Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 30/04/2010 Scarica PDF
Note sui Derivati Creditizi: market failure o regulation failure?
Eugenio Barcellona, Professore Associato di Diritto CommercialeSOMMARIO: 1. Introduzione: vecchio e nuovo nel concetto di "derivato"; l'azione sociale come "prototipo" di derivato cartolarizzato. - 2. In particolare: i derivati creditizi; inquadramento della fattispecie. - 3. Derivato creditizio vs. polizza di assicurazione; derivato creditizio vs. fideiussione. - 4. Regime normativo dei derivati creditizi e sua logica: dalla valutazione soggettiva (bank-oriented) alla valutazione sistemica (marketoriented) del rischio di credito. - 5. Valutazione market-oriented del rischio di credito e sua (dichiarata) ratio: il "dogma" dell'efficienza del mercato dei capitali e dell'allocazione ottimale del rischio di credito. - 6. Derivati creditizi e cartolarizzazioni: due aspetti di uno stesso fenomeno. - 7. Sul «dogma» dei mercati finanziari efficienti: fra realtà e finzione. - 8. Derivati creditizi: (apparente) «mercato» del rischio di credito e (sostanziale) immunità da un vero «regime di mercato»; le norme-chiave istitutrici di un «sistema di immunità». - 9. Origine e contenuto precettivo delle tre norme-chiave in materia di derivati creditizi. - 10. L'esenzione "normativa" dalle norme che presidiano l'efficienza del mercato: la licenza normativa di "dumping" di derivati creditizi. - 11. Ancora sulla "esenzione normativa" dalle "norme" che presidiano la funzionalità dei mercati: licenza di "maquillage" contabile per gli acquirenti di CDS. - 12. Gli effetti perversi del dumping dei derivati creditizi: espansione irrazionale del credito e separazione fra finanza e realtà. - 13. Riforma del sistema finanziario e derivati creditizi: il dibattito in corso negli U.S.A. - 14. La scelta politico-legislativa di "esenzione" dal diritto e la sua logica storico-sociale.
1. Introduzione: vecchio e nuovo nel concetto di "derivato"; l'azione
sociale come "prototipo" di derivato cartolarizzato
Sebbene il nome di "contratto derivato" possa evocare l'idea di un
fenomeno del tutto nuovo - una "invenzione" della più sofisticata
finanza contemporanea -, in realtà la sostanza che vi sta dietro è almeno tanto
vecchia quanto il capitalismo: senza téma di esagerazione, può dirsi che il
capitalismo nasca con i derivati o, se si vuole, che i derivati nascano con il
capitalismo.
Il contratto derivato è, infatti, quel contratto che assume a suo oggetto il
trasferimento da un soggetto A ad un soggetto B di un «rischio» inerente ad una
«attività sottostante». Nel derivato - e qui sta la sua essenza - il
"rischio" non è un mero accessorio del contratto (ogni contratto
comporta rischi), bensì proprio il suo oggetto principale. Possiamo insomma
definire il derivato come quel contratto con il quale si dà un prezzo al
rischio.
Ora - e veniamo a spiegare l'affermazione fatta in esordio - il prototipo dei
più sofisticati derivati dei nostri giorni è, a ben guardare, nient'altro che
quel contratto che dà avvio alla modernità capitalistica: il contratto con cui
ci si scambia "capitale" ovvero, più precisamente, con cui ci si
scambia la frazione di un patrimonio imprenditoriale incorporata in un titolo
(1). L'antenato glorioso dei moderni derivati è, insomma, l'azione di società.
Lo scambio azionario è il contratto con il quale i due soggetti, compratore e
venditore, si scambiano, rispettivamente un flusso monetario certo (il prezzo)
contro un flusso monetario incerto (le aspettative di utili); il che val quanto
dire che l'azione di società è un "derivato" dell'azienda sociale
sottostante e che la compravendita azionaria altro non è se non il contratto
con il quale si forma un prezzo a quel particolare rischio che è il rischio di
impresa (2).
In realtà, il "senso" ultimo dello scambio che ha ad oggetto l'azione
non sta tanto nella circostanza che il prezzo del rischio dell'attività
sottostante sia data da "due parti" nel contesto di una
"negoziazione privata", quanto piuttosto che tale prezzo si formi in
un vero e proprio "mercato ad hoc": il mercato dei capitali. La
peculiarità del "derivato delle origini" (l'azione di società) sta
proprio nel suo essere non solo un "derivato", ma in particolare un
"derivato cartolarizzato" (o, come suole dirsi, securitised): la
posizione contrattuale che incorpora il rischio (cioè che incorpora il diritto
ai flussi monetari incerti rappresentati dagli utili) viene a sua volta
incorporata in un bene - il titolo azionario - che può circolare secondo i
principi dei beni mobili. Il prezzo del rischio inerente all'attività
sottostante non è, quindi, il prodotto della negoziazione privata una tantum di
due soggetti, ma viene continuamente sottoposto ad una "verifica"
razionale/razionalizzabile da parte di un "mercato oggettivato".
Qui si tocca con mano la "logica" essenziale che è comune tanto a
questo "derivato delle origini" che è l'azione sociale, quanto ai
derivati più complessi dei quali ci occuperemo fra breve (che pure, beninteso,
dal derivato-azione si differenziano sotto svariati e assai rilevanti profili):
la logica della "razionalizzazione", grazie alla quale è possibile
distinguere fra "speculazione" e "scommessa" (3).
La summa divisio fra speculazione e scommessa può invero essere descritta in
questi termini: nel primo caso, la valutazione del rischio è fondata su basi
razionali o meglio razionalizzabili; nel secondo caso, al contrario, la
valutazione del rischio si fonda su basi irrazionali, di guisa che, in realtà,
il rischio è, sì, "trasferito" da una parte all'altra, ma non è in
realtà "valutato" (=tradotto in un "prezzo razionale").
Checché se ne dica - e per quanto la parola continui a mantenere un'accezione
negativa -, qualsiasi operazione in quel particolare derivato che è l'azione
sociale, così come qualsiasi operazioni in ogni altro derivato (quelli
"creditizi" di cui ci occuperemo fra breve), è, sì,
"speculativa": essa si fonda infatti sulla "speculazione" e
cioè sulla immaginazione che lo scambio fra il flusso monetario certo (il
prezzo) versus il flusso monetario incerto (le chances di utili) sia
conveniente e possa quindi consentire all'operatore un guadagno - senza falsi
pudori - "speculativo". Tuttavia - si badi bene, giacché qui emerge
la "logica della razionalizzazione" -, in tanto l'operazione ha un
senso ed è protetta dall'ordinamento, in quanto la "speculazione" non
è affatto una scommessa legata al caso (cioè a qualcosa di non traducibile in
un calcolo verificabile sia pure ex post), ma è piuttosto legata ad una
valutazione oggettiva del rischio: lo "speculatore" deve conoscere (o
comunque è posto in condizione di conoscere) il bilancio dell'impresa sociale;
deve conoscere (o è comunque posto in condizione di conoscere) la realtà
sottostante - come è composto il patrimonio, come si produce il reddito, quale
è stato l'andamento passato etc. -; deve conoscere, insomma, un insieme di
informazioni sulla base delle quali è possibile (non «certa», ma «possibile»)
una valutazione "razionale" del rischio.
Lo "speculatore" - contrariamente a quanto si ritiene comunemente -
non è, quindi, affatto assimilabile allo "scommettitore" o al
"giocatore" di Dostoevskij (per il quale la "razionalità"
del rischio renderebbe il gioco non più degno di essere giocato).
Certo, molto spesso si sente dire che un certo soggetto specula su un'azione
"scommettendo" sul rialzo dei prezzi. Ma la differenza è essenziale:
lo speculatore (si intenda: in linea di principio) compie una scommessa su basi
"razionali" o "razionalizzabili" e, quindi,
"vince" perché ha avuto una migliore padronanza delle informazioni,
mentre lo scommettitore vero e proprio compie una scommessa niente affatto
razionale e niente affatto razionalizzabile e, quindi, vince per "pura
fortuna". E quindi: il primo (speculatore "razionale")
contribuisce alla formazione di un prezzo (del rischio), il quale proprio
perché fondato su basi razionali, contribuisce a immettere nel sistema
"ricchezza informativa"; mentre il secondo (scommettitore
"irrazionale") non fornisce proprio nessun contributo, dal momento
che il prezzo di un rischio puramente casuale "non dice" alcunché al
sistema. Ancora: il primo contribuisce a far sì che il mercato dei capitali -
che è sempre "quintessenzialmente" un mercato di "derivati"
- possa adempiere - mediante un meccanismo di prezzi efficienti - al compito
(tendenziale) della più efficiente allocazione delle risorse, mentre il secondo
è, a tal fine, del tutto inutile.
Si comprende, quindi, come l'ordinamento giuridico protegga la "speculazione
razionale" - e, quindi, i contratti derivati che siano ascrivibili a tale
categoria - mentre non protegga la "scommessa irrazionale",
stabilendo la regola della non coercibilità delle pretese fondate su calcoli
irrazionali (cioè su non-calcoli) (art. 1933 e ss. c.c.) (4).
Da queste prime considerazioni preliminari possiamo trarre un primo criterio
ermeneutico per l'inquadramento della fattispecie: i contratti derivati - e
l'azione sociale ne è il prototipo - hanno ad oggetto "princeps" la
«negoziazione di un rischio»; ed in tanto essi sono "validi" e
"meritevoli di protezione giuridica" - almeno in linea di principio
-, in quanto il rischio che viene da essi "prezzato" possa essere
almeno in astratto (non necessariamente in linea di fatto) valutato su basi
razionali.
Per questo, è parso opportuno sottolineare come dietro il nome apparentemente
"nuovo" e à la page di «derivato» si celi in realtà un problema
"vecchio": dinanzi a questa invenzione della modernità che è il
«mercato di capitali», l'esigenza fondamentale del legislatore è sempre quella
di assicurare che il mercato proceda in modo efficiente alla
"prezzatura" (pricing) del rischio ovvero, il che è lo stesso, quella
di assicurare che la "speculazione" che anima il mercato dei capitali
sia una speculazione "razionale" o "razionalizzabile" e non
una scommessa "irrazionale".
Quali siano questi meccanismi vedremo oltre nel corso di questa breve
riflessione sui derivati creditizi e sul ruolo da loro giocato nella recente
crisi finanziaria globale.
2. In particolare: i derivati creditizi; inquadramento della fattispecie
Una volta ricondotto il fenomeno nuovo "derivati" al
"vecchio" problema della distinzione fra negoziazione razionale del
rischio (protetta dall'ordinamento) versus negoziazione irrazionale (non
protetta), possiamo ora volgere lo sguardo a quella particolare forma di
derivati - i cd. "derivati creditizi" - cui va attribuito un grande
"merito" ed un grande "demerito": il merito di aver
determinato una delle più importanti modifiche strutturali dei sistemi
finanziari mondiali ed il demerito di aver anche contribuito significativamente
a condurli a un collasso che per molti profili assomiglia, pur senz'altro
distinguendosene, a quello del 1929 (5).
Chiunque abbia seguito, se non su riviste specializzate, quanto meno nella
stampa quotidiana, le analisi della grande crisi dei nostri giorni avrà sentito
ricorrere espressioni quali (i) "separazione fra «finanza» e
«realtà»" o "eccesso di finanziarizzazione", (ii)
"espansione irrazionale del credito o "economia fondata sul
debito", (iii) deregulation selvaggia ovvero fallimento delle regole
(regulation failure) prima ancora che fallimento del mercato (market failure).
Occuparsi del fenomeno dei derivati creditizi, anche con l'ausilio del criterio
ermeneutico enucleato all'inizio, dovrebbe servire a dare a queste espressioni
- veri e propri Leitmotive dei commentatori della crisi dei nostri giorni - un
significato meno evanescente ed astratto, ma più concreto e scientifico.
Cos'è dunque un "derivato creditizio"? (6)
Se quella di dare un prezzo al rischio è la funzione di qualsivoglia derivato,
nel caso del derivato creditizio il rischio oggetto di negoziazione è, in
particolare, il rischio di credito: il rischio che un soggetto che abbia
ricevuto un finanziamento non sia più in grado di sostenere il debito, vuoi
perché non è in grado di adempiere puntualmente alle obbligazioni (credit event
=illiquidità), vuoi perché non è in grado di restituire il capitale (credit
event=fallimento o default).
Le due parti del contratto derivato sono, quindi, da una parte il protection
seller e dall'altra parte il protection buyer. Il primo è colui che si assume
il rischio di un "sinistro" legato al credito sottostante (cd.
reference obligation) (7), il secondo è, invece, colui che si
"assicura" rispetto a quel rischio.
Sulla base di una prognosi - e cioè di una valutazione (razionale) del rischio
di credito -, il protection seller concorda con il protection buyer lo scambio
("swap") fra il pagamento dal secondo al primo di un flusso monetario
certo (il "prezzo" del derivato) contro il pagamento dal primo al
secondo di un flusso monetario incerto (l'indennizzo corrispondente al quantum
di danno corrispondente al ritardo del pagamento del credito ovvero al
definitivo mancato pagamento).
La forma più nota di derivato creditizio è quella ove il rischio di credito
oggetto di contratto è, per l'appunto, il rischio "massimo" di
fallimento del debitore (cd. reference entity) (8): da qui il nome (ormai quasi
entrato nel gergo quotidiano) di credit default swap o CDS (9).
La differenza fra derivato creditizio e cessione di credito è ovvia: oggetto
del derivato creditizio non è mai il credito sottostante (che resta
"immobile" in capo al suo titolare), bensì solo e soltanto il rischio
ad esso connesso.
Certo, non sarebbe del tutto scorretto affermare che il derivato creditizio
costituisce una "cessione virtuale del credito": esso infatti
consente, sì, il trasferimento del rischio di credito senza però realizzare al
contempo il trasferimento del credito (10). Ma fra una vendita
"virtuale" e una "vendita reale" c'è una notevole
differenza. Come si cercherà di spiegare nel seguito.
3. Derivato creditizio vs. polizza di assicurazione; derivato creditizio vs.
fideiussione
Per comprendere meglio il significato funzionale dei derivati creditizi può ora
essere utile compararli a due contratti tipici previsti dal nostro codice
civile ai quali - almeno prima facie - essi paiono assimilabili: il contratto
di assicurazione e il contratto di fideiussione.
La "vicinanza" fra derivati creditizi e contratti di assicurazione è
piuttosto evidente(11): così come il titolare di un bene fisico (ad es., una
vettura) - che voglia mantenere il possesso del bene, ma voglia al contempo
proteggersi dal rischio del suo perimento -stipula una polizza di
assicurazione, analogamente il titolare del bene-credito - che sia interessato
a mantenere il credito (ad es. perché preferisce mantenere la relazione diretta
con il soggetto finanziato), ma intenda anche proteggersi dal rischio
sottostante - stipula un credit default swap. Il corrispettivo (il flusso
monetario certo) che il venditore di protezione pattuisce con la controparte
per il rischio assunto (flusso monetario incerto) risulta assai simile al "premio
assicurativo" che le compagnie di assicurazioni pattuiscono con gli
assicurati.
Se la logica "assicurativa" lo rende prossimo al contratto di
assicurazione, la circostanza che il rischio assicurato sia per l'appunto il
rischio di credito, lo rende, invece, prossimo al contratto di fideiussione:
così come il creditore che ottenga una fideiussione, mantiene il credito, ma si
protegge dal rischio dell'inadempimento del debitore, analogamente il
protection buyer di un derivato creditizio ottiene una garanzia dal protection
seller (12).
Alle similitudini strutturali con il contratto di fideiussione si
contrappongono però quanto meno tre fondamentali differenze di disciplina
(ciascuna interconnessa alle altre):
(i) la fideiussione può essere prestata solo a favore del titolare del credito:
una fideiussione prestata a favore di un soggetto che non abbia alcuna
relazione con credito garantito sarebbe certamente nulla per mancanza di causa
(13);
(ii) sebbene sia ben possibile che uno stesso credito sia garantito anche da
più fideiussori solidali, il creditore può essere indennizzato, magari per
intero, ma non più di una volta: se A ha un credito di 100 nei confronti di B,
potrà anche ottenere tre fideiussioni indipendenti da tre banche X, Y e Z, ma
non può certo ottenere 300 se il credito garantito valeva 100 (14);
(iii) il rapporto contrattuale di fideiussione è un rapporto personale non
destinato alla circolazione (se non nella forma della cessione dei contratti
con l'ovvia conseguenza della necessità del consenso del contraente
ceduto)(15).
Nessuna di queste regole vale per i derivati creditizi.
(i) il derivato può essere venduto anche ad un soggetto diverso dal creditore
(ovvero: ad un protection buyer che non sia anche, eodem tempore, il titolare
del credito garantito);
(ii) il derivato può essere venduto più volte anche a fronte di una stessa
obbligazione (ovvero: con l'emissione di una molteplicità, potenzialmente
infinita, di derivati creditizi a fronte di una stessa obbligazione
sottostante);
(iii) la garanzia concessa dal protection seller è suscettibile di essere
incorporata - anche se non necessariamente deve esserlo(16) - in un titolo di
credito (security) o, comunque, in un contratto che può circolare esattamente
come l'azione di società, secondo le regole proprie non della cessione dei
contratti, bensì in quelle proprie della cessione di beni mobili (17).
L'operazione sottostante ad un derivato creditizio può, quindi, essere
descritta in termini di "mercificazione" del rischio di credito
(credit risk securitization o commodization): se col titolo di credito, è il
credito a divenire una "merce" scambiabile come un qualsiasi bene
mobile, col derivato creditizio a divenire merce è un elemento ancora più
"immateriale", il rischio di credito.
4. Regime normativo dei derivati creditizi e sua logica: dalla valutazione
soggettiva (bank-oriented) alla valutazione sistemica (market-oriented) del
rischio di credito
Queste "deroghe"del regime proprio dei derivati creditizi rispetto a
quelle del contratto di fideiussione possono apparire, sulle prime, assai
bizzarre: perché mai un soggetto che non è creditore intende acquistare
protezione da un rischio che non ha? Perché mai un soggetto che vende
protezione, assume l'obbligo di corrispondere un indennizzo anche multiplo pur
quando l'obbligazione sottostante "inadempiuta" sia una sola? (18).
Per rendersi conto di queste "bizzarrie" può essere opportuno un
esempio. Si immagini che l'obbligazione sottostante sia il debito di 100 fra
Fiat e la banca Intesa-San Paolo. Si immagini ora che un protection seller
venda a terzi - e quindi non solo al creditore interessato alla protezione
(banca Intesa-San Paolo), ma ad una molteplicità indeterminata di terzi - il
derivato creditizio sulla predetta obbligazione. Ciascun derivato creditizio
(CDS) incorporerà quindi l'obbligo del protection seller di indennizzare
ciascuna controparte nel caso in cui il debitore sottostante (Fiat) fallisca.
Si immagini, sempre a titolo di esempio, che il protection seller stipuli 1000
derivati creditizi sull'obbligazione Fiat che vale 100: il protection seller
riceverà, quindi, da ciascuna delle mille controparti un flusso monetario certo
(il corrispettivo dell'assunzione del rischio), ma sarà tenuta a corrispondere
il flusso monetario incerto corrispondente a tanti indennizzi quanti sono i
derivati creditizi venduti. E così, qualora il credit event (fallimento o
default) si verificasse, il protection seller sarebbe tenuto a corrispondere
non semplicemente 100 (il valore della reference obligation), bensì 100 per
1000 e cioè 100.000.
In buona sostanza, il combinato disposto dei due principi - (i) scissione fra
titolarità del credito e negoziabilità della sua protezione e (ii) la
reiterabilità ad infinitum dell'operazione - fa sì che, grazie ai derivati
creditizi, si realizzi una situazione "virtuale" e niente affatto
"reale" corrispondente a quella in cui il debitore Fiat abbia
contratto un debito non di 100, bensì di 100.000.
Si comincia allora a comprendere - sia pure in termini ancora piuttosto vaghi -
come i "derivati" rendano possibile un certo distacco fra «finanza» e
«realtà».
Grazie, e soltanto grazie, alle regole che consentono ai derivati di fare ciò
che è invece precluso a polizze di assicurazioni o fideiussioni, diventa
possibile che il sistema finanziario incorpori un rischio di credito su Fiat
del tutto slegato dal credito reale ed effettivo che Fiat ha in essere con il
sistema bancario (19).
Sarebbe però un passo troppo rapido quello di concludere, fin da ora, per la
"diabolicità" dell'istituto per via di questa apparentemente
"diabolica" separazione fra «finanza» e «realtà».
Ed invero, i due principi "bizzarri" che stiamo esaminando - (i)
scindibilità fra titolarità del credito e negoziabilità della sua protezione,
(ii) moltiplicabilità ad infinitum dei derivati creditizi su una stessa
posizione sottostante - trovano la loro ragion d'essere (o, almeno, dovrebbero
trovarla) nel terzo principio che ne connota la disciplina: la destinazione al
«mercato» della protection. Il mercato cui il CDS è destinato può poi essere
tanto il «mercato dei capitali» in senso proprio: ciò che avviene allorquando
la protection sia incorporata in una security destinata a circolare come i beni
mobili (e cioè come azioni, obbligazioni, e simili); ma può anche trattarsi di
«mercato» in senso lato: ciò che avviene quando, pur non essendo la protection
"cartolarizzata" (e restando pertanto soggetta, come ogni contratto,
al regime comune di cedibilità), un mercato della protection (inteso come formazione
del prezzo grazie al gioco di domanda e offerta) si forma comunque dal momento
che una stessa identica protection può essere venduta da una molteplicità di
emittenti (recte: proponenti) a una molteplicità indeterminata dai
sottoscrittori (recte: stipulanti) (20).
Perché mai questa circostanza (la destinazione al mercato dei CDS) è così
importante? e perché mai questa circostanza rende meno "bizzarri" i
due principi anzidetti?
La risposta a questi fondamentali interrogativi può essere così formulata: se è
vero che (come detto in esordio) i mercati dei capitali sono sempre
speculativi, e se è altresì vero che ciò che distingue la speculazione
(protetta dall'ordinamento) dalla scommessa (non protetta dall'ordinamento) sta
nella base «razionale»/«razionalizzabile» della prima rispetto a quella
«irrazionale» della seconda, è allora altrettanto vero che l'immissione dei
derivati creditizi nel mercato dei capitali dovrebbe rendere possibile la
formazione di un prezzo (tendenzialmente) "razionale" sul rischio di
credito. Quand'anche poi il derivato creditizio non fosse
"cartolarizzato", ma restasse disciplinato nel contesto di un
ordinario contratto (soggetto al regime comune di cedibilità), ciò nondimeno,
come già sopra osservato, la reiterabilità della stessa operazione avente ad
oggetto la stessa identica protection da parte di un numero molteplice di
offerenti (gli "emittenti" di CDS) e di un numero molteplice di
stipulanti (i "sottoscrittori" di CDS) creerebbe comunque le
condizioni per la formazione di un "prezzo di mercato".
In altre parole, la circostanza che nel mercato siano immessi - per continuare
l'esempio - dieci, cento o mille derivati creditizi sulla stessa obbligazione
pari a 100 di Fiat verso banca Intesa-San Paolo, fa sì che il "rischio
default Fiat" venga fatto oggetto di valutazione non solo da parte di un
solo soggetto pur sempre fallibile (il creditore banca Intesa-San Paolo), ma
anche dei dieci, cento o mille "sottoscrittori" o
"negoziatori" di CDS (credit default swap) su Fiat. La
moltiplicazione "finanziaria" e potenzialmente infinita del rischio
Fiat che consegue alle regole proprie dei derivati creditizi fa sì che alla
valutazione soggettiva di un rischio di credito che resta nel "foro
interno" del creditore banca Intesa-San Paolo si sostituisca (almeno
apparentemente) la valutazione oggettiva di quello stesso rischio di credito
("finanziariamente" moltiplicato all'infinito) da parte del mercato
oggettivato (i mille acquirenti dei CDS e le migliaia, centinaia di migliaia di
investitori che faranno trading su tali strumenti finanziari sulla base di una
valutazione, in linea di principio razionale/razionalizzabile, delle
"informazioni" pubblicamente disponibili circa la reference entity
debitore-Fiat o circa la reference obligation obbligazione-Fiat).
Le regole peculiari che contraddistinguono il derivato creditizio
"moderno" rispetto alla fideiussione "classica" - (i)
scissione fra titolarità del credito e negoziabilità del rischio, (ii)
reiterabilità ad infinitum dell'operazione - stanno quindi in diretta ed
essenziale correlazione - almeno così dovrebbe essere - con la formazione di un
"mercato oggettivato" che possa valutare il rischio di credito Fiat
meglio e più efficientemente di quanto non faccia il singolo creditore (seppure
creditore "professionale" come la banca).
I derivati creditizi costituiscono quindi - almeno così ci vien detto - un
istituto giuridico che segna un passaggio in atto, e di enorme portata, da una
tecnica di valutazione del rischio di credito legata ancora alla relazione
personale debitore/creditore ad una tecnica del tutto nuova legata invece alla
efficienza sistemica (o alla presunzione di efficienza sistemica...) dei
mercati, e, in particolare, dei mercati dei capitali (21).
Sembrerebbe, quindi, ripristinato l'ordine dopo l'iniziale impressione di
bizzarria: sì, è vero, i derivati creditizi consentono alla finanza di
"staccarsi" dalla realtà creando ex nihilo «simulazioni» di posizioni
debitorie/creditorie non esistenti in rebus (cioè moltiplicate in un mirabile
gioco di specchi); ma tutto questo, lungi dall'essere bizzarro, consente (o
dovrebbe consentire) il passaggio da un sistema soggettivo e potenzialmente
fallibile ad uno oggettivo e potenzialmente infallibile di valutazione del
rischio di credito; più precisamente: il passaggio da un sistema di valutazione
del credito bank-oriented ad un sistema market-oriented.
Se, tradizionalmente, la valutazione del rischio di credito era il
"nocciolo" del mestiere del banchiere, i derivati creditizi
annunciano l'avvento di un'era in cui tale mestiere viene assunto da quel
«banchiere sistemico» che è il mercato oggettivato.
Sia ben chiaro - perché il punto non è di poco conto - l'era del
"banchiere sistemico" (valutazione del rischio di credito secondo il
nuovo principio market-oriented) non è conseguente ad una evoluzione per così
dire "naturale" o darwiniana dei sistemi economico-sociali: essa
consegue piuttosto ad una precisa scelta normativa, quella per l'appunto che
sta dietro alle regole sopra esaminate, le quali - come detto - hanno reso
possibile quella scissione giuridica "credito"/"rischio" e
quella illimitata reiterabilità di tale scissione senza la quale i derivati
creditizi non potrebbero neanche esistere. Se poi questa scelta normativa, e
quindi "politica", di rendere possibili i derivati creditizi sia
condivisibile o meno, è ancora presto a dirsi.
5. Valutazione market-oriented del rischio di credito e sua (dichiarata) ratio:
il "dogma" dell'efficienza del mercato dei capitali e
dell'allocazione ottimale del rischio di credito
Occorre ora chiedersi: qual è la differenza fra il "vecchio" sistema
di valutazione del rischio di credito bank-oriented rispetto al
"nuovo" marketoriented? E qual è la logica per la quale i
legislatori occidentali hanno ritenuto che fosse opportuno adottare regole
senza le quali questa evoluzione (certamente non "naturale", bensì
"politicamente" istituita) non sarebbe stata possibile?
L'idea (o ideologia) che presiede a questa scelta è ben nota: i mercati dei
capitali sono più efficienti delle banche tradizionali; anche con riguardo al
"compito" proprio delle banche, che è quella della valutazione del
merito creditizio, l'evoluzione tecnologica che rende possibile una diffusione
in tempo reale e su basi planetarie di una enorme mole di informazioni
finanziarie fa sì - così corre il consueto argomento - che quel mestiere sia
oggi meglio svolto non dal singolo "banchiere soggettivo" ma dal
sistema del "mercato oggettivato" (22).
Se tutto questo fosse vero - e per il momento lo diamo per scontato -, sarebbe
allora altrettanto vero che la nuova "era" del "banchiere
sistemico" apporta un "beneficio netto" per la società nel suo
insieme. In termini più tecnici, il mercato dei capitali realizzerebbe la
migliore allocazione del rischio di credito e cioè la sua allocazione presso i
soggetti in grado di sostenerlo al minor costo.
Un esempio piuttosto "stilizzato" può risultare utile per rendere più
evidente questo "argomento classico" che, fino a poco tempo fa,
andava per la maggiore.
Immaginiamo che il debitore Fiat sia valutato dalla banca Intesa-San Paolo con
un fattore di rischiosità di 10, sicché (con molte semplificazioni) a fronte di
un'obbligazione di 100, la banca chieda un pagamento di interessi che, al netto
del profitto del banchiere, misuri 10. Immaginiamo poi che il mercato sul quale
si trattano i derivati creditizi su Fiat, valuti invece il rischio di credito
in misura pari a 8. Ora, se si ipotizza che la valutazione del mercato è più
efficiente - quindi, più "corretta" -, ciò vorrebbe dire che, per
effetto del gioco concorrenziale, il sistema sociale nel suo complesso, prima o
poi, farà pagare a Fiat non il costo di 10, bensì il costo di 8. Grazie
all'input di informazioni (in ipotesi) "efficienti" proveniente dal
mercato (ove si trattano i derivati), il sistema nel suo complesso - grazie ad
una migliore allocazione del rischio di credito - consentirebbe un risparmio,
con conseguente incremento della "ricchezza sociale" (la più
efficiente allocazione del risparmio presso le imprese consentirebbe una
maggiore crescita della produzione economica globale e, quindi, un maggiore
welfare, non state-, ma market-produced).
L'esempio è, all'evidenza, molto stilizzato e semplificato, ma ai fini del
nostro discorso lo si può prender per buono.
6. Derivati creditizi e cartolarizzazioni: due aspetti di uno stesso fenomeno
I derivati creditizi costituiscono senz'altro uno dei più visibili terreni ove
si fa chiara la scelta normativa (e «politica») dei legislatori occidentali a
favore del "banchiere sistemico". Ma ve ne è un altro che, sebbene
apparentemente lontano, rappresenta nient'altro che l'altro lato di una stessa
medaglia. Si allude qui alle ormai ben note "cartolarizzazioni" (23).
Le cartolarizzazioni o securitizations - ormai divenute oggetto di cronaca
quotidiana - sono quelle operazioni mediante le quali una banca conferisce ad
una società-veicolo un monte di crediti seriali ed omogenei (ad esempio,
crediti da mutui immobiliari, i ben noti subprime, ma anche crediti di altra
natura, come ad es., crediti da operazioni di LBO, leveraged buy-out, o crediti
a piccole e medie imprese), per poi immettere nel mercato quote di comproprietà
di questo monte creditizio incorporate in appositi strumenti finanziari. Le
cartolarizzazioni sono, pertanto, delle cessioni di crediti - dal settore
bancario al settore dei capital markets - mediate attraverso la costituzione di
un veicolo societario cui i crediti sono previamente trasferiti in massa.
Ora, ad una prima impressione, fra cartolarizzazione e derivato creditizio
parrebbe esservi una radicale differenza.
Il tratto precipuo del derivato creditizio sta nell'essere radicalmente
separato, sotto il profilo giuridico, dal credito sottostante: ciò che vien
trasferito è il rischio di credito, ma non il credito; al contrario, nella
cartolarizzazione, la banca cede non semplicemente il rischio di credito, ma
rischio e, al tempo stesso, credito.
In realtà, i due istituti, pur certamente distinti, corrispondono entrambi ad
una logica unitaria: che è quella di spostare dal settore bancario al settore
del mercato (dei capitali) il compito di valutazione del merito creditizio; e
ciò sul (dichiarato) presupposto che tale compito sia svolto più
efficientemente dal secondo che non dal primo (non a caso, l'uno e l'altro
fenomeno sono unitariamente descritti nella letteratura economica con lo stesso
acronimo di CRT - credit risk transfer -) (24).
Derivati creditizi e cartolarizzazioni costituiscono, insomma, i due principali
indizi, sul piano dei sistemi normativi globali, dell'ascesa di questo nuovo
«banchiere sistemico» che è il mercato dei capitali: al compito tradizionale di
"prezzare" il «rischio di impresa» (con il "derivato delle
origini", l'azione sociale), ad esso si attribuisce anche il nuovo compito
di "prezzare" il «rischio di credito» (con i moderni derivati
creditizi o con le moderne cartolarizzazioni). Grazie al nuovo «banchiere
sistemico» anche il rischio di credito dovrebbe ora trovare la sua migliore
allocazione nel sistema sociale.
7. Sul «dogma» dei mercati finanziari efficienti: fra realtà e finzione
Se questa riflessione fosse stata compiuta qualche anno fa, forse sarebbe anche
potuta finire con queste fiduciose parole circa i prodigi del mercato e circa i
prodigi del "banchiere sistemico".
Se però ci si sporge dalla finestra, piuttosto che "arricchimento
netto", si vedono piuttosto le macerie della crisi finanziaria ed
economica globale in atto. Ed allora quelle parole che condensano l'ideologia
del "mercato", non possono essere poste al termine, ma piuttosto
all'inizio della riflessione.
Al giurista, come a qualsiasi scienziato sociale, si impone allora la domanda:
è un fallimento del mercato? o è un fallimento delle regole? o una combinazione
dei due?
Il "dogma" dell'efficienza del mercato dei capitali non può più
essere considerato come tale: esso va posto in discussione.
Ed allora, ai sostenitori dell'efficienza del mercato dei capitali occorrerà
ricordare che il mercato dei capitali da sempre - e cioè da quando esiste nella
sua forma più "semplice" ove l'oggetto degli scambi era il
"derivato" delle origini, l'azione di società - non solo non funziona
mai spontaneamente, ma non può mai funzionare spontaneamente (25).
È vero, infatti, che la "speculazione" del mercato dei capitali è una
speculazione, di per sé, potenzialmente "sana" in quanto razionale
(=fondata su una valutazione razionale delle informazioni relative
all'emittente); ma è anche vero che tale "speculazione razionale" non
può certo essere compiuta dal quisque de populo e cioè da quel risparmiatore
anonimo che costituisce il protagonista ultimo del mercato dei capitali.
Se il quisque de populo (e non forse non solo lui) non è certo in grado di
comprendere le formule astruse di un derivato creditizio, il quisque de populo
non è neanche in grado di comprendere neanche il "semplice" bilancio
di un emittente di una "semplice" obbligazione a reddito fisso.
Quale che sia lo strumento finanziario - la security - immessa nel mercato dei
capitali, il quisque de populo (il risparmiatore) si trova sempre,
strutturalmente, in una condizione di inferiorità.
Ed è per questo che la relazione emittente/risparmiatore è una relazione che,
se lasciata a sé stessa, innalza talmente il rischio di frode - per
l'insuperabile asimmetria informativa fra il primo (emittente) e il secondo
(risparmiatore) - da esporre continuamente il mercato ad uno strutturale
"rischio sistemico": il free rider (il cattivo emittente, colui che
immette nel mercato titoli "cattivi" o tossici, come si dice oggi)
danneggia anche il buon emittente, condannando all'impasse l'intero mercato dei
capitali. Il crollo reputazionale dell'intero mercato blocca, radicitus,
un'istituzione che, senza fiducia, non può stare in piedi.
Il rimedio normativo tradizionale a questa impasse del mercato dei capitali è -
in via di estrema sintesi - quella di istituire un complesso apparato di norme
che, attraverso l'imposizione di obblighi di informazione (mandatory
disclosure), immette nel sistema un complesso reticolo di responsabilità - in
capo a: intermediari collocatori, banche sponsor, revisori dei conti, autorità
di vigilanza, società di gestione dei mercati regolamentati - dai quali
dipende, in ultima istanza, la affidabilità (almeno tendenziale) del meccanismo
di formazione dei prezzi. L'istituzione ex lege di una serie di controllori
responsabili (la cd. "burocrazia della fiducia") consente di
ripristinare (sia pure in modo imperfetto e solo tendenziale) un certo
equilibrio fra emittente e investitore e, quindi, un certo equilibrio
(informativo) nel mercato (i capital markets) ove si formano i prezzi delle
attività finanziarie.
E così, ad esempio, il prezzo della azione Fiat trattata in uno dei mercati
regolamentati - in questo caso, il mercato gestito da Borsa Italiana - diventa
(tendenzialmente) "razionale", giacché esso si forma nel quadro di
una serie di negoziazioni continue soggette a norme di trasparenza e,
soprattutto, nel quadro di un controllo continuo di informazioni da parte delle
diverse categorie di soggetti cui grava, ex lege, una precisa responsabilità (i
cd. "burocrati" della fiducia).
Non è poi detto che questa "rete di protezione" legislativa fondata
sulla trasparenza e sugli obblighi di informazione sia sufficiente ad
assicurare la "attendibilità" dei prezzi (l'efficienza del mercato
dei capitali); ma è certamente detto - perché la storia e la scienza lo
insegnano - che, senza questa "rete di protezione", il sistema va in
tilt. Altrimenti detto: quella rete non sarà forse sufficiente, ma certamente è
assolutamente necessaria (26).
8. Derivati creditizi: (apparente) «mercato» del rischio di credito e
(sostanziale) immunità da un vero «regime di mercato»; le norme-chiave
istitutrici di un «sistema di immunità»
Ci si chieda ora: sono stati forse i derivati creditizi assoggettati a questa
"rete di protezione"? è stato il "mercato" dei derivati
creditizi un "vero" mercato?
Questo è il punctum dolens, giacché la risposta al quesito è clamorosamente
negativa: non solo derivati creditizi non sono stati affatto assoggettati al
regime normativo proprio del mercato dei capitali (obblighi di informazione,
ammissione a mercati regolamentati, istituzione di precise responsabilità in
capo all'insieme dei "controllori" che presidiano la fiducia, et
cetera); ma al contrario, in forza di precise scelte legislative
("politicamente" ben consapevoli), essi sono stati piuttosto
"gratificati" di una generosissima «esenzione» da quel regime. Come
si cercherà di illustrare, quella della efficienza dei mercati è stata, nel caso
dei derivati creditizi, nient'altro che una retorica ideologica per consentire
al sistema bancario, proprio all'opposto, di potersi ricavare una zona franca
ove operare del tutto al di fuori dei vincoli sistematici normalmente
applicabili.
Certo, se si passano in rassegna le norme di legge - le varie leggi europee o
statunitensi in materia bancaria e finanziaria -, non si rinviene, ad una prima
lettura, questa norma di «privilegio», questa esenzione di derivati creditizi
dal regime normativo posto a presidio del mercato (ovvero posto a presidio di
una formazione "razionale"/"razionalizzabile" dei prezzi).
Ma il ruolo del giurista - ci sembra - sta proprio nello scovare tali norme non
così immediatamente evidenti, e di portarne alla luce una logica che, a ben
guardare, risulta opposta a quella dichiarata. Poiché poi il mercato
finanziario dei giorni nostri è un mercato altamente interconnesso (o
"globale", come suol dirsi), una adeguata ricognizione del regime
giuridico dei derivati creditizi non può rivolgersi esclusivamente
all'ordinamento domestico e neppure soltanto a quello europeo, ma deve
necessariamente tener conto anche dell'ordinamento che, in fatto di finanza, lo
si può ben dire in senso non tanto metaforico, "detta legge": e cioè
gli Stati Uniti d'America.
Ebbene, la grave responsabilità di aver istituito, per i derivati creditizi, un
«regime di immunità» a danno del mercato e non a favore del mercato appare
imputabile essenzialmente a tre norme-chiave, ciascuna intimamente
interconnessa con l'altra e tutte sintetizzabili sotto l'etichetta della
"deregulation".
(i) La prima norma-chiave concerne la «disciplina della attività».
Tanto il sistema giuridico statunitense, quanto (seppure in termini non
coincidenti), il sistema giuridico europeo hanno consentito che il business dei
derivati creditizi potesse essere svolto in un regime di "pura"
libertà di impresa e cioè senza alcuna istituzione di una «riserva legale» a
favore di imprese soggette a pubblica licenza e a sorveglianza regolamentare
(quali sono, ad esempio, banche ed assicurazioni). In altri termini, nei paesi
occidentali maggiormente avanzati, quello della "emissione" di CDS è
a tutt'oggi un mestiere che de iure condito qualsiasi impresa, anche non
bancaria ed anche non assicurativa, può legittimamente svolgere senza alcun
controllo pubblicistico (quasi che l'attività di impresa consistente nella
stipula di derivati creditizi potesse essere equiparata a quella consistente
nella vendita di un qualsiasi bene di consumo).
(ii) La seconda regola-chiave afferisce alla generale disciplina contabile
applicabile ai derivati creditizi. Tanto i principi contabili statunitensi,
quanto quelli internazionali adottati in Europa consentono all'impresa che
stipula un derivato - ivi incluso il derivato creditizio - di rappresentarne in
bilancio il "fair value" desumendolo, in assenza di un mercato di
riferimento, da modelli matematici predisposti dalla stessa impresa.
(iii) La terza regola-chiave - davvero fondamentale perché è con essa che si
chiude il cerchio - afferisce alla disciplina del bilancio bancario. I sistemi
giuridici globali consentono alle banche di poter mitigare il rischio di
credito, allorquando esse dispongano - nelle vesti di acquirenti di protezione
- di un CDS emesso da un soggetto che disponga di un rating favorevole emesso
da una agenzia riconosciuta dalle autorità di vigilanza bancaria (e cioè una
delle tre Standard&Poor's, Fitch e Moody's).
Queste tre regole-chiave - forse un po' esotiche e difficili a comprendersi a
prima vista - sono responsabili di incredibili effetti perversi che sarà
opportuno rappresentare analiticamente, passo dopo passo. Prima, però, può
essere utile rammentare quale ne sia stata la rispettiva origine negli
ordinamenti giuridici occidentali e quale ne sia il preciso contenuto precettivo.
9. Origine e contenuto precettivo delle tre norme-chiave in materia di derivati
creditizi
Quanto alla prima regola-chiave - esenzione del business dei derivati creditizi
da una «riserva di attività» analoga a quella prevista per banche e
assicurazioni -, mentre nell'Unione Europea essa parrebbe frutto più di scarsa
attenzione che di scelta consapevole, negli Stati Uniti, al contrario, essa è
stata oggetto di un preciso ed oculato intervento normativo. Nel dicembre 2000,
pochi giorni dopo la risoluzione da parte della Corte Suprema, in senso
favorevole al candidato repubblicano, della nota contesa elettorale fra i due
concorrenti per la presidenza(27), il senatore conservatore P. Gramm (28)
riesce a far approvare una cospicua legge denominata Commodities Futures
Modernization Act ("CFMA") (29). Per quel che rileva ai nostri fini,
quattro sono i principi introdotti dal CFMA nel sistema giuridico statunitense:
(1) l'autorità di vigilanza sui mercati dei capitali (Stock Exchange Commission
o SEC) viene, innanzitutto, spogliata di ogni competenza circa gli "swap
agreements"(30); (2) gli "swap agreements" - siano essi basati o
meno su uno strumento finanziario (security) sottostante - vengono esentati
dalle norme imperative in materia di mercati mobiliari (quelle dettate dallo
Exchange Act del 1934 corrispondente - grosso modo e parzialmente - al nostro
testo unico della finanza); (3) a favore delle transazioni in CDS viene, in
terzo luogo, istituito un "safe harbour" (una presunzione di
legittimità) prevalente su ogni contraria disposizione di legge o di
regolamento emanata, nel quadro della legislazione su gioco e scommessa, da
autorità statali o locali; (4) le operazioni in CDS compiute al di fuori di
mercati regolamentati e compiute fra "eligible contract participants"
(qualsiasi società con patrimonio eccedente una soglia minima piuttosto bassa)
vengono, infine, esentate anche dal controllo regolamentare della autorità di
sorveglianza sui derivati su merci (Commodity Futures Trading Commission")(31).
A supporto di questa legislazione dichiaratamente "liberista" s'era
sempre speso l'allora governatore della banca centrale statunitense, Alan
Greenspan, il quale, più volte nel corso di deposizioni dinanzi al Senato
americano aveva dichiarato la preferibilità di sistemi di controllo affidati
alla capacità di autoregolazione dei mercati, piuttosto che a inefficienti
burocrazie governative, ed il quale inoltre, ancora nella primavera del 2006,
dichiarava: "the credit default swap is probably the most important
instrument in finance. What CDS is lay-off all the risk of highly leveraged
institutions - and that's what banks are, highly leveraged - on stable American
and international institutions"(32) (su posizioni piuttosto critiche si
sarebbero invece poi espressi alti funzionari della SEC)(33).
Con riguardo agli ordinamenti europei, come detto, la
"liberalizzazione" del business dei CDS non parrebbe conseguente ad
una precisa norma di legge, quanto ...alla sua assenza. Poiché tanto il testo
unico bancario, quanto il testo unico della finanza italiani costituiscono -
sotto gli aspetti che qui rilevano - recepimento di direttive comunitarie, la
ricognizione delle norme europee può essere effettuata attraverso quelle
domestiche. Orbene, quanto al nostro testo unico bancario, le «attività
riservate» sono quelle di "raccolta di risparmio tra il pubblico ed
esercizio del credito" (art. 10, TUB) (attività bancaria riservata alle
banche vere e proprie) e quelle di "esercizio nei confronti del pubblico delle
attività di assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamenti sotto
qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazioni in
cambi" (art. 106, TUB) (attività finanziarie riservate, a certe
condizioni, agli intermediari finanziari): l'attività di stipula o emissione di
CDS non è certo riconducibile né all'una, né all'altra fattispecie, sicché
certamente essa non costituisce, ai sensi della legge bancaria, una «attività
riservata» (34). Quanto al testo unico della finanza, come recentemente
modificato a seguito della direttiva MIFID, costituisce «attività riservata» (a
banche e ad imprese di investimento) lo "esercizio professionale nei
confronti del pubblico dei servizi e delle attività di investimento" (art.
18, TUF), per tale intendendosi (fra l'altro) la "negoziazione per conto
proprio" avente ad oggetto (fra l'altro) "contratti derivati connessi
a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o ad altri
strumenti derivati, indici finanziari o misure finanziarie...." (art. 1,
comma 3°, lett. d) e art. 1, comma 5°, TUF) (35): l'attività di stipula o
emissione di un CDS non è, pertanto, riconducibile alla «riserva» istituita dal
testo unico della finanza né, in via generale, quando essa non venga svolta nei
confronti del pubblico (per essere destinata esclusivamente ad operatori
qualificati, come avviene di regola), né, in particolare e comunque, quando il
sottostante del CDS non sia un "valore mobiliare" (obbligazioni e
altri titoli di debito, secondo la definizione di cui all'art. 1-bis, TUF), il
che capita nei casi, non infrequenti, in cui la protection oggetto del CDS sia
prestata a favore di una banca con riguardo ad un credito "non
incorporato" in un titolo obbligazionario o di altra natura, bensì facente
parte del cd. banking book (il portafoglio impieghi dell'ente creditizio). In
ultima analisi, né il diritto bancario, né il diritto finanziario italiano -
qui assunto come "proxy" del diritto europeo - istituiscono una
«riserva di attività» per il business dei derivati creditizi.
Quanto alla seconda regola-chiave sopra individuata - quella relativa al
trattamento contabile dei derivati nel bilancio dello "emittente"
(recte: dello stipulante) - essa è stata elaborata sul finire degli anni '90 e
poi più volte rimodellata nei primi anni del nuovo secolo ed è oggi contenuta,
rispettivamente, quanto all'ordinamento statunitense, nel Federal Accounting
Standard (FAS) 133 (36) e, quanto all'ordinamento europeo, nell'International
Accounting Standard (IAS) 39 (37), e cioè nelle due regole contabili afferenti,
in generale, alla rappresentazione in bilancio degli "strumenti
finanziari" (financial instruments). In entrambi i casi, come ben noto, si
tratta di principi contabili di formazione originariamente non istituzionale
(non hard law di fonte statale, bensì soft law di fonte professionale) cui i
rispettivi sistemi legislativi fanno rinvio trasformandoli, per relationem, in
norme pubblicamente applicabili. Seppure con talune differenze fra FAS 133 e
IAS 39, il principio-base è quello della rappresentazione contabile del
«financial instrument» al suo "fair value" definito come il prezzo al
quale un'attività viene scambiata fra parti indipendenti ed informate. Quando
il fair value non è desumibile da un prezzo ufficiale di mercato, il redattore
del bilancio può far riferimento a tecniche di valutazione che, ferma restando
la priorità in linea di principio di oggettivi riferimenti di mercato, può
fondarsi su "pricing models". In tal caso, come suole dirsi, piuttosto
che essere marked-to-market, il financial instrument è marked-to-model. Nel
caso specifico dei CDS non trattati su pubblici mercati regolamentati (che
rappresentano, in fatto, la totalità della categoria), il "model"
consiste nel "prezzare" il rischio di insolvenza del soggetto che
emette la "reference obligation" (la posizione debitoria garantita)
secondo modelli statistici e probabilistici volti a misurare la probability of
default; qualora poi il credit event cui è collegato il CDS non sia il default
bensì un altro (meno grave) deterioramento del profilo creditizio (ad es.,
downgrading del rating, peggioramento dei "ratios" finanziari, et
cetera), il pricing model sarà ovviamente volto a misurare la probabilità dello
specifico credit event dedotto in contratto. Sta, quindi, alla impresa che
redige il bilancio valutare il rischio connesso alla stipula di un CDS e,
quindi, a procedere all'accertamento, in sede iniziale, della liability assunta
e, nel corso della vita del CDS, all'accertamento di ulteriori losses (o
profits) a seconda che la prognosi sul credit event si modifichi in senso
peggiorativo (maggiore probabilità di fallimento o, comunque, di deterioramento
del profilo creditizio) o in senso migliorativo (minore rischio di fallimento
o, comunque, miglioramento del profilo creditizio).
Quanto, infine, alla terza-regola chiave - quella relativa al trattamento
contabile, nel bilancio bancario, dei crediti protetti da un CDS - la sua fonte
è davvero "globale", essendo essa stata adottata dal Comitato di
Basilea in sede di rielaborazione (nel 2001) dell'accordo sulla disciplina
mondiale delle banche, cui ci si è soliti riferire come "Basilea II"
(38). La disciplina che rileva ai nostri fini è stata poi trasfusa nella
direttiva comunitaria 2006/48/CE del 14 giugno 2008 ("direttiva relativa
all'accesso all'attività degli enti creditizi ed al suo esercizio") e,
conseguentemente, nelle rispettive discipline nazionali (39). Dopo aver fissato
- all'art. 75 della Direttiva citata - il livello minimo dei fondi propri delle
banche (cd. requisito di adeguatezza patrimoniale) in misura pari all'otto per
cento del totale degli impieghi ponderati per il rischio. e dopo aver definito,
all'art. 80, par. 1, Dir. cit, e connesso allegato VI, i criteri di
ponderazione del rischio in relazione alla natura del debitore finanziato, lo
stesso art. 80, par. 4 della Direttiva citata, stabilisce: "in deroga al
paragrafo 1, qualora un'esposizione sia soggetta a protezione del credito, il
fattore di ponderazione può essere modificato conformemente alla sottosezione
3". La norma cui vien fatto rinvio (art. 92, Dir. cit.) stabilisce,
innanzitutto, in via generale che "la tecnica utilizzata per fornire la
protezione del credito, nonché le azioni e le misure adottate e le procedure e
le politiche attuate dall'ente creditizio che concede il prestito devono essere
tali da risultare in meccanismi di protezione del credito che siano efficaci
sul piano giuridico e applicabili in tutte le giurisdizioni pertinenti";
precisa poi, in particolare, che "nel caso di protezione del credito non
finanziata(40), per avere titolo al riconoscimento la parte che si assume
l'impegno è [recte: deve essere] sufficientemente affidabile e il contratto di
protezione deve avere efficacia giuridica ed essere opponibile nelle
giurisdizioni pertinenti, in modo da fornire idonea garanzia in merito alla
protezione del credito conseguita ..."; e conclude stabilendo che
"hanno titolo al riconoscimento solo i fornitori di protezione e i tipi di
contratti di protezione di cui all'allegato VIII, parte 1." Ed eccoci
all'ultimo passo di questa apparentemente complessa rete di rinvii: l'allegato
VIII, sotto l'epigrafe "attenuazione del rischio di credito" (cd.
credit risk mitigation o CRM) individua, fra i "fornitori di protezione ammessi"
- cioè i protection sellers idonei a consentire l'attenuazione del rischio di
credito relativo all'esposizione per la quale la banca compra la protection -,
unitamente ad altri soggetti presuntivamente molto affidabili, anche
"altre società ....che dispongano di una valutazione del merito di credito
di un'ECAI [external credit assessment institution ovvero un'agenzia di rating]
riconosciuta dalle autorità competenti" (all. VIII, punto 26); lo stesso
allegato VIII, sotto l'epigrafe "tipi di derivati su crediti",
stabilisce infine che "possono essere riconosciuti ammissibili ...i credit
default swaps" (all. VIII, punto 30). In ultima analisi, quando una banca
dispone di un CDS rilasciato da un soggetto che disponga di un rating
favorevole concesso da una delle tre agenzie internazionalmente riconosciute,
essa può "attenuare" il rischio di credito, sostituendo al fattore di
ponderazione di rischio del soggetto finanziato, il più basso fattore di
ponderazione di rischio inerente all'entità che ha emesso il CDS. L'acquisto
della protection consente alla banca - per dirla in termini tecnici - di
"liberare" capitale regolamentare. Se, ad esempio, il credito per 100
concesso all'impresa X ha un fattore di ponderazione del rischio pari al 100%,
di guisa che esso postula mezzi propri bancari pari a 8, l'attenuazione del
rischio di credito conseguente al minore fattore di ponderazione del rischio
imputabile al protection seller (ad esempio, 20%), fa sì che i mezzi propri
richiesti si riducano da 8 a 1,6 (ovvero l'8% di 20) (il capital relief, la
liberazione di capitale regolamentare, risulta pari alla differenza fra 8 e
1,6).
10. L'esenzione "normativa" dalle norme che presidiano l'efficienza
del mercato: la licenza normativa di "dumping" di derivati creditizi
Definiti origine e contenuto precettivo delle tre norme-chiave che reggono
l'industria mondiale dei derivati creditizi, può ora cercare di intendersi in
che senso, lungi dal vincolare al rispetto del mercato, le predette norme
abbiano piuttosto il merito di aver istituito un regime di immunità dal
mercato.
Ci si rivolga innanzitutto alle prime due regole sopra individuate: (i) mancata
istituzione di un regime di «riserva di attività» e (ii) trattamento contabile
del CDS nel bilancio del protection seller.
È piuttosto intuitivo rilevare come l'istituzione di una «riserva legale di
attività» sia funzionale all'applicazione di un preciso nucleo di disciplina
imperativa. Se una certa attività non è aperta a tutti - secondo il principio
di libertà di impresa che è proprio di qualsivoglia economia di mercato -, ciò
avviene perché il legislatore ritiene evidentemente di assoggettare quella
specifica attività a precisi vincoli lato sensu pubblicistici: ad es.,
controlli da parte di autorità di vigilanza, norme imperative di governance,
requisiti di onorabilità dei membri degli organi sociali, specifica disciplina
di bilancio. Nel caso dei due mestieri che più si avvicinano a quello dei
derivati creditizi - banche e assicurazioni - l'assoggettamento al principio di
«riserva di attività» (che è comune alla quasi totalità degli ordinamenti
giuridici occidentali) muove, inter alia, dalla precisa esigenza di
assoggettare il bilancio di tali imprese a regole peculiari volte a presidiarne
la "stabilità". Per banche e assicurazioni - imprese dalle quali
dipende, in ogni sistema capitalistico maturo, la tenuta dell'intero sistema
economico - la «riserva legale di attività» è insomma legata a doppio filo (non
soltanto, ma anche) alla specifica «disciplina di bilancio»; ed è, in
particolare, legata a doppio filo alla disciplina contabile degli impegni di
garanzia (fideiussione prestata da una banca, polizza stipulata da una
compagnia di assicurazione).
Per cogliere appieno i problemi di ordine generale connessi alla
rappresentazione contabile degli impegni di garanzia ci si può avvalere di un
esempio costruito per l'appunto sul tipico impegno incorporato da un CDS.
Si immagini che un intermediario X emetta 1000 CDS sull'obbligazione 100 di
FIAT e che, in ipotesi, riceva dai "sottoscrittori" di ciascun CDS il
corrispettivo di 10. La vendita produce, quindi ricavi per 10.000 (10 x 1000).
Occorre, ora, interrogarsi sull'an e sul quantum di un appostamento al passivo
(liability). La vendita fa sorgere in capo al venditore non un debito, bensì
una potenzialità di debito. Se si verifica il fallimento di FIAT (il credit
event, in ipotesi, assicurato dal derivato), l'emittente deve 100.000 (quindi
molto di più di quanto abbia incassato il venditore dei CDS), ma se FIAT non
fallisce, l'intero ricavo di 10.000 si tramuterà in pieno profitto.
Ovviamente, tanto appostare al passivo 100.000, quanto niente sarebbe errato:
nel primo caso, il rischio del fallimento FIAT sarebbe considerato certo (ed
allora non avrebbe avuto alcun senso, se non "masochistico", procedere
all'emissione del derivato); nel secondo caso esso sarebbe invece considerato
nullo (ed allora non avrebbe avuto senso, dal punto di vista degli acquirenti,
comprarlo). La verità, o meglio, la ragionevolezza sta in mezzo: e si tratta di
capire quale sia il criterio che detta ragionevolezza assicuri.
La situazione in cui si trova l'emittente del derivato è assai simile - et pour
cause - alla situazione della compagnia di assicurazione che stipula una
polizza o della banca che concede una fideiussione.
Anche la compagnia di assicurazione che riceve il premio per il rischio assunto
avrà - rispetto al singolo contratto di assicurazione - un profitto pari
all'intero ricavo, se l'evento non si verifica, ed una perdita pari alla
differenza fra il valore assicurato e il premio, se invece l'evento si
verifica. Analogamente: anche la banca garante che riceve la commissione per la
fideiussione avrà - rispetto alla singola operazione di garanzia - un profitto
pari alla fee, se il debitore garantito adempie regolarmente, ed una perdita
pari all'esborso meno la fee, se invece il garantito non adempie.
Ora, i sistemi giuridici globali che disciplinano l'attività finanziaria,
rispettivamente, «bancaria» e «assicurativa» non lasciano affatto alla
discrezionalità (o all'arbitrio) delle imprese la valutazione di questi rischi;
essi, piuttosto, intervengono dettando precise «regole imperative» in funzione
delle quali si giustifica, per l'appunto, l'istituzione di una «riserva di
attività».
E così:
(i) alle imprese di assicurazione si impone l'obbligo di appostare
"riserve tecniche" a fronte dei rischi assicurati (le riserve
tecniche devono essere appostate sulla base di una valutazione statistica ed
oggettiva dei rischi coperti) (41);
(ii) alle imprese bancarie si impone l'obbligo di adeguatezza patrimoniale
(capital adequacy) e cioè l'obbligo che pone un limite alle potenzialità
creditizie della banca, stabilendo un rapporto (cd. ratio) non valicabile fra
mezzi propri e mezzi di terzi (per ogni unità di prestito concesso, la banca -
i suoi azionisti - devono mettere di tasca propria almeno una certa quota
fissata ex lege) (si tratta del principio di adeguatezza patrimoniale di cui si
è già detto supra) (42) .
Si tratta di due regole diverse, che tengono conto della diversità dei
mestieri, rispettivamente, "assicuratore" e "banchiere" e,
segnatamente, della diversità dei rischi - rischi di sinistri e rischio di
credito - gestiti dall'uno e dall'altro.
Ma il loro senso è evidente: solo imponendo regole imperative di "prudenza"
si contiene il pericolo che tali imprese finanziarie possano essere incentivate
ad adottare comportamenti irresponsabili che, nel breve termine, possono anche
esser molto profittevoli, ma nel lungo termine, espongono la singola impresa
"imprudente" al fallimento e l'intero sistema al rischio sistemico
del crollo di fiducia.
In altre parole: solo attraverso gli anzidetti obblighi imperativi
l'ordinamento fa sì che il "prodotto" da esse immesso nel mercato non
sia immesso "sottocosto" con gli enormi rischi che una simile
inefficienza di mercato può cagionare.
Si immagini, ad esempio, cosa mai succederebbe se l'ordinamento abolisse le
norme imperative che impongono l'obbligo di riserva tecnica per le
assicurazioni o l'obbligo di adeguatezza patrimoniale per le banche.
Una compagnia di assicurazioni - così esonerata dall'onere di appostare riserve
secondo precisi limiti quantitativi rispetto ai rischi assunti - potrebbe
vendere polizze anche sotto costo (una sorta di dumping), e, così facendo,
potrebbe fare alle altre una bella concorrenza (naturalmente, sleale). Tutto
questo - però - con l'enorme rischio di un fallimento (sia pure rinviato nel
tempo) della compagnia di assicurazioni imprudente, e di un ancor più grande
rischio sistemico per il crollo della fiducia sull'intero sistema delle
assicurazioni.
Si immagini, ad esempio, che si passi da un regime "prudenziale" -
ove la vendita di una polizza incendio auto comporti l'obbligo legale di un
fondo pari al 10% del rischio assicurato - ad un regime pienamente
"liberale" - ove la compagnia di assicurazione sia ora
"libera" di appostare discrezionalmente quanto ritenga opportuno -.
Naturalmente, la compagnia di assicurazione che fosse tenuta ex lege ad
appostare il fondo, è costretta a vendere polizze che, per definizione,
incorporino il costo connesso all'accantonamento del fondo obbligatorio, mentre
la compagnia di assicurazione che fosse esentata da quell'obbligo potrebbe
vendere "imprudentemente" anche ad un prezzo notevolmente inferiore.
Naturalmente, ove gli acquirenti di polizze vendute sotto costo fossero in
grado di rendersene conto - se cioè essi fossero in grado di comprendere che
una simile polizza solo apparentemente copre il rischio dedotto (una volta che
i sinistri si verifichino secondo la "statistica" corretta, la
compagnia imprudente non sarà in grado di coprire gli indennizzi che, quindi,
pro quota, resteranno in capo agli assicurati) -, ebbene, la compagnia di
assicurazioni sarebbe allora "punita" dal mercato, e nessuno vorrebbe
delle polizze, sì, piuttosto "economiche", ma solo al
"prezzo" della loro totale o parziale fittizietà.
L'ordinamento, però, non "crede" affatto all'efficienza del mercato
(non crede cioè, e a ragione, alla "capacità selettiva" del
compratore di polizze); e non vi crede perché, così come la relazione
emittente/risparmiatore, anche la relazione assicuratore/assicurato, non è una
relazione inter pares. E senza una norma imperativa che istituisca un vincolo
sistematico di natura "sostantiva", il rischio che l'impar possa
immettere nel mercato beni (strumenti finanziari, polizze, crediti bancari)
sotto costo, e tanto faccia grazie alla incapacità del compratore di
comprendere che il "minor costo" consegue ad un dissimulato
trasferimento di rischi dal venditore al compratore, è quanto mai concreto, a
conferma che il mercato - lo scambio emittente/risparmiatore, ovvero lo scambio
compagnia/assicurato - è un "finto" mercato, non un vero mercato.
Il vincolo sistematico - nel caso delle compagnie di assicurazioni, l'obbligo
di riserva tecnica - non è, quindi, frutto di "paternalismo": è,
piuttosto, lo strumento con cui l'ordinamento interviene per far sì che il
"mercato" funzioni anche là dove l'imparitas (asimmetria) fra le
parti condurrebbe il mercato alla disfunzionalità e all'esposizione ad un
rischio sistemico (43).
Considerazioni, non identiche, ma assai simili valgono anche per il banchiere.
Anche qui, ove si muovesse dal presupposto di una piena efficienza del mercato,
non avrebbe alcun senso imporre obblighi di adeguatezza patrimoniale alle
banche: se il mercato fosse davvero onni-sciente, la banca imprudente, che
concedesse credito a basso prezzo (così operando una sorta dumping
"bancario"), non potrebbe sbaragliare la concorrenza, giacché sarebbe
"punita" dai depositanti, dagli azionisti e da tutti coloro che
conferiscono alla banca i mezzi per operare.
In realtà, la totalità dei legislatori occidentali, e a ragione, non credono
affatto a questa "ideologia del mercato", tanto è vero che, in tutto
il mondo avanzato, le banche non possono fare credito illimitatamente, ma lo
possono fare solo in funzione di un certo rapporto con i mezzi propri (il ben
noto principio di capital adequacy). Il principio di adeguatezza patrimoniale
è, in ultima analisi, uno strumento con il quale si istituisce un "vincolo
sistematico" fra «finanza» (erogazione di credito) e «realtà» (mezzi
propri "di partenza") (44).
Alla luce di queste considerazioni dovrebbe ora risultare chiaro per quale
motivo le prime due norme-chiave oggetto di esame - (i) mancata istituzione di
una «riserva di attività» e (ii) disciplina contabile dei CDS del bilancio del
protection seller - riflettano una scelta normativa radicalmente
contraddittoria e di segno diametralmente opposto a quello del diritto delle
assicurazioni e delle banche.
E così:
- se l'obbligo di riserva tecnica costituisce la risposta imperativa al rischio
di "dumping" assicurativo (per effetto del quale rischi
apparentemente assicurati sarebbero di fatto ri-trasferiti in capo agli ignari
non-assicurati);
- se l'obbligo di adeguatezza patrimoniale costituisce la risposta
imperativa al rischio di dumping bancario (per effetto del quale tassi di
interesse apparentemente bassi consentirebbero l'immissione nel sistema di
crediti, non di buona, ma di cattiva qualità),
proprio all'opposto, la "liberalizzazione" dell'industria dei
derivati creditizi - resa accessibile anche a imprese non regolate (hedge
funds, società finanziarie, imprese di investimento di ogni tipo e natura) e la
"liberalizzazione" della valutazione contabile dei derivati - il cui
fair value può essere discrezionalmente misurato da un redattore di bilancio
esentato da ogni controllo pubblico - costituisce una vera e propria
«autorizzazione legislativa» ad una pratica di puro e semplice dumping di
derivati creditizi.
L'emittente di un derivato creditizio che, a differenza delle compagnie di
assicurazioni e a differenza delle banche, non è tenuto ad alcun vincolo
sistematico (obbligo di riserva tecnica, obbligo di adeguatezza patrimoniale),
è per ciò stesso autorizzato a vendere i CDS, o qualsiasi altro derivato
creditizio, non ad un prezzo che incorpori i reali costi di produzione del bene
(cioè gli effettivi rischi di credito che l'emittente CDS si assume), bensì ad
un prezzo che, apparentemente, è molto conveniente per l'acquirente, ma in
realtà è tale, solo e soltanto perché il soggetto che vende quel bene lo può
vendere sotto costo o, per dirla in altri termini, solo e soltanto perché il
soggetto che vende quel bene, può in realtà vendere un "prodotto
difettoso" (forte del fatto che il vizio è ben occulto e il compratore non
se ne avvedrà o, se gli conviene, fingerà di non avvedersene).
Alcune ultime notazioni sono necessarie per superare una possibile obiezione.
Si potrebbe invero dire che la "deroga" ai vincoli sistematici propri
del diritto delle assicurazioni e del diritto delle banche non equivalga
affatto ad un'autorizzazione al dumping dei derivati creditizi, giacché alla
logica propria delle assicurazioni e delle banche si sostituirebbe qui - così
correrebbe l'obiezione - la logica diversa del mercato dei capitali: il diritto
del quale - come detto sopra - ristabilisce la parità fra emittente e
risparmiatore non tanto con l'istituzione di vincoli sistematici di tipo
sostantivo (obbligo di riserva tecnica, obbligo di adeguatezza patrimoniale),
bensì con l'istituzione di vincoli sistematici disclosure-oriented che si
articolano in quella "rete di responsabilità" in capo ai vari
"controllori" delle informazioni (intermediari collocatori, revisori,
società di gestione dei mercato regolamentati, autorità di vigilanza, et
cetera).
In realtà, non è affatto così: alla deroga al regime delle assicurazioni e alla
deroga del regime delle banche non subentra affatto l'applicazione
"compensativa" del diritto dei mercati dei capitali. Proprio
all'opposto: alla deroga a quei due regimi normativi (assicurativi e bancari),
si aggiunge - in un impeto di deregulation selvaggia di cui ora si cominciano a
delineare i contorni - l'ulteriore deroga anche al diritto dei mercati dei
capitali.
Ed infatti - si presti attenzione, giacché in queste pieghe sottili si gioca
"il destino" di un sistema giuridico-economico -, la facoltà
riconosciuta all'intermediario emittente di CDS di valutare
"discrezionalmente" i derivati creditizi non viene limitata ai soli
derivati creditizi ammessi a mercati regolamentati (e cioè soggetti a quel
corpus di disciplina che, mediante l'istituzione della rete di controllori
responsabili, assicura la - tendenziale - affidabilità del prezzo). Essa viene
attribuita anche a quei derivati (che sono, in buona sostanza, la totalità)
niente affatto quotati, niente affatto soggetti al diritto del mercato dei
capitali, niente affatto soggetti al reticolo di controllori responsabili ex lege.
Grazie alla autorizzazione normativa a "mark" (appostare) i CDS non
"to market" (al valore corrente di un mercato che non c'è), bensì
"to model" (al valore desunto da un modello matematico che calcola la
probabilità del credit event), il redattore del bilancio dell'impresa che
stipula i CDS dispone di un'enorme libertà di graduare a convenienza l'entità
delle proprie liabilities (passivo) (45). Per poi giustificare in qualche modo
la scelta contabile di sotto-stimare stabilmente il proprio passivo, il protection
seller non regolamentato (hedge fund e similia) trova facilmente il supporto, a
pagamento, di una delle agenzie di rating internazionalmente riconosciute: è
sufficiente che il "model", sulla base del quale viene prezzato il
rischio in bilancio, sia anche accompagnato da un rating favorevole rilasciato
da una agenzia di rating sull'impresa cui è riferibile la reference obligation,
perché il protection seller possa godere del beneficio di incamerare, come
ricavo, il profitto da stipula del CDS, senza farvi corrispondere alcun
adeguato appostamento di rischio al passivo (46).
Un sistema di CRT (credit risk transfer) - derivati creditizi e
cartolarizzazioni - che, sulla carta, parrebbe aver inaugurato la nuova era di
un sistema ove i crediti non vengono più valutati da fallibili banchieri tenuti
a quelle rigide regole di adeguatezza patrimoniale (il "vecchio"
sistema bankoriented), bensì dal nuovo "banchiere sistemico"
(valutazione del rischio market-oriented), si rivela - ad un più attento esame
- un sistema dove alla valutazione, sia pure fallibile, di un soggetto (il
banchiere) che almeno (per via della norma di capital adequacy) rischiava in
proprio, si sostituisce la valutazione di un numero ancora più concentrato di
soggetti in carne ossa, e per di più del tutto irresponsabili: i redattori di
bilancio di imprese esentate da ogni vincolo pubblicistico (grazie
all'esenzione del business dei derivati creditizi da ogni «riserva legale di
attività») e, se del caso, i dirigenti delle tre agenzie di rating
internazionalmente riconosciute sempre pronte, dietro corrispettivo, a
rassicurare il mercato del buon profilo creditizio di imprese che emettono le
reference obligation.
Del "banchiere sistemico", in conclusione, non si vede neanche
l'ombra.
11. Ancora sulla "esenzione normativa" dalle "norme" che
presidiano la funzionalità dei mercati: licenza di "maquillage"
contabile per gli acquirenti di CDS
Si ponga ora mente alla terza regola-chiave che, come si vedrà, contribuisce in
modo determinante a questa licenza normativa di dumping di derivati creditizi:
il diritto bancario mondiale (statunitense ed europeo) consente alle banche che
acquistano i CDS di sostituire il rischio di credito (ad esempio nei confronti
di Fiat) con il rischio della controparte che emette il derivato (ad esempio,
Lehman Brothers o AIG).
Naturalmente, se il derivato creditizio fosse un prodotto sano, e non un bene
con un vizio occulto, allora la scelta normativa sarebbe senza dubbio sensata:
se esso assicurasse davvero il rischio di credito Fiat, sarebbe allora più che
normale che la banca Intesa-San Paolo non procedesse più ad alcun
accantonamento prudenziale e/o svalutazione del credito, limitandosi a
"spesare" il costo dell'acquisto del CDS (Fiat potrà poi pure
fallire, ma, se fallisce, la banca riceverà un indennizzo in misura pari al
credito defaulted).
Se, però, il derivato creditizio non è affatto un prodotto sano, giacché
l'ordinamento consente di immetterlo nel mercato sotto costo (in modo del tutto
simile ad una polizza rischio incendio che costa, sì, molto poco, ma costa poco
solo perché se poi c'è l'incendio, la compagnia non è in grado di coprire quel
rischio), allora, la sostituzione del rischio di credito col rischio di
controparte diventa, per l'appunto, un maquillage ed un maquillage assai
pericoloso.
Anche qui il legislatore dei sistemi giuridici globali è piuttosto sofisticato.
In tanto la banca che compra CDS può "trasformare" il rischio di
credito (nei confronti di Fiat così come di qualsiasi altro soggetto
finanziato) in rischio di controparte (il rischio assunto nei confronti di
Lehman Brothers, emittente del CDS), in quanto la controparte "goda"
di un rating da parte di una delle solite tre agenzie internazionali (47).
È sufficiente che Lehman Brothers goda di un rating molto elevato, affinché la
banca Intesa-San Paolo possa "scaricare" dal proprio bilancio il
rischio di credito Fiat trasformandolo nel ben meno "oneroso" rischio
di controparte Lehman (48).
Ancora una volta un sistema di valutazione del rischio di credito che ci veniva
presentato come trasformazione epocale dall'arrugginito metodo bank-oriented al
brillante e moderno metodo market-oriented si rivela il suo contrario: al
sistema di banche, sì, "soggettive", ma pur sempre tenute ad un
obbligo di prudenza, si è sostituito un sistema, non semplicemente
"soggettivo", ma iper-soggettivo, ove il "merito
creditizio" dell'intero sistema economico viene valutato da un numero
assai limitato di persone, e per di più non tenute ad alcun obbligo né di
prudenza e cioè a nessuna responsabilità.
Ancora una volta, la conclusione non è confortante: del «banchiere sistemico»
non si intravede neanche l'ombra.
12. Gli effetti perversi del dumping dei derivati creditizi: espansione
irrazionale del credito e separazione fra finanza e realtà
Quali siano gli effetti perversi immediatamente - e
"scientificamente" - conseguenti a questi principi normativi adottati
dai legislatori occidentali sono evidenti.
Un legislatore che consenta:
(i) ad intermediari anche non bancari ed anche non assicurativi (ivi inclusi i
famigerati hedge-funds) di emettere derivati creditizi in forza di principi
contabili che rendono possibile un puro dumping (la vendita sottocosto o, se
si vuole, la vendita di prodotti con vizi occulti);
(ii) alle banche soggette alla vigilanza bancaria di poter considerare
"sani" derivati creditizi che, in realtà, sani non sono affatto, così
alimentando quel mercato di derivati creditizi soggetto ad un dumping
strutturale;
è un legislatore che opera esattamente come la moglie di Ulisse.
Con una mano esso tesse la tela dell'efficienza e del mercato (vincoli
sistematici imperativi sulle assicurazioni, vincoli sistematici imperativi
sulle banche), ma con l'altra mano (un po' più nascosta, ma non meno dinamica ed
efficace) attribuisce a certi soggetti la "licenza" (una sorta di
"ius privilegii") di esonerarsi dal rispetto di quelle regole
apparenti.
E così, con una mano impone alle assicurazioni gli obblighi di riserva tecnica
e alle banche gli obblighi di adeguatezza patrimoniale (regole di prudenza che
minimizzano il rischio che sia l'acquirente a sopportare il rischio di un
"vizio occulto"), ma con l'altra mano consente proprio alle banche di
potersi ricavare un'area di esenzione dai pesanti oneri di quelle regole (49).
Insomma: con una mano "istituisce" il «mercato», ma con l'altra mano
"attribuisce" a certuni la facoltà di sottrarsi proprio a quelle
regole di mercato previamente istituite.
Ci si scusi per la tediosa pedanteria, ma a beneficio dei meno avvezzi a questi
temi, può essere ancora utile un esempio.
In forza del principio per il quale una banca deve contribuire con mezzi propri
(secondo una certa proporzione) all'erogazione del credito, una banca X che
dispone di mezzi propri per 80 non può concedere, ad esempio, crediti se non
nel limite di 1000.
Tuttavia, grazie al principio per il quale una banca può non accantonare fondi
per crediti coperti da derivati, la banca suddetta potrebbe, comprando
"sotto-costo" un derivato per 5, ottenere - quasi un gioco di
prestigio - un "vantaggio netto" di 10. Ecco, dunque, che grazie al
CDS venduto in regime di dumping autorizzato ex lege, la banca che non poteva
più concedere crediti se non al "costo" di contribuire con mezzi
propri, si trova a "liberare" capitale bancario per 5. Ovviamente,
l'operazione in CDS può essere effettuata su larga parte del portafoglio
creditizio (il cd. banking book), sicché, la predetta banca si trova - grazie
ad una artificiale o addirittura fittizia copertura di rischi - a poter espandere
la propria attività creditizia.
Il meccanismo, poi, si "auto-alimenta": tanto più i derivati
creditizi possono essere venduti sotto-costo, tanto maggiore l'effetto di
"irrazionale" espansione del credito bancario; e tanto maggiore
l'espansione "irrazionale" del credito, quanto maggiore la facoltà
degli emittenti di CDS di "ritardare" la chiusura dei conti (50).
Naturalmente, tanto più lungo il tempo della "chiusura" dei conti,
quanto più duro sarà il risveglio.
Se però il filo del nostro discorso ha un senso, ci si sarà resi conto che la
"separazione" fra finanza e realtà non consegue ex se dai derivati
creditizi e dalla loro capacità di moltiplicare ad infinitum posizioni
debitorie inesistenti.
Non è così: se i derivati creditizi fossero davvero soggetti ai principi propri
del diritto dei mercati dei capitali (obbligo di quotazione, istituzione di
responsabilità in capo a controllori ex lege, et cetera), allora, a dispetto
della apparente "diabolica" separazione fra «finanza» e «realtà»,
essi potrebbero (forse) contribuire ad una più efficiente valutazione del
rischio di credito.
La circostanza, invece, che i derivati creditizi - e i prezzi che li riguardano
- siano formati niente affatto su un "vero" mercato dei capitali,
bensì negli uffici di qualche edificio di New York ove lavorano, ad un piano, i
dirigenti di banche d'affari non soggette al controllo della Fed e, ad un altro
piano, i dirigenti delle agenzie di rating - e, soprattutto, la circostanza che
tutto ciò capiti non "per caso", bensì per le precise scelte
normative sulle quali ci si è intrattenuti - dovrebbe aver fatto comprendere
che la ragione della separazione fra "finanza" e "realtà",
le premesse istituzionali per una "espansione irrazionale" del
credito, poggiano piuttosto nella precisa scelta politica di aver concesso ai
derivati creditizi di poter operare in una "zona franca", in un'area,
cioè, ove è lo stesso diritto (non una prassi abrogans) ad affermare che quel
diritto può essere, da taluno, derogato: "molto è licito là, che qui non
lece"...
13. Riforma del sistema finanziario e derivati creditizi: il dibattito in corso
negli U.S.A.
Le profonde disfunzionalità strutturali del mercato dei derivati creditizi
hanno da tempo sollecitato un importante dibattito - tutt'ora in corso - nel
paese che del sisma finanziario ancora in atto costituisce l'epicentro: gli
Stati Uniti d'America.
Nel pieno della crisi dei mutui subprime (agosto 2007), il presidente allora in
carica (G.W. Bush) aveva richiesto al neocostituito President's Working Group
on Financial Markets ("PWG") - composto dal segretario del Tesoro e
dai presidenti della Stock Exchange Commission (autorità di vigilanza sui
mercati mobiliari), Federal Riserve Board (banca federale centrale) e Commodity
Futures Trading Commission (autorità di vigilanza sui derivati su merci) - di
redigere un documento delle cause della crisi finanziaria.
Sebbene i crac più direttamente legati al tema credit default swaps (Lehman e
AIGFP) fossero allora ancora di là da venire e sebbene eodem tempore le
valutazioni sulla tenuta del sistema finanziario fossero ancora non troppo
pessimistiche, un'importante sezione del primo documento predisposto (nel marzo
2008) dal PWG - "Policy Statement on Financial Market
Developments"(51) è per l'appunto dedicata a fornire "recommendations
to enhance the OTC derivative market infrastructure" (con particolare
riguardo ai CDS). Quattro sono, in particolare, i principi-chiave cui, secondo
il PWG, dovrebbe ispirarsi una riforma globale dei derivati creditizi:
(i) «rafforzamento della integrità e trasparenza del mercato»: attraverso la
disclosure di prezzi e volumi di derivati scambiati e, soprattutto, attraverso
l'incentivazione alla istituzione di una o più "stanze di
compensazione" centralizzate (central counterparties o "CCPs")
che supervisionino le negoziazioni e garantiscano le compensazioni fra gli
aderenti al sistema, imponendo agli aderenti stessi adeguati margini di
solvibilità;
(ii) «miglioramento della gestione del rischio dei derivati»: attraverso la
regolamentazione pubblica tanto della "stanza di compensazione"
centralizzata (CCP), quanto degli aderenti al mercato dei derivati organizzato
e gestito dalla CCP;
(iii) «rafforzamento della infrastruttura di mercato per i derivati»:
attraverso l'incentivazione alla canalizzazione delle negoziazioni dei derivati
creditizi all'interno di una stanza di compensazione centralizzata (CCP);
(iv) «incremento della cooperazione fra le autorità di vigilanza mondiale»:
attraverso il miglioramento della necessaria coordinazione (operativa e
informativa) fra le autorità di vigilanza di ordinamenti i cui mercati sono
esposti a rischi sistemici interconnessi.
In un documento di follow up successivamente predisposto (ottobre 2008) (in tal
caso, proprio all'indomani dell'esplosione del tema «credit default swap»), il
PWG ha dato conto di una serie di iniziative assunte nel frattempo dai
principali operatori del mercato dei derivati, fra le quali, la più importante
appare per l'appunto quella di sviluppare una "robust and prudently
managed central clearing facility for credit derivatives" (52).
In una coeva audizione parlamentare, un esponente della SEC (53) ha
ulteriormente ricordato come l'istituzione di una controparte centralizzata per
la compensazione e il regolamento dei derivati creditizi costituisca una
priorità regolamentare per una adeguata disciplina del rischio sistemico:
"by clearing and settling CDS contracts submitted by participants in the
CCP, the CCP could substitute itself as the purchaser to the CDS seller and the
seller to the CDS buyer. This novation process by a CCP would mean that the two
counterparties to a CDS would no longer be exposed to each other's credit risk.
A single, well-managed, regulated CCP could vastly simplify the containment of
the failure of a major market participant. In addition. The CCP could net
positions in similar instruments, thereby reducing the risk of collateral
flows. Moreover, a CCP could further reduce risk through carefully regulated
uniform margining and other robust risk controls over its exposures to its
participants".
Sulla stessa linea d'onda, ma in nome di un intervento normativo ancor più
penetrante, si è recentissimamente espresso (4 giugno 2009) anche il più alto
rappresentante della CFTM (Commodity Futures Trading Commission)(54), per il
quale le linee ispiratrici della riforma dovrebbero essere le cinque seguenti:
(i) sorveglianza e disciplina di ogni istituzione che abbia accesso al mercato
dei derivati con l'istituzione di limiti sulle posizioni in derivati ("regulating
derivatives dealers" e "position limits"); (ii) vincoli di
capitale o margini obbligatori di solvibilità a carico di ogni istituzione che
operi nel settore ("capital and margin requirements"); (iii) norme di
condotta e di trasparenza ("business conduct and transparency
requirements"); (iv) istituzione di mercati regolamentati per la
negoziazione dei derivati standardizzati ("regulating derivative
markets" e "exchange trading"); (v) istituzione di stanze di
compensazione centralizzate (CCPs) ("central clearing").
Le linee di riforma (55) sono, quindi, in un modo o nell'altro volte ad evitare
quel dumping di derivati creditizi che, inquinando il mercato del rischio di
credito, ha contribuito così significativamente (e non casualmente) alla crisi
finanziaria dei nostri giorni.
L'istituzione di una controparte centralizzata (CCP) - che operi frapponendosi
ad ogni venditore o acquirente di CDS quale "garante di ultima
istanza" del mercato da essa gestito - lascerebbe alla stessa CCP il
potere di definire quei "margini" che ogni aderente deve prestare per
poter essere ammesso al sistema: seppure soggetta al controllo pubblico sarebbe
un'istituzione pur sempre privata a definire l'equilibrio fra «finanza» e
«realtà» (o, se si vuole, i limiti di leva entro i quali gli aderenti possono
operare).
L'introduzione ex lege di "capital and margin requirements" a carico
di ogni istituzione che operi nel mercato dei derivati - secondo le proposte da
ultimo ricordate - andrebbe invece molto oltre: sarebbe in tal caso la stessa
autorità legislativa a istituire i vincoli pubblicistici applicabili ad ogni
istituzione operante nel mercato.
Nei termini della riflessione qui condotta: l'istituzione di una CCP
assoggetterebbe il mercato dei derivati creditizi alla disciplina tipica dei
"mercati dei capitali", e cioè a una disciplina disclosure-oriented,
nella quale il legislatore si limita ad assicurare l'attendibilità delle
informazioni sulla base delle quali si formano i prezzi (ovvero: si istituisce
l'obbligo di negoziazione in pubblico mercato regolamentato, dopodiché si
lascia che sia il mercato a verificare l'attendibilità dei prezzi);
l'istituzione di vincoli di capitale, al contrario, assoggetterebbe il sistema
a vincoli imperativi ben più stringenti - più simili a quelli adottati per
banche e assicurazioni - e ciò, sull'ovvio presupposto che senza un nucleo di
«disciplina imperativa» lato sensu "anti-dumping" si corre il rischio
- per usare una nota espressione marxiana - che siano gli stessi capitalisti ad
uccidere il capitalismo (56).
14. La scelta politico-legislativa di "esenzione" dal diritto e la
sua logica storico-sociale
Poche conclusive parole possono ora essere dedicate ad una breve sintesi di
quanto si è cercato di illustrare al fine di darne una lettura, per così, dire
storico-sociale.
I derivati creditizi costituiscono un vero e proprio "paradigma" di
funzionamento del diritto del mercato dei capitali.
Esiste un piano dell'apparenza, ed un piano della realtà. Beninteso, non si
intende certo, con ciò, alludere, ad una "metafisica"
contrapposizione fra «ente» ed «essere». Niente affatto: in termini
"fenomenologici", possiamo piuttosto dire che anche la «apparenza» ha
la sua «realtà», e la «realtà» la sua «apparenza». La apparenza è, infatti, una
"illusione" assolutamente reale, in forza della quale beni
assolutamente reali, si spostano da un luogo all'altro in modo assolutamente
reale, da una classe sociale all'altra (si licet) in modo assolutamente reale.
E quando poi la "realtà" bussa alle porte (quando "i conti si
chiudono"), il risveglio non determina affatto, sul piano «reale», un
miracoloso rewind (un ripristino dello status quo ante), sicché - un vero
paradosso - la "illusione" resta reale, mentre la "realtà"
resta apparenza...
Fuor di metafora, la "apparenza" dei derivati creditizi è quella di
strumenti finanziari che consentono la più efficiente allocazione del rischio
di credito e la nuova era nella quale il più efficiente "banchiere
sistemico" (il mercato dei capitali) prende il posto del meno efficiente
"finanziatore tradizionale" (le banche old style).
La "realtà" è, invece, quella di strumenti finanziari che, grazie a
precise regole dettate dai sistemi normativi globali, consentono proprio alle
banche di sottrarsi ai vincoli cui esse sarebbero soggette, per operare in una
"zona franca" (un'area duty free istituita, però, dallo stesso
legislatore).
Attraverso la disciplina dei derivati creditizi è stato possibile, con la
retorica dell'efficienza dei mercati dei capitali, dirottare al di fuori delle
banche i rischi di credito che esse avrebbero dovuto assoggettare ai noti
principi imperativi di capital adequacy e che ne sono stati così esentati; e
tutto questo "come se" (als ob) i derivati creditizi fossero
effettivamente trattati e soggetti ad un mercato dei capitali, di fatto
inesistente e "sostituito" da tre società private a loro volta
esentate da responsabilità.
La "retorica" del mercato dei capitali ci dice che il mercato dei
capitali (il "banchiere sistemico") costituirebbe un
"concorrente" del tradizionale settore bancario e consentirebbe
quindi un beneficio netto per il cd. consumatore o per il cd. risparmiatore.
In realtà, dietro a questa "apparenza", si cela la "realtà"
di un mercato dei capitali, disciplinato ad (ab)uso e consumo proprio di quel
settore bancario che, lungi dal subire la presunta "efficiente"
concorrenza del mercato dei capitali, è piuttosto messo in condizione di
nascondere dietro allo scudo di un mercato fittizio, la licenza (generosamente
concessa ex lege) di operare in un regime di "esenzione".
Da quando esiste il mercato dei capitali - e cioè la "piazza" ove i
detentori di ricchezza diffusa incontrano «direttamente» i produttori di
ricchezza -, si è sempre parlato di disintermediazione bancaria, di concorrenza
fra banche e securities houses, e così via.
In realtà, l'incontro fra "detentori di ricchezza diffusa" (i
risparmiatori borghesi) e i produttori (le imprese) è sempre mediato dalla
haute finance, i commercianti del denaro.
E quando il profitto "reale" si fa scarso - perché, per usare un
termine keynesiano, l'efficienza marginale del capitale si riduce -, la haute
finance è in condizione di piegare non il «fatto», ma il «diritto» alle proprie
esigenze: quella di appropriarsi non del surplus produttivo reale (che non c'è
più o non più abbastanza abbondante) ma delle risorse esistenti (che si trovano
nelle mani, per dirla con Galbraith, di quegli "stupidi" dai quali
dovranno pur, prima o poi, distaccarsi...)
La disciplina dei derivati creditizi - istituto "apparentemente"
ostile alle banche tradizionali e amico al mercato dei capitali - è risultato
un classico esempio di come un preciso ceto globale (banche d'affari, banche
commerciali internazionali, hedge funds e i loro "procuratori": le
agenzie di rating) si sono - coll'esplicito "permesso" del
legislatore - appropriati della ricchezza di una larga fetta di un altro ceto
globale (il ceto medio occidentale).
La realtà bussa alle porte, ma la illusione resta più reale della realtà.
Ripristinare lo status quo è, infatti, impossibile: la ricchezza che si è mossa
in virtù di una "illusione finanziaria" normativamente autorizzata,
non tornerà più all'alveo originario, ma resterà, salvo quisquilie, dove l'ha
portata proprio quella "illusione".
Per dirla ancora una volta con Galbraith (57), le frodi cui è sempre
strutturalmente esposto il mercato dei capitali creano l'illusione di una
"prosperità apparente".
Il problema - deve però aggiungersi - è che quella prosperità non è affatto
interamente apparente: per taluni (coloro che, evidentemente, hanno reso
possibile, ad es., la licenza legislativa di dumping di credit default swaps),
quella prosperità è assolutamente reale.
1) M. WEBER, Storia economica - Linee di una storia universale dell'economia e
della società, Roma, 2003, 244, ad esempio, individuava i caratteri
social-tipici del capitalismo moderno in: «proprietà», «libertà di contratto»,
«tecnica razionale», «diritto razionale», «libertà di lavoro» e, per l'appunto,
«commercializzazione», quest'ultima intesa come "l'uso di titoli atti a
rappresentare diritti di partecipazione alle imprese e diritti
patrimoniali" (nei termini attuali si potrebbe, quindi, dire
"cartolarizzazione"). Il grande sociologo tedesco poi continua, op.
loc. cit.: "in quanto la commercializzazione si aggiunge alle altre
caratteristiche del capitalismo, viene accresciuta l'importanza di un ulteriore
elemento...: la speculazione. Essa può acquisire tuttavia quest'importanza solo
a partire dall'istante in cui un patrimonio assume la forma di titolo
negoziabile" (corsivo nel testo).
2) Per la configurazione della «azione» come un derivato sulla azienda
sottostante, si veda, ad esempio, ROSS-WESTERFIELD-JAFFE, Corporate Finance,
New York, 2008, 638.
3) La distinzione fra "speculazione" razionale e
"scommessa" irrazionale è, ovviamente, massimamente rilevante per
diritto italiano ai fini della nota questione della cd. eccezione di gioco ai
sensi dell'art. 1933 c.c. Sul punto, per tutti, VALSECCHI, Il gioco e la
scommessa, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da
Cicu-Messineo, Milano, 1986, XXXVII, t. 2, 38; FUNAIOLI, Il gioco e la
scommessa, in Trattato di diritto civile italiano diretto da Vassalli, Torino,
1961, 59; D'AMELIO, Commentario D'Amelio-Finzi, Firenze, 1949, 360.
Sul tema specifico dei contratti derivati, in dottrina, cfr. VALENZANO, I
contratti differenziali di borsa su divisa estera, Roma, 1929, 23; GABRIELLI,
Contratti di borsa, contratti aleatori e alea convenzionale implicita, in
questa Rivista, 1986, I, 570; PREITE, Recenti sviluppi in tema di contratti
differenziali semplici, in Dir. Comm. Internaz, 1992, 171; CARBONETTI, Dai
"valori mobiliari" agli strumenti finanziari, in Riv. Soc., 1996,
1119.
In giurisprudenza, si vedano, oltre alle risalenti App. Torino, 15 marzo 1927,
in Riv. dir. civ., 1927, II, 953 e App. Torino, 17 agosto 1927, in Foro
Subalpino, 1927, 1247, Trib. Milano, 20 febbraio 1997, in Gius, 1997, 1263;
Trib. Torino, 10 aprile 1998, in Contr., 1999, 46; App. Milano, 26 gennaio
1999, in Contr., 2000, 257; Trib. Milano, 2 aprile 2004, in Gius, 2004, 3328.
4) Sul punto si rinvia alla nota precedente.
5) La letteratura sulla crisi finanziaria e sul "fallimento delle
regole" è vastissima. Per tutti si rinvia a G. SOROS, The New Paradigm for
Financial Markets: The Credit Crisis of 2008 and What It Means, New York 2008,
passim (trad. it., Cattiva finanza. Come uscire dalla crisi: un nuovo paradigma
per i mercati, Roma, 2008), ove ampi riferimenti di letteratura statunitense.
6) Su una trattazione completa dell'istituto si rinvia a CAPUTO NASSETTI, I
contratti derivati finanziari, Milano, 2007, passim e spec. Cap. IX. (ove ampi
riferimenti alla vasta letteratura nordamericana); CAPUTO
NASSETTI-CARPENZANO-GIORDANO, I derivati di credito, aspetti civilistici
contabili e fiscali, Milano, 2001, passim; GIRINO, I contratti derivati,
Milano, 2001, 135.
7) In luogo di un'obbligazione sottostante determinata, la posizione protetta
può anche essere rappresentata da un "basket" di posizioni creditizie
individuate in massa. Spesso i CDS costituiscono copertura per interi
portafogli creditizi.
8) Nel caso in cui il CDS "copra" non una singola reference
obligation ma un basket di posizioni creditizie, non vi sarà, ovviamente, un
singolo debitore sottostante, ma una categoria di debitori.
9) Il contratto di credit default swap non è normativamente tipizzato né - ça
va sans dire - nel nostro ordinamento, né in quello statunitense ove esso ha
avuto origine nel corso degli anni '90 del secolo scorso. Nel 1999, tuttavia,
la International Swaps and Derivatives Association, che come è noto costituisce
la più importante associazione mondiale dei dealers di contratti derivati,
nonché il "soft law legislator" in materia, ha iniziato a produrre la
documentazione contrattuale standardizzata cui, nella quasi totalità dei casi,
le parti fanno riferimento (vi è, cioè, un ISDA Master Agreement applicabile
alla fattispecie credit default swap). Ogni informazione al riguardo è
reperibile sul sito www.isda.org.
10) Per una interessante ricognizione, sotto il profilo economico ed
istituzionale, del fenomeno del credit risk transfer, si veda BIS, The joint
forum - Credit risk transfer, Marzo 2005, disponibile
sul sito del Basel Committee on Banking Supervision,
http://www.bis.org/publ/joint13.pdf?noframes=1
11) Sul confronto fra derivato creditizio e contratto di assicurazione dal
punto di vista del diritto italiano, CAPUTO NASSETTI, (nt. 6), 403, il quale
sottolinea giustamente la non necessità, nel derivato creditizio, della
ricorrenza di una posizione di rischio in capo all'acquirente di protezione.
Per l'esame dal punto di vista del diritto nordamericano (canadese), si può
rinviare a The Classification and Regulation of Credit Derivatives, in corso di
pubblicazione su The Canadian Business Law Review. Per il diritto inglese, si
veda FINANCIAL SERVICES AUTHORITY, Cross?
Sector Risk Transfers, maggio 2002, disponibile all'indirizzo web:
http://www.fsa.gov.uk/pubs/discussion/dp11.pdf
12) Per un confronto fra la fattispecie del derivato creditizio e il contratto
di fideiussione, si veda, CAPUTO NASSETTTI, (nt. 6), 401; cfr. anche
ASTROPAOLO-PRAICHEUX, Qualità degli strumenti finanziari e loro applicazione ad
altri beni e contratti nel diritto francese e nel diritto italiano, in questa
Rivista, 2002, I, 219; GIRINO, (nt. 6), 140.
13) Il principio - direttamente derivante tanto dalla definizione codicistica
del contratto di fideiussione (art. 1936 c.c.), quanto dalla sua disciplina
(spec. art. 1939, art. 1941 e 1945 c.c.) - è espresso nei termini della
necessaria "accessorietà" della fideiussione. Da ultimo, Cass. civ.
17 ottobre 2008, n. 25361, in Obbl. e contr., 2009, 309: "Il principio di
accessorietà della garanzia comporta il venir meno della relativa obbligazione
tutte le volte in cui l'obbligazione principale sia estinta". Si badi
bene: anche per il "contratto autonomo di garanzia" - per il quale
non si predica la stessa caratteristica di accessorietà (intesa come assenza
della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni che
spetterebbero al debitore principale) - condizione di validità è, comunque, la
natura di "creditore" del soggetto garantito. Il rischio, insomma,
preesiste tanto alla fideiussione in senso proprio, quanto al contratto
autonomo di garanzia.
14) Vero è, infatti, che, ai sensi dell'art. 1946 c.c., "se più persone
hanno prestato fideiussione per un medesimo debitore e a garanzia di un
medesimo debito, ciascuna di esse è obbligata per l'intero debito, salvo che
sia stato pattuito il beneficio della divisione". Ma vero è anche che, ai
sensi del successivo art. 1954 c.c.: "se più persone hanno prestato
fideiussione per un medesimo debitore e per un medesimo debito, il fideiussore
che ha pagato ha regresso contro gli altri fideiussori per la loro rispettiva
porzione".
15) CAPUTO NASSETTI (nt. 6), 402, sottolinea altre differenze, che però,
soprattutto ai fini del discorso qui condotto, paiono accessorie e conseguenti
a quelle segnalate nel testo, e precisamente: impossibilità, per la
fideiussione, di essere prestata a condizioni più onerose rispetto al credito
garantito (art. 1941 c.c.), il che è invece ammesso e normale nel caso di un
CDS; principio di surrogazione, previsto per la fideiussione (art. 1949 c.c.)
ed escluso invece per il CDS; collegamento funzionale
fideiussione/inadempimento del debitore principale, necessario nel caso della
garanzia e invece escluso nel caso del CDS (nel contesto del quale il credit
event può essere anche un fatto del tutto diverso dall'inadempimento del
debitore principale).
16) I derivati creditizi sono generalmente trattati over-the-counter (si
chiamano, per l'appunto, OTC derivatives) e cioè al di fuori di mercati
regolamentati e su base di trattativa individuale. Essi sono quindi, per lo
più, "contratti" e non invece "strumenti finanziari
negoziabili". Tuttavia, a dispetto della loro non quotazione in pubblico
mercato, una parte assai consistente dei CDS (pari a poco meno della metà),
vuoi per via del consenso alla cessione del contratto pattuita in sede di
negoziazione privata, vuoi per via di una prassi comunque sviluppatasi de
facto, è oggetto di negoziazione (ancorché, ovviamente, su basi non
regolamentate). Sul punto si veda WESSEL, Wall Street is Cleaning Derivatives
Mess, in Wall St, J., 16, 2006, A2 e E. DICKINSON, Credit default swaps: So
Dear to Us, so Dangerous, 9 (relazione alla conferenza su Derivatives and Risk
Management del 20 novembre 2008 presso la Fordham Law School; il testo è
disponibile sul sito ssrn.com/abstract=1315535). Interessante anche BEALES,
Delphi Defied: How the Credit Derivatives Business is Finding Way to Retain its
Poise, Financial Times del 1 novembre 2005, 17. Occorre infine anche ricordare
che, a partire dalla seconda metà del 2007, il Chicago Mercantile Exchange ha
annunciato che avrebbe iniziato a "quotare" CME Credit Index Event
Contracts; si veda il CME Special Executive Report del 15 giugno 2007,
all'indirizzo http://www.cmegroup.com/rulebook/files/rule-changes-archives/20070618S-4585.pdf
17) Vedi nota precedente.
18) I credit default swaps stipulati con controparti che non hanno alcuna
esposizione creditizia nei confronti della reference entity sono per l'appunto
chiamanti "naked CDS", CDS "nudi", ovvero, stipulati a puro
scopo di "speculazione" e non invece di "copertura"
(hedging).
19) Sulla base dei dati pubblicamente disponibili parrebbe che, su un ammontare
di credit default swap con un valore nozionale pari a circa 65 trilioni di
dollari, la componente puramente speculativa risultava pari a circa un terzo.
20) Più "liberista" parrebbe, in realtà, il punto di vista di CAPUTO
NASSETTI (nt. 6), 411, per il quale: "la causa del credit default swap ...
consiste nello scambio di un premio a fronte dell'assunzione del rischio di
deterioramento del profilo creditizio di un Ente di Riferimento, e tale scambio
appare risultare meritevole di tutela al pari di quello del contratto di
assicurazione o di emptio spei". Per tale A., addirittura, "la
trasformazione del credito presente in tale portafoglio [quello degli
intermediari bancari] in una «materia prima» facilmente trasferibile e
negoziabile al di fuori del mercato bancario ..[consentirebbe di] ...affermare
che i credit derivatives concorrono al raggiungimento del fine istituzionale
delle banche centrali". L'argomento, a tacer d'altro, prova troppo: quanto
rilevato potrebbe valere per i credit derivatives stipulati a fronte di rischi
di credito già presenti nel patrimonio del protection buyer, mentre nel caso di
rischi creditizi cui il protection buyer è estraneo (cd. naked CDS), il
parallelo fra derivati creditizi e fini istituzionali delle banche centrali
(già di per sé piuttosto ardito) pare del tutto infondato.
21) Su tale profonda modifica dei sistemi finanziari mondiali si può rinviare
alle considerazioni assai equilibrate di PADOA-SCHIOPPA, Regulating Finance -
Balancing Freedom and Risk, Londra, 2005, 56. Proprio in tema di derivati, ID.,
I prodotti derivati: profili di pubblico interesse, in Bollettino Economico,
Banca d'Italia, 1996, n. 26, 61. Fra gli "entusiasti" delle nuove
frontiere aperte dall'industria dei derivati vi sono, ad esempio, quanto alla
recente letteratura giuridica americana: D.G. BAIRD, Other People's Money, 60
Stan. L. Rev. 1309 (2008); J. T. LINCH, Credit Derivatives: Industry Iniziative
Supplants Need for Direct Regulatory Intervention - A Model For the Future of
U.S. Regulation, 55 Buff. L. Rev. 1371 (2008). Da una prospettiva
economico-istituzionale, sui supposti benefici indotti dai derivati creditizi,
si veda: BASEL COMMITTEE ON BANKING SUPERVISION, A new capital adequacy
framework - Consultative paper, Basilea 1999; INSTITUTE OF INTERNATIONAL
FINANCE, Report of the working group on capital adequacy - Recommendations for
revising the regulatory capital rules for credit risk, Washington, 1998.
22) Un "classico" in materia di «ipotesi dei mercati efficienti», è
quella di E. FAMA Efficient Capital Markets: A Review of Theory and Empirical
Work, 25 J. Fin 383 (1970). Il punto di vista è - ovviamente - quello ben noto
della scuola di Chicago riconducibile allo "avversario" di Keynes, M.
Friedman.
23) Sul ruolo delle securitizations nel quadro della generale tendenza alla
"oggettivazione" del mercato del credito, si veda F. J. FABOZZI - V.
KOTHARI, Introduction to securitization, Hoboken, New Jersey, 2008; VRIES
ROBBÉ, Securitization law and practice: in the face of the credit crunch,
Austin, Texas, 2008; A. DAVIDSON, Securitization: structuring and investment
analysis, Hoboken, New Jersey, 2003; P.W. FEENEY, Securitization: redefining
the bank, New York, 1995.
24) Sul punto si veda, ad esempio, C. BOIDO, Gli strumenti di mitigazione del
rischio di credito: i derivati creditizi, in Analisi Finanziaria, 2003, n. 52.
25) La letteratura sul punto è vastissima. Ci si può limitare a rinviare, in
quanto paradigmatici dell'analisi di cui nel testo, a EASTERBROOK - FISCHEL,
Mandatory disclosure and the protection of investors, in 70 Va. L. Rev. (1984),
669; COFFEE JR. Market failure and the economic case for a mandatory disclosure
system, in 70 Va. L. Rev. (1984), pag. 717; e ci si permette anche di rinviare
a E. BARCELLONA, La responsabilità da informazione al mercato: il caso dei
revisori legali dei conti, Torino, 2003, 236, ove altri riferimenti.
26) Ci si permette di rinviare a E. BARCELLONA, (nt. 25), 236.
27) La contesa cui ci si riferisce è, notoriamente, quella fra il repubblicano
G.W. Bush - rivelatosi vittorioso per poche schede - e l'avversario democratico
A. Gore.
28) Si tratta dello stesso P. Gramm cui si deve la legge statunitense -
Gramm-Bleach-Bliley Act del 1999 che ha abolito parzialmente il Glass Steagall
Act del 1934. Per effetto della legge proposta da Gramm è venuto meno, negli
Stati Uniti, il principio di separazione fra banche di credito ordinario e
banche di investimento che aveva caratterizzato il sistema bancario americano
per tre quarti di secolo.
29) È ancora il presidente uscente Clinton ad apporre la propria sottoscrizione
negli ultimi giorni del suo mandato il 21 dicembre 2000
30) La section 3(a) del Securities Exchange Act del 1934, come modificato per
effetto degli interventi del senatore Gramm, esclude che tanto i
"non-security-based swap agreements", quanto i "security-based
swap agreements" costituiscano "security" ai fini dell'Exchange
Act. (con la conseguente disapplicazione di tutta la normativa a tutela degli
investitori). La stessa norma inoltre esclude dalla competenza della SEC gli
"swap agreements" come definiti nella section 206A del Gramm-Leach-Bliley
Act del 1999. Tale ultima disposizione definisce lo "swap agreement"
come "any agreement, contract, transaction between eligible contract
participants (as defined in section 1a(12) of the Commodity Exchange Act), ...,
the material terms of which (other than price and quantity are subject to
individual negotiation".
31) La definizione di "eligible contract participant" è quella
contenuta nel Commodities Exchange Act del 1936, section 1(a)(12): "1. a
financial institution; 2. a regulated insurance company, foreign or domestic;
3. a regulated investment company, foreign or domestic; 4. a regulated
commodity pool with total assets in excess of $5,000,000, foreign or domestic;
5. a corporation, partnership, proprietorship, organization, trust, or other
entity: a) that has total assets exceeding $10,000,000 ...; c) that has a net
worth exceeding $1,000,000 ....".
32) Citato sul Financial Times del 5 febbario 2008; si veda anche lo
"speech" di A. GREENSPAN del 25 settembre 2002, Regulation,
Innovation, and Wealth Creation, reperibile sul sito web della Federal Reserve www.federalreserve.gov/boardocs/speeches/2002/200209252/default.htm:
"by design, this market [quello dei CDS], presumed to involve dealing
among sophisticated professionals, has been largely exempt from government
regulation ... But regulation is not only unnecessary in these markets, it is
potentially damaging, because regulation presupposes disclosure and forced
disclosure and proprietory information can undercut innovations in financial
markets just as it would in real estate markets" (corsivo aggiunto).
33) Si veda ad esempio la audizione del 15 ottobre 2008 di E. SIRRI,
funzionario della Division of Trading and Markets - U.S. Securities and
Exchange Commission, To Review the Role of Credit Derivatives in the U.S.
Economy, reperibile sul sito
agriculture.house.gov/hearings/statements.html: "OTC market participants
generally structure their activities in CDS to comply with the CFMA's swap
exclusion fromte the Securities Act and the Exchange Act. These CDS are
"security-based swap agreements" under the CFMA, which means that the
SEC currently has limited authority to enforce anti-fraud prohibitions under
the federal securities laws, including prohibitions against insider
trading".
34) Per una trattazione istituzionale del tema, si vedano, tra i tanti, FERRO
LUZZI - CASTALDI (a cura di), La nuova legge bancaria, Milano, 1996, 209;
CAPRIGLIONE, sub art. 10 in Commentario al Testo Unico delle leggi in materia
bancaria e creditizia, Padova, 2001; CLEMENTE, sub art. 106, ibidem.; COSTI,
L'ordinamento bancario, Bologna, 2007, 193. Per un'analisi condotta alla luce
delle previgente L. 1/91, si veda CAPUTO NASSETTI, (nt. 6) 164; PERRONE,
Osservazioni a Trib. Milano 21 febbraio 1995 (ord.), e Trib. Milano 11 maggio
(ord.), in tema di applicabilità agli swaps della legge 2 gennaio 1991, n. 1,
in questa Rivista, 1996, II, 447. Sulla non necessità di alcuna autorizzazione
da parte di Banca d'Italia per l'esercizio dell'attività in derivati, si veda
anche: F. SACCOMANNI, Le problematiche relative agli strumenti finanziari
derivati, Audizione informale del Direttore Generale della Banca d'Italia,
Camera dei Deputati, 6° Commissione permanente (Finanze), pag. 7, reperibile
sul sito
http://www.adusbef.veneto.it/bancaditalia/derivati.pdf
(il quale però si occupa dei derivati "venduti" alla clientela
italiana e non dei derivati creditizi per lo più acquistati dalle banche per
migliorare il look del capitale regolamentare: si veda infra nel testo e in
note).
35) Per una trattazione istituzionale del tema, si vedano, tra i tanti, IEMMA,
sub art. 18 in ll testo unico dell'intermediazione finanziaria, a cura di C.
Rabitti Bedogni, Milano, 1998; SODA, sub art. 18 in Commentario al testo unico
delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di G. Alpa
e F. Capriglione, Padova, 1998; PALMIERI, sub art. 18 in Testo unico della
finanza, diretto da G.F. Campobasso, Torino, 2002. Per un esame del problema
trattato nel testo (applicabilità o meno della riserva di attività al business
dei derivati creditizi), rispetto, però, al dettato normativo antecedente al
recepimento della direttiva MIFID, si veda per conclusioni non dissimili da
quelle di cui nel testo, CAPUTO NASSETTI, (nt. 6), 171; COSTI-ENRIQUES, Il
mercato mobiliare, in Trattato di diritto commerciale diretto da G. Cottino,
VIII, Padova, 2004, 36 nt. 27.
36) Per una sintetica trattazione del FAS 133 può rinviarsi a SHEERER, Credit
derivatives: an overview of regulatory initiatives in the U.S. and Europe, in
Ford. J. Corp. And Fin. Law, 2000, 188.
37) Per una sintetica trattazione dello IAS 39, come recentemente modificato e
integrato, si rinvia a BETUNIO - MOLINARO, La crisi finanziaria impone
modifiche allo IAS 39 e all'IFRS 7, in Corr. Trib., 2008, 3713. In generale,
sullo IAS 39, anteriormente alle recenti modifiche, si veda PENNESI, Lo IAS 39
nella valutazione dei crediti, in Corr. Trib., 2007, 3599; BALDUCCI, Il
bilancio d'esercizio - Principi contabili nazionali e internazionali, Milano,
2007, 402; PWC, Principi contabili nazionali e internazionali, Milano, 2005,
630; GIACONIA, Il principio dello IAS 39 espone la nuova valutazione degli
strumenti finanziari, in Corr. Trib., 2005, 427.
38) Il testo dell'Accordo "Basile II" è disponibile sul sito http://www.bis.org/publ/bcbsca.htm; la letteratura,
giuridica ed economica, sull'accordo è sterminata. Ci si può qui limitare a
rinviare a Basilea 2. Il nuovo processo del credito alle imprese, a cura di E.
Facile e A. Giacomelli, Milano, 2008; GANGI - CAMPANELLA, Basilea 2
nell'economia dell'impresa. Allocazione delle risorse, gestione
dell'informazione e selezione aziendale, Roma, 2006; Basilea 2, IAS e nuovo
diritto societario, a cura di W. Vandali, Roma, 2007; METALLI, Basilea 2. Che
cosa cambia, Milano, 2003; DEZZANI, Basilea 2 e il merito creditizio delle
imprese, in Soc., 2007, 405; COSTA, Le regole di Basilea II tra tutela del
capitale delle banche e comportamenti virtuosi delle imprese, in Dir. Fall.,
2008, 98.
39) Quanto all'Italia, l'accordo Basilea II e la direttiva comunitaria sono
stati recepiti con d.l. 27 dicembre 2006, n. 297, convertito in l. 23 febbraio
2007, n. 15.
40) Quella prestata dal venditore di un CDS che, a fronte della protection
fornita, non presta alcuna garanzia reale a suo supporto.
41) I criteri di presentazione e di valutazione nonché gli schemi del bilancio
delle società assicurative sono disciplinati dal. Reg. ISVAP n. 22 del 4 aprile
2008, emanato in attuazione degli artt. 89 e 90 del codice delle assicurazioni
private (d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209), nonché dal d.lgs. 26 maggio 1997, n.
173. I criteri di formazione ed i principi di calcolo applicabili alle cd.
riserve tecniche sono fissati per il ramo danni e per il ramo vita
rispettivamente dal Reg. ISVAP n. 16 del 4 marzo 2008 e dal Reg. ISVAP n. 21 del
28 marzo 2008, emanati in attuazione degli artt. 36 e ss. del codice delle
assicurazioni private.
42) Direttiva 2006/49/CE del 14 giugno 2006; art. 53, d.lgs. 1° settembre 1993,
n. 385 e relative disposizioni di attuazione della Banca d'Italia (Circ. 263
del 27 dicembre 2006, Nuove Disposizioni di Vigilanza Prudenziale, in
particolare Tit. II, Cap. I).
43) Per la ratio della normativa assicurativa come strumento di protezione del
contraente debole, si veda A. MONTI, Buona fede e assicurazione, Milano, 2002,
passim; ID., Mercato unico europeo e diritto delle assicurazioni: problemi e
prospettive, in Danno e Resp., 2006, 820.
44) In tale prospettiva si veda, ad esempio, COSTI, (nt. 34), 556.
45) È nota l'efficace espressione del magnate della finanza, il multimilionario
W. BUFFETT, nel Berkshire Hathaway Annual Report del 2002: " the errors
usually reflect the human tendency to take an optimistic view of one's
commitments. But the parties to derivatives also have enormous incentives to
cheat in accounting for them. Those who trade derivatives are usually paid, in
whole or in part, on "earnings" calculated by mark-to-market
accounting. But often there is no real market, and "mark-to-model" is
utilized. This substitution can bring on large-scale mischief. As a general
rule, contracts involving multiple reference items and distant settlement dates
increase the opportunity for counter-parties to use fanciful assumptions. The
two parties to the contract might well use differing models allowing both to
show substantial profits for many years. In extreme cases, mark-to-model
degenerates into what I would call mark-to-myth" (corsivo aggiunto).
46) Se si esaminano i prospetti contabili (AIG 2008 Form 10-K) che la società
finanziaria controllata da AIG (la AIG Financial Products) ha depositato presso
la SEC si apprende, ad esempio, che "typically, the credit risk associated
with a designated portfolio of loans and debt securities has been tranched into
different layers of risk, which are then analyzed and rated by the credit
rating agencies. At origination, there is usually an equity layer covering the
first credit losses in respect of the portfolio up to as a specified percentage
of the total portfolio, and then successive layers ranging generally from a
BBB-rated layer to one or more AAA-rated layers. A significant majority of
AIGFP transactions rated by rating agencies have risk laers or tranches rated
AAA at origination and are immediately junior to the threshold level above
which AIGFP's payment obligation would generally arise". Sulla vicenda
AIG, si veda infra, nota 49.
47) Sull'uso da parte delle banche dei derivati creditizi allo scopo di
migliorare il proprio (apparente) ratio patrimoniale, si veda l'interessante
articolo di B.A.MINTON-R.M. STULTZR.WILLIAMSON, How much do banks use credit
derivatives to hedge loans, Fisher College of Business Working Paper No.
2008-03-001, disponibile sul sito http://ssrn.com/abstract=785364.
Vi si rileva come siano per lo più le banche con ratios patrimoniali deboli che
fanno ricorso massiccio ai derivati creditizi.
48) È ben noto come tanto il default di Lehman Brothers del settembre 2008,
quanto il bailout (salvataggio) pubblico di AIG (American International Group),
di poco successivo, siano conseguiti all'enorme esposizione in derivati
creditizi (prevalentemente speculativi) da parte, rispettivamente, di una
securities house non soggetta al controllo regolamentare della banca centrale
statunitense (per l'appunto Lehman) e di una società finanziaria (AIG Financial
Products o AIGFP) appartenente al gruppo di una delle più grandi conglomerate
finanziarie mondiali (per l'appunto AIG). Sugli effetti del mis-pricing dei
derivati creditizi tanto nel caso del fallimento Lehman, quanto nel caso del
salvataggio pubblico AIG, si veda E. DICKINSON, (nt. 16), 16, per il quale,
giustamente, "AIG [has destroyed] itself [Ndr: e non solo sé stessa,
aggiungiamo noi] by selling mis-priced CDS".
49) Dai prospetti contabili (AIG 2008 Form 10-k) depositati dalla conglomerata
finanziaria statunitense AIG presso la SEC si apprende, ad esempio, il seguente
dato assai significativo: "a total of $234.4 billion (consisting of
corporate loans and prime residential mortgages) in net notional exposure of
AIGFP's super senior credit default swap portfolio as of December 31, 2008
represented derivatives written for financial institutions, principally in
Europe, for the purpose of providing regulatory capital relief" (corsivo
aggiunto).
50) Molto pertinenti paiono le osservazioni di E. DICKINSON, (nt. 16), 15, per
il quale gli effetti conseguenti alla cattiva regolazione dei CDS sono assai
simili a quelli di una bolla finanziaria (asset bubble) conseguente ad una
politica monetaria irragionevolmente espansiva.
51) THE PRESIDENT'S WORKING GROUP ON FINANCIAL MARKETS, Policy statement on
Financial Markets Developments, 13 Marzo 2008, disponibile all'indirizzo web
http://www.treas.gov/press/releases/reports/pwgpolicystatemktturmoil_03122008.pdf.
52) THE PRESIDENT'S WORKING GROUP ON FINANCIAL MARKETS, Progress Update on
March Policy Statement on Financial Market Developments, Ottobre 2008,
disponibile all'indirizzo web http://www.ustreas.gov/press/releases/reports/q4progress%20update.pdf.
53) E.SIRRI, Testimony concerning Credit Default Swaps before the House
Committee, 20 novembre 2008 (http://www.sec.gov/news/testimony/2008/ts112008ers.htm).
54) G. GENSLER, Statement before the Senate Committee, 4 giugno 2009 (http://www.cftc.gov/stellent/groups/public/@newsroom/documents/speechandtestimony/opagensl
er-3.pdf).
55) Per il dibattito in dottrina, si veda E. DICKINSON, (nt. 16), 20.
56) Una riforma ispirata ai medesimi principi - istituzione di una CCP europea,
introduzione di vincoli di capitale, trasparenza e regolamentazione dei mercati
dei derivati - è stata in discussione anche al Parlamento Europeo negli ultimi
mesi del mandato appena scaduto. La Commissione Europea, dal canto suo, dopo
avere avanzato, già nel luglio 2008, una proposta di introduzione di
"capital requirements" nel settore dei derivati creditizi, fortemente
avversata - anche con una lettera al Commissario Mc Creevy - dal settore
bancario, ha apportato, con Direttiva 2009/27/CE del 7 aprile 2009, alcune
modifiche alla Direttiva 2006/49/CE nel senso di un maggior rigore nel calcolo dei
requisiti patrimoniali per il rischio di posizione in relazione ai CDS. La
Direttiva dovrà essere recepita dagli Stati Membri entro il 31 dicembre 2010.
57) K. GALBRAITH, L'economia della truffa, Milano, 2004, 30 e passim.
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