
spiegare perché.
Recita l'art. 1338 c.c.: "La parte che, conoscendo o dovendo conoscere
l'esistenza di una causa di invalidità del contratto non ne ha dato notizia
all'altra parte, è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere
confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto".
Per tale norma la parte che stipula un contratto invalido e che era a
conoscenza o doveva essere a conoscenza della causa di invalidità di esso è
tenuta al risarcimento nei confronti della parte che abbia incolpevolmente
fatto affidamento sulla validità del contratto.
La norma si applica sì espressamente ai casi in cui una delle due parti ha
confidato senza colpa nella validità del contratto prevedendo a suo favore il
risarcimento del danno ma - anche a prescindere, per ora, dallo stato
soggettivo del cliente investitore, e senza entrare nella questione del danno
da responsabilità precontrattuale - per come è interpretata dalla
giurisprudenza e dalla grande maggioranza della dottrina essa pone pur sempre
il principio in forza del quale le cause di invalidità, e segnatamente quelle
di nullità, devono essere conosciute dalle parti contraenti, essendo
direttamente comminate dalla legge12.
Ciò a mio parere non può essere revocato in dubbio nei confronti
dell'intermediario finanziario, che non può non conoscere il regime di validità
del contratto quadro, e dunque - anzitutto - la necessità della sua forma
scritta: in ipotesi di restituzioni in conseguenza della nullità del contratto
quadro per difetto di forma, l'intermediario deve essere considerato in mala
fede.
Se questo è il principio, mi pare che la mala fede dell'intermediario possa
ragionevolmente essere affermata anche nel caso in cui la nullità dipenda dalla
violazione degli obblighi informativi posti dall'art. 21 D.l.vo n. 58/98.
In tal caso, in modo ancora più netto, l'intermediario - unico destinatario di
tali obblighi - violandoli dà causa alla nullità del contratto e per tale
motivo non può giovarsi dell'alleggerimento della posizione garantita dall'art.
2033 c.c. al percettore di buona fede: così d'altra parte è orientata la
prevalente giurisprudenza di merito13.
Più complesso, forse, il discorso sullo stato soggettivo del cliente
investitore.
Se il principio è quello affermato più sopra e se ne fa un'applicazione
rigorosa deve giungersi alla medesima conclusione: la causa di nullità è
comminata direttamente dalla legge, e dunque anche il cliente investitore non
può non conoscerla, non scusando in alcun modo l'ignorantia legis.
In tal caso dovrà restituire i frutti dal momento del pagamento indebito, e
cioè dal momento in cui ha ricevuto gli strumenti finanziari.
Ma forse l'orientamento tradizionale merita di essere rimeditato.
Anzitutto con riferimento alla nullità derivante dalla violazione degli
obblighi informativi, da un lato tali obblighi gravano solo sull'intermediario
finanziario, e dunque la loro violazione non può essere in alcun modo imputata
al cliente investitore, dall'altro attengono proprio alla conoscenza degli
strumenti finanziari oggetto dell'ordine di acquisto e sono finalizzati a
colmare quel divario conoscitivo fra intermediario e cliente, tipico di una
contrattazione fra soggetti diseguali, che il Legislatore fa preciso obbligo
all'intermediario di riempire attraverso le suddette informazioni.
L'intermediario è per definizione più consapevole ed informato del cliente ed
attraverso i suddetti obblighi il Legislatore gli fa carico di salvaguardare
gli interessi dell'investitore che si affida, che anzi è obbligato ad
affidarsi, alla sua competenza e dunque alla sua conoscenza delle norme che
presidiano la regolazione della contrattazione e quindi del traffico giuridico.
E tale ultima osservazione consente di rimeditare l'orientamento tradizionale
anche con riferimento alla nullità derivante dall'inosservanza dell'obbligo di
forma scritta del contratto quadro.
Proprio il fatto che il cliente investitore sia obbligato a contrattare non
direttamente ma a mezzo dell'intermediario finanziario, poiché le sue
conoscenze della materia dell'intermediazione non sono tali da consentirgli di
contrattare da solo, può far ritenere che l'obbligo da parte sua di conoscere
la legge si esaurisca in quello di dovere affidarsi all'intermediario
finanziario per la contrattazione, ma non si estenda anche a quello conoscere
le modalità specifiche della contrattazione che - viceversa - devono essere conosciute
dall'intermediario al quale, proprio per le sue specifiche conoscenze il
cliente si affida o, meglio, deve affidarsi.
Ma di tali modalità fa parte anche la forma che devono avere i contratti, non
solo le informazioni che l'intermediario è tenuto a dargli sul loro oggetto.
D'altra parte la natura relativa della nullità, che non può essere fatta valere
dall'intermediario ma solo dal cliente, testimonia che è un obbligo di forma
posto a tutela di quest'ultimo, e che l'eventuale azione di nullità solo a
costui può giovare, fatto senz'altro più coerente con la disciplina
dell'obbligo restitutorio di un accipiens in buona fede.
Se così è, il cliente può essere considerato in buona fede, potendo ritenersi
che non conosca la causa di nullità da cui il contratto è colpito e che dunque
riceva la prestazione senza conoscerne la natura indebita.
In tal caso dovrà restituire i frutti dal momento della domanda.
E nel caso in cui l'accipiens sia in buona fede la domanda cui l'art. 2033 c.c.
fa riferimento è quella giudiziale, anche di questo la Suprema Corte non
dubita14, non anche quella stragiudiziale come pure proposto da parte della
dottrina15.
Infine, il momento in cui valutare lo stato soggettivo di chi ha ricevuto la
prestazione indebita dell'accipiens deve essere quello in cui essa è stata
ricevuta poiché non può rilevare la malafede sopravvenuta, in applicazione del
principio espresso dall'art. 1147/3 c.c.
È vero che vi è un caso in cui la disciplina dell'indebito fa rilevare la mala
fides superveniens, quello cioè dell'art. 2038/1 c.c. in cui l'accipiens in
mala fede aliena la cosa indebitamente ricevuta16.
Ma in quel caso il Legislatore lo fa allo specifico scopo di disciplinare
l'oggetto della restituzione nel caso in cui l'accipiens se ne sia spogliato.
Poiché l'art. 2038 c.c. tratta con maggior rigore colui che se ne spoglia in
mala fede - cioè sapendo di ledere il diritto altrui nel privarsi addirittura
della possibilità di restituire l'indebito - rispetto a quello che se ne
spoglia in buona fede - ignorando viceversa tale lesione - mi pare coerente con
la disciplina complessiva dare rilievo allo stato soggettivo al momento
dell'alienazione, necessariamente successivo a quello del pagamento, senza
peraltro che viceversa debba esservi dato rilievo nel caso di inerzia
dell'accipiens, che del bene non si spoglia; in tal caso resta rilevante il
momento del pagamento per qualificare la sua buona o mala fede.17
D'altra parte la valutazione dello stato soggettivo del possessore al momento
in cui acquista il possesso della cosa è giustificato proprio dal fatto che
l'art. 1147 c.c. pone regole a tutela del possesso, disciplinando tale
fattispecie, e dunque si riferisce al momento del suo acquisto, restando
irrilevante il successivo mutamento dello stato soggettivo, poiché la tutela
della relazione di fatto con la cosa è valutata nel momento in cui tale
relazione si instaura e non giustifica il venir meno di tale tutela al
mutamento dello stato soggettivo del possessore.
Gli artt. 2037 e 2038 c.c. disciplinano viceversa l'obbligo restitutorio del
possessore che ha ricevuto indebitamente la cosa e dunque non il suo possesso
in sé, ma il suo dovere di restituire, e dunque derogano alla disciplina
generale di cui all'art. 1147 c.c. poiché - venendo in rilievo l'obbligo di
restituire dell'accipiens - valutano il suo stato soggettivo nel momento in cui
si sono verificate le condizioni che lo rendono impossibile (perimento,
deterioramento, alienazione).
Insomma, in ogni caso, mi sembra che l'art. 2038 c.c. possa essere interpretato
come un'eccezione alla regola dell'art. 1147/3 c.c., applicabile per il resto
alla disciplina generale dell'indebito.
E così lo stato soggettivo rilevante è quello esistente al momento
dell'acquisto/vendita degli strumenti finanziari, quello cioè in cui l'ordine è
impartito dal cliente.
Rilevo infine, a chiusura del discorso, che se con riferimento all'ipotesi
della violazione degli obblighi informativi ipotizziamo invece la sussistenza
della diversa fattispecie dell'inadempimento contrattuale del contratto quadro
e la sua eventuale risoluzione ex art. 1453 c.c. con i conseguenti obblighi
restitutori18 viene meno la rilevanza del problema dello stato soggettivo del
cliente investitore.
Secondo questa diversa ricostruzione gli obblighi informativi scaturiscono dal
contratto quadro poiché è con tale contratto che l'intermediario si obbliga ad
informare compiutamente il cliente sull'oggetto dei diversi e successivi ordini
di acquisto, in relazione alla natura degli strumenti finanziari, alla loro
pericolosità, all'esistenza di eventuali conflitti di interesse.
La violazione di tali obblighi comporta che esso sia inadempiente rispetto al
contratto quadro.
Da tale inadempimento - sempre secondo tale ipotesi ricostruttiva -
scaturiscono poi effetti risolutori, restitutori e risarcitori secondo le
regole generali.
In particolare le restituzioni derivano dall'eventuale pronuncia della
risoluzione del contratto quadro ex art. 1453 c.c., nel caso in cui la
violazione dei suddetti obblighi sia ritenuta di non scarsa importanza ex art.
1455 c.c., e dunque di una gravità tale da giustificare lo scioglimento del
vincolo contrattuale e la sua conseguente perdita di efficacia fra le parti.
In tal caso, risolto il contratto quadro, restano travolti anche i singoli
ordini, divenuti inefficaci in conseguenza del collegamento negoziale che li
lega al primo, in virtù del fatto che - come ho già ricordato - essi non
possono essere compiuti senza che prima le parti abbiano concluso il contratto
quadro.
D'altra parte a tale contratto è data esecuzione proprio attraverso il
compimento e l'esecuzione dei singoli ordini di acquisto, poiché esso
disciplina l'attività di contrattazione degli strumenti finanziari a mezzi di
quegli ordini.
Dunque le restituzioni che conseguono alla risoluzione del contratto quadro
hanno ad oggetto le prestazioni eseguite sulla base dei singoli ordini compiuti
in forza di esso, e dunque - ancora una volta - gli strumenti finanziari ed i
relativi frutti, da un lato, il corrispettivo o la provvista fornita al
mandatario per il loro acquisto ed i relativi interessi, dall'altro.
Anche nel caso della risoluzione per inadempimento - come ho già accennato -
secondo la giurisprudenza della Suprema Corte le restituzioni sono regolate
dalle norme sull'indebito ex art. 2033 c.c., pur se l'inefficacia originaria
del contratto non deriva dalla sua nullità.
E con riferimento allo stato soggettivo dell'accipiens, in buona fede è
ritenuto il contraente non inadempiente, discutendosi al più della mala fede di
quello inadempiente 19.
Cosicché, trattandosi dell'inadempimento dell'intermediario finanziario che non
ha assolto agli obblighi informativi, è l'intermediario ad essere eventualmente
in mala fede, mentre il cliente - non inadempiente - deve ritenersi in buona
fede.
1) Per la giurisprudenza di merito che si è pronunciata in tal senso, ex
multis, Tribunale Venezia 27 marzo 2008, Tribunale Modena 10 gennaio 2008,
Tribunale Brindisi, 18 luglio 2008, Tribunale Trento 1 febbraio 2007, Tribunale
Firenze 4 dicembre 2006, Tribunale Brindisi 18 agosto 2006, Tribunale Firenze
21 giugno 2006, Tribunale Trani 30 maggio 2006, Tribunale Teramo, 18 maggio
2006, Tribunale Foggia 15 maggio 2006, Tribunale Trani 31 gennaio 2006,
Tribunale Cagliari 2 gennaio 2006, Tribunale Catania 25 novembre 2005,
Tribunale Torino 7 novembre 2005, Tribunale Treviso 10 gennaio 2005, Tribunale
Marsala 12 luglio 2005, Tribunale Santa Maria Capua Vetere, 1 marzo 2005,
Tribunale Palermo 17 gennaio 2005, capostipite Mantova 18 marzo 2004.
2) La dottrina si è chiesta se la disciplina di cui all'art. 2033 e seguenti
c.c. sia applicabile solo in conseguenza della nullità e della risoluzione per
impossibilità sopravvenuta della prestazione, come espressamente previsto dal
codice rispettivamente ex artt. 1422 e 1458 c.c., o anche in conseguenza
dell'annullamento, della rescissione e delle altre ipotesi di risoluzione, come
a vario titolo afferma la dottrina e come non dubita la giurisprudenza della
Suprema Corte (per tutte, Cass. civ., SS. UU, n. 12492/92 e, da ultimo, Cass.
civ., n. 10498/01).
3) In senso affermativo in giurisprudenza Cass. civ., 1252/00, Cass. civ., n.
10498/01.
4) Così Cass. civ., I, n. 19024/05 e Cass. civ., SS. UU., n. 26724/07 e Cass.
civ., SS. UU., n. 26725/07.
5) Ancora nel merito ex multis Tribunale Parma 3/4/08, Tribunale Venezia 30
maggio 2007.
6) Così, ad esempio, Tribunale Parma 21 marzo 2007, Tribunale Firenze 29 maggio
2006, Tribunale Catania 21 ottobre 2005 e così, mi pare, Cass. civ., SS. UU.,
n. 26724/07 e Cass. civ., SS. UU., n. 26725/07, che pure non parlano
esplicitamente di istruzioni.
7) L'art. 2033 c.c. da un lato e gli artt. 2037 e seguenti c.c. dall'altro si
riferiscono ad un diverso oggetto del comune obbligo restitutorio: nel primo
caso tale oggetto è quanto indebitamente ricevuto o, se si tratta di beni
fungibili, quantomeno il tantundem, poiché l'accipiens è nella condizione di
restituire la prestazione indebita; nel secondo caso, invece, tale oggetto è il
valore dell'arricchimento dell'accipiens, il corrispettivo dell'alienazione o
il valore del bene alienato - a seconda delle diverse regole poste dagli artt.
2037 e 2038 c.c. - poiché invece lo stesso accipiens non è più in quella
condizione.
8) Così B. Biondi, Novissimo Digesto, III, voce Cose, pagg. 1020 e 1021 sulla
fungibilità delle cose e sulla sua differenza con la genericità.
9) Non dubita dell'applicabilità della disciplina degli artt. 2037 e seguenti
c.c. alle ipotesi di perimento del genere Moscati, Commentario Scialoja Branca,
pag. 230, nota n. 22.
10) Così Cass. civ., n. 5512/96.
11) Così Cass. civ., n. 12362/92.
12) Così la interpretano, ad esempio, Cass. civ., I, n. 5114/01 e Cass. civ.,
II, n. 1987/85.
13) Ex multis Tribunale Venezia 27 marzo 2008, Tribunale Parma 21 ottobre 2005
e 3 aprile 2008, Tribunale Trento 1 febbraio 2007, Tribunale Firenze 18 gennaio
2007, Tribunale Cagliari 2 gennaio 2006, Tribunale Catania 25 novembre 2005,
Tribunale Treviso, 10 ottobre 2005, Tribunale Torino 7 novembre 2005, che
sottrae le cedole e dunque ritiene in mala fede anche il cliente, contra
Tribunale Brindisi 18 marzo 2006 e 21 dicembre 2006, Tribunale Firenze 18
febbraio 2005, sul presupposto che la buona fede si presume e che - nelle
fattispecie esaminate - nessun elemento induceva a ritenerlo in mala fede,
Tribunale Trani 30 maggio 2006, senza motivazione.
14) Da ultimo Cass. civ., n. 11259/02.
15) Moscati, Commentario Scialoja Branca, pag. 226 nota n. 11.
16) In tale ipotesi la norma fa rilevare lo stato soggettivo al momento
dell'alienazione e non anche a quello del pagamento indebito, e da tale inciso
parte della dottrina (ad esempio Moscati, Mala fides superveniens non nocet?
Per la rilettura di un dogma, in Riv. dir. civ., 1990, I, pag. 333) deriva la
rilevanza della malafede sopravvenuta, anche argomentando dal mancato richiamo
all'art. 1147/3 c.c.
17) È proprio questa la spiegazione di altra parte della dottrina (Nicolussi,
Appunti sulla buona fede soggettiva con particolare riferimento all'indebito,
Rivista critica di diritto privato, 1995, pag. 265 e seguenti) che esclude
l'applicabilità del principio mala fides superveniens non nocet in forza del
fatto che mentre l'art. 1147 c.c. presuppone la restituzione della cosa
posseduta integra, e dunque considera irrilevante il mutamento dello stato
soggettivo in chi la possiede, successivo al momento in cui l'ha ricevuta,
l'art. 2038 c.c. presuppone al contrario che chi l'ha ricevuta ne alteri
l'integrità alienandola (o anche il distruggendola o deteriorandola ex art.
2037 c.c., benché la norma non lo dica espressamente), rispetto al quale la
sopravvenuta altruità della cosa assume ben altra rilevanza, con ciò
giustificando la diversa di disciplina di possesso ed indebito.
18) È questa la soluzione di Cass. civ., SS. UU., n. 26724/07 e Cass. civ., SS.
UU., n. 26725/07.
19) Per tale costante orientamento da ultimo Cass. civ. n. 738/07
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