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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 13/08/2014 Scarica PDF
Ius poenitendi nell'offerta fuori sede: tra contrasti giurisprudenziali e novelle legislative permangono le incertezze applicative. Commento a Cass. civ. Sez. III, sentenza 3 aprile 2014 n. 777
Vittorio Mirra, Avvocato, Dottorando di ricerca in "Diritto e Impresa" presso la LUISS Guido Carli, RomaSommario: I. Il caso - II. Le questioni principali: il concetto di collocamento e la logica dello ius poenitendi - III. Una possibile analisi critica e dinamica dei principali passaggi argomentativi. Alcune perplessità - III.1 L’inquadramento negoziale della fattispecie: la panacea del generico richiamo alla buona fede - III.2 Lettura costituzionalmente orientata - III.3 Ratio legis e criteri di interpretazione ex art. 12 delle preleggi. Ancora sulla buona fede e sulla compliance degli intermediari - IV. I limiti dell’intervento “razionalizzante” effettuato con il c.d. “decreto del fare”: un’occasione perduta? - V. Un auspicio proiettato verso scenari futuri: la necessità di superare l’ “effetto sorpresa”
La Suprema Corte con la sentenza n. 7776 depositata il 3 aprile 2014 si è nuovamente occupata del tema dell’offerta fuori sede e delle conseguenze giuridiche derivanti dalla mancata previsione della facoltà di recesso da parte del risparmiatore nei contratti di offerta fuori sede di prodotti finanziari.
Più in particolare, nel caso de quo un istituto di credito aveva – fuori dai locali commerciali della banca e dalle sue dipendenze[1] – sottoscritto con un cliente una operazione finanziaria caratterizzata da:
1. un finanziamento;
2. l’acquisto – con parte delle disponibilità assunte con il finanziamento sub punto 1 – di titoli obbligazionari emessi dallo stesso istituto di credito e non quotati;
3. l’acquisto – con la restante parte della somma finanziata – di quote di un fondo di investimento (emesso da una società controllata dall’istituto di credito) collocate presso il pubblico dalla banca in questione.
I titoli obbligazionari e le quote del fondo di investimento sopra citati venivano contestualmente costituiti in pegno a favore della banca a garanzia della restituzione del finanziamento concesso al cliente.
Essendo i contratti di finanziamento, di acquisto delle obbligazioni e delle quote del fondo di investimento privi della menzione dell’attribuzione del diritto di recesso per il risparmiatore (contenuta soltanto del prospetto informativo relativo all’operazione di acquisto delle quote del fondo di investimento sopra citato), è stata contestata la violazione delle previsioni dell’articolo 30, comma 7, del Testo Unico della Finanza (d.lgs. 24.2.1198 n. 58, di seguito per brevità “TUF”), contrariamente a quanto sancito dalla sentenza della Corte di Appello di Brescia investita della questione[2], la quale escluse che il contratto stipulato tra le parti in causa potesse considerarsi nullo per mancanza dell’avviso sul diritto di recesso.
In sostanza, la Suprema Corte ha stabilito che il diritto di recesso sancito dall’art. 30, comma 7, del TUF si applica sia nel caso di collocamento di strumenti finanziari che nel caso di mera negoziazione di titoli[3].
Tale principio contrasta con il recente intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 3 giugno 2013 n. 13905) nonché col successivo intervento del legislatore che ha provveduto ad emendare il comma 6 dell’articolo 30 del TUF (cfr. art. 56-quater del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito con modifiche dalla l. 9 agosto 2013 n. 98; di seguito il “decreto del fare”), creando non pochi dubbi sulla tenuta dei contrati stipulati dagli intermediari e sulla portata innovativa e chiarificatrice propugnata dal citato decreto del fare.
Per la Cassazione l’intervento effettuato dal d.l. 69/13 non può ritenersi norma di interpretazione autentica, e non ha l’effetto di sanare eventuali nullità dei suddetti contratti, laddove gli stessi - stipulati prima del 1° settembre 2013 - siano privi della clausola sul diritto di ripensamento.
II. Le questioni principali: il concetto di collocamento e la logica dello ius poenitendi
Prima di addentrarci nell’analisi di alcuni specifici punti della sentenza in commento, focalizzandoci su dubbi e possibili visioni parziali e considerazioni di metodo, va brevemente enucleata la cornice entro la quale costruire le brevi riflessioni che si forniranno sul tema dell’offerta fuori sede e del c.d. diritto di ripensamento. Il punto cardine è infatti la definizione di “collocamento” ed il significato che tale termine debba assumere all’interno dell’art. 30 TUF.
Come noto, il dibattito è ampio sul punto e l’intervento della terza sezione civile della Suprema Corte rappresenta un nuovo tassello da aggiungere in merito alla corretta interpretazione delle regole fissate in tema di offerta fuori sede dall’articolo 30 del TUF ed in particolare sui confini ed i limiti di applicabilità del diritto di recesso previsto a favore dell’investitore dal comma 7 della citata norma[4].
Sul tema si sono alternati interventi giurisprudenziali, e di recente anche legislativi, che si sono orientati sostanzialmente verso due tesi contrapposte[5]: una teoria fondata su una interpretazione restrittiva della citata norma del TUF[6], fondandosi sul dato letterale e dunque limitando lo ius poenitendi al collocamento di strumenti finanziari ed alla gestione di portafogli individuali[7], species definite all’interno del più ampio genus dei servizi d’investimento offerti fuori sede[8], ed una teoria estensiva[9], rinvigorita dal recente intervento delle Sezioni Unite della Cassazione[10], la quale invece considera la locuzione “collocamento presso il pubblico”, contenuta nell’art. 30 del TUF, una formula che deve essere interpretata in senso ampio e dunque comprensiva di tutti i servizi di investimento[11].
Detto ciò, si cercherà di vagliare il percorso logico-argomentativo seguito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 7776/2014 e cercare di coglierne alcune incongruenze o meglio alcuni percorsi logico-argomentativi che non appaiono dirimenti.
A livello ermeneutico, infatti, non appare condivisibile la tesi che ritiene inaccettabile un diverso significato del termine “collocamento” usato nei commi 1 e 7 dell’art. 30 del TUF, significato che renderebbe – a dire della Corte – la norma “di fatto inapplicabile” o addirittura “inutile”.
Non ha senso parlare di “adozione di due pesi e due misure”, poiché deve tenersi conto dell’approccio storico, sistematico e letterale relativo alle disposizioni del TUF in questione. Nel primo comma del citato art. 30 la locuzione “collocamento” è usata con valenza ampia (tale da ricomprendere anche l’attività di distribuzione di servizi di investimento), in quanto espressiva di un fenomeno (i.e. l’offerta fuori sede)[12], mentre l’espressione “contratti di collocamento di strumenti finanziari[13] o di gestione di portafogli” ha una valenza tecnica e restrittiva, regolatoria di una conseguenza giuridica, e cioè della sospensione dell’efficacia di specifici contratti[14].
Sembra più opportuno dunque considerare due concetti diversi di collocamento espressi nell’art. 30 del TUF[15], tanto più che vi è da chiedersi se l’intenzione del legislatore fosse stata quella di ricomprendere anche tutti i servizi esecutivi di ordini dei clienti e la gestione di portafogli, perché quest’ultimo non abbia utilizzato una espressione ampia – come quella contenuta nel comma 1 – che potesse ricomprenderli agevolmente senza necessità di iperboli ermeneutiche[16].
La ratio legis non può dunque essere forzata fino a ricomprendere ciò che non risulta dal testo legislativo né da una analisi del sistema di natura concreta.
Attraverso l’analisi del dictum della Corte di Cassazione si cercherà pertanto di evidenziar come non possono essere taciute le differenze strutturali che caratterizzano i vari servizi di investimento e l’impatto che l’eventuale estensione dello ius poenitendi potrebbe avere sul mercato finanziario e sulle offerte di tali servizi fuori sede.
Nella conclusione di un contratto di gestione di portafogli individuali - caratterizzato dall'attribuzione all'intermediario di margini di autonomia decisionale tali da consentirgli valutazioni discrezionali nell'individuazione delle operazioni da eseguire per conto dei clienti - e di un collocamento di strumenti finanziari - che presuppone un preventivo accordo tra intermediario collocatore ed emittente (od offerente) finalizzato all'offerta di strumenti finanziari - l'apposita tutela garantita all'investitore è apprestata al fine di contenere l'effetto sorpresa. In tali casi, in difetto della sospensione di efficacia del contratto, lo stesso vincolerebbe il cliente con effetto immediato. Similmente, lo ius poenitendi opera in tutti quei casi nei quali, sulla base di una consulenza non indipendente in ragione di una remunerazione riconosciuta dall'emittente-offerente all'intermediario, quest'ultimo consigli la sottoscrizione o l'acquisto di un determinato strumento finanziario.
Analoga esigenza di tutela non emerge invece con riguardo alla conclusione dei contratti di esecuzione di ordini per conto dei clienti nonché di ricezione e trasmissione ordini, in quanto essi rappresentano accordi-quadro in cui vengono fissati i diritti e gli obblighi dell'intermediario e dei clienti in vista del successivo inoltro degli ordini da parte dei clienti stessi. Anche per le disposizioni impartite dagli investitori, in attuazione di facoltà già previste nell'accordo-quadro, non si rinviene la ratio ispiratrice della disciplina in tema di ius poenitendi, considerato che non sembra ricorrere in dette ipotesi una situazione in cui l'investitore sia esposto al rischio di assumere decisioni con effetto immediato e poco meditate in esito ad una "offerta" dell'intermediario (cfr. Consob Comunicazione n. DIN/12030993 del 19.4.2012).
Tale limitazione del resto (anche storicamente) risponde ad una precisa logica. Per quanto attiene alla gestione di portafogli, lo ius ponitendi viene offerto al cliente per soppesare meglio i rischi sottesi all’affidamento ad un soggetto terzo di somme e valori che questi dovrà gestire attraverso operazioni svincolate – in principio - da successive autonome determinazioni di volontà dell’investitore; per il collocamento – e adesso per la negoziazione in conto proprio – lo ius poenitendi è invece funzionale ad attribuire al cliente una “pausa di riflessione” che neutralizzi l’interesse dell’intermediario a “disfarsi” di titoli rispetto ai quali esso abbia, a monte, “obblighi distributivi” o un “rischio di posizione” da presidiare[17].
In sostanza, il discrimen deriverebbe dalla circostanza che solo nel servizio di collocamento è sempre presente una componente “propositiva” diretta nei confronti dello specifico investitore da parte dell’intermediario che ha ricevuto apposito incarico dall’emittente, incarico da cui sorge l’obbligo per l’intermediario collocatore di sollecitare il pubblico alla sottoscrizione o acquisto di uno specifico strumento finanziario (cfr. Comunicazione Consob n. 97006042/1997 del 9 luglio 1997). Lo ius poenitendi è legato pertanto ad una attività lato sensu sollecitatoria svolta dai promotori[18] e dovrebbe pertanto essere escluso per gli investimenti realizzati su iniziativa del cliente[19].
III. Una possibile analisi critica e dinamica dei principali passaggi argomentativi. Alcune perplessità
III.1 L’inquadramento negoziale della fattispecie: la panacea del generico richiamo alla buona fede
Di seguito si cercherà di vagliare con taglio critico alcuni dei passaggi argomentativi della sentenza in commento che destano perplessità proprio sul piano che la Corte stessa ha cercato di ergere a baluardo dei propri ragionamenti e cioè quello ermeneutico.
In una materia, come quella del diritto finanziario, costantemente oggetto di interventi evolutivi necessari per cercare di fare in modo che – come sostenuto da Guido Rossi – la legge (i.e. il diritto) non insegua perennemente un mercato sempre più evoluto e complesso[20], alcuni richiami generici paiono non essere sempre calzanti e mostrano tutti i loro limiti se confrontati con una interpretazione di natura storica, sistematica e di analisi economica che tenga conto delle implicazioni funzionali e concrete della materia.
Ma procediamo con ordine.
L’operazione finanziaria descritta in precedenza – e formata da tre distinti negozi giuridici – è considerata dalla Corte come un “contratto unitario, perché unitaria ne fu la causa”, negandosi che nel caso di specie si possa individuare un collegamento negoziale “perché le singole operazioni previste per raggiungere lo scopo finale dell’investimento non avevano alcuna autonomia concettuale, giuridica o pratica”.
In realtà, sebbene ciò non muti la necessità di prevedere condizioni generali includenti il diritto di recesso, nel caso de quo sembra sussistere quella combinazione di più contratti dotati di autonoma causa funzionalizzati al perseguimento di un interesse unitario. E’ proprio questo interesse unitario ad impedire che l’indicazione del diritto di recesso possa far riferimento solo ad uno dei “tasselli” dell’operazione finanziaria, proprio perché tutti i tre i negozi giuridici citati, sebbene dotati di autonoma causa se considerati singolarmente, presentano una interdipendenza la quale fa sì che le vicende dell'uno si ripercuotono necessariamente sull'altro condizionandone validità ed efficacia[21]. In sostanza, ricorrono entrambi i requisiti per correttamente individuare un collegamento negoziale[22]: un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volto alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti, ed un requisito soggettivo, costituito da comune intento pratico delle parti di volere non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale[23].
Alla luce di quanto sopra, l’inserimento della facoltà di recesso per l’investitore soltanto nel prospetto informativo delle quote del fondo investimento deve, infatti, considerarsi a tal fine insufficiente, sia perché il prospetto è un atto esterno al contratto, sia perché in tal modo la clausola di recesso è riferibile alla sola sottoscrizione di fondi comuni e non, come dovrebbe essere in considerazione del collegamento negoziale tra i vari contratti, all’intera operazione finanziaria[24].
Infine, non necessario e condivisibile è forse da considerarsi il richiamo alla violazione del generico obbligo di chiarezza (“il dovere del clare loqui, ovvero di parlare chiaro”): in tale contesto non è infatti rilevante una ambiguità contrattuale, che richiede il richiamo del rispetto dei principi generali dell’ordinamento, quanto piuttosto sarebbero individuabili delle specifiche violazioni di legge e regolamentari poste in essere dall’intermediario. In altre parole, l’investitore non è stato messo in una situazione di incertezza ed ambiguità sull’interpretazione del proprio diritto di recesso, quanto piuttosto è l’intermediario che è incorso in un inadempimento contrattuale, avendo violato gli obblighi in riferimento alla trasparenza ed alle informazioni da fornire alla propria clientela in merito alle operazioni di investimento poste in essere attraverso la banca[25]. Tale mancata compliance da parte dell’intermediario verrà di seguito meglio chiarita ed analizzata.
III. 2 Lettura costituzionalmente orientata
Va sottolineato che anche la lettura costituzionalmente orientata basata sugli articoli 47 e 3 della Costituzione[26] appare generica e priva di mordente.
Premesso che non manca in dottrina chi sottolinea la valenza meramente retorica di una tale interpretazione[27], andrebbe comunque sottolineato che l’uguaglianza in senso sostanziale include senz’altro la possibilità di una ragionevolezza della differenziazione[28], tanto più se coerente ed aderente all’originaria volontà del legislatore. Ed è tale ragionevolezza che impedisce di accumunare tutti i servizi di investimento, non potendosi sottacere delle differenze sostanziali di caratteristiche basilari di tali attività che impedirebbero, in alcuni casi, di sospendere l’efficacia dei contratti senza che il servizio dell’intermediario sia in sostanza impossibilitato nella sua concreta attuazione.
Il bene primario da tutelare nel compimento dei servizi e delle attività di investimento fuori sede è l’intero sistema finanziario (e tale bene include anche la tutela dei risparmiatori – anch’essi parte del sistema finanziario); l’esigenza di garantire gli investimenti e la continuità del sistema finanziario è argomento unificatore che non richiede alcuno sforzo di contemperamento tra interessi costituzionalmente garantiti[29]. La funzionalità del mercato costituisce infatti la migliore tutela del consumatore e lo ius poenitendi è un meccanismo correttivo per assicurare tale funzionalità: esso è parte del sistema con lo scopo precipuo di riequilibrare le posizioni contrattuali. D’altronde non può non notarsi come il diritto di ripensamento sia stato oggetto di interventi legislativi “evolutivi”, i quali però hanno omesso di estenderlo espressamente a contratti diversi da quelli indicati dall’art. 30, comma 6, del TUF, valutando pertanto la necessità di un chiaro intento sollecitatorio senza autonome manifestazioni di volontà da parte del cliente[30]: ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit[31].
III.3 Ratio legis e criteri di interpretazione ex art. 12 delle preleggi. Ancora sulla buona fede e sulla compliance degli intermediari
E’ senz’altro corretto affermare che lo scopo della norma (i.e. l’esigenza di tutela da essa sottesa) – come afferma la Corte di Cassazione - sussisterebbe sia nel caso di negoziazione fuori sede che di collocamento fuori sede.
Il dubbio riguarda piuttosto la possibilità che la ratio legis, senz’altro meritevole, possa soppiantare una lettura sistematica della norma che sia compatibile con i criteri di interpretazione delle leggi ed in particolare che rispecchi l’intenzione del legislatore.
Come noto, ai sensi dell’art. 12, comma 1, delle preleggi il “significato proprio delle parole” di cui all’art. 30, comma 6, del TUF non consentirebbe di estendere la disciplina dello ius poenitendi a fattispecie diverse dal contratto di collocamento di strumenti finanziari e dal contratto avente ad oggetto il servizio di gestione patrimoniale conclusi fuori sede[32].
In considerazione dei criteri interpretativi indicati dalle preleggi, dunque, sembrerebbe che il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2013 (espressione massima della interpretazione estensiva dell’art. 30, comma 6, TUF) nell'ambito della propria funzione nomofilattica si sia spinto a superare – per parte della dottrina – la lettera della norma e l'intenzione del legislatore, fino a rivelarsi sostanzialmente additivo, più che di esegesi correttiva, rispetto alla legislazione vigente[33].
D’altronde le operazioni interpretative devono essere guidate dal citato articolo 12 delle preleggi, essendo la ricerca della "ratio legis" soltanto un criterio sussidiario d'interpretazione in presenza di norme di dubbio contenuto, che non può certo valere a disattendere la portata della norma qualora questa, sia pure contro le intenzioni del legislatore, abbia un inequivocabile significato[34]. Nel caso di specie, la formulazione dell’art. 30 TUF e le differenze di concetti giuridici in precedenza esemplificate non possono ritenersi incompatibili con il sistema normativo esistente[35] e il significato “fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore” pare giustificare la tesi restrittiva.
In quest’ottica andrebbe inquadrata la differenza del “contratto di collocamento” di cui all'art. 30, comma 6, TUF rispetto al “servizio di collocamento” di cui al comma 1[36]. Il contratto di collocamento si colloca infatti a valle del servizio di collocamento, poiché concerne l’acquisto o la sottoscrizione di strumenti finanziari posti in essere dall’investitore (contratto investitore-intermediario collocatore[37]) come momento successivo e differente dall’accordo tra l’emittente e l’intermediario collocatore (i.e. servizio di collocamento stipulato a monte)[38]. Inoltre, non va dimenticato che gli interessi tutelati dalla normativa sopra citata sono sistemici in quanto hanno riguardo all’integrità del mercato, al corretto funzionamento dello stesso, con implicazioni sulla fiducia dei risparmiatori e di riflesso sulla stabilità dell’intero sistema finanziario. Pertanto, se si allargasse l’ambito di applicazione dello ius poenitendi come indicato dalle Sezioni Unite si rischierebbe di danneggiare l’intero sistema finanziario (rischi di arbitraggio[39]), poiché solo le gestioni di patrimoni individuali sono concepite in modo tale da poter tranquillamente gestire una sospensione dell’efficacia di contratti per sette giorni[40] (che in sostanza ritarderebbe soltanto l’operatività sul mercato del gestore[41]), senza i rischi sistemici sopra accennati.
Come anticipato, soprattutto alla luce dell’evoluzione della normativa in ambito finanziario e dei permeanti obblighi in capo agli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento[42], sembrerebbe più opportuno ragionare di inadempimento contrattuale dell’intermediario stesso in caso di mancata informazione del diritto di recesso in capo all’investitore[43] piuttosto che cercare di interpretare estensivamente l’art. 30 TUF e valorizzare un rimedio che comunque interverrebbe ex post come quello del diritto al ripensamento, istituto peraltro altamente regressivo[44] e poco utilizzato concretamente[45]. D’altronde, non manca chi sottolinea come il richiamo al principio di buona fede come presidio di eventuali comportamenti del cliente a fronte di “mutamenti del mercato” verificatisi nell’arco dei periodi di esplicazione del ius poenitendi non sia appropriato, poiché disfarsi di un investimento che deteriora in modo consistente in sette giorni è più che ragionevole dal punto di vista dell’investitore[46].
Andrebbe però valutata l’altra faccia della medaglia: l’intermediario che ha profilato il cliente e propone – senza aver fornito tutte le adeguate informazioni al riguardo – a quest’ultimo un investimento[47] con tali caratteristiche potrà considerarsi esente da ogni responsabilità? Potrà sostenersi che abbia debitamente applicato il principio della best execution[48]?
La motivazione della nullità basata sulla possibilità di invocare la buona fede contrattuale (i.e. sull’opportunismo dell’investitore nello sfruttare a proprio favore le oscillazioni di prezzo nei sette giorni previsti per esercitare la facoltà di recesso[49]) non convince pienamente; qui non si tratta di condizionare la causa di nullità ad una azione di buona fede che sembrerebbe sfociare nella teoria dell’abuso del diritto. Tale teoria si fonda molto semplicisticamente sull’utilizzazione di un diritto, anche contrattuale, per perseguire finalità diverse da quella per cui è stato previsto e con modalità che non tengono conto delle legittime aspettative della controparte contrattuale, e dunque causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti[50]. Nulla di tutto questo si riscontra nel caso di specie, laddove – conformemente al crescente trend comunitario di protezione del consumatore quale parte debole del rapporto negoziale – si rappresenta l’ennesima nullità di protezione[51] prevista dalla legge per considerazioni di sistema, che sembra non necessitare di richiami alla buona fede (che peraltro provocherebbero anche più di un problema dal punto di vista probatorio nell’eventuale fase patologica - i.e. giudiziale - del rapporto contrattuale) per giustificarsi.
Sarebbe pertanto da rivedere l’idea stessa di fondare sulla “buona fede” un richiamo all’opportunismo al fine di contrastare quella che indiscutibilmente è una scelta legislativa di ordine pubblico di direzione[52].
III.4 Interpretazione orientata alle conseguenze
L’utilizzo del solo criterio logico per interpretare disposizioni di diritto finanziario rende le soluzioni cui si addiviene fisiologicamente insoddisfacenti. E’ necessario effettuare una analisi anche economica e vagliare la compatibilità delle soluzioni con le modalità tecniche di effettuazione degli scambi e la coerenza con l’obiettivo di dare certezza agli scambi stessi e non paralizzare il mercato. In altre parole non possono avallarsi, nel dubbio delle opzioni ermeneutiche, soluzioni senz’altro antieconomiche e che mal si collimano con il funzionamento del mercato.
Attraverso una interpretazione orientata alle conseguenze non potrà che negarsi la possibilità di estendere il c.d. diritto di ripensamento a servizi di investimento quali ad esempio la ricezione e trasmissione ordini. Infatti, oltre a rilevare che in tale caso non sussisterebbe un problema di tutela dei terzi e che tale attività è meramente esecutiva e non sussiste alcun intento sollecitatorio dell’intermediario - rendendo dunque assolutamente non di rilievo le necessità di tutela del contraente debole - va sottolineato che una siffatta attività si basa su esigenze di celerità che mal si concilierebbero con la sospensione dell’efficacia degli ordini per il periodo di sette giorni. Non sussisterebbe in tal caso quella “maggiore vulnerabilità” dell’investitore e la stessa esigenza di tutela alla base del diritto al ripensamento laddove l’intermediario sia un mero esecutore e non vi sia alcuna attività latamente sollecitatoria dei promotori finanziari.
Emerge dunque come la lettura della Suprema Corte, basata sul principio generale dell’art. 38 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea[53], che impone interpretazioni dei testi legislativi orientate a preferire quella che garantisca “un livello elevato di protezione dei consumatori”[54], non colga nel segno. Tale richiamo non risulterebbe conforme ai propri fini nel caso dell’applicabilità della tesi della estensione del diritto di recesso anche alla ricezione e trasmissione ordini. Infatti, più che di garanzia del consumatore, in tal caso s produrrebbe l’impossibilità di utilizzare tale servizio di investimento, che basandosi sull’immediatezza dell’ordine e sull’execution only da parte dell’intermediario non potrebbe essere materialmente configurabile nell’ipotesi di sospensione degli effetti durante il periodo fissato dal legislatore. La tutela dell’investitore avrebbe dunque effetti meramente distruttivi sul servizio, dando forma soltanto ad una pars destruens con effetti negativi anche per l’investitore stesso che si vedrebbe impossibilitato a trasmettere i propri ordini di investimento.
Si palesa dunque il dubbio che una interpretazione estensiva dell’art. 30, comma 6, TUF possa non essere coerente con l’ordinato svolgersi delle contrattazioni del mercato mobiliare, interesse tutelato dallo ius poenitendi sia sul versante delle pratiche aggressive degli intermediari sia su quello dei comportamenti opportunistici degli investitori e degli intermediari, potenzialmente suscettibili di alterare il corretto formarsi dei prezzi sui mercati[55].
IV. I limiti dell’intervento “razionalizzante” effettuato con il c.d. “decreto del fare”: un’occasione perduta?
La modifica dell’art. 30, comma 6, del TUF disposta dal d.l. 69/13 non è passata inosservata, soprattutto perché intervenuta successivamente all’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, sconfessandone parzialmente i principi di diritto enunciati. Tale intervento legislativo (che ha previsto l'estensione dell'ambito di applicazione del “diritto al ripensamento” al servizio di negoziazione per conto proprio[56], relativamente ai contratti sottoscritti dopo il 1° settembre 2013) non ha però fatto completa chiarezza né dissipato i dubbi e le problematiche legate alla corretta interpretazione ed all’applicazione pratica dello ius poenitendi nella prestazione dei servizi e attività di investimento[57].
La Suprema Corte nella sentenza in commento non ritiene che l’intervento del legislatore con il decreto del fare[58] abbia la valenza di interpretazione autentica, in quanto nel caso di specie, essendo intervenuta una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, non potevano sussistere situazioni di incertezza e possibilità di letture contrastanti della stessa norma. Il che non è affatto scontato, tanto più che non mancano casi di interpretazioni difformi delle sezioni semplici della Cassazione che siano in contrasto con un intervento delle Sezioni Unite[59]: d’altronde nel nostro sistema la giurisprudenza, seppur autorevole, non rientra tra le fonti del diritto[60]. Sembra comunque quantomeno apodittico affermare che “il Governo, con l’emendamento introduttivo dell’art. 56-quater d.l. 69/2013, abbia auto il poco commendevole intento di porre in non cale una sentenza delle Sezioni Unite, e scardinare in tal modo il principio di separazione tra i poteri dello Stato”.
Per quanto concerne il citato art. 56-quater del decreto del fare, più che qualificarla come norma di interpretazione autentica[61], la stessa può forse meglio definirsi quale norma razionalizzatrice negli intenti.
La Corte Costituzionale infatti ha avuto modo di chiarire che “il legislatore può porre norme che retroattivamente precisino il significato di altre norme preesistenti, ovvero impongano una delle possibili varianti di senso del testo originario, purché compatibile con il tenore letterale di esso”; si è inoltre precisato che “in tali casi il problema da affrontare riguarda non tanto la natura della legge, quanto piuttosto i limiti che la sua portata retroattiva incontra alla luce del principio di ragionevolezza e del rispetto di altri valori ed interessi costituzionalmente protetti”. Riguardo a questi ultimi, “l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica - essenziale elemento dello Stato di diritto - non può essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori”[62].
È dunque evidente che indipendentemente dalla autodefinizione di norma di interpretazione autentica (che peraltro sembra mancare nella documentazione relativa alla conversione del decreto[63]), quello che manca è la retroattività della norma (almeno per parte di essa): quest’ultima infatti si limita a stabilire che lo ius poenitendi è esteso “per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2013 […] anche ai servizi di investimento di cui all’articolo 1, comma 5, lettera a)” (e cioè alla negoziazione in conto proprio). Il che non implica una efficacia sanante per i contratti, che non prevedono il diritto di recesso per l’investitore, stipulato prima della suddetta data.
L’opera razionalizzatrice della norma non sembra dunque aver avuto gli effetti sperati, permanendo sull’argomento una pericolosa incertezza sia per il risparmiatore (dal punto di vista della sua tutela nelle differenti situazioni) sia per l’intermediario (da un punto di vista operativo e sotto il profilo della responsabilità e della validità degli accordi sottoscritti e da sottoscrivere con gli investitori): situazione non accettabile alla luce della necessità di tutela della continuità dell’intero sistema finanziario, come sopra accennato. Ancora una volta la legislazione d’urgenza adottata dal Governo appare non adeguatamente ponderata e ben lontana dal perseguire i fini che ne giustificherebbero l’emanazione; insomma, la tanto paventata smart regulation è ancora lontana[64].
In conclusione, la vocazione “protettiva” in favore del cliente “sollecitato” ad investire dall’intermediario dovrebbe trovare una sua normazione più articolata, così come lo richiede la pratica delle operazioni finanziarie, evolutesi in un quadro sempre più complesso e tecnologicamente avanzato. La specificità di tali azioni richiederebbe forse una (finalmente!) ponderata ed esaustiva presa di posizione del legislatore, che possa porre termine all’alternarsi di interventi non coordinati del diritto vivente e di quello codificato, ponendo fine in tal modo anche al “valzer dello ius poenitendi”[65].
V. Un auspicio proiettato verso scenari futuri: la necessità di superare l’ “effetto sorpresa”
Per giustificare l’accoglimento del ricorso presentato dal ricorrente e di conseguenza privare di efficacia il contratto di finanziamento sottoscritto con l’intermediario, la Suprema Corte ha riproposto la lettura finalistica dell’art. 30 del TUF[66], secondo la quale lo scopo della norma sul diritto di recesso dell’investitore si fonda sul contrasto del c.d. “effetto sorpresa”[67] derivante dalla sottoscrizione di contratti fuori sede senza disporre di un adeguato spatium deliberandi[68]. E’ forse opportuno ragionare sulla esaustività di tali motivazioni e soprattutto sulla opportunità di ancorarsi su questa lettura della norma. E’ sotto gli occhi di tutti la costante evoluzione dei mercati finanziari così come il profondo mutamento del rapporto tra l’investitore e l’intermediario. I canali di comunicazione e di informazione si sono moltiplicati, le transazioni finanziarie sono agevolmente effettuabili direttamente via web. Sorge allora la necessità di riflettere sull’opportunità di considerare dirimente a l’effetto sorpresa nel senso di mancata “premeditata decisione [di investimento] dello stesso investitore[69]”. Esiste ancora questo effetto sorpresa? E’ soltanto questo “effetto” che comporta uno squilibrio tra le posizioni contrattuali che necessita di essere equilibrato attraverso il diritto al recesso?
In primis è agevole notare come la possibilità di recedere dal contratto non necessita di specifica motivazione al riguardo e dunque potrebbe giustificarsi per motivi ben diversi dall’effetto sorpresa.
Inoltre, non va sottaciuto come gli studi di finanza comportamentale hanno ben evidenziato come gli individui commettono sistematicamente errori (i c.d. bias), di ragionamento e di preferenze, difficilmente conciliabili con l’assunto delle scelte razionali sulle quali di dovrebbe fondare il mercato[70].
E’ dunque limitativo parlare soltanto di effetto sorpresa per cercare di fornire una adeguata tutela agli investitori: è necessario superare l’effetto sorpresa e andare oltre. L’investitore oggi giorno deve cercare di essere protetto e proteggersi dalle sue stesse lacune; occorre soffermarsi sull’innalzamento del livello di cultura finanziaria e di comprensione dei meccanismi decisionali, modificando la tipologia e le modalità di presentazione delle informazioni da veicolare agli investitori. La protezione degli investitori passa dunque che una maggiore educazione che gli stessi devono possedere in ambito finanziario. L’investor education porterebbe dunque sostenere l’investitore portando lo stesso a minimizzare gli errori di valutazione che discendono dalla scarsa cultura finanziaria, ponendo tale soggetto in una posizione nella quale non dovrebbe più subire in maniera così rilevante l’effetto sorpresa laddove sia in contatto con un promotore finanziario.
E’ questo l’auspicio che le istituzioni europee e le Autorità nazionali[71] intendono perseguire e che aiuterebbe a ridimensionare le annose problematiche del mercato finanziario italiano.
(*) Le opinioni espresse dall’autore nel presente contributo sono da considerarsi esclusivamente a titolo personale, e non impegnano in nessun modo l’Istituto di appartenenza.
[1] Si vedano pure le comunicazioni della Consob n. DI/98017959 del 12.3.98 e n. DI/98068214 del 21.8.1998. Sul punto in dottrina Parrella, Commento all'art. 30, in Il testo unico della finanza, a cura di Fratini e Gasparri, I, Torino, 2012, 495 e ss; Rabitti Bedogni, Il diritto del mercato mobiliare, Milano, 1997, 210; Pagnoni, Commento all’art. 30, in Commentario delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di Alpa e Capriglione, Padova, 1998, I, 323 e ss.; Carozzi, Schiavelli, Il contratto di “collocamento” fuori sede di strumenti finanziari e di servizi di investimento, in I contratti del mercato finanziario, a cura di Gabrielli e Lener, Torino, 2011, 1183 e ss.; Renzulli, L’offerta fuori sede, collocamento e offerta a distanza, in Diritto del mercato finanziario. Saggi, a cura di Lener, Torino, 2011, 223 e ss.
[2] Si tenga presente che il giudice di primo grado dichiarò nullo il contratto stipulato con l’istituto di credito a causa dell’omessa informazione al cliente della facoltà di recesso entro i termini di legge (cfr. Trib. Mantova, sent. 13.7.2005 n. 886).
[3] Sono stati enunciati i seguenti principi di diritto:
“A) L'operazione finanziaria consistente nell'erogazione al cliente, da parte d'una banca, d'un mutuo contestualmente impiegato per acquistare per conto del cliente strumenti finanziari predeterminati ed emessi dalla banca stessa, a loro volta contestualmente costituiti in pegno in favore della banca a garanzia della restituzione del finanziamento, da vita ad un contratto atipico unico ed unitario, la cui causa concreta risiede nella realizzazione di un lucro finanziario, e che va sussunto tra i "servizi di investimento" di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 1, comma 5.
(B) Il diritto di recesso previsto in favore del risparmiatore dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 30, comma 7, nel caso di contratti stipulati fuori sede si applica sia nel caso di vendita di strumenti finanziari per i quali l'intermediario ha assunto un obbligo di collocamento nei confronti dell'emittente) sia nel caso di mera negoziazione di titoli.
(C) Il D.L. 21 giugno 2013, n. 69, art. 56 quater, il quale - novellando il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 30, comma 6, - ha previsto che il diritto di recesso del risparmiatore dai contratti di investimento stipulati fuori sede spetti anche nel caso di operazioni di negoziazione di titoli per conto proprio stipulate dopo il 1 settembre 2013 non è una norma di interpretazione autentica, e non ha avuto l'effetto di sanare l'eventuale nullità dei suddetti contratti, se privi dell'avviso al risparmiatore dell'esistenza del diritto di recesso e stipulati prima del 1 settembre 2013”.
[4] Con la sospensione, per l'investitore, dell'efficacia della vendita per un arco temporale di sette giorni il legislatore ha dunque ritenuto di poter correggere le eventuali distorsioni negoziali derivanti dall'eventuale effetto "sorpresa" subito dall'acquirente assicurando, quindi, un corretto equilibrio fra le posizioni dei due contraenti. Ne discende che, in tanto può trovare ragionevole applicazione la disciplina dello ius poenitendi, in quanto si sia verificata una situazione in cui il risparmiatore sia stato esposto al rischio di assumere iniziative e prendere decisioni poco meditate (ex multis Cass. civ. Sez. I, sent. 14.2.2012, n. 2065, in Foro It., 2012, 9, I, 2419).
[5] Per una esaustiva analisi del dibattito, si rimanda anche a Della Vecchia, Il diritto di recesso del cliente ex art. 30 del T.U.F.: l'interpretazione delle Sezioni Unite ed il successivo intervento legislativo, in Società, 2014, 1, 41.
[6] Si sottolinea che “tale limitazione riflette, da un lato, l’evoluzione storica dell’istituto e, dall’altro, una ulteriore conferma della particolare attenzione che il legislatore riserva alla disciplina del servizio di gestione di portafogli, stante le particolari caratteristiche dello stesso. Anche in questo caso, la norma è assistita, in ipotesi di violazione dalla sanzione della nullità (relativa)” (Annunziata, L’offerta fuori sede e le tecniche di comunicazione a distanza, nell’ambito della disciplina dei servizi di investimento, Traccia della relazione tenuta all’incontro di studio sul tema “il mercato dei valori mobiliari tra regole e controlli” – Roma 28 maggio 2002). Per tale teoria si rimanda anche a Parrella, cit., e Maggiolo, Servizi ed attività d'investimento, in Trattato di diritto civile e commerciale, a cura di Cicu – Messineo – Mengoni, 2012, 312.
[7] Per tutti si rimanda a Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, 2012, 178.
[8] L’adesione a tale tesi implica che la disciplina del recesso delineata dall'art. 30 TUF, in riferimento alle operazioni di collocamento di strumenti finanziari avvenute fuori sede, non sarebbe applicabile alle operazioni di negoziazione effettuate in attuazione di un contratto per la prestazione di servizi di investimento (per le definizioni di “collocamento” e “negoziazione” fornite dalla Consob: comunicazione n. DAL/97006042 del 9.7.1997). Tali operazioni non possono essere intese quale “collocamento”, il quale andrebbe infatti inteso in senso tecnico, riferibile esclusivamente all’offerta di strumenti finanziari a condizioni standardizzate, emessi a condizioni di tempo e prezzo predeterminati : offerta rivolta al pubblico in genere ovvero a talune categorie di investitori nell’ambito di una operazione comunque destinata a una moltitudine indistinta di soggetti. Alla semplice negoziazione fuori sede (così come anche alla ricezione e trasmissione ordini) non potrebbe quindi applicarsi la disciplina dettata dal sopra citato articolo del TUF e la conseguente nullità per l’omissione dell’avviso relativo al diritto di recesso (Cfr. Trib. Biella 17.07.2008, disponibile su www.ilcaso.it).
La tutela dell’investitore consentirebbe a quest’ultimo di approfittare delle dinamiche di mercato per trattenere i risultati delle sole operazioni ritenute convenienti , scaricando sull’intermediario le operazioni in perdita, atteso che, mentre nel collocamento il prezzo rimane bloccato durante il periodo di sospensione dell’efficacia del contratto, nelle operazioni di negoziazione è soggetto alle fluttuazioni di mercato anche in pendenza del termine per l’esercizio del potere di recesso. Ne risulterebbe pertanto un indebito vantaggio a favore dell’investitore, in contrasto all’elemento di primaria importanza causale dell’alea che contraddistingue le negoziazioni finanziarie (in tal senso Cass. civ. sez. I, Ord. 21.6.2012 n. 10376, in Foro It., 2012, 11, 1, 3043).
La tesi restrittiva fa dunque perno su esigenze di tutela della certezza e della speditezza degli scambi, particolarmente avvertite nel settore dei mercati finanziari, per evitare l’incertezza delle operazioni perché rimesse a una valutazione discrezionale dell'investitore in ordine all'eventuale recesso. Per Bruno, Rozzi, Incompatibilità ed inapplicabilità del diritto di recesso ex art. 30 comma 6 tuf rispetto al servizio di negoziazione, in Corriere Giur., 2013, 3, 368 “tale interpretazione dell'art. 30, comma 6 trova ulteriore conforto: (i) nella considerazione del disposto del comma 6 dell'articolo in questione, che esclude la configurabilità dell'offerta fuori sede (pur nella sussistenza delle condizioni indicate nel comma 1) quando questa sia stata effettuata nei confronti di clienti professionali, così confermando l'intento di tutela dell'investitore dal rischio di assumere iniziative poco meditate, non essendo all'evidenza ravvisabile detto rischio nel caso di offerta ad operatore di peculiare competenza, in quanto tale non esposto al rischio di decisioni affrettate ed indotte dalle subite iniziative dell'altro contraente; (ii) nell'esigenza di privilegiare una interpretazione che tenga conto degli effetti eccezionali della disposizione (l'efficacia dell'accordo è infatti sospesa ex lege per la durata di sette giorni, termine entro il quale l'investitore può esercitare il diritto di recesso) e dei riflessi che la stessa è potenzialmente idonea a determinare”.
Per tale teoria si menzionano in giurisprudenza per tutti App. Brescia, 20.6.2007 e Trib. Torino 18.9.2007, disponibili su www.ilcaso.it.
[9] La tesi estensiva si fonda in sostanza sul rilievo attribuito (soprattutto a livello europeo) alla tutela dell'investitore quale parte debole dei rapporti contrattuali. In sostanza, basandosi primariamente sulla ratio legis , che richiede una speciale tutela da accordare all’investitore per le operazioni d'investimento perfezionate al di fuori della sede dell'intermediario, tale esigenza impone che il diritto di recesso debba essere riconosciuto “non soltanto per le operazioni compiute nell'ambito della prestazione di un servizio di collocamento in senso proprio […] ma anche per qualsiasi altra ipotesi in cui l'intermediario venda fuori sede strumenti finanziari ad investitori al dettaglio, sia pure nell'espletamento di un servizio d'investimento diverso (così si esprime Cass. civ. Sez. Unite, sent. 3.6.2013 n. 13905, cit.). Per la giurisprudenza di merito si rimanda inoltre a Trib. Modena 25.3.2009, disponibile su www.ilcaso.it, Trib. Bari 26.2.2007; Trib. Milano 4.4.2007; Trib. Rimini 28.04.2007; Trib. Forlì 13.1.2009; Trib. Padova 28.5.2009; Trib. Roma 8.6.2009; App. Milano 22.1.2010. In dottrina anche La Rocca, L'art. 30 tuf innanzi alle Sezioni Unite (nota a Cass., 21 giugno 2012 n. 10376), disponibile su www.ilcaso.it.
[10] Cass. civ. Sez. Unite, sent. 3.6.2013 n. 13905, in Società, 2014, 1, 41.
[11] In senso analogo nella giurisprudenza di merito Trib. Padova 29.05.2009, disponibile su www.ilcaso.it.
[12] “Per offerta fuori sede si intendono la promozione e il collocamento presso il pubblico:
a) di strumenti finanziari in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dell'emittente, del proponente l'investimento o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento;
b) di servizi e attività di investimento in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze di chi presta, promuove o colloca il servizio o l’attività” (art. 30, comma 1, TUF).
[13] L’espressione “contratti di collocamento di strumenti finanziari” contenuta nel comma 6 dell’art. 30 del TUF include contratti di cui sono parte l’intermediario e gli investitori. Amplius in La Rocca, L’ “offerta fuori sede di strumenti finanziari” in Cassazione e l’art. 56 quater del d.l. del fare”, disponibile su www.ilcaso.it.
[14] Sul punto Civale, Diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari: dalle questioni semantiche all’eterogenesi dei fini; La nuova disciplina del diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari, (entrambi i contributi disponibili su www.dirittobancario.it.), il quale ha specificato che “Non è un caso che nel primo comma dell’art. 30 del T.U.F. l’espressione collocamento è accostata anche ai servizi di investimento, mentre nel successivo sesto comma è accostata in modo specifico ed esclusivo agli strumenti finanziari, in ossequio a quanto previsto dalla definizione del relativo servizio di investimento contenuta nell’art. 1, comma 5, lett. c) e c-bis), del T.U.F.. Non è un caso ancora che nel primo comma l’espressione “collocamento” è utilizzata in modo autonomo ed in connessione all’ulteriore espressione “promozione” essendo entrambe destinate a definire una attività di offerta, mentre nel sesto comma dell’art. 30 del T.U.F. l’espressione collocamento è utilizzata unitamente al termine contratto, essendo diretta a disciplinare un fenomeno di sospensione dell’efficacia giuridica”.
[15] Amplius in Nigro, Le sezioni unite e la vis expansiva della disciplina dello jus poenitendi, in Nuova Giur. Civ. Commentata, 2014, 1, I, 15.
[16] Sul punto anche Civale, Diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari: dalle questioni semantiche all’eterogenesi dei fini, cit.
[17] In tali situazioni non si porrebbe un problema di terzi da proteggere. La sospensione degli effetti del contratto è infatti controllabile dall'intermediario e serve a offrire un quid pluris di tutela al risparmiatore in una situazione guardata con diffidenza dal legislatore. In tal senso Natoli, Contratti "di collocamento" e jus poenitendi dell'investitore, in Contratti, 2014, 1, 37.
[18] Amplius in Civale, La nuova disciplina del diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari, cit.
[19] In tali circostanze non sussiste l'esigenza di tutelare il cliente rispetto a scelte di investimento indotte dall'attività sollecitatoria dell'intermediario. In tal senso Santosuosso, Jus poenitendi e servizi di investimento: la tutela dell'investitore dall'"effetto sorpresa", in Banca borsa tit. cred. 2008, 6., 773; Guffanti, La nuova disciplina del diritto di ripensamento: problematiche applicative nella negoziazione in conto proprio, in Società, 2014, 2, 174.
[20] Rossi, Diritto e mercato, in Rivista delle società, 1998, 1448: “la vita del mercato si ribella a qualunque definizione rigorosa e costringe il diritto ad inseguirlo, proprio per evitarne il fallimento”.
[21] In un caso analogo la Cassazione ha stabilito che un tale investimento, “che dà vita ad una complessiva fattispecie negoziale autonoma - riconducibile alla categoria degli strumenti finanziari di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 1, (nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis) [è] assoggettata alla relativa disciplina, anche per quanto riguarda l'offerta fuori sede di cui all'art. 30 dello stesso decreto e, in particolare, l'obbligo, a pena di nullità del contratto, di indicare nei moduli o formulari la facoltà di recesso”, sottolineandosi che “"che le diverse componenti della complessa fattispecie sono tra loro funzionalmente e teleologicamente correlate di guisa che aut simul stabunt aul simul cadent" (Cass. civ. Sez. I, 3.2.2012, n. 1584, in Giur. It., 2012, 8-9, 1805).
[22] Il collegamento negoziale infatti non dà luogo a un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Pertanto, in ipotesi siffatte, il collegamento, pur potendo determinare un vincolo di reciproca dipendenza tra i contratti, non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e conservi una distinta individualità giuridica. Sul tema ex multis si segnalano Cass. civ. Sez. II, 26.3.2010 n. 7305; Cass. civ. Sez. II, 18.9.2012, n. 15640.
[23] Perché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico - che impone la considerazione unitaria della fattispecie - sono quindi necessari due requisiti. Il primo è quello oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, finalizzati alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell'ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario. Il secondo è quello soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere, non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione. di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale (per tutte Cass. civ. sez. III 17.5.2010 n. 11974, in Contratti, 2010, 8-9, 816; Cass. civ. sez. II 16.3.2006 n. 5851, in Contratti, 2006, 12, 1099).
[24] In tal senso Trib. Roma 8.6.2009 disponibile su www.ilcaso.it ed analogamente Trib. Isernia 21.10.2009, in Giur. it. 2010, 869.
[25] Sull’argomento una analisi esaustiva è condotta da Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013.
[26] Per la Cassazione l’interpretazione restrittiva propugnata dalla resistente potrebbe porre la norma in contrasto con gli artt. 101 e 104 Cost., nella parte in cui finirebbe per vanificare con effetto retroattivo il dictum delle Sezioni Unite.
[27] Cfr. Angelici, Fra “mercato” e “società”: a proposito di venture capital e drag-along, in Dir. banca e merc. fin., 2011, 1, 23.
[28] “Si ha violazione dell'art. 3 della Costituzione quando situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, mentre non si manifesta tale contrasto quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non sostanzialmente identiche, essendo insindacabile in tali casi la discrezionalità del legislatore” (Corte Cost. sent. n. 340 del 2004).
[29] Sull’argomento La Rocca, L’ “offerta fuori sede di strumenti finanziari” in Cassazione e l’art. 56 quater del d.l. del fare”, cit.
[30] L’iniziativa all’incontro, in sede o fuori sede, proviene sempre dal cliente: è la sollecitazione all’acquisto che comporta la tutela ed il correlativo costo. Ma la sollecitazione deve essere presunta iuris et de iure, e ciò non può accadere, ex lege, per i servizi esecutivi. Amplius in Tofanelli, Tu chiamala se vuoi nomofilachia, disponibile su www.fchub.it, il quale esclude pertanto interpretazioni “semanticamente estensive” della suddetta norma, additive rispetto alla legge via via vigente, e che vanno a distorcere scelte legislative ponderate e ad incidere sul corretto manifestarsi dell’autonomia imprenditoriale.
[31] La sentenza in commento evidenzia che “se, infatti, si interpretasse l'art. 30, comma 6, d. lgs. 58/98 nel restrittivo senso fatto proprio dalla Corte d'appello, esso sarebbe di fatto inapplicabile. La norma, infatti, accorda al risparmiatore il diritto di recesso dai "contratti di collocamento". Ma contratti di collocamento in senso tecnico sono soltanto gli accordi tra intermediario ed emittente, e nei rapporti tra investitori professionali il diritto di recesso è espressamente escluso dal secondo comma dell'art. 30 d. lgs. 58/98. Da ciò discendono due conseguenze sul piano della logica formale. La prima è che l'adesione alla lettura restrittiva dell'art. 30, comma 6, d. lgs. 58/98 renderebbe la norma inutile, perché non potrebbe darsi alcun caso in cui un "contratto di collocamento" sia stipulato tra l'emittente ed un risparmiatore (..) La seconda conseguenza è che l'interpretazione qui contestata pretende di interpretare la medesima norma con diverso rigore sintattico a seconda del fine cui è preordinata l'interpretazione”.
[32] Civale, Diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari: dalle questioni semantiche all’eterogenesi dei fini, cit.
[33] In tal senso Della Vecchia, cit.
[34] In tal senso Cass. Civ. Sez. I, sent. 7.4.1983 n. 2454.
[35] Non è infatti consentito all'interprete correggere la norma, nel significato tecnico giuridico proprio delle espressioni che la compongono, nell'ipotesi in cui ritenga che l'effetto giuridico che ne deriva sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma è intesa (principio espresso storicamente in Cass.. Sez. Lav., sent. 13.4.1996 n. 3495).
[36] Per quanto concerne la nozione di collocamento, né la disciplina primaria, né quella secondaria contengono una precisa definizione di tale servizio per la quale occorre rifarsi alla realtà economica sottostante (Schiavelli, Il contratto di collocamento, in I contratti del mercato finanziario, a cura di Gabrielli Lener, Torino, 2004, II, 1001). Dal servizio di collocamento pare tuttavia opportuno distinguere i contratti di collocamento. L’investitore finale non è quindi mai parte di un contratto di collocamento (riferibile ad investitori professionali), potendo tutt’al più sottoscrivere o acquistare strumenti finanziari in fase di collocamento (sul tema Spallanzani, Il collocamento tra il pubblico di prodotti del risparmio gestito, in Nuova giur. civ. comm., 2002, 2, 509 e ss.; Comunicazione Consob n. DI/98094245 del 10.12.1998).
[37] La sentenza in commento specifica che “contratti di collocamento in senso tecnico sono soltanto gli accordi tra intermediario ed emittente, e nei rapporti tra investitori professionali il diritto di recesso è espressamente escluso dal secondo comma dell’art. 30 d.lgs. 58/98”. La lettura restrittiva della norma renderebbe la stessa inutile “poiché non potrebbe darsi alcun caso in cui un contratto di collocamento sia stipulato tra l’emittente ed un risparmiatore”.
[38] In tal senso Natoli, Jus poenitendi ex art. 30 comma 6 t.u.f. e altri rimedi esperibili nella prestazione di servizi di investimento resa fuori sede, in Contratti, 2013, 2, 131. Secondo tale opinione il contratto di collocamento di strumenti finanziari trae la propria regolamentazione dal servizio di collocamento stipulato a monte, nel quale sono definite, in modo generale, le condizioni contrattuali alle quali collocare gli strumenti presso la platea dei clienti al dettaglio. La parità e la stabilità delle condizioni dell'offerta nel tempo fanno sì che l'esercizio del diritto di recesso non si presti a diventare strumento, nelle mani dell'investitore malizioso, di arbitraggio in funzione delle fluttuazioni del mercato, per la semplice ragione che il prezzo resta fisso durante la pendenza dell'offerta.
[39] Il problema dei possibili “comportamenti opportunistici da parte dell’investitore” derivanti dal fatto che “durante il periodo di sospensione degli effetti del contratto le condizioni di mercato potrebbero mutare”, con la conseguenza che l’investitore potrebbe decidere di fare valere la nullità sancita dal comma 7 [dell’art. 30 del TUF] perché a ciò indotto dalle “oscillazioni di valore” (problema ben noto ed approfondito dalla dottrina specialistica: cfr. Maggiolo, cit, 312) è alla base di alcune scelte normative a livello comunitario (Direttiva 1985/577/CEE del Consiglio e Direttiva 2011/83/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio). Amplius in Nigro, cit.
[40] Le disposizioni in tema di ius poenitendi non trovano applicazione alle offerte pubbliche di vendita o sottoscrizione di azioni con diritto di voto o di altri strumenti finanziari che permettano di acquisire o sottoscrivere tali azioni, purché le azioni o gli strumenti finanziari siano negoziati in mercati regolamentati italiani o di paesi dell’Unione Europea. Tale esenzione deriva da un’esigenza tecnica. Il Regolamento della Borsa Italiana S.p.A., deliberato dall’assemblea ordinaria dell’4 dicembre 1998 ed approvato dalla Consob con delibera n. 11764 del 22 dicembre 1998, prevede, infatti, che le negoziazioni abbiano luogo entro il quinto giorno di borsa aperta successivo alla chiusura dell’offerta (art. 2.4.3, comma 6, con riferimento al comma 1). Pertanto, la previsione di un diritto di ripensamento entro sette giorni sarebbe stata incompatibile con la previsione dell’esecuzione dell’operazione il quinto giorno (cfr. Rabitti Bedogni, L’offerta fuori sede. Regole e costi dell’intermediazione finanziaria, Roma, 1999, 33).
[41] Nel caso di operazioni effettuate dall’intermediario in assenza di titolo giustificativo, queste ultime potranno essere poste a carico dell’intermediario, mandatario dell’operazione, ai sensi dell’art. 1711 c.c.
[42] Parla di dialogo informativo Vigo, La reticenza dell'intermediario nei contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, in Banca, borsa tit. cred., 2005, 1, 667.
[43] L'intermediario è tenuto ad uniformare la propria condotta agli obblighi informativi anche nelle ipotesi in cui si tratti di ordini c.d. execution only, e cioè di ordine effettuato a seguito di autonoma formazione della volontà da parte dell'investitore, senza alcuna influenza da parte della banca. L'intermediario che presti servizi di investimento è tenuto ad informare la propria condotta al principio della c.d. informazione adeguata in concreto, il quale impone di valutare se le avvertenze fornite agli investitori sul tipo di rischio connesso alla singola operazione siano state tali da soddisfare le esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali ed alla situazione finanziaria dei clienti. La violazione di tale obbligo dà luogo a responsabilità di natura contrattuale, dell'intermediaria, la quale sarà tenuta a risarcire il danno, oltre agli interessi legali dalla data dell'investimento. Conformemente Trib. Termini Imerese 6.12.2012, disponibile su www.ilcaso.it.
[44] Carbonetti, Lo jus poenitendi nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari, in Banca borsa tit. cred., 2001, 1, 785.
[45] Sottolinea l’esistenza di rimedi sostanziali ben più incisivi Natoli, Il contratto adeguato. La protezione del cliente nei servizi di credito, di investimento e di assicurazione, Milano, 2012, 48 e ss. La dubbia utilità del diritto di ripensamento alla luce della realtà profondamente mutata e per il crescente utilizzo di canali alternativi alla sede o filiale dell’intermediario, è sottolineata anche da Civale, La nuova disciplina del diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari, disponibile su www.dirittobancario.it.
[46] Amplius in Dolmetta, Minneci, Malvagna, cit.
[47] Va evidenziato come anche le proposte modifiche alla Direttiva MiFID mettono in rilievo gli obblighi in capo all’intermediario in tal senso. Il Considerando 71 della proposta di modifica della suddetta direttiva recita infatti “Member States should ensure that investment firms act in accordance with the best interests of their clients and are able to comply with their obligations under this Directive. Investment firms should accordingly understand the features of the financial instruments offered or recommended and establish and review effective policies and arrangements to identify the category of clients to whom products and services are to be provided. Member States should ensure that the investment firms which manufacture financial instruments ensure that those products are manufactured to meet the needs of an identified target market of end clients within the relevant category of clients, take reasonable steps to ensure that the financial instruments are distributed to the identified target market and periodically review the identification of the target market of and the performance of the products they offer. Investment firms that offer or recommend to clients financial instruments not manufactured by them should also have appropriate arrangements in place to obtain and understand the relevant information concerning the product approval process, including the identified target market and the characteristics of the product they offer or recommend. That obligation should apply without prejudice to any assessment of appropriateness or suitability to be subsequently carried out by the investment firm in the provision of investment services to each client, on the basis of their personal needs, characteristics and objectives. In order to ensure that financial instruments will be offered or recommended only when in the interest of the client, investment firms offering or recommending the product manufactured by firms which are not subject to the product governance requirements set out in this Directive or manufactured by third-country firms should also have appropriate arrangements to obtain sufficient information about the financial instruments” (European Parliament legislative resolution of 15 April 2014 on the proposal for a directive of the European Parliament and of the Council on markets in financial instruments repealing Directive 2004/39/EC of the European Parliament and of the Council (recast) (COM(2011)0656 – C7-0382/2011 – 2011/0298(COD). Texts adopted - part IX at the sitting of Tuesday 15 April 2014).
[48] Sul tema da ultimo La Rocca, L’”obbligo di servire al meglio l’interesse dei clienti” in Cassazione (art. 21 tuf), in Foro it., 2013, I, 321.
[49] Per tutti Maggiolo, cit., 312.
[50] L'abuso del diritto non è ravvisabile nel solo fatto che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell'altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, essendo, invece, configurabile allorché il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 7.5.2013, n. 10568).
[51] Sul tema Polidori, Discipline delle nullità e interessi protetti, Napoli, 2011; D’Amico, Nullità virtuale. Nullità di protezione (variazioni sulle nullità), in Pagliantini, Le forme della nullità, Torino, 2009. In giurisprudenza, Trib. Bologna 15.4.2009, disponibile su www.ilcaso.it.
[52] Si esprime in tal senso Maffeis, Investimenti fuori sede e difetto di indicazione della facoltà di recesso, disponibile su www.dirittobancario.it.
[53] Ulteriori considerazioni sul regime protettivo configurato a tutela degli investitori anche Moloney, How to protect Investors – Lessons from the EC and the UK, Cambridge, 2010.
[54] Sottolinea la bontà di un tale richiamo Dolmetta, cit. Critico invece in termini generali Enriques, Diritto societario statunitense e diritto societario italiano: in weiter Ferne, so nah, in Giur. Comm., 2007, 1, 274. Sottolinea infine la difficoltà ad individuare concretamente i principi generali richiamati Nigro, cit.
[55] In senso analogo Cicchinelli, Il diritto di ripensamento tra tutela dell’investitore e funzionamento del mercato mobiliare, in Corr. Giur., 2014, 2, 241.
[56] Vi è anche chi critica l’utilizzo del plurale "servizi" contenuto nella novella dell’art. 30, comma 6, TUF, in quanto la negoziazione per conto proprio pacificamente si configura come un servizio unico (cfr. Della Vecchia, cit., 41).
[57] Permangono dubbi in dottrina sulla scelta effettuata dal legislatore, alla luce delle differenze tra il collocamento e la negoziazione per conto proprio: quest’ultima, infatti, postula condizioni di prezzo diverse a seconda dell'acquirente e del momento dell'operazione, a differenza del collocamento, nel quale il prezzo è predeterminato e fisso per tutto il periodo dell'offerta. In tal senso Della Vecchia, cit.
[58] L’art. 56-quater del suddetto decreto ha aggiunto al comma 6 dell’art. 30 del TUF la seguente disposizione “Ferma restando l'applicazione della disciplina di cui al primo e al secondo periodo ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettere c), c-bis) e d), per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2013 la medesima disciplina si applica anche ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a). La medesima disciplina si applica alle proposte contrattuali effettuate fuori sede”.
[59] Per tutti si cita il caso della risarcibilità dei danni non patrimoniali, argomento che anche successivamente all’intervento delle Sezioni Unite con la sentenza 11.11.2008 n. 26972 ha visto susseguirsi numerose sentenze della Suprema Corte di contenuto oscillante (si citano ad esempio Cass. civ., sez. III, 28.11.2008, n. 28407; Cass. civ., sez. III, 12.12.2008, n. 29191; Cass. civ., sez. III, 19.2.2009, n. 4053; Cass. civ., sez.III, 22.6.2009 n. 14551; Cass. civ., sez.III, 30.9.2009 n. 20949; Cass. civ., sez. III, 30.10.2009 n. 23053; Cass. civ., sez. III, 19.1.2010 n.702; Cass. civ., sez. III, 16.05.2013 n. 11950).
[60] E’ principio ben noto quello che nell'esercizio del suo potere-dovere d'interpretazione della norma applicabile alla fattispecie sottoposta al suo esame, il giudice è libero di non adeguarsi all'opinione espressa da altri giudici e può anche non seguire l'interpretazione proposta dalla Corte di Cassazione (salvo che si tratti di giudizio di rinvio). Tale libertà non esclude, peraltro, l'obbligo dello stesso giudice di addurre ragioni congrue, convincenti a contestare e far venir meno l'attendibilità dell'indirizzo interpretativo rifiutato. (Cfr. Cass. Sez. Lav., sent. 3.12.1983 n. 7248).
[61] Per tale convinzione si rimanda a Tofanelli, cit.
[62] Cfr. Corte Cost. sentenza 7 - 11 giugno 2004 n. 168, disponibile su www.giurcost.org.
[63] Dal dossier del Servizio Studi del Senato (Dossier del Servizio Studi sull'A.S. n. 974 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, disponibile su www.senato.it), emerge solo l’intenzione "di estendere l'efficacia della disciplina del diritto di ripensamento per l'offerta fuori sede di cui al comma 6 [dell'art. 30] […] che già si applica ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettere c) e c bis) e d) dello stesso T.U.F. è […] anche ai servizi di investimento di cui all'art. 1, comma 5, lettera a)”.
[64] Per il REFIT (Regulatory Fitness and Performance Programme) si rimanda a http://ec.europa.eu/commission_2010-2014/president/news/archives/2013/10/pdf/20131002-refit_en.pdf.
[65] Si esprime in tal senso Luccarelli, Il valzer dello ius poenitendi, disponibile su www.fchub.it.
[66] Tale ratio dunque è presente sia nel caso di collocamento dei titoli che nel caso di negoziazione in conto proprio. La medesima ratio è alla base della modifica al comma 2 dell’art. 30 TUF effettuata dal d.lgs. 11 ottobre 2012, n. 184, ampliando le ipotesi in cui non ricorre un'offerta fuori sede (i.e. all’offerta “di propri strumenti finanziari rivolta ai componenti del consiglio di amministrazione ovvero del consiglio di gestione, ai dipendenti, nonché ai collaboratori non subordinati dell'emittente, della controllante ovvero delle sue controllate, effettuata presso le rispettive sedi o dipendenze”) In ragione della qualifica dei soggetti sollecitati (componenti dell'organo gestorio, dipendenti e collaboratori dell'emittente e delle società del medesimo gruppo) e dei luoghi in cui si svolge l'offerta (sedi e dipendenze delle società del gruppo), pare ridursi il pericolo che l'investitore venga colto di sorpresa e indotto ad assumere decisioni inconsapevoli. In tal senso Accettella, Ancora sui contratti di collocamento di strumenti finanziari conclusi fuori sede ex art. 30, comma 6º, t.u.f., in Banca borsa tit. cred., 2013, 2, 157.
[67] Caratterizzato dalla pericolosità intrinseca dell’attività promozionale e di collocamento svolta in luoghi nei quali vi sia l’assenza dei presidi inerenti alla struttura organizzativa e di controllo riferibile all’intermediario. In tal senso Breccia, La contrattazione su valori mobiliari e il controllo della contrattazione “sorprendente”, in La vendita “porta a porta” di valori mobiliari, a cura di Bessone e Busnelli, Milano, 1992, 17 e ss. Sul tema ex multis anche Santosuosso, Jus poenitendi e servizi di investimento: la tutela dell'investitore dall'"effetto sorpresa", in Banca borsa tit. cred. 2008, 6, 758.
[68] Sottolineano che “la attività bancaria/finanziaria «fuori sede» vada articolata con attenzione in ogni sua fase operativa e sottoposta a speciali cautele di tratto preventivo, nonché a tutele di ordine successivo”, Dolmetta, Minneci, Malvagna, Il «ius poenitendi» tra sorpresa e buona fede: a proposito di Cass. SS. UU. n. 13905/2013, disponibile su www.dirittobancario.it.
[69] Cfr. Cass. civ. Sez. Unite, sent. 3.6.2013 n. 13905, cit.
[70] Si rimanda più diffusamente al Quaderno di finanza della Consob, n. 66/2010 (Errori cognitivi e instabilità delle preferenze nelle scelte di investimento le indicazioni di policy della finanza comportamentale dei risparmiatori retail, a cura di N. Linciano); Barberis e Thaler, A Survey of Behavioral Finance, Handbook of the Economics of Finance, a cura di Constantinides, Harris, Stultz, Amsterdam, 2013.
[71] Da ultimo si rimanda agli interventi che la Consob ha effettuato in tema di investor education per coloro i quali intendano investire nel c.d. equity crowdfunding (si rinvia alla apposta sezione destinata a tal fine sul sito web dell’Istituto: http://www.consob.it/main/trasversale/risparmiatori/investor/crowdfunding/index.html).
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