CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 20/05/2014 Scarica PDF

La finanza esterna tra vincoli all'utilizzo e diritto di voto dei creditori

Giacomo D'Attorre, Professore Ordinario di Diritto Commerciale presso l'Università degli Studi del Molise


Sommario: 1. Le finalità della finanza esterna nei concordati preventivi. – 2. Il potenziale vincolo del rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione. – 3. Utilizzo “selettivo” della finanza esterna e principio di proporzionalità tra creditori dello stesso rango. – 4. Gli effetti della finanza esterna sul procedimento deliberativo: la suddivisione in classi. – 6. Segue. La legittimazione al voto. - 7. Conclusioni.

 

 

 

1. Le finalità della finanza esterna nei concordati preventivi

La proposta di concordato preventivo presentata dal debitore può avere ad oggetto l’offerta ai creditori non solo di tutto o parte del proprio patrimonio, ma anche di risorse estranee che vengono messe a disposizione da parte di terzi. Si tratta della cd. “finanza esterna”, il cui utilizzo nell’ambito delle proposte concordatarie è divenuto nel tempo più frequente, in funzione della sua idoneità a realizzare diversi obiettivi.

L’utilizzo di risorse estranee al patrimonio del debitore può, anzitutto, contribuire a rendere la proposta concordataria più “appetibile” per i creditori chiamati al voto, ai quali vengono in tal modo offerti beni sui quali non potrebbero vantare pretese nel caso di fallimento. Ciò al fine di far apprezzare ai creditori la maggiore convenienza della proposta di concordato rispetto all’alternativa fallimentare; esigenza sentita soprattutto nel caso di concordati meramente liquidatori ove non è facile cogliere la convenienza delle proposte concordatarie. Nei concordati che prevedano la continuità aziendale, invece, le risorse esterne assolvono talvolta anche un ruolo funzionale al mantenimento dell’operatività, apportando risorse utili alla prosecuzione. La finanza esterna può, altresì, consentire un pagamento almeno parziale – purchè non meramente simbolico – dei creditori chirografari anche nel caso di insufficienza del patrimonio del debitore al soddisfacimento integrale dei creditori muniti di privilegio generale mobiliare; in tal modo si garantisce l’ammissibilità della proposta per il realizzarsi della causa concreta[1], senza incorrere nella violazione dell’ordine della cause di prelazione sancita dall’art. 160, comma 2, l.fall.[2].

In questa sede non si affronterà il problema della nozione di “finanza esterna”. La delimitazione della fattispecie non costituisce certo una questione meramente terminologica, ma rappresenta un dato giuridico, attesa la pluralità di possibili forme di intervento e la diversa disciplina giuridica conseguente alla qualificazione in punto di finanza esterna[3].

Si preferisce, tuttavia, considerare come acquisito il dato a monte della nozione di “finanza esterna” ed occuparci di taluni peculiari aspetti di disciplina, in punto di identificazione di possibili vincoli all’utilizzo e di effetti della presenza della finanza esterna sul diritto di voto dei creditori. I due temi, come vedremo, sono strettamente connessi, perché la risposta ai problemi evocati dai vincoli all’utilizzo della finanza esterna costituiscono la base per gli ulteriori nodi da sciogliere in ordine alle conseguenze dell’utilizzo sulla legittimazione al voto dei creditori.

 

2. Il potenziale vincolo del rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione

Il primo e più rilevante profilo problematico in una prospettiva normativa – volta alla definizione della disciplina giuridica applicabile – è quello relativo alla individuazione dei potenziali vincoli all’utilizzo della finanza esterna nell’ambito del concordato preventivo. Domanda che, a sua volta, si risolve nel verificare se anche le risorse esterne al patrimonio del debitore siano soggette al rispetto delle regole imperative che disciplinano la responsabilità patrimoniale del debitore e la distribuzione del patrimonio del soggetto sottoposto a procedura concorsuale.

Nell’approccio al tema va compiuta una precisazione di carattere preliminare. Per affermare l’esistenza di eventuali vincoli all’utilizzo della finanza esterna, è necessario individuare puntualmente la fonte e l’effettivo contenuto degli stessi. Data, infatti, la tendenziale autonomia che caratterizza il debitore nella determinazione del contenuto della proposta di concordato, ciò che deve essere giustificato è il limite alla libertà di disposizione, non il contrario.

Un primo vincolo potrebbe essere rappresentato, in ipotesi, dal principio della responsabilità patrimoniale del debitore sancito dall’art. 2740 c.c., che concorre a definire i confini entro cui può muoversi l’autonomia negoziale del debitore. Questo vincolo si rivela, tuttavia, più apparente che reale. Come correttamente sottolineato in dottrina[4], le risorse messe a disposizione dai terzi rimangono estranee al regime della responsabilità patrimoniale sancito dall’art. 2740 c.c., in quanto norma che opera con riferimento al solo patrimonio del debitore, ossia al patrimonio che risponde delle obbligazioni assunte. 

L’affermata inconferenza del richiamo all’art. 2740 c.c. non è però sufficiente a definire il tema. La norma richiamata, infatti, ci dice quale patrimonio (e quindi quali beni) risponde delle obbligazioni assunte dal debitore[5], ma nulla dispone in ordine ai criteri in base ai quali questo patrimonio deve essere distribuito tra i creditori, soprattutto nel caso di insufficienza a soddisfare tutte le pretese concorrenti. Lo sguardo va, così, allargato fino a ricomprendere anche le altre e diverse norme che configurano, nel loro complesso, il sistema di distribuzione del patrimonio del debitore. Confinando il discorso al solo rapporto tra creditori e trascurando il tema del confronto tra questi e il debitore (ed i soci, nel caso in cui il soggetto passivo sia una società), il punto di riferimento è rappresentato, in termini generali, dall’art. 2741 c.c., poi analiticamente declinato in sede di esecuzione individuale (artt. 596 ss. c.p.c.) e fallimentare (artt. 52-55 e 111 l.fall.).

La domanda che dobbiamo porci è se le cause legittime di prelazione, con le quali si fissa un ordine tra creditori nella soddisfazione delle proprie pretese, debbano trovare applicazione anche con riferimento all’utilizzo della finanza esterna e ne impongano un utilizzo conforme all’ordine di prelazione.

La risposta al quesito è negativa. Ciò non per mere ragioni di interpretazione letterale, facendo riferimento la norma dell’art. 2741 c.c. ai soli «beni del debitore», ma per motivazioni di ordine sistematico. I beni dei terzi non sono compresi tra quelli che, in quanto appartenenti al patrimonio del debitore, costituiscono la garanzia generica delle pretese dei creditori, e, quindi, non sarebbero destinati al soddisfacimento, individuale o concorsuale dei creditori; proprio questa estraneità esprime l’inconferenza delle regole imperative che disciplinano i criteri di distribuzione del patrimonio del debitore tra i suoi creditori. Anche volendo rimanere in una prospettiva individuale e non concorsuale, che valorizzi il diritto soggettivo del creditore di attuare coattivamente, attraverso l’azione esecutiva, il rapporto obbligatorio, va così condivisa l’osservazione di chi ha ricondotto la finanza esterna alla fattispecie dell’adempimento del terzo che, secondo gli ordinari principi civilistici, non incontra i limiti fissati per il debitore[6]. Nel caso di finanza esterna che non entra nel patrimonio del debitore, infatti, è il terzo a provvedere direttamente all’utilizzo delle proprie risorse per la soddisfazione dei creditori, sia pure per il tramite della proposta presentata dal debitore e della procedura concordataria, così da non essere invocabili nei suoi confronti i vincoli che avvincono i pagamenti eseguiti dal debitore.

In ambito concordatario il sistema di distribuzione del patrimonio del debitore trova una puntuale conferma nell’art. 160, comma 2, l.fall., a norma del quale «il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione». La natura imperativa del vincolo costituito dal cd. ordine delle cause legittime di prelazione ex art. 160, comma 2, l.fall. induce a verificare la sua potenziale applicabilità anche con riferimento all’utilizzo delle risorse esterne al patrimonio del debitore.

Anche a questa domanda si deve fornire una risposta negativa[7].

L’ordine delle cause di prelazione può essere inteso come regola diretta a garantire che i trattamenti dei creditori in sede di concordato rispecchino gli esiti di una eventuale liquidazione fallimentare del patrimonio del debitore o, secondo altra e preferibile tesi, come regola volta a «tutelare la posizione patrimoniale di taluni creditori, quelli cioè che, come i privilegiati, risultano collocati in una posizione superiore, dai potenziali pregiudizi derivanti da una proposta approvata da parte, o comunque con il concorso, di creditori di rango inferiore»[8]. Nell’uno e nell’altro caso, il vincolo non può trovare applicazione con riferimento a beni che, in quanto estranei al patrimonio del debitore, non sarebbero ad essi destinati. Da un lato, l’attribuzione ai creditori di risorse esterne è tale da rompere in ogni caso il possibile parallelo con l’esecuzione concorsuale, che non potrà comprendere (e distribuire ai creditori) i beni esterni al patrimonio del debitore. Dall’altro lato, qualsivoglia destinazione delle risorse esterne non può avere l’effetto di pregiudicare i creditori privilegiati incapienti o i creditori chirografari, i quali non possono dolersi o ritenersi pregiudicati dalla destinazione della finanza esterna a beneficio dei postergati o solo di alcuni chirografari selettivamente individuati; in mancanza del concordato, infatti, i loro diritti non potrebbero comunque estendersi sino a questi beni, provenienti da terzi e quindi non destinati ai creditori[9].

Con riferimento al rapporto tra l’utilizzo della finanza esterna e l’ordine delle cause legittime di prelazione, una parte della dottrina, pur condividendo l’opinione per cui le risorse esterne non sarebbero soggette ai medesimi limiti di distribuzione cui soggiace il patrimonio responsabile del debitore, ha ritenuto comunque di individuare altri (sebbene meno intensi) vincoli. In questa prospettiva, si è individuato un limite alla discrezionalità dell’utilizzo della finanza esterna, rappresentato dall’obbligo di garantire ai creditori di rango superiore un soddisfacimento, pur se non integrale, almeno superiore (o, perlomeno, non inferiore) rispetto a quello dei creditori di rango inferiore[10]. Una variante di questa tesi è rappresentata da chi ha affermato che, malgrado l’utilizzo della finanza esterna, «il trattamento complessivo riservato al creditore garantito deve essere più favorevole del trattamento complessivamente riservato al creditore garantito di grado successivo, e quest’ultimo del trattamento riservato ai creditori chirografari maggiormente soddisfatto»[11]. La ragione di tale vincolo è stata individuata nella necessità di non alterare «gli equilibri di soddisfacimento dei creditori stabiliti dalle regole operative in quel sistema in vista del quale, del resto, i creditori dell’impresa in crisi hanno accettato di contrarre le obbligazioni poi dedotte nella proposta di concordato»[12], oppure fondata su valutazioni di «ordine etico», che determinerebbero «l’opportunità di garantire comunque anche in sede di soluzione concordata un trattamento non deteriore ai crediti privilegiati in considerazione della causa generatrice degli stessi»[13].

Nemmeno questa vincolo “debole” alla libera distribuzione della finanza esterna pare trovare un solido fondamento sul piano sistematico o letterale.

L’ordine della cause legittime di prelazione ex art. 160, comma 2, l.fall. costituisce nient’altro che un criterio per individuare il modo di distribuire il valore del patrimonio del debitore tra gli aventi diritto e non esprime certo una presunta gerarchia assiologica tra categorie di creditori, né tantomeno rappresenta il punto di emersione di presunti principi di carattere etico, come tale invocabili anche e indipendentemente rispetto alle fonti della soddisfazione. Più in generale, ogni regola che, in presenza di un potenziale conflitto tra una pluralità di creditori aventi pretese nei confronti di uno stesso patrimonio potenzialmente inidoneo a soddisfare tutti, detti un criterio di risoluzione di questo conflitto, si risolve precipuamente (ed unicamente) nel delineare un determinato ordine di distribuzione del patrimonio stesso tra gli aventi diritto. In quanto mero criterio d’ordine delle pretese rispetto alle risorse provenienti da un determinato patrimonio, questa regola opera sino ai confini di esso e cessa di svolgere una propria funzione al di fuori di questo perimetro.

Ne consegue la piena libertà della proposta di prevedere la distribuzione delle risorse esterne al patrimonio del debitore anche in deroga all’ordine dei privilegi legali.

 

3. Utilizzo “selettivo” della finanza esterna e principio di proporzionalità tra creditori dello stesso rango

La conclusione raggiunta in ordine alla possibilità di distribuire la finanza esterna tra i creditori senza rispettare le regole che configurano il sistema di distribuzione del patrimonio tra i creditori e, in particolare, senza osservare il cd. ordine delle cause legittime di prelazione ex art. 160, comma 2, l.fall., non consente di considerare chiuso il discorso e di affermare l’assenza di ogni vincolo nella distribuzione di queste risorse. E’ da chiedersi, infatti, se un vincolo possa comunque essere rappresentato dalla par condicio creditorum, nel senso che le risorse provenienti dalla finanza esterna debbano essere distribuite in modo paritario tra tutti i creditori chirografari (compresi i privilegiati per la parte incapiente), senza la possibilità di un utilizzo selettivo in favore di uno o più creditori specificamente individuati.

I due temi – si badi – non vanno confusi. L’ordine delle cause di prelazione disciplina la distribuzione del patrimonio disponibile tra i creditori di rango diverso; la par condicio creditorum, invece, disciplina il modo in cui le risorse vengono distribuite tra i creditori dello stesso rango. Proprio per evitare equivoci linguistici, è pertanto preferibile discorrere, piuttosto che di par condicio creditorum, di principio di proporzionalità nel soddisfacimento di creditori dello stesso rango[14].

Malgrado l’indubbio fascino che il richiamo alla par condicio creditorum o al principio di proporzionalità reca con sé, è da escludere che esso essere utilizzato quale limite alla possibilità di un utilizzo “selettivo” della finanza esterna in favore di alcuni creditori[15]. Senza che sia in questa sede possibile dilungarsi sul significato che la regola della parità di trattamento assume nella disciplina del concordato, anche alla luce della possibilità di suddividere i creditori in classi, è sufficiente osservare che l’ordinamento non impone alcun criterio di eguaglianza nella suddivisione tra i creditori dell’eventuale plusvalore derivante dal concordato, a condizione che nessuna classe subisca un trattamento deteriore rispetto alle alternative concretamente praticabili (arg. ex art. 180, comma 4, l.fall.)[16]. Non è richiesto, infatti, che tutti i creditori ottengano un trattamento vantaggioso al pari degli altri, ma unicamente che nessuno dei creditori ottenga, in sede di concordato, un trattamento pregiudizievole rispetto agli scenari alternativi.

Configurando la finanza esterna in termini di plusvalore derivante dal concordato, in quanto risorse ulteriori rispetto al patrimonio del debitore che costituisce la garanzia generica dei creditori, ne consegue la piena legittimità di un’attribuzione discrezionale della stessa in favore solo di alcuni creditori, senza che ciò possa configurare in alcun modo un pregiudizio per gli altri creditori. Se non vi è un obbligo di ripartire il plusvalore in modo egualitario tra i creditori, non vi è parimenti obbligo di distribuire in modo paritario quel peculiare plusvalore che è rappresentato dalla finanza esterna.

 

4. Gli effetti della finanza esterna sul procedimento deliberativo: la suddivisione in classi

L’esame che precede ha confermato l’assenza di vincoli normativi all’utilizzo della finanza esterna nel concordato, sia derivanti dalle regole di distribuzione del patrimonio del debitore, sia derivanti dal principio di proporzionalità tra creditori dello stesso rango. Le risorse derivanti dalla nuova finanza sono liberamente utilizzabili in sede di proposta, che potrà legittimamente destinare le stesse a beneficio di un singolo creditore o di una determinata classe dei creditori, siano essi privilegiati “incapienti”, chirografari o postergati. Se l’utilizzo della finanza esterna è libero, ciò non significa che esso rimanga privo di rilievo ai fini dello svolgimento del procedimento di concordato. La finanza esterna, nel momento in cui diventa parte integrante della proposta rivolta ai creditori, contribuisce infatti a determinare l’ambito di applicazione delle regole procedimentali del concordato, volte alla disciplina dell’esercizio del diritto di voto dei creditori ed alla formazione delle maggioranze.

In primo luogo, l’utilizzo della finanza esterna può avere effetto sulla suddivisione dei creditori in classi. Laddove le risorse provenienti dalla finanza esterna vengano messe a disposizione esclusivamente (o, comunque, non proporzionalmente) di uno o più creditori, sorge la necessità che i “destinatari” di queste risorse aggiuntive siano inseriti in classe separata rispetto agli altri creditori privati di tali risorse (o beneficiati in misura diversa o inferiore). Questo obbligo di “classamento” sussiste sia nel caso in cui i creditori beneficiari vengano ad ottenere, per effetto della finanza esterna, una differenza di trattamento rispetto agli altri creditori, sia anche nell’opposta ipotesi in cui i beneficiari, proprio per effetto delle risorse aggiuntive, riescano ad ottenere un trattamento eguale rispetto a quello degli altri.

La prima affermazione, in punto di obbligo di classare autonomamente i creditori che ottengano un trattamento differente per effetto dell’apporto di finanza esterna, costituisce la diretta conseguenza della regola legale inderogabile che impone di garantire la par condicio creditorum tra i creditori appartenenti alla stessa classe[17]. Se è possibile spezzare il principio della parità di trattamento tra i creditori prevedendo «trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse» (art. 160, comma 1, lett. d, l.fall.), non è consentito attribuire trattamenti differenziati tra creditori appartenenti alla medesima classe[18].

Non può essere accolta, al riguardo, la recente opinione secondo cui l’obbligo della parità di trattamento tra creditori appartenenti alla medesima classe opererebbe solo con riferimento alle risorse provenienti dal patrimonio del debitore, con la conseguenza che l’attribuzione solo a taluni creditori delle risorse esterne ed il diverso soddisfacimento in favore degli stessi non imporrebbe l’obbligo di inserimento in classe separata[19].

Questa opinione, per quanto suggestiva e motivata da una comprensibile valorizzazione dell’autonomia negoziale del debitore in sede di proposta, sembra basarsi su un assunto non pienamente condivisibile, nella misura in cui interpreta la regola della par condicio tra i creditori appartenenti alla medesima classe quale proiezione del principio della responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c., come tale inapplicabile con riferimento alle risorse provenienti da terzi. Al contrario, l’obbligo di trattare in modo eguale i creditori appartenenti alla stessa classe costituisce espressione del diverso principio che impone di garantire l’omogeneità dell’interesse dei creditori della classe, presupposto per l’applicazione del principio di maggioranza all’interno della classe stessa[20]. Si tratta, quindi, di una regola che attiene alla deliberazione ed al calcolo delle maggioranze, non già di una regola che riguarda l’ordine di distribuzione del patrimonio. A conferma di questo diverso rilievo delle due regole, giova rilevare come anche nel diritto comune il principio della responsabilità patrimoniale del debitore ed il principio della par condicio creditorum si pongano su piano diversi, trovando disciplina rispettivamente nell’art. 2740 c.c. e nell’art. 2741 c.c.: mentre la prima norma considera il rapporto obbligatorio dal lato passivo, dalla parte del debitore, la seconda norma lo considera dal lato attivo, dalla parte dei creditori e dei reciproci rapporti[21].

Va ribadita, pertanto, l’inderogabilità del principio in forza del quale i creditori appartenenti alla stessa classe devono ricevere un eguale trattamento e l’applicazione di esso anche nel caso di utilizzo di finanza esterna. Con la conseguenza, già sopra evidenziata, che, nel caso di differenza di trattamento di creditori per effetto di un utilizzo selettivo della finanza esterna, i creditori che ottengono trattamenti differenziati devono essere inseriti in classi diverse.

L’obbligo di inserimento in classi differenziate deve ritenersi sussistente anche nell’ipotesi in cui i beneficiari della finanza esterna, proprio per effetto delle risorse aggiuntive, riescano ad ottenere un trattamento eguale rispetto a quello degli altri. E’ il caso, ad esempio, della destinazione della finanza esterna a beneficio dei creditori postergati e della previsione per essi, per effetto di ciò, di un soddisfacimento in misura identica a quella dei creditori chirografari (o anche solo di una classe di chirografari). Qui l’inserimento in classi differenti è funzionale a garantire la comunione di interessi tra i creditori della medesima classe e la genuinità nell’espressione del diritto di voto. A ben vedere, la stessa ragione che fa divieto di trattare in modo differente i creditori appartenenti alla medesima classe impone di inserire in classi separati i creditori che ricevano un trattamento eguale, ma in forza di risorse provenienti da patrimoni diversi, rispettivamente del debitore e di terzi.

Per giustificare questa conclusione, che nella sua assolutezza e perentorietà potrebbe suscitare non poche perplessità, anche in ragione dell’assenza di un dato letterale sul quale fondarla, giova svolgere alcuni considerazioni in ordine al fondamento del principio di maggioranza nell’ambito dei concordati preventivi. E’ noto che il potenziale contrasto tra principio maggioritario e tutela della libertà negoziale dei creditori dissenzienti - che subiscono la conformazione concordataria del proprio credito senza il concorso della propria volontà - ha da tempo occupato i giuristi[22] e che il dibattito si sia riacceso a seguito della Riforma, a causa della soppressione del controllo di convenienza del tribunale (ora solo eventuale). In coerenza con gli approdi della dottrina in materia societaria, si è così rilevato come la regola maggioritaria possa legittimamente operare anche nei concordati solo in presenza di una comunione di interessi tra coloro i quali sono coinvolti nella decisione che sarà assunta dalla maggioranza[23]. Proprio questo risultato interpretativo, peraltro, è alla base del dibattito sulla rilevanza giuridica della disciplina del conflitto d’interessi tra i creditori nei concordati[24] e sulla sussistenza di un obbligo di suddivisione dei creditori in classi in presenza di una disomogeneità degli interessi tra gli stessi[25]. Laddove si condivida la tesi che ravvisa nella comunione di interessi tra creditori l’unica giustificazione teorica del principio di maggioranza nel concordato preventivo, l’affermazione sopra esposta circa l’obbligatorietà dell’inserimento in classe separata del creditore che riceve un trattamento eguale in forza dell’utilizzo di finanza esterna si presenta come il doveroso corollario applicativo.

Il creditore che sia destinatario unico della finanza esterna è portatore, con riferimento alla proposta di concordato preventivo, di un interesse proprio ed esclusivo rispetto a quello degli altri creditori concorsuali. Si è in presenza, infatti, di un interesse ad un vantaggio particolare da conseguirsi mediante il concordato, non condiviso dagli altri creditori, in quanto fondato sulla previsione di “finanza esterna” destinata in modo esclusivo a quel creditore e non già agli altri creditori. Questo interesse personale viene a rompere l’omogeneità tra i creditori appartenenti alla classe, in quanto gli altri creditori valuteranno la proposta solo sulla base di una comparazione tra il patrimonio del debitore nel concordato e nel fallimento, mentre il creditore beneficiato della “finanza esterna” valuterà la proposta guardando anche e soprattutto al vantaggio per esso arrecato dalla finanza esterna, di cui non potrebbe evidentemente giovarsi nel caso di fallimento[26].

La non omogeneità degli interessi si apprezza meglio ponendosi sotto un altro angolo visuale: nel caso di fallimento, gli altri creditori sarebbero ancora avvinti nel principio di par condicio creditorum e trattati nello stesso modo; diversamente, il creditore beneficiario non potrebbe ricevere in sede fallimentare lo stesso trattamento riservato agli altri creditori della classe, venendo meno l’apporto di finanza esterna che solo gli garantisce questo trattamento. In ragione della peculiare destinazione della finanza esterna, la decisione maggioritaria non produrrebbe, pertanto, lo stesso effetto tra tutti i creditori della classe, così venendo a mancare il rapporto di strumentalità tra i loro interessi. Al fine di garantire l’omogeneità dell’interesse dei creditori della classe, funzionale al corretto operare del principio di maggioranza, appare così necessario differenziare ai fini del voto la posizione del creditore beneficiario della finanza esterna e collocarlo in una classe separata.

L’impatto pratico sul calcolo delle maggioranze di questo “classamento obbligatorio” del creditore beneficiario della finanza esterna è di immediata evidenza: in questo modo, anche se (per assurdo) il creditore beneficiario fosse titolare della maggioranza dei crediti ammessi, il suo voto favorevole alla proposta sarebbe irrilevante ai fini del raggiungimento dei quorum, dovendo la proposta essere approvata dalla maggioranza dei crediti ammessi al voto nell’altra (o nella maggioranza delle altre) classi dei creditori non beneficiari della finanza esterna.

La soluzione che precede – si badi – non richiede necessariamente l’accoglimento della tesi che invoca la rilevanza giuridica del conflitto d’interessi del creditore, in punto di esclusione dal voto, inserimento in classe separata o giudizio di convenienza del tribunale. Il tema della obbligatorietà della formazione delle classi in presenza di situazioni economiche non omogenee tra i creditori ed il tema del conflitto d’interessi non vanno confusi l’uno con l’altro e non si sovrappongono. Il primo attiene alla facoltatività o meno della suddivisione in classi separate dei creditori che siano portatori di interessi economici non omogenei tra di loro, pur non essendo necessariamente in conflitto con l’interesse comune dei creditori; il secondo attiene agli strumenti per sterilizzare il voto di soggetti che siano portatori di un interesse personale in conflitto con quello comune dei creditori (es: il creditore che sia anche proponente del concordato)[27]. Pertanto, si può affermare la tesi dell’obbligatorio “classamento” del creditore (o dei creditori) destinatari esclusivi della finanza esterna pur laddove si ritenga di negare la rilevanza del conflitto d’interessi tra creditori.

Né, tantomeno, un ostacolo all’inserimento in classe separata del creditore che riceva un trattamento identico a quello degli altri, ma solo in virtù dell’utilizzo della finanza esterna, può essere individuato in un presunto divieto di riservare lo stesso trattamento a creditori appartenenti a classi differenziate. Questo divieto non trova certo un fondamento normativo nell’art. 160, comma 1, lett. d), l.fall., che si limita a precludere la possibilità di trattare in modo diverso creditori della stessa classe, e non riceve nemmeno aliunde una propria giustificazione sistematica[28].

 

6. La legittimazione al voto

L’utilizzo della finanza esterna può avere un effetto sul procedimento di approvazione del concordato non solo in punto di suddivisione in classe dei votanti, ma anche direttamente sul piano della legittimazione al voto.

Al riguardo, è stata già opportunamente sottolineata l’esigenza di verificare in quale misura le risorse dei terzi concorrano a pagare i creditori secondo il rispettivo rango[29]; verifica funzionale, a sua volta, alla individuazione dei creditori legittimati al voto. Sul punto, si è avanzato l’esempio di una proposta che preveda l’integrale pagamento dei creditori privilegiati e solo pro quota dei creditori chirografari, senza specificare in quale misura le risorse per soddisfare i privilegiati provengano dal patrimonio del debitore o di terzi. Nel caso in cui le risorse provengano dal patrimonio del debitore, i privilegiati sarebbero privi del diritto di voto ai sensi dell’art. 177, comma 2, l.fall. mentre, nel caso in cui le risorse provengano da terzi, anche i creditori privilegiati sarebbero legittimati al voto per la parte degradata a chirografo per incapienza del patrimonio responsabile[30]. In tale ipotesi, si è rilevato che per la parte incapiente i creditori resterebbero comunque chirografari ed avrebbero diritto al voto anche se ne fosse previsto, per effetto della finanza esterna, il pagamento integrale; questo perché il diritto di voto spetterebbe ai chirografari indipendentemente dal trattamento loro riservato dal proponente[31].

La conclusione ora esposta può essere condivisa, anche se sulla base di una diversa argomentazione.

Già in altra occasione si è avuto modo di motivare l’adesione di chi scrive alla opinione di quanti ritengono che i creditori chirografari per i quali sia previsto l’integrale pagamento non siano legittimati al voto, in quanto la proposta sarebbe per essi neutra, così determinandosi una loro sostanziale “indifferenza” per le sorti del concordato, al pari di quanto prevede espressamente la norma per i creditori privilegiati integralmente pagati[32]. Questi tesi ha il pregio di meglio valorizzare la nozione di interesse sottostante al voto e, soprattutto, consente di individuare il limite alla signoria volitiva dei creditori in ordine alla proposta di concordato, limite rappresentato dall’effettiva incidenza della proposta di concordato sulla soddisfazione del proprio credito. Anche se tale soluzione può condurre alla paradossale situazione della esclusione dal voto di tutti i creditori e conseguente passaggio alla fase dell’omologazione di una proposta non votata da alcun creditore[33], ciò non deve turbare oltremodo, perché effetto diretto della funzione della concordataria quale mezzo di soddisfazione per i creditori e della strumentalità del voto sul concordato rispetto a questo interesse tutelato.

Proprio la ragione alla base dell’accoglimento della tesi in ordine all’esclusione dal voto dei creditori chirografari integralmente pagati dà conto del motivo per cui, laddove tale soddisfacimento integrale sia conseguenza della finanza esterna, debba rivivere la legittimazione al voto dei chirografari (compresi anche i privilegiati degradati a chirografi per la parte incapiente). Se, infatti, il soddisfacimento integrale dei creditori è conseguenza dell’utilizzo della finanza esterna, la scelta tra l’alternativa concordataria e quella fallimentare non è per essi indifferente, essendovi differenza nel trattamento loro riservato nelle due ipotesi. Rivive, pertanto, l’interesse dei creditori chirografari, connesso all’incidenza della proposta di concordato sulla soddisfazione del loro credito e, di conseguenza, permane la loro legittimazione al voto.

Va, quindi, affermata la piena legittimazione al voto dei creditori chirografari (comprensivi dei privilegiati per la parte incapiente) ai quali si proponga un soddisfacimento integrale nel concordato per effetto dell’utilizzo della finanza esterna.

 

7. Conclusioni

Il discorso svolto ha consentito di escludere che l’utilizzo della finanza esterna nell’ambito del concordato preventivo sia soggetto a vincoli derivanti dal rispetto dell’ordine delle cause di prelazione o dal principio di proporzionalità tra i creditori dello stesso rango, ma, allo stesso tempo, ha condotto a valorizzare gli effetti di questo utilizzo ai fini del “classamento” e del voto dei creditori, al fine di evitare distorsioni nel corretto operare del principio di maggioranza. Si tratta di un risultato che si presenta coerente con gli interessi tutelati dal legislatore, garantendo l’autonomia negoziale del debitore nella definizione della proposta di concordato ed accentuando la tutela dei creditori sul piano della correttezza del processo deliberativo.



* Lo scritto è destinato agli Studi in onore di Domenico Mazzocca.

[1] Sul rapporto di strumentalità tra soddisfacimento dei creditori, causa concreta del concordato e ammissibilità della proposta, vedi Cass., SS.UU., 23 gennaio 2013, n. 1521, in Giur. comm., 2013. II, 333 ss.. Per un’approfondita disamina della pronuncia, vedi anche gli atti del Seminario pubblicati in Giur. comm., 2014, I, 215 ss..

[2] Sul punto cfr., per tutti, Sandulli, Art. 160, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di A. Nigro, M. Sandulli, V. Santoro, Torino, 2014, 21. Per un approfondimento, vedi infra par. 2.

[3] Sulla nozione di finanza esterna, vedi, Cass. 8 giugno 2012, n. 9373, in Fallimento, 2012, 1409, secondo cui si è in presenza di “finanza esterna solo quando l’apporto del terzo «risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società debitrice, non comportando né un incremento dell’attivo, sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado, né un aggravio del passivo, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo»; Trib. Milano, 20 luglio 2011, in www.ilfallimentarista.it: «Non può qualificarsi finanza esterna al patrimonio del debitore, come tale liberamente allocabile tra i creditori, il prezzo di acquisto offerto da un terzo per un complesso di beni dedotti in concordato nella misura in cui tale prezzo eccede il valore di mercato dei beni medesimi per come stimati dall’attestatore»; Trib. Monza, 22 dicembre 2011, in Il Caso.it, I, 6852, che ha qualificato in termini di nuova finanza le «nuove realizzazioni patrimoniali sorte grazie anche all'attività prestata gratuitamente dai soci, che hanno permesso di trasformare semi-lavorati  in macchine finite». In dottrina, vedi, tra gli altri, Bonfatti, Il sostegno finanziario dell’impresa nelle procedure di composizione negoziale della crisi, in Il Caso.it, I, 214/2010; D. Bianchi, La Cassazione, la nuova finanza e l’alterazione dell’ordine dei privilegi, in Fallimento, 2012, 1412, secondo cui può essere definita «nuova finanza esclusivamente quella in cui l’efficacia del conferimento risulta (talvolta anche per implicito) sospensivamente condizionato all’omologa del concordato»).

[4] Cfr. Fabiani, Diritto fallimentare, Torino, 2011, 616 ss.; Jachia, Il concordato preventivo e la sua proposta, in Fallimento e altre procedure concorsuali. Trattato diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, III, Torino, 2009, 1609.

[5] Sull’effettivo significato che il principio di responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c. assume nell’ambito dei concordati preventivi, sia consentito il richiamo a D’Attorre, Concordato preventivo e responsabilità patrimoniale del debitore, paper presentato al V Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Professori Universitari di Diritto Commerciale “Orizzonti del Diritto Commerciale”, Roma, 21-22 febbraio 2014, disponibile su www.orizzontideldirittocommerciale.it, 1 ss. (in corso di pubblicazione in Riv. dir. comm.), ove anche l’osservazione secondo cui la previsione di trattamenti differenziati tra creditori delle classi diverse si traduce in una diversa conformazione del principio della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., nella misura in cui spezza il rapporto tra la massa dei creditori chirografari ed il patrimonio residuo del debitore (ovvero, il patrimonio al netto di quanto spettante ai prededucibili ed ai privilegiati).

[6] Così Fabiani, Diritto fallimentare, cit., 617.

[7] In giurisprudenza vedi Cass., 8 giugno 2012, n. 9373; Trib. Milano, 16 marzo 2013, in Riv. dott. comm., 2013, 419; Trib. Padova, 16 maggio 2011, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, II, 222; Trib. La Spezia, 8 febbraio 2011, in Fallimento, 2012, 731. In questo senso vedi in dottrina, tra gli altri, Bozza, L’utilizzo di nuova finanza nel concordato preventivo e la partecipazione al voto dei creditori preferenziali incapienti, in Fallimento, 2009, 1442;  Fabiani, Diritto fallimentare, cit., 616 ss.; Sandulli, Art. 160, cit., 21.

Contra, vedi l’isolata pronuncia di Trib. Treviso, 11 febbraio 2009, in Fallimento, 2009, 1439: «Sia il ricavato della liquidazione dei beni ceduti, sia le risorse ulteriori che il debitore proponente il concordato pone a disposizione dei creditori (cd. nuova finanza) vanno destinate alla soddisfazione dei creditori nel rispetto delle cause legittime di prelazione».

Significativo è anche l’esito delle indagini sulle opinioni degli “addetti ai lavori”, riportato e commentato da Vella, Il trattamento dei creditori prelazionari, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di M. Ferro, P. Bastia, G.M. Nonno,  Milano, 2013, 87 ss.

[8] Ferri jr., La struttura finanziaria della società in crisi, in RDS, 2012, 487.

[9] Cfr., in questo senso, Guerrera, Le soluzioni negoziali, in AA.VV., Diritto fallimentare. Manuale breve, Milano, 2013, 155.

[10] Vedi Terranova, Problemi di diritto concorsuale, Torino, 2011, il quale, anche con riferimento alla plusvalenza da concordato dipendente da risorse esterne messe a disposizione da terzi, osserva che «le risorse aggiuntive … consentono al debitore … una certa libertà di movimenti, che torna utile per convincere i più riottosi, ma non può portare a stravolgere le scale di valori imposti dalla legge: i creditori privilegiati, infatti, debbono ricevere in ogni caso (ma sempre nei limiti della copertura offerta dalla garanzia) qualche cosa di più (o forse sarebbe meglio dire: nulla di meno) di quanto viene promesso ai creditori di rango successivo». In questo senso vedi anche Bottai, Trattamento dei creditori privilegiati, nuova finanza e rapporto fra classi e privilegi, in Fallimento, 2010, 87, secondo cui le risorse aggiuntive dovrebbero «essere destinate in maggior misura alle classi di creditori privilegiati generali non interamente soddisfatti e solo in minima parte ai chirografari» e Zanichelli, I concordati giudiziali, Bologna, 2010, 164.

[11] Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, Milano, 2011, 243, ove anche la precisazione secondo cui «per trattamento complessivo si vuole intendere il trattamento ottenuto sommando il pagamento nei limiti del valore di realizzo con il trattamento per la parte di credito eccedente tale misura».

[12] Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, cit., 244.

[13] Zanichelli, I concordati giudiziali, cit., 165.

[14] Cfr. Nigro, Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2009, 351.

[15] Sulla possibilità di distribuire la finanza esterna in modo non rispettoso della par condicio creditorum vedi già F. Caiafa, L’esame della proposta concordataria, in Le procedure concorsuali, a cura di A. Caiafa, coordinato da S. De Matteis, S. Scarafoni, II, Padova, 2011, 1322.

[16] Vedi, per tutti, Stanghellini, Art. 124, in Il nuovo diritto fallimentare. Commentario diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, II, Bologna, 2007, 1967, sia pure con riferimento al concordato fallimentare ed all’intervento del Decreto Correttivo n. 169/2007; Id., Le crisi d’impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007, 229, ove anche un richiamo alle diverse soluzioni adottate nell’ordinamento statunitense e tedesco. Nello stesso senso, anche se in modo critico rispetto alla scelta legislativa, anche Sciuto, La classificazione dei creditori nel concordato preventivo (un’analisi comparatistica), in Giur. comm., 2007, I, 597.

[17] Sul punto vedi già Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, cit., 242, il quale individua nel “paradigma deliberativo” e nella par condicio creditorum un vincolo alla distribuzione della finanza esterna, con la conseguenza per cui la proposta non potrà comunque prevedere «differenze di trattamento tra creditori chirografari se il concordato non è diviso in classi e tra creditori chirografari appartenenti alla stessa classe se il concordato è organizzato in classi». Vedi anche Nardecchia, Le classi e la tutela dei creditori nel concordato preventivo, in Giur. comm., 2011, II, 87, il quale rileva che «la differenziazione di trattamento economico tra creditori omogeni e la deroga al divieto di alterare l’ordine legittimo delle cause di prelazione, sia nelle ipotesi espressamente previste dal legislatore, … sia in quelle rese possibili dal concorso di attribuzioni patrimoniali esterne rispetto al patrimonio del debitore … impongono la suddivisione dei creditori in classi».

[18] Sul punto vedi, per tutti, Sandulli, Art. 160, cit., 2014, 20; Jorio, Art. 160, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A. Nigro, M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2010, 2043; Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore e A. Bassi, I, Padova, 2010, 493.

[19] Nardone, Art. 163, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di A. Nigro, M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2014, 99, secondo il quale:  «L’obbligatorietà della parità di trattamento (e quindi la disciplina delle relative eccezioni mediante la classazione dei crediti) vale in relazione al patrimonio responsabile, non  certo con riferimento ad apporti estranei allo stesso realizzati su base volontaria e gratuita (anche se giustificata da uno specifico interesse del disponente). Ne segue che i terzi potranno destinare (direttamente o mediante una disposizione all’uopo specificamente condizionata) risorse proprie al soddisfacimento di taluni soltanto dei creditori concorsuali senza che gli stessi debbano essere autonomamente classati. Chiaramente, nella misura in cui tale particolare trattamento di alcuni creditori sia funzionale o strumentale alla proposta concordataria nel suo complesso, dovrà essere chiaramente indicato nel piano e portato a conoscenza di tutto il ceto creditorio»

[20] Vedi, tra gli altri, Stanghellini, Le crisi d’impresa, cit., 228.

[21] In questi termini vedi vedi L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale. Disposizioni generali, in Il codice civile. Commentario fondato da P. Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, 2° ed., Giuffrè, Milano, 2010, 152, ove ulteriori riferimenti sui rapporti tra le regole dettate dagli artt. 2740 e 2741 c.c.

[22] La riflessione sulla giustificazione della decisione a maggioranza nel concordato (preventivo o fallimentare) è coeva al sorgere dell’istituto, sin dalle sue origini medievali, e ne ha accompagnato l’intero svolgimento. Sul punto, si veda l’accurata analisi di Migliorino, Mysteria concorsus. Itinerari premoderni del diritto commerciale, Milano, 1999, 153 ss. il quale riporta l’avvincente susseguirsi di tentativi, disseminati in trattati, repertori, massimari, decisioni e annotazioni, diretti a «definire le ragioni che giustificavano l’obbligatorietà del concordato di maggioranza e fissare le regole di quel labirinto di interessi che era il giudizio di concorso» (p. 179). La rassegna di Migliorino  si chiude con la presentazione del pensiero di Francisco Salgado de Somoza (Labyrinthus creditorum concurrentium, Lugduni, 1665), il quale individua la ragione giustificatrice della deroga che le procedure concorsuali, ed il concordato di maggioranza in particolare, introducono al diritto comune nella «connexitas», ovvero reciproca interferenza, che lega tra loro i creditori che non possono ottenere il soddisfacimento integrale del loro credito a causa dello stato di insolvenza del debitore. Più di recente, vedi, sul punto, la breve, ma densa ricostruzione in Giorgi, Introduzione al diritto della crisi d’impresa, Padova, 2012, 54 ss..

[23] Sacchi, Il principio di maggioranza nel concordato e nell’amministrazione controllata, Milano, 1984, 300 ss.; Sacchi, Concordato preventivo, conflitto di interessi fra creditori e sindacato dell’autorità giudiziaria, in Fallimento, 2009, 32; d’Alessandro, Sui poteri della maggioranza del ceto creditorio e su alcuni loro limiti, in Fallimento, 1990, 189 s.; D’Attorre, Il conflitto d’interessi tra creditori nei concordati, in Giur. comm., 2010, I, 392 ss.; Fabiani, Dalla votazione al voto nel concordato fallimentare, in Giur. comm., 2011, I, 585; Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, cit., 264.

[24] Sul punto sia consentito il rinvio, per tutti, a D’Attorre, Art. 177, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di A. Nigro, M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2014, 303 ss.

[25] In senso favorevole alla obbligatoria suddivisione in classi, vedi Sacchi, Concordato preventivo, cit., 33; Id., Lupi e conflitto di interessi dei creditori nei concordati, in Riv. dir. comm., 2014, 60; Fabiani, Brevi riflessioni su omogeneità degli interessi ed obbligatorietà delle classi nei concordati, in Fallimento, 2009, 441; Catallozzi, Il “classamento obbligatorio” nei concordati, in ivi, 2010, 781 ss.; Presti, Rigore è quando arbitro fischia?, in Fallimento, 2009, 29; Trib. Milano, 4 dicembre 2008, in Fallimento, 2009, 423; Trib. Monza, 27 novembre 2009, in Il Caso.it, I, 1948.

Nega l’esistenza di un obbligo di formare le classi in presenza di interessi non omogenei, Cass., 10 febbraio 2011, n. 3274, in Giur. comm., 2012, II, 276 ss. e, in dottrina, Stanghellini, L’approvazione dei creditori nel concordato preventivo: legittimazione al voto, maggioranze e voto per classi, in Fallimento, 2006, 1064;  Bozza, La facoltatività della formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fallimento, 2009, 424 ss.;, 425; Galletti, Classi obbligatorie? No grazie, in Giur. comm., 2010, II, 343; Panzani, Creditori privilegiati, creditori chirografari e classi nel concordato preventivo, in AA.VV., La crisi d’impresa. Questioni controverse del nuovo diritto fallimentare, a cura di Di Marzio, Cedam, Padova, 2010, 353; 360 ss.; Zanichelli, I concordati giudiziali, cit., 152 ss..

[26] Anche Di Marzio, Finanza esterna e concordato preventivo, in www.ilfallimentarista.it, 04/03/2013, 2, sottolinea il rischio che l’utilizzo selettivo della finanza esterna determina con riferimento alla genuinità del voto.

[27] Sul punto vedi le puntuali osservazioni di Sacchi, Concordato preventivo, cit., 32.

[28] Cfr., per tutti, Sacchi, Lupi e conflitto di interessi,  cit., 61; Fabiani, Brevi riflessioni, cit., 441; Trib. Monza, 12 aprile 2012, in Il Caso.it, I, 7136. Contra, in giurisprudenza, Trib. Roma, 20 aprile 2010, in Dir. fall., 2011, II, 298.

[29] Lamanna, Le insidie logiche della finanza esterna in caso di prelazioni incapienti, in www.ilfallimentarista.it, 20/01/2014, 2.

[30] Lamanna, Le insidie logiche, cit., 2.

[31] Lamanna, Le insidie logiche, cit., 2.

[32] D’Attorre, Art. 177, cit., 296 ss.. In questo senso cfr. anche Nigro-Vattermoli, Diritto, 299-378; Trib. Perugia, 16 luglio 2012, in Il Caso.it, I,7646.

In senso contrario, vedi Di Marzio, Il diritto, 299 e 378; D’Orazio, Il rebus delle classi dei creditori ed il controllo del tribunale, in Giur. merito, 2009, I, 140; Cassandro, La deliberazione del concordato preventivo, in Trattato di diritto delle procedure concorsuali, diretto e coordinato da U. Apice, III, Torino, 2001, 371; Trib. Pescara, 16 ottobre 2008, in Giur. merito., 1009, I, 125.

[33] Il problema è già colto da Di Cecco, Art. 127, in La legge fallimentare dopo la riforma a cura di A. Nigro, M. Sandulli e V. Santoro, Torino, II, 2010, 1753, il quale, con riferimento al concordato fallimentare, riconosce il diritto di voto ai creditori chirografari pagati integralmente nel caso in cui non vi siano altre classi di creditori votanti.


Scarica Articolo PDF