Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 24/03/2010 Scarica PDF
Swap ed enti locali: note critiche a Tribunale Bologna 14/12/2009 sulla qualificazione dell'up front e l'interpretazione della dichiarazione di operatore qualificato
Luca Zamagni e Giovanni Cedrini, Avvocati in RiminiIntroduzione
La recente sentenza n° 5244/2009 emessa dalla Seconda Sezione civile del
Tribunale di Bologna costituisce la prima pronuncia relativa ad una controversia
tra un Ente locale (nella fattispecie il Comune di Cattolica) ed un Istituto di
credito, avente ad oggetto l'operatività in strumenti finanziari derivati del
Comune.
Le questioni affrontate dalla Corte bolognese sono di grandissima attualità ed
interessano un rilevante numero di Enti territoriali italiani, i quali non di
rado hanno fatto ricorso alla finanza derivata (come peraltro consentito sin
dal 2001) per dichiarate finalità di ammortamento del debito, finendo, al
contrario in molti casi per sopportare oneri finanziari aggiuntivi originati
dall'operatività di sofisticati prodotti finanziari.
Dal canto loro le Banche, italiane ed estere, hanno spesso operato non solo
quali contraenti controparti degli Enti locali, ma anche quali consulenti
finanziari (advisors), espressamente incaricati dalle stesse delibere degli
Enti, di strutturare i contratti derivati maggiormente conformi alle esigenze
dei Clienti.
La pronuncia in commento, che desta più di una perplessità, affronta, in
stretta relazione alle allegazioni attoree, tre ordini di questioni,
raggruppabili come segue: 1) problematiche connesse alla natura dei contratti
swap e degli up front riconosciuti al Comune; 2) legittimità dei contratti swap
in riferimento alla normativa speciale relativa agli Enti territoriali e 3)
legittimità dei contratti swap in riferimento alla normativa finanziaria (con
particolare riguardo alla questione dell'operatore qualificato).
1. Contratti swap ed up front
Il Tribunale affronta anzitutto il tema della natura dei contratti impugnati
dall'Ente, ed altresì della natura di quella che viene definita a più riprese
come la "clausola up front", pervenendo ad escludere che i contratti
sottoscritti dal Comune costituiscano "mutui o comunque una forma di
indebitamento" (e pertanto siano nulli per non essere stati previamente
deliberati dal Consiglio comunale e stipulati per atto pubblico).
Mentre non vi sono dubbi sul fatto che gli swap siano contratti aleatori
atipici (o quantomeno con elementi di atipicità, siccome, specie con
riferimento agli swap degli Enti territoriali, oggetto di una regolamentazione
via via sempre più dettagliata), stupisce l'accostamento, effettuato dal
Giudice bolognese, degli swap oggetto della pronuncia (che sono swap su tassi
di interesse) ad altra categoria di swap, oggetto di una sentenza del 2005
della Corte di Cassazione (Cass. civ. sez. I sent. n° 10598/2005) riguardante
non già gli interest rate swap (IRS), bensì i domestic currency swap (DCS).
Facendo nostre le definizioni della Consob1, gli IRS sono contratti in cui le
parti si scambiano pagamenti periodici di interessi calcolati su una somma di
denaro (capitale nozionale) per un periodo di tempo predefinito: una parte si
impegna a pagare ad un dato tasso, l'altra ad un tasso differente, sul
presupposto di diverse assunzioni previsionali in ordine all'andamento
prospettico dei tassi (la "scommessa", più volte evocata anche dalla
sentenza in commento).
Come ricordato, il ricorso agli IRS è avvenuto da parte di numerosi Comuni
italiani al fine di perseguire finalità di ammortamento del debito, ed in
particolare per cerare di alleggerire gli oneri finanziari connessi a mutui
stipulati a tasso fisso con gli istituti di credito (in primis con la Cassa
Depositi e Prestiti).
I DCS rappresentano, come gli IRS, una species del genus degli swap, ma ad essi
si ricorre per finalità diverse rispetto a quelle sottostanti agli IRS, e cioè
essenzialmente per proteggersi dal rischio di oscillazioni dei tassi di cambio,
considerato che, come puntualizza la Consob, tramite siffatti negozi "due
controparti compravendono due contratti forward su due nozionali di riferimento
espressi in valute differenti, definendo così un tasso di cambio iniziale ed
alla scadenza si impegnano a scambiare esclusivamente le differenze che si
saranno verificate tra il tasso di cambio osservato a tale data e quello
definito all'inizio del contratto".
L'accostamento degli IRS ai DCS è quindi effettuato con una certa dose di
approssimazione e suscita dubbi sull'effettiva comprensione, da parte del
Tribunale bolognese, di cosa siano e di come funzionino i contratti oggetto
della causa da esso decisa.
I dubbi aumentano nel leggere le considerazioni del Tribunale sugli up front,
di cui si perviene ad escludere con nettezza (davvero degna di miglior causa)
la natura di indebitamento e l'inidoneità a mutare la causa del contratto (o
comunque ad incidere su di essa).
Il discorso sugli up front è in verità ben più complesso.
La normativa finanziaria prevede che, al momento della stipula del contratto,
il valore del derivato debba essere par: l'Allegato 3 al Regolamento Consob n°
11522/1998, al Paragrafo 4 della Parte B, intitolato "Operazioni su
strumenti derivati eseguite fuori dai mercati organizzati. Gli swaps"
precisa che "alla stipula del contratto, il valore di uno swap è sempre
nullo" (in altre parole, ciò significa che i contraenti devono concordare
sul fatto che la somma algebrica attualizzata dei flussi positivi e negativi e
del valore delle opzioni scambiate deve essere pari a zero: le parti stanno
facendo "scommesse" sul futuro e, almeno in qualche momento, devono
pur possedere le stesse informazioni e possibilità di guadagno).
Ove invece gli swap fossero ab origine contratti non par ossia, per usare le
parole del Direttore generale della Consob, laddove presentassero "al
momento di stipula un valore di mercato negativo per una delle due controparti,
poiché uno dei due flussi di pagamento non riflette il livello dei tassi di
mercato", l'equilibrio finanziario delle condizioni di partenza sarebbe
ristabilito "attraverso il pagamento di una somma di denaro" da parte
del contraente "avvantaggiato" al contraente "svantaggiato"
e "tale pagamento, che dovrebbe essere pari al valore di mercato negativo
del contratto, prende il nome di up front"2.
Al riguardo, come correttamente rilevato in una recente sentenza della Corte
d'Appello di Trento, occupatasi di una controversia avente ad oggetto strumenti
derivati sottoscritti da una impresa: "il valore dell'up front [...] è
tanto più alto quanto più è negativo il valore del contratto per il cliente;
l'up front costituisce un pagamento immediato a favore del cliente in ragione
dell'accettazione di un rischio maggiore perché tale up front rappresenta il
pagamento del costo implicito del contratto"(Corte d'App. Trento
05/03/2009)3.
Ciò posto, è evidente che l'up front costituisce un efficace indicatore della
presenza di un rischio finanziario connaturato alla struttura contrattuale a
cui ci si vincola e, da questo punto di vista, pone anzitutto questioni
connesse alla consulenza fedele dell'intermediario finanziario (non solo
controparte ma spesso, come si è detto, anche advisor dell'Ente). Si vuole cioè
evidenziare che in simili circostanze è opportuno chiedersi se ed in che modo
l'intermediario finanziario abbia adeguatamente informato la controparte in
ordine alla rischiosità connessa ad una struttura contrattuale ab origine
"squilibrata". Giova al riguardo rammentare, come fa la migliore
dottrina, che l'obbligo di fedele consulenza (recte: di "comportarsi
nell'interesse dei cliente", art. 21 comma I lett. a TUF) è connaturato al
contratto di intermediazione finanziaria4 e non presuppone affatto l'espresso
affidamento alla banca dell'incarico di advisor.
Sotto altro (ma concorrente) profilo, il tema dell'up front è strettamente
correlato a quello delle cosiddette "commissioni implicite" incassate
dalla banca, stimabili nella differenza tra il mark to market (ossia il valore
di mercato del contratto stimato attualizzando i flussi di cassa attesi) dei
pagamenti dell'Ente ed il mark to market dei pagamenti in capo alla Banca.
L'omessa (o la non integrale) corresponsione dell'up front da parte degli
intermediari finanziari (spesso in misura ben superiore alla copertura dei
costi di produzione del derivato) pone, con tutta evidenza, delicate questioni,
non soltanto afferenti il diritto finanziario (in primis, ancora: obblighi di
consulenza fedele ed obblighi di trasparenza nell'interesse del cliente), ma
anche di rilevanza penale (è notizia di pubblico dominio quella per cui alcune
Procure della Repubblica abbiano da tempo avviato indagini, ipotizzando la
sussistenza di reati di truffa contrattuale aggravata a carico di diversi alti
funzionari di Istituti di credito, imputazioni correlate all'applicazione, da
parte delle Banche, di svariati milioni di Euro di "commissioni
implicite" gravanti gli IRS sottoscritti da Comuni italiani).
Più in generale, se è vero che la normativa di settore impone all'intermediario
finanziario di agire in maniera trasparente e perseguendo le migliori
condizioni di negoziazione (best execution) nell'interesse del cliente (cfr.
art. 21 TUF), con riguardo alla negoziazione di derivati over the counter, tali
obblighi devono riflettersi anzitutto nella puntuale illustrazione al cliente
dei meccanismi di pricing del derivato in maniera tale che, prima di
sottoscrivere il contratto, il cliente medesimo sia correttamente informato,
oltre che sull'idoneità dello strumento finanziario a perseguire le finalità di
copertura in ipotesi perseguite, anche dei costi reali della struttura, ivi
espressamente compresi i costi di produzione del derivato
"ricaricati" sul cliente ed il margine (mark up) effettivamente
lucrato dalla controparte bancaria.
Al contrario, la prassi applicativa attesta l'estrema "opacità" delle
informazioni rese dagli intermediari, come peraltro rilevato dalla Corte
d'Appello di Milano in un recente provvedimento di conferma delle sanzioni
irrogate dalla Consob ad un intermediario finanziario5 ed è davvero
sorprendente constatare l'assoluta mancanza, nella prima sentenza di un
Tribunale italiano occupatosi di una vertenza sui derivati di un Ente locale,
di ogni riferimento a problematiche relative al pricing dei contratti oggetto
di causa: come anticipato, il tema dell'up front è infatti affrontato dal
Giudice felsineo esclusivamente per escludere che simile corresponsione sia
assimilabile ad un finanziamento.
Ed anche sotto questo profilo la sentenza non convince affatto.
Detto dell'up front quale rivelatore di rilevanti criticità finanziarie ab
origine connesse al derivato sottoscritto, va altresì osservato che, nella
prassi applicativa, l'up front è non di rado corrisposto (o, più esattamente,
riconosciuto) dalle Banche all'atto della rinegoziazione (o rimodulazione) dei
contratti derivati.
In altre parole, non di rado accade che contratti derivati gravati da oneri
divenuti insopportabili per il cliente siano "rinegoziati" mediante
corresponsione a titolo di up front da parte della Banca al cliente di importo
pari al mark to market di chiusura del contratto che si intende rimodulare.
Il "nuovo" contratto, ovviamente strutturato dall'intermediario in
maniera tale da perseguire l'obiettivo di (quantomeno) recuperare con una certa
remunerazione l'importo erogato a titolo up front, nasce pertanto fatalmente
"sbilanciato" a favore del contraente bancario, aggravando, anziché
risolvendo, i problemi del cliente.
Orbene, in simili situazioni ci pare davvero difficile escludere la natura di
finanziamento dell'up front riconosciuto al cliente, né rileverebbe, al
riguardo, eccepire il carattere eventuale della prestazione restitutoria del
cliente (in qualche modo connessa alle assunzioni previsionali supposte
dall'IRS rinegoziato), visto e considerato che la natura di finanziamento
dell'erogazione di somme appare compatibile con il carattere incerto della
restituzione (cfr., ad es., la fattispecie del mutuo sub condicione, su cui
Cass. civ. sez. I n° 13168/20056).
Si noti che la più attenta giurisprudenza di merito è ben consapevole del
problema7: una recente sentenza del Tribunale di Torino ha infatti constatato
come i contratti IRS oggetto di successive rinegoziazioni "veniva(no)
costruit(i) affinché la banca potesse recuperare la perdita del contratto
(precedente) non addebitata alla chiusura anticipata dello stesso" (Trib.
Torino 18/09/20078).
Ma vi è di più. Se l'up front (o quantomeno l'up front riconosciuto in sede di
rimodulazione) può essere considerato come un finanziamento, la prestazione
restituitoria non potrà che avvenire nel rispetto della disciplina dei tassi
soglia (rilevati trimestralmente dalla Banca d'Italia), fissata dalla Legge n°
108/1996, pena la possibile configurabilità del delitto di usura previsto
dall'art. 644 c.p. a carico dell'intermediario finanziario9.
Del resto la più recente giurisprudenza bancaria (formatasi in particolare con
riferimento alle controverse "commissioni di massimo scoperto"
collegate ai contratti di conto corrente) si è mostrata propensa, proprio ai
fini del computo del tasso soglia, alla valutazione di ogni forma di
remunerazione delle prestazioni di denaro10 e non si vede come analoghe
valutazioni non debbano riguardare (forse, a maggior ragione) gli up front
erogati all'atto della rimodulazione di un IRS.
2. Legittimità degli swap in riferimento alla normativa speciale relativa agli
Enti territoriali
Affrontato il tema della natura di IRS ed up front, seguendo l'ordine delle
allegazioni del Comune, il Tribunale si concentra sulla questione
dell'illegittimità dei contratti impugnati in riferimento alle statuizioni
della normativa speciale dedicata all'operatività degli Enti territoriali.
Considerata l'epoca di stipulazione degli swap, la sentenza richiama le
disposizioni (di principio) dell'art. Legge n° 448/2001 e quelle (maggiormente
dettagliate) del Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze n°
389/2003, osservando che queste ultime possono trovare applicazione solo per il
terzo IRS sottoscritto dal Comune.
Muovendo dalle disposizioni del citato art. 41 della Legge n° 448/2001 nessun
appunto può muoversi alla sentenza, allorquando la stessa richiama la "la
possibilità generale degli enti territoriali di accedere al mercato
finanziario", che "si ricollega direttamente alla generale capacità
negoziale di cui tutti i soggetti di diritto fruiscono".
Quantomeno dubbia appare invece la successiva affermazione secondo cui
"gli swap di Cattolica non sembrano fuoriuscire da questa capacità e
rispettano i fini istituzionali dell'ente, così come li aveva individuati la
deliberazione del consiglio comunale di farli per migliorare la gestione dei
debiti dei bilanci degli anni in oggetto".
In assenza di altri elementi (e soprattutto di una perizia finanziaria disposta
d'ufficio dal Tribunale) non è in effetti dato comprendere come possa giungersi
a siffatta conclusione, non già con riferimento alla possibilità dell'Ente di
sottoscrivere swap bensì con riguardo al "rispetto dei fini istituzionali
dell'Ente" ed all'astratta idoneità dello strumento a "migliorare la
gestione dei bilanci".
Già detto dello squilibrio finanziario di norma correlato alla corresponsione
di up front e delle "commissioni implicite", vale al riguardo
richiamare anzitutto le puntuali affermazioni delle Sezioni Riunite in sede di
controllo della Corte dei Conti, le quali osservano come tra debito sottostante
e swap debba esistere un collegamento funzionale, con la conseguenza che
"la mancata funzionalizzazione del contratto all'andamento dei rischi
connessi all'indebitamento dell'ente si riflette sulla causa genetica dei
contratti di swap di tasso di interesse, facendola venire meno"11.
Non solo: affinché le operazioni di IRS e, più in generale, quelle in strumenti
finanziari derivati, possano essere considerate come assistite da funzione di
copertura (l'unica ammessa per gli swap degli Enti locali) di specifici rischi
(su tasso o su cambio) e non meramente speculative, occorre che: "a) esse
siano esplicitamente poste in essere per ridurre la rischiosità delle altre
operazioni detenute dal cliente; b) sia elevata la correlazione tra le
caratteristiche tecnico-finanziarie (scadenza, tasso d'interesse, tipologia
ecc.) dell'oggetto della copertura e dello strumento finanziario utilizzato a
tal fine; c) siano adottate procedure e misure di controllo interno idonee ad
assicurare che le condizioni di cui sopra ricorrano effettivamente"
(Comunicazione Consob n° DI/99013791 del 26/02/1999).
Orbene, la sentenza in commento omette qualsivoglia riferimento alla relazione
finanziaria tra debito sottostante e swap ed alla idoneità degli IRS a
perseguire finalità di copertura, producendosi (non è dato comprendere, lo si
ripete, su quali basi tecnico-finanziarie) nella summenzionata, apodittica
affermazione sul preteso "rispetto dei fini istituzionali dell'Ente"
da parte degli IRS oggetto di causa e sull'astratta idoneità di questi a
"migliorare la gestione dei bilanci" del Comune.
Desta altresì ulteriori perplessità la "lapidaria" esclusione
dell'applicazione delle disposizioni del Decreto del Ministero dell'Economia e
delle Finanze n° 389/2003 ai primi due IRS stipulati dal Comune di Cattolica,
sul presupposto per cui detto Regolamento non fosse in vigore all'epoca della
stipulazione dei suddetti contratti.
E' nota, infatti, la giurisprudenza della Suprema Corte in materia di
eterointegrazione del contratto da parte della normativa imperativa
sopravvenuta (cfr. Cass. civ. sez. I n° 5286/2000 e Cass. civ. sez. I n°
14899/200012) e, con specifico riguardo alla materia finanziaria, è altrettanto
degno di considerazione l'orientamento giurisprudenziale soffermatosi sul tema
della nullità sopravvenuta dei contratti di intermediazione finanziaria13.
A prescindere dalle questioni riguardanti la nullità dei negozi in relazione al
parametro della normativa sopravvenuta, è peraltro indubbio che ove nel caso di
specie alla Banca fosse stato affidato anche l'incarico di advisor, essa, in
ottemperanza ai suoi doveri di consulente avrebbe dovuto segnalare all'Ente
mandante l'eventuale difformità dei derivati rispetto alle disposizioni di
dettaglio contenute nel Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze n°
389/2003, così mettendo il Comune (quantomeno) nelle condizioni di meglio
comprendere i rischi assunti.
3. Legittimità degli swap in riferimento alla normativa finanziaria; in
particolare: la questione dell'operatore qualificato
La parte conclusiva della sentenza è dedicata alla valutazione delle censure
del Comune che paiono più direttamente appuntarsi sui contratti quadro (ossia
sui contratti normativi, la cui sottoscrizione si presume abbia preceduto la
stipulazione dei tre IRS impugnati, contenenti le clausole generali regolanti i
rapporti negoziali sorti tra Ente ed intermediario finanziario, disciplinati
invece nel dettaglio dalle singole confirmations).
Il Tribunale ritiene anzitutto di dover "sgombrare il campo"
dall'eccezione di nullità, avanzata dall'Ente, relativa alla clausola dei
contratti "accusata di richiamare gli usi per la determinazione dei costi
di sostituzione contro il divieto dell'art. 23 D.Lgs. 58". L'eccezione in
questione, secondo il Giudice bolognese, sarebbe infondata per (così pare di
capire) la "marginalità" della clausola, visto e considerato che
"anche ad ammettere il richiamo agli usi" non potrebbe ritenersi per
ciò stesso viziato l'intero contratto, bensì appunto la sola clausola
asseritamente nulla (e perciò sostituibile di diritto con il disposto dell'art.
23 comma II TUF, laddove questo prescrive che "in tali casi nulla è
dovuto").
Pur convenendo sull'inidoneità di una clausola di rinvio agli usi a viziare
l'intero contratto, non può invece condividersi il giudizio sulla pretesa
"marginalità" di simile clausola.
Infatti, se la clausola richiamata dalla pronuncia facesse realmente
riferimento ad usi o prassi di mercato per la determinazione del "costo di
sostituzione" (ossia, si presume, quantomeno di quella parte del mark to
market coincidente con l'hedging cost affrontato dalla banca ), tali oneri, in
ipotesi accollabili all'Ente, potrebbero addirittura azzerarsi (in tali casi,
dice appunto l'art. 23 comma II TUF, "nulla è dovuto"). Sul punto si
precisa tuttavia che le nostre considerazioni sono riferite a quanto è dato
evincere dalla sentenza, potendo evidentemente emettersi un giudizio più
fondato sulla fattispecie soltanto all'esito dell'esame della clausola
contrattuale del contratto quadro IRS di cui la sentenza si è occupata.
Le ultime valutazioni della sentenza sono dedicate alla vexata quaestio
dell'operatore qualificato (cfr. art. 31 Reg. Consob n° 11522/1998, norma senza
dubbio vigente all'epoca della stipulazione dei contratti impugnati ed
evidentemente richiamata dalla clausola del contratto quadro censurata dal
Comune), su cui la giurisprudenza finanziaria si è spesso misurata.
Come noto, è in argomento di recente intervenuta una pronuncia della Suprema
Corte (Cass. civ. sez. I n° 12138/200914) nella quale è statuito che "nel
caso di asserita discordanza tra il contenuto della dichiarazione e la
situazione reale da tale dichiarazione rappresentata, graverà su chi detta
circostanza intenda dedurre, al fine di escludere la sussistenza in concreto
della propria competenza ed esperienza in valori mobiliari, l'onere di provare
circostanze specifiche dalle quali desumere la mancanza di detti requisiti e la
conoscenza dell'intermediario mobiliare delle circostanze medesime, o almeno la
loro agevole conoscibilità in base ad elementi obiettivi di riscontro, già
nella disponibilità dell'intermediario stesso o a lui risultanti dalla
documentazione prodotta dal cliente".
Anche se non è dato sapere se e come il Comune di Cattolica si sia offerto di
dimostrare le "circostanze specifiche" dalle quali desumere la
mancanza di competenza ed esperienza cui allude la pronuncia del Supremo
Collegio, si rileva la censurabile assenza nella sentenza di ogni
considerazione in merito all'esperienza finanziaria dell'Ente (e se il Comune
di Cattolica non avesse sottoscritto operazioni in derivati precedenti a quelle
contestate?).
Stupisce inoltre la sicurezza con la quale la sentenza in commento rileva la
riferibilità all'Ente di "molte competenze finanziarie", addirittura
"arcinote a tutti", assumendo come parametro della pretesa competenza
"i complessi apparati ragionieristici e i bilanci complessi che i Comuni
anche piccoli hanno e il potere di attuare operazioni finanziarie
complesse".
Al riguardo pare a chi scrive che il Giudice bolognese abbia confuso la realtà
dei piccoli Comuni con quella di Enti territoriali di più rilevanti dimensioni,
essendo un dato di comune esperienza quello per cui le Ragionerie dei piccoli
Comuni non siano affatto in possesso di sofisticate competenze finanziarie e
scontino una notevole asimmetria informativa rispetto agli analisti finanziari
delle banche (non casualmente, come si è ricordato, spesso incaricate dagli
Enti anche quali advisors in vista del compimento delle complesse operazioni in
derivati).
Conclusioni. Molte più ombre che luci, nell'importante sentenza commentata
In generale si ha l'impressione che un tema estremamente complesso come quello
della finanza derivata degli Enti locali sia stato affrontato con un certa
approssimazione, sottovalutando la rilevanza (ma ancor di più la cogenza) di
principi immanenti alla normativa finanziaria, governata dagli stringenti
obblighi cooperativi posti a carico degli intermediari e dal dovere di
trasparenza, principi tanto più invocabili in una materia caratterizzata, ad
essere benevoli, da una dose eccessiva di opacità.
Proprio in tema di trasparenza, e più in generale di corretto approccio alle
problematiche originate dall'uso "deviante" di prodotti finanziari ad
alto
tasso di sofisticazione, ci pare pertinente citare un estratto da un recente
articolo a firma di Marco Onado apparso su "Il Sole 24 Ore", dedicato
alle vicende del debito pubblico della Grecia (correlato, guarda caso, al
ricorso disinvolto alla finanza creativa), nel quale è contenuto un monito
rivolto anzitutto a Legislatori e Governi, ma che a nostro avviso ben può
essere esteso a chi è chiamato ad interpretare Leggi e Regolamenti: "è
l'eccesso di formalismo regolamentare che consente di occultare uno scambio che
in realtà è un debito, oppure di far passare per capitale ciò che in realtà è
un debito. Ed è proprio quel formalismo regolamentare che offre a chi cerca qualche
forma d'elusione un facile alibi per dire di avere agito nel pieno rispetto
della normativa esistente. [...] La sostanza non è difficile da definire perché
alla fine, come avrebbe detto Gertrude Stein, un debito è un debito e anche un
bambino sa riconoscerlo"15.
1) Cfr. Consob, in "I principali prodotti derivati - Elementi informativi
di base", reperibile in www.consob.it
2) Cfr. Audizione del Direttore generale della Consob Dott. Massimo Tezzon
avanti alla VI Commissione "Finanze" della Camera dei Deputati
"Problematiche relative al collocamento di strumenti finanziari
derivati" del 30/10/2007, pag. 2.
3) In www.ilcaso.it
4) Così, magistralmente, Daniele Maffeis: "si deve considerare che la
banca, nel rapporto con il cliente non 'vende', bensì 'agisce nell'interesse',
in forza di un contratto di investimento - es. negoziazione, gestione - che è
sempre riconducibile al genere dei contratti di cooperazione (e di
sostituzione). [...J Non siamo dunque mai in presenza di una causa vendendi,
bensì siamo in presenza di una causa mandati, sia quando la banca gestisce il
portafogli del cliente (art. 24 TUF), sia quando la banca agisce nell'ambito di
una negoziazione dietro specifico ordine del cliente (art. 25 TUF). [...J. Il
fatto stesso che le situazioni di conflitto di interessi tra i contraenti
costituiscano una patologia è il segno che siamo in presenza di un rapporto di
cooperazione, visto che, tutto al contrario, del contratto di scambio (bargain)
il conflitto di interessi è il presupposto stesso" (MAFFEIS D. "Forme
informative, cura dell'interesse ed organizzazione dell'attività nella
prestazione dei servizi di investimento", in Rivista di diritto privato n°
3/2005, pagg. 587- 588).
5) Così Decreto Corte d'App. Milano, Sez. I civ., 29/10-13/11/2008 (in www.ilcaso.it):
"per quanto riguarda le condizioni economiche applicate alle operazioni in
derivati strutturate da XXX, difettavano criteri direttivi per delimitare la
discrezionalità degli operatori [...J nella fissazione degli spread applicati
alle singole transazioni. Il che ha impedito all'organo di controllo di
ricostruire le condizioni economiche effettivamente applicate alla clientela,
laddove invece opponente, rivendicando la libertà delle scelte di politica
commerciale, ha dimenticato che è sindacabile l'adeguatezza dei profili
organizzativi (procedure interne) volti ad assicurare la prestazione del
servizio secondo canoni di diligenza, correttezza e trasparenza, i quali
avrebbero comportato la limitazione dei margini, di discrezionalità dei singoli
operatori e la possibilità di fornire a posteriori indicazioni analitiche sui
criteri di determinazione dei ricarichi, indicazioni che XXX ha invece fornito
a Consob solo in termini sintetici ed evasivi [...J. Tali addebiti sono tanto
più gravi se si considera che l'elevato livello di sofisticazione e complessità
dei prodotti derivati OTC e la possibilità, concretamente verificatasi, che il
loro utilizzo assumesse finalità speculative estranee alle finalità di
copertura di rischi della clientela, obbligava l'intermediario a corredare la
propria attività con tecniche procedurali particolarmente stringenti onde
evitare ogni potenziale profilo di opacità. E il fatto che quei rischi (forieri
di perdite multiple rispetto al capitale investito) si siano concretamente
riversati sulla quasi totalità dei clienti, esposti a onerose e plurime
rinegoziazioni nelle quali gli operatori di YYY decidevano in piena autonomia
gli ulteriori ricarichi destinati ad essere ripartiti con XXX (generando una
molteplicità di reclami), lungi dal costituire la base dell'accertamento,
costituisce semplicemente il riscontro indiziario ex post di un difetto
genetico di strutturazione del prodotto finanziario, la cui distribuzione
tramite YYY non era assistita da alcun meccanismo di controllo".
6) In Foro it., Rep. 2006, voce "Società", n° 689.
7) Come del resto lo è la giurisprudenza contabile (cfr. Corte dei Conti -
Sezioni Riunite in sede di controllo "Indagine conoscitiva sull'utilizzo e
la diffusione degli strumenti di finanza derivata e delle cartolarizzazione
nelle pubbliche amministrazioni", Audizione alla VI Commissione del Senato
della Repubblica, Roma 18/02/2009, pag. 42): ne dà atto, ma discostandosene, la
stessa sentenza in commento.
8) In www.ilcaso.it
9) In questo senso anche una recente ricerca del DMSESF (Dipartimento di
matematica per il diritto, l'economia e le scienze finanziarie) del Centro
Studi Almaiura di Verona (cfr. "Negli swap spunta l'ipotesi usura" in
PLUS de "Il Sole 24 ore" del 20/02/2010, pag. 15).
10) Su tutte, in termini preclari, Trib. Verona 21/09/2007, in Corriere del
Merito, 2008, 3, 351, con nota di AGNINO; in argomento, si vedano altresì anche
Corte d'App. Roma, Sez. II, 27/11/2008 Tu.Ca. e altri C. In.Ge.Cr. S.p.A. e
Trib. Mondovì 30/01/2007 in www.ilcaso.it
11) Cfr. Corte dei Conti - Sezioni Riunite in sede di controllo "Indagine
conoscitiva sull'utilizzo e la diffusione degli strumenti di finanza derivata e
delle cartolarizzazione nelle pubbliche amministrazioni", cit., pag. 8.
12) Rispettivamente in D&G - Dir. e giust. 2000, 17, con nota di ROSSETTI
ed in D&G - Dir. e giust. 2000, 45, con nota di PEPE. Le richiamate
pronunce della Cassazione affrontano la questione dei mutui stipulati a tassi
(divenuti) usurari, statuendo che "se è [...] vero che il giudizio di
validità deve essere condotto alla stregua della normativa in vigore al momento
della conclusione del contratto, è anche vero che nel concorso tra
autoregolamentazione pattizia e norme imperative non si può subordinare
l'applicabilità dell'art. 1419 comma 2 c.c., all'anteriorità della legge
rispetto al contratto" (Cass. civ. sez. I n° 14899/2000); nel
condivisibile ragionamento della Suprema Corte, l'inserimento di norme
imperative sopravvenute nel regolamento pattizio incontra l'unico limite
dell'avvenuto compimento delle prestazioni dedotte in contratto; per converso,
"in pendenza di un rapporto non ancora esaurito" (come pare essere
nel caso dei primi due contratti derivati del Comune di Cattolica), la validità
del contratto va verificata dall'interprete con riguardo (anche) al parametro
della norma imperativa sopravvenuta.
13) Così, fra le altre, Trib. Parma n° 554/2008 (in www.ilcaso.it):
"se il contratto ha efficacia immediata, risultando la sua efficacia obbligatoria
immediatamente vincolante per le parti, i suoi effetti si dipanano nel tempo,
sicché occorre rimeditare rispetto ad ogni singolo ordine di acquisto la
sussistenza o meno delle condizioni legittimanti l'operazione di
investimento". Tale principio di diritto, traslato sulla fattispecie che
ci occupa, imporrebbe la "rimeditazione" della struttura degli IRS
alla luce delle condizioni di legittimità della stipulazione di operazioni in
derivati via via enucleate dalla normativa.
14) In www.ilcaso.it
15) ONADO M. "Swap? No, si chiama debito", in Il Sole 24 Ore del
20/02/2010, pag. 17.
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