CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 27/02/2012 Scarica PDF
La transazione fiscale - e previdenziale - alla luce delle recenti sentenze della Cassazione: burocrazia, giurisprudenza e attività normativa
Federico Marengo, AvvocatoPremessa
L'esigenza di scrivere questo contributo, tornando nuovamente su argomenti già
oggetto di nostre precedenti riflessioni1, è stata indotta da due recenti
provvedimenti della Suprema Corte2 che per la prima volta ha affrontato la
questione della obbligatorietà o facoltatività della transazione fiscale, e la
connessa (pseudo) possibilità di falcidiare il debito Iva.
Nell'esporre le nostre idee, come è consuetudine, ma ancor più in questo
ragionamento, la scelta è di uno stile semantico estremamente semplice e
diretto così da comunicare, speriamo efficacemente, il senso del nostro
pensare, dato che questi argomenti, che da qualche anno tormentano la mente
degli studiosi, sono alquanto complessi. A nostro avviso, tuttavia, tale
complessità non sarebbe tanto una complessità ontologica, ossia propria delle
questioni esaminate, quanto piuttosto una complessità derivata dalla natura
interdisciplinare delle stesse: natura interdisciplinare che non può che
richiedere un approccio esegetico di tipo sistematico che vada al di là del
singolo dato normativo, involgendo princìpi di altre branche del diritto
positivo, quali il diritto tributario, il diritto del lavoro e il diritto
patrimoniale, oltre che, ma questo con riferimento al più ampio tema della
patologia di impresa, involgendo profili propri delle discipline economiche,
finanziarie ed economico-aziendali che si occupano del fenomeno della crisi di
impresa3.
I termini delle questioni di questo scritto, che formano oggetto di attento
vaglio dei tribunali ogni qual volta si presenta una domanda di concordato
preventivo, o si deposita un ricorso per omologazione dell'accordo di
ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis, l.f., riguardano: (i)
l'ammissibilità di un concordato preventivo avente ad oggetto - anche - i
debiti fiscali e previdenziali al di fuori dell'istituto della transazione
fiscale e previdenziale; (ii) se, patrocinando la tesi della negoziabilità con
il Fisco e con gli Enti previdenziali nell'alveo del concordato preventivo con
esclusione della transazione fiscale, sia ancora ammissibile - alla luce della
novella normativa e dei recenti provvedimenti giurisdizionali di legittimità -
una domanda di concordato preventivo che preveda una remissione del debito Iva.
Sulla facoltatività o obbligatorietà della transazione fiscale e
previdenziale
Qualora l'imprenditore in stato di crisi voglia risanare la propria azienda
ristrutturando anche i debiti verso il creditore Fisco e gli Enti
previdenziali, attraverso lo strumento concordatario, ovvero attraverso il
rimedio degli accordi ex art. 182 bis, l.f., è tenuto o meno ad osservare le
disposizioni di cui all'art. 182 ter, l.f.?
Sul punto sono intervenute le prime due pronunce della Suprema Corte4 la quale,
dopo aver precisato5 che la questione ... è stata oggetto di attenzione da
parte della giurisprudenza di merito e della dottrina6, in maggioranza
schierate per la facoltatività della transazione fiscale, contestata invece
dall'Amministrazione... ha concluso per la non obbligatorietà della transazione
fiscale, affermando che sia ammissibile la proposta di concordato preventivo
che preveda la remissione dei debiti tributari, anche in assenza della
transazione fiscale, alla quale l'imprenditore possa facoltativamente ricorrere
ove intenda perseguire le finalità/i benefici del consolidamento del debito
fiscale e della cessazione della materia del contendere.
Sicché ai fini dell'omologazione della proposta concordataria non sarebbe
necessario l'assenso dell'Erario, essendo sufficiente il raggiungimento delle
maggioranze prescritte per il princìpio per cui la maggioranza consenziente
vincola la minoranza dissenziente.
Guardando alle argomentazioni utilizzate a sostegno di questa conclusione, a
nostro parere, si rileva un intento concreto nobile, fortemente deficitario
tuttavia sul piano giuridico e foriero di uno stravolgimento dell'impianto
normativo appena riformato.
L'intento concreto nobile è favorire il superamento della crisi di impresa
attraverso il concordato preventivo sterilizzando/neutralizzando la situazione
ostativa di inerzia della Amministrazione finanziaria che si viene a creare
ogni qual volta sarebbe coinvolto il creditore Fisco: mancata partecipazione
del Fisco alle sorti risanatorie dell'impresa attraverso la puntuale
inosservanza del termine dei trenta giorni, la mancata risposta alla richiesta
di transazione, ovvero la mancata motivazione del rigetto.
L'interpretazione prospettata dalla Corte, fortemente ispirata allo spirito del
legislatore della riforma sulla crisi di impresa di favorire le operazioni di
risanamento in luogo delle mere attività liquidatorie, e indotta dalla
difficoltà oggettiva del veto posto dalla burocrazia ai tentativi di
risanamento, nell'offrire una apparente soluzione alla questione, in realtà,
rimuove gli effetti della inerzia della Amministrazione, ma non le sue cause,
con ripercussioni sull'intero tessuto normativo.
Tale interpretazione giurisprudenziale di legittimità, che si ripete lodevole
nel suo intento di superare la non curanza degli Uffici, tuttavia, offre una
soluzione carente sotto il profilo della sua giustificazione giuridica su di un
piano sistematico, e sarebbe foriera di creare una tendenza ermeneutica che, se
pur mossa da uno spirito applicativo della volontà del legislatore della
riforma, nei fatti, potrebbe invece andare nella direzione opposta di
conculcare e svilire la stessa voluntas legis.
In estrema sintesi, guardando al risultato del lavoro dei riformatori del nuovo
diritto sulla crisi d'impresa, le novità di diritto sostanziale di maggiore
rilevanza riguardano: (i) l'introduzione della locuzione "stato di
crisi" che va ad aggiungersi alla risalente espressione "stato di
insolvenza"; (ii) il trattamento parziale anche dei creditori
privilegiati; (iii) l'introduzione degli accordi ex art. 182 bis, l.f.; (iv) e
l'introduzione delle transazioni sia con il Fisco, sia con gli Enti
previdenziali.
L'intento che il legislatore della riforma abbia voluto perseguire con la
creazione di queste nuove regole è chiaro e pacifico: favorire il risanamento
dell'imprenditore in stato di crisi.
Se questo è l'intento, se precise e ben declinate sono le regole, una tale
interpretazione rischia di cancellare i due nuovi istituti espressione massima
della volontà riformatrice della funzione legislativa.
In altri termini, una tale interpretazione, se reiterata, rischierebbe di
cancellare un intera impostazione teleologica stravolgendo, a colpi di
decisioni giurispudenziali, e cestinando l'essenza dell'opera creatrice del
legislatore.
Affermare che la transazione fiscale non sia obbligatoria, così da non
subordinare le operazioni di risanamento della crisi al placet
dell'Amministrazione, la quale, ancorché dissenziente, sarà comunque vincolata
agli effetti di un concordato omologato a seguito dell'approvazione delle
maggioranze, equivale ad abrograre nei fatti gli artt. 182 bis e 182 ter, l.f.:
nessuno presenterà una proposta di accordo di ristrutturazione, dato che negli
accordi 182 bis l'accordo viene perfezionato con il 60% delle passività, e il
creditore estraneo deve essere regolarmente pagato, diversamente dal concordato
preventivo ove vige invece la regola della minoranza dissenziente vincolata
dalle decisioni della maggioranza consenziente; così come nessuno ricorrerà
alla transazione fiscale, oggi anche previdenziale.
Se si vuole un tale stravolgimento, allora dovrà essere lo stesso legislatore
che, così come li ha introdotti, dovrà abrogare gli artt. 182 bis e ter, l.f.,
prendendo atto di un mancato adeguamento - anche organizzativo - della
burocrazia alle novità del riformatore. Certo che, una tale scelta,
postulerebbe una prevalenza della funzione amministrativa sulla funzione
legislativa. Non crediamo che sia ciò che si voglia!
Un altro elemento utilizzato dalla pronuncia in esame è il recepimento della
Corte di quanto già sostenuto da una parte della dottrina e della
giurisprudenza di merito per cui il ricorso alla transazione fiscale
comporterebbe i benefici del consolidamento del debito fiscale e della
cessazione della materia del contendere, con ciò essendo quasi portati ad
intendere la transazione fiscale come una sorta di condono fiscale che, se
ottenuto, produrrebbe determinati effetti virtuosi per l'imprenditore.
Sul punto ci sia consentito questo iter logico ricostruttivo.
L'art. 182 ter, l.f., è una norma giuridica che ha in sé regole proprie di
diritto sostanziale e regole proprie di diritto procedurale.
Iniziamo con le norme di diritto sostanziale.
Il contenuto precettivo sostanziale si ha allorché la norma statuisce
proposizioni normative che incidono sui rapporti giuridici: nel caso di specie,
il rapporto giuridico obbligatorio fiscale e il rapporto giuridico obbligatorio
previdenziale.
E' regola di diritto sostanziale quella che prescrive la possibilità di offrire
pagamenti parziali e/o dilazionati dei debiti fiscali e previdenziali.
E' regola di diritto sostanziale quella che prescrive la possibilità di offrire
soltanto pagamenti dilazionati dei debiti per Iva e di quelli per ritenute
fiscali.
E' regola di diritto sostanziale quella che contempla la esclusione dei tributi
costituenti risorse proprie dell'Unione Europea.
Sono regole di diritto sostanziale quelle che disciplinano il trattamento tra
il credito fiscale e contributivo privilegiato e chirografario con gli altri
crediti, non fiscali né previdenziali, privilegiati e chirografari.
E' regola sostanziale quella che statuisce la cessazione della materia del
contendere nelle liti fiscali. In tal caso non si tratterebbe, come invece
indicato in sentenza, di un beneficio concesso all'imprenditore che ricorre
alla transazione fiscale. I benefici attengono a istituti più o meno vari che
realizzano, nei fatti, talune forme di condono fiscale; per cui per incentivare
l'utilizzo di particolari strumenti per la riscossione dei tributi si prevedono
alcune forme di protezione, tra cui la cessazione della materia del contendere.
Ma la cessazione della materia del contendere nell'ambito della transazione
fiscale risponde ad un ben altro fine: il superamento dello stato di crisi.
La transazione fiscale, come già rilevammo7, non è uno di quegli strumenti
contemplati per comporre le liti sorte con l'Amministrazione, o per prevenirne
l'insorgere, né tantomento è una di quelle forme di riscossione di tributi a
saggi scontati qualificati come "regimi di condono": si tratta di
procedure che offrono al contribuente l'opportunità di sanare le irregolarità
passate, dietro la corresponsione di somme per ottenere il beneficio della
protezione da sanzioni amministrative, sanzioni penali e accertamenti
tributari.
Ne la transazione fiscale è il concordato della legislazione prerepubblicana,
secondo cui per la Cassazione a sezione unite8 l'Ufficio ed il contribuente
definiscono bonariamente l'accertamento: sostanziandosi il concordato, dunque,
in un accertamento consensuale definitivo del debito di imposta, con la
conseguente rinunzia ai relativi mezzi di impugnazione.
La transazione fiscale di cui all'art. 182 ter è ben altra cosa. E' stata
concepita come uno strumento innovatore rispetto al passato, come uno strumento
per potenziare la forza dell'imprenditore nel suo tentativo di superare il
momento patologico della crisi. La regola sostanziale che prevede la cessazione
della materia del contendere non è altro che la conseguenza sul piano normativo
di questa impostazione teleologica: favorire un fresh restart dell'imprenditore
dando certezza e definitività al superamento di una situazione debitoria
pregressa.
Tutte queste norme precettive enumerate dall'art. 182 ter, l.f., sono regole
che disciplinano un rapporto tra un operatore pubblico e un operatore privato.
Quando si verte in materia di obbligazioni tributarie e previdenziali, si verte
in tema di obbligazioni che ab origine nascono come obbligazioni indisponibili,
ma che, successivamente, vedono affievolire questa indisponibilità attraverso
un affievolimento relativo della vincolatezza, tipica di un tempo oramai sempre
più remoto, in favore di una maggiore discrezionalità amministrativa relativa
da estrinsecare nei limiti, nelle forme, nei modi e nei termini - talvolta
anche quantitativi - prescritti dal legislatore primario impositivo.
Quest'ultimo inciso, "prescritti dal legislatore impositivo", rende
conto del significato dell'aggettivo "relativo" appena usato.
In altri termini, affievolimento relativo non significa negazione assoluta del
princìpio di indisponibilità, ma significa che lo stesso, relativamente ad
ipotesi tassativamente previste dalla norma tributaria istitutiva, può subire
una caducazione, senza tuttavia che da tale circostanza si possa inferire
l'invalidità in toto del princìpio, estendendo la deroga anche ad ipotesi non
previste. Diversamente ammettendo, in materia di indisponibilità si aprirebbe
una falla tale da stravolgere l'intero sistema tributario9.
Tutto quanto precede ci porta a concludere sul carattere eccezionale delle regole
sostanziali appena esaminate, che, in quanto tali, non sono suscettibili di
essere applicate in via analogica e che, dunque, possono trovare attuazione
soltanto nell'alveo dell'art. 182 ter, l.f., l'unica opportunità obbligatoria
offerta dal legislatore primario all'imprenditore in crisi per addivenire ad
una soluzione concertata della crisi con il Fisco e con gli Enti previdenziali.
Non sarebbero pertanto ammissibili remissioni e/o dilazioni di pagamento di
debiti fiscali e previdenziali al di fuori di quanto sancito dall'art. 182 ter,
l.f..
Passando alle norme di diritto procedurale, si tratta di tutte quelle regole
che disciplinano i comportamenti che debbono essere osservati per interloquire
con l'Amministrazione fiscale e previdenziale, così da realizzare quel modello
consensuale/partecipativo degli Enti alle sorti dell'imprenditore in crisi.
Tra queste regole procedurali c'è quella, aprioristica, per cui, quando si
vuole transigere con il Fisco si presenta agli uffici competenti la domanda con
le dichiarazioni fiscali, al fine di ottenere il consolidamento del debito
fiscale, o meglio, al fine di ottenere che il Fisco rilasci la certificazione
attestante l'entità del debito.
Non è questo un beneficio concesso all'imprenditore che attiva il rimedio della
transazione fiscale, ma una mera regola procedurale essenziale e aprioristica:
essenziale e aprioristica giacché occorre in primo luogo liquidare/determinare
il quantum debeatur così da avere chiarezza e certezza sull'ammontare della
pretesa sulla quale giungere ad un accordo estintivo.
Questa regola di condotta, precipuamente contemplata quando si tratta di
rapporti fiscali, non è invece espressamente prevista per l'imprenditore in
crisi nei suoi rapporti obbligatori non fiscali, sebbene sia nella diligenza
dell'uomo medio che intende perfezionare un accordo con i propri creditori
svolgere, dapprima, una attività ricognitiva, anche e non solo, per trovare
conferma nella controparte circa l'ammontare esatto della propria esposizione
debitoria: ammontare sul quale poi formulare la proposta di pagamento.
In altri termini, non è cristallizzato in alcuna formula giuridica, ma il
comportamento di chiedere (con le c.d. lettere di circolarizzazione) ai
creditori l'entità dei propri debiti rientra tra princìpi non scritti di
corretta gestione, anche in una fase patologica di vita dell'impresa e nel
tentativo di risanamento della stessa.
Accolto e fatto proprio il ragionamento che precede, si ripete che, se pur
lodevole sia stato lo sforzo della suprema Corte di superare la difficoltà
oggettiva della inerzia del Fisco, riteniamo tuttavia non soddisfacente la
soluzione di patrocinare la facoltatività della transazione fiscale, date le
conseguenze inevitabili che dall'accoglimento generalizzato di questa interpretazione
potrebbero derivare: la abrogazione, nei fatti, dell'opera del legislatore.
Si assisterebbe così ad uno stravolgimento delle funzioni statuali per cui la
burocrazia, per il tramite di una giurisprudenza assorbita dalla sua funzione
di applicazione della norma al caso concreto, arriverebbe a svolgere la
funzione di distruzione di norme giuridiche, attraverso, da un lato,
l'interpretazione giurisprudenziale per cui la transazione è facoltativa, e,
dall'altro lato, attraverso l'indifferenza degli Uffici alle proposte
transattive.
Ipotesi questa che deve essere fermamente ricusata, dato che il salto in avanti
del nostro legislatore non può, ne deve essere svilito da una Amministrazione
inerte, indifferente e noncurante delle sorti di una impresa
in crisi, ovvero, se proiettiamo questo discorso a livello macro, noncurante
delle sorti del sistema economico del Paese.
E allora occorre un nuovo intervento del normatore che, per dare certezza ai
rapporti, potrebbe anche allungare il termine dei trenta gg. ad uno
maggiormente compatibile con l'organizzazione dell'Amministrazione, dando
tuttavia valore normativo perentorio ed inderogabile al termine di risposta, e
prescrivendo l'obbligo di una congrua motivazione sia per le ipotesi di
accoglimento che di rigetto delle proposte transattive.
Ora, mentre il creditore privato può decidere in maniera del tutto arbitraria
se aderire o meno ad una operazione di ristrutturazione, poiché sta disponendo
di qualcosa che gli appartiene, e del suo danaro può far quel che vuole, il
creditore Fisco gestisce un credito che appartiene alla collettività, ossia
gestisce danaro pubblico; ne segue che tra l'alternativa del fallimento e
l'alternativa della ristrutturazione gli Uffici dovrebbero congruamente
motivare le ragioni del rigetto, partecipando attivamente alle fasi che
precedono l'omologazione, al pari di qualsiasi altro creditore.
Non si vuole un Fisco completamente appiattito che per paura di incorrere in
ipotesi di responsabilità aderisca a qualsiasi proposta di transazione fiscale,
ma si vuole un Fisco ragionevolmente informato che sia posto nelle migliori
condizioni oggettive per decidere e motivare il rigetto.
Certo che questo processo, se autoindotto, postula un mutamento
nell'atteggiamento culturale tale da richiedere decenni. Ragione per cui
diviene indefettibile e non più procrastinabile un intervento del normatore che
introduca modalità persuasive e inderogabili che favoriscano una maggiore
partecipazione del Fisco, e naturalmente degli Enti previdenziali (ove il
disorso è speculare), affinché sia dato un completamento disciplinare ai due
istituti degli accordi 182 bis e della transazione 182 ter, l.f..
Ancora, sull'ammissibilità o meno di una falcidia dell'iva
Alla questione della obbligatorietà o facoltatività della transazione fiscale
si riconnette il discorso dell'Iva, o forse, e meglio, al tema dell'Iva si
ricollega la questione della obbligatorietà o meno della transazione fiscale.
Prima del recente intervento della Suprema Corte, avevamo registrato la
tendenza della giurisprudenza di merito che sosteneva la facoltatività della
transazione fiscale a ritenere ammissibili concordati preventivi che, privi di
transazione fiscale, avessero contemplato pagamenti parziali del debito Iva,
dato che l'art. 182 ter l.f. non sarebbe applicabile al di fuori della
transazione fiscale.
Sul punto, dopo aver più volte sostenuto la inderogabilità della prescrizione
primaria che prevede il divieto di rimettere il debito Iva, anche e soprattutto
per la sua natura di tributo comunitario (nozione ben diversa da quella di
risorsa propria dell'Unione Europea), avevamo evidenziato10 che la applicazione
o la non applicazione della norma che vieta la remissione dell'Iva ad opera dei
Tribunali, di volta in volta chiamati ad esprimersi in materia di ammissibilità
dinanzi ad una domanda giudiziale di apertura della procedura di Concordato
preventivo, avrebbe condotto alla circostanza che su casi non simili, ma
identici nell'oggetto, quali sono appunto le proposte di Concordato preventivo
con falcidia dell'Iva, vi sarabbero state decisioni giurisprudenziali
differenti.
La preoccupazione che avevamo sollevato era il rischio che, sul piano
operativo, si andasse diffondendo una pratica che, con espressione eufemistica,
definimmo come mercato delle Corti giudiziarie ovvero il c.d. forum shopping.
Ora la Corte di Cassazione, con le prime due pronunce sull'argomento, nel
chiarire che la disposizione dell'art. 182 ter che impone l'integrale pagamento
dell'Iva trova applicazione a prescindere dall'attivazione o meno della
transazione fiscale, ha attenuato, ma forse non ha eliminato del tutto il
rischio di cui sopra.
Se si torna un po' al recente passato, tutta la disputa dottrinale sulla
facoltatività o obbligatorietà della transazione fiscale nacque,
principalmente, proprio allorché il legislatore intervenne11 novellando l'art.
182 ter con la regola del pagamento integrale dell'Iva.
Fu in quel momento che, stante, talvolta, la significativa incidenza del debito
Iva sulla esposizione debitoria dell'imprenditore in crisi, parte della
dottrina e parte della giurisprudenza di merito cominciarono a patrocinare la
facoltatività della transazione fiscale così da consentire la falcidia dell'Iva
attraverso concordati preventivi senza transazioni fiscali.
In altri termini, l'esigenza concreta avvertita era la ristrutturazione del
debito Iva all'indomani della nuova disposizione dell'art. 182 ter, a cui seguì
la costruzione dottrinale per elaborare la modalità attraverso la quale
continuare a soddisfare l'esigenza concreta: ritenere non obbligatoria
l'attivazione della transazione fiscale e, dunque, l'applicazione della norma
sulla transazione fiscale, così da continuare a soddisfare l'esigenza concreta
delle falcidia del debito Iva.
In conclusione, la Corte di Cassazione con queste due pronunce, da un lato, nel
ribadire l'inderogabilità dell'art. 182 ter che impone il pagamento integrale
dell'Iva ha/avrebbe rimosso l'esigenza concreta della falcidia dell'Iva
avvertita dal mondo degli affari, (forse) scongiurando il rischio del
proliferare di diversi orientamenti giurisprudenziali di merito sull'argomento,
e, dall'altro lato, nel patrocinare la tesi della facoltatività della
transazione fiscale (e, implicitamente, anche di quella previdenziale) per ovviare
ad una situazione di stallo indotta da un comportamento inerte
dell'Amministrazione, avrebbe sacrificato sull'altare i due istituti veri
elemento di forza innovativa di tutta la riforma del nuovo diritto sulla crisi
d'impresa.
1) LA MALFA - MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, Santarcangelo di
Romagna, 2010.
2) CASS. Civile, sez. I, 4 novembre 2011, n. 22931 e 22932.
3) Si veda MARENGO, Accordi di ristrutturazione dei debiti, Torino, 2008, p.
1-48.
4) CASS. Civile, sez. I, 4 novembre 2011, n. 22931 e 22932.
5) CASS. Civile, cit., n. 22931.
6) Per una rassegna della giurisprudenza di merito si veda MARENGO,
Giurisprudenza civile di merito in tema di remissione dell'Iva nell'ambito del
concordato preventivo con o senza transazione fiscale, in www.ilcaso.it,
sez. II, doc. 192/2010, 13 marzo 2010.
7) MARENGO, Effettività delle norme impositive tributarie, in LA MALFA -
MARENGO, op. cit, p. 59-63.
8) CASS. Sez. unite, 17 gennaio 1934, n. 58758; 16 gennaio 1936.
9) Sul tema si rinvia a MARENGO, Coercizione delle norme impositive tributarie,
in LA MALFA - MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, Santarcangelo di
Romagna, 2010, p. 21-57.
10) MARENGO, Oggetto della transazione, in LA MALFA - MARENGO, op. cit., p. 99-
130.
11) Art. 32, d.l. 29 novembre 2008, n. 185.
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