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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 16/12/2013 Scarica PDF
Notifiche telematiche ex lege n. 53/1994: riflessioni sull'applicabilità dell'art. 147 c.p.c.
Giuseppe Vitrani e Pietro Calorio, Avvocati in TorinoUn argomento interessante, e al momento poco esplorato, in materia di notificazioni telematiche effettuabili dall’avvocato a mezzo PEC ai sensi della legge n. 53 del 1994, concerne il tempo in cui tali atti possono compiersi.
Invero, diversamente dalle altre modalità di notifica previste dal codice di procedura civile e dalla legge n. 53 del 1994 nelle quali è necessario in ogni caso ricorrere all’ausilio di un terzo soggetto (l’Ufficiale Giudiziario, il servizio postale), nel caso di notificazione effettuata a mezzo della Posta Elettronica Certificata il procedimento è curato in piena autonomia dall’avvocato, che effettua le formalità di legge valendosi esclusivamente del proprio computer, della connessione ad internet e di un servizio di posta elettronica certificata.
Visto il silenzio della legge n. 53 del 1994, viene dunque da chiedersi se sia possibile procedere con una notificazione telematica senza limiti di orario, essendo evidentemente possibile inviare un messaggio di posta elettronica certificata in ogni momento della giornata.
Occorre dunque considerare il disposto dell’art. 147 c.p.c. del codice di procedura civile, il quale dispone che “le notificazioni non possono farsi prima delle ore 7 e dopo le ore 21”, ed interrogarsi se tale norma possa essere applicata anche alle notifiche eseguite in via telematica
Ad avviso di chi scrive possono fronteggiarsi due diverse opinioni, entrambe meritevoli di adeguata attenzione.
Si può certamente sostenere che l’indirizzo elettronico, ponendosi come vero e proprio “domicilio eletto” (sia pure privo di qualsivoglia collegamento spaziale con l’intestatario), per le sue caratteristiche intrinseche, non sia suscettibile di utilizzi anche solo potenzialmente lesivi del diritto, costituzionalmente garantito, all’inviolabilità del domicilio (art. 14 Cost.) o anche solo dell’interesse al riposo e alla tranquillità, tutelato dalla norma processuale in oggetto.
Ove si condividesse tale orientamento, evidentemente, l’art. 147 c.p.c. diverrebbe inapplicabile in caso di notifica telematica, venendone meno la ratio ispiratrice; conseguentemente sarebbe possibile notificare “fuori orario” anche senza alcuna preventiva autorizzazione da parte del giudice.
Appare però meritevole di essere scrutinata anche la tesi opposta, ovvero quella che porta a considerare l’art. 147 c.p.c., pur se non espressamente richiamato dalla legge n. 53 del 1994 (ma invero neppure derogato dalla normativa in esame), come norma dotata di capacità espansiva anche ad ipotesi non espressamente contemplate dal codice di rito, essendo la stessa riferita ad ogni tipo di notificazione.
Si potrebbe così valorizzare diversamente la ratio dell’art. 147 c.p.c., ovvero il suo essere dettata a tutela dell’interesse al riposo del destinatario e delle altre persone che possono ricevere l’atto in sua vece, in tutti i casi in cui l’Ufficiale Giudiziario abbia accesso nelle private abitazioni (Cass. 21 giugno ’79, n. 3478; conf. Cons. Stato. 5 maggio ’97, n. 476), per giungere a sostenere che la norma in analisi possa ritenersi applicabile anche al caso in cui l’avvocato provveda alla notifica con l’utilizzo della PEC.
Si consideri invece come ricorra un’analogia delle fattispecie che vengono all’attenzione dell’interprete: se, come insegna la Suprema Corte, l’art. 147 c.p.c. deve trovare applicazione in tutti i casi in cui l’Ufficiale Giudiziario acceda in una dimora privata, allo stesso modo si potrebbe considerare operante la norma in questione nei casi in cui l’avvocato, attraverso l’invio della notifica a mezzo PEC, acceda a quello che è ormai un vero e proprio domicilio digitale del professionista o dell’impresa (e che prossimamente potrà esserlo anche del privato cittadino). Invero, data l’importanza centrale che va assumendo l’indirizzo di PEC per i professionisti e per le imprese, non pare inverosimile sostenere che attraverso tale indirizzo si viene a creare un canale che costituisce uno dei principali centri di riferimento per gli affari del soggetto detentore e che merita pertanto una particolare protezione.
Esposte le suddette tesi segue dunque un ulteriore riflessione: se si propende per l’inapplicabilità dell’art. 147 c.p.c. alle notifiche telematiche, nulla questio, non vi sono altri interrogativi da porsi; se invece si sostiene la tesi contraria, occorre, evidentemente interrogarsi sulle conseguenze che si potrebbero verificare nel caso in cui i limiti orari posti dalla norma in analisi venissero violati.
È bene infatti chiarire sin da subito che, per risalente e consolidata giurisprudenza, si ritiene che la violazione dell’articolo in commento configuri un’ipotesi di nullità relativa (Cass. SS. UU. 27 marzo ’54, n. 946; conf. Cass. 23 giugno ’72, n. 2110) o di irregolarità (Cons. Stato. 5 maggio ’97, n. 476), che può essere fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse detto limite è stabilito mediante il legittimo rifiuto di ricevere l’atto (così Cons. Stato, 5 maggio ’97, n. 476)[1].
Tale interpretazione, per così dire molto largheggiante, della norma in esame va però comparata con le particolarità della fattispecie in esame e dunque con le potenzialità della Posta Elettronica Certificata.
Alla luce della giurisprudenza esaminata, pare infatti evidente che per il destinatario di una notificazione telematica effettuata al di fuori dell’orario contemplato dall’art. 147 c.p.c. l’unico modo per far valere la violazione della predetta norma sarebbe il rifiuto della notifica e dunque, nel caso di specie, del messaggio di PEC.
Ma siffatto rifiuto, in realtà, non è attuabile né concepibile, stante che una delle caratteristiche della Posta Elettronica Certificata è proprio l’impossibilità di ripudiare il messaggio.
Per comprendere tale concetto è invero sufficiente leggere l’art. 6 del d.p.r. 11 febbraio ’05, n. 68, recante le “disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell’articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3.
La norma in questione prevede infatti ai primi tre commi che:
· il gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal mittente fornisce al mittente stesso la ricevuta di accettazione nella quale sono contenuti i dati di certificazione che costituiscono prova dell'avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata;
· il gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal destinatario fornisce al mittente, all'indirizzo elettronico del mittente, la ricevuta di avvenuta consegna;
· la ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all'indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione.
Si delinea così un procedimento completamente automatizzato che può riassumersi secondo lo schema seguente:
1) il mittente invia un messaggio al proprio gestore di PEC;
2) il predetto gestore certifica la trasmissione con l’invio della ricevuta di accettazione; il gestore del mittente invia il messaggio di PEC al gestore del destinatario;
3) il gestore di PEC del destinatario certifica la trasmissione rilasciando la ricevuta di avvenuta consegna e contestualmente mette a disposizione nella casella di posta elettronica del destinatario il messaggio.
Una volta inviato il messaggio di PEC, il procedimento descritto si sviluppa senza alcun intervento umano, cosicché il destinatario non può intervenire per interrompere o annullare lo scambio di certificati tra i due gestori.
Esclusa pertanto la possibilità di rifiutare l’atto notificato telematicamente e dunque di far valere la nullità relativa o l’irregolarità discendente dalla violazione dell’art. 147 c.p.c., parrebbe che non vi siano conseguenze negative per colui che intendesse effettuare una notifica a mezzo PEC in piena notte, magari con l’intento (non proprio fair) di lasciarla confondere con l’ulteriore posta in arrivo (magari anche certificata) che viene scaricata al mattino, alla riapertura degli uffici.
Un opportuno argine a tali comportamenti potrebbe però essere dettato da un’interessante pronuncia del Consiglio di Stato con la quale si è stabilito che la violazione dell’art. 147 c.p.c. non comporta l’invalidità della notificazione, potendo invece incidere sulla conoscenza dello stesso e, quindi, sulla decorrenza del termine di impugnazione (in tal senso v. Cons. Stato, 2 agosto ’06, n. 4710).
La pronuncia è al momento isolata e sarebbero invero molti gli interrogativi che si porrebbero nel momento in cui la si volesse applicare al caso in esame, essendo invero difficile stabilire in che momento diverso dalla consegna del messaggio di PEC potrebbero decorrere i termini per l’impugnazione o per gli altri atti difensivi resi necessari dalla notifica effettuata in violazione dell’art. 147 c.p.c.
In tal senso si possono però formulare delle ipotesi che potrebbero essere utili per far nascere un dibattito sul punto.
Si deve innanzitutto escludere che il termine possa iniziare a decorrere dal giorno o da un momento successivo a quello del ricevimento della notificazione, stante che né la legge n. 53/94 né il codice di procedura civile richiamano l’art. 13 del d.m. 44/2011.
Non vi sono neppure elementi che legittimino una tesi secondo cui la notifica si dovrebbe considerare effettuata alle ore 7 del giorno successivo. Siffatta interpretazione, oltretutto, fornirebbe una ben labile tutela, dato che una notifica effettuata, ad esempio, alle 2 di notte si dovrebbe considerare perfezionata alle 7 del medesimo giorno, lasciando inalterate tutte le problematiche circa l’effettiva conoscenza dell’atto.
Per tentare di superare tali interrogativi nel solco tracciato dalla citata pronuncia del Consiglio di Stato, si potrebbe pertanto esplorare una linea interpretativa assai tranchant (ma certamente aderente a profili di giustizia sostanziale) che giunga a legittimare forme di opposizione tardiva, come ad esempio quella prevista dall’art. 650 c.p.c. (che del resto fa opportunamente riferimento alle irregolarità nella notificazione), laddove il destinatario della notificazione riesca a dimostrare di non aver avuto tempestiva conoscenza dell’atto notificato.
A tal fine potrebbe essere valorizzato (e spinto a conseguenze invero estreme) quell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la suddetta prova può dirsi raggiunta laddove le modalità di notificazione inducano ad escludere che l’atto sia tempestivamente giunto nella sfera di conoscibilità del destinatario (così Cass. 15 luglio ’03, n. 11066).
Si potrebbe così sostenere che una notifica effettuata in piena notte non sia immediatamente giunta a conoscenza in quanto, ad esempio, confusa tra lo scarico di posta elettronica del mattino e che se ne abbia avuto contezza solo alcuni giorni dopo. Invero, nella pratica quotidiana non si può escludere che, soprattutto nei primi tempi, siffatta eventualità possa davvero verificarsi: laddove pertanto si riuscisse a valorizzare la linea interpretativa proposta si potrebbe subito porre un freno a comportamenti che certamente si porrebbero come extravaganti rispetto alle finalità di snellimento della giustizia e di facilitazione all’accesso della stessa per le quali sono stati concepiti il processo telematico e le sue applicazioni.
La tesi in parola invade un campo ancora inesplorato e certamente si presta a critiche forse condivisibili. Se però l’orientamento qui proposto riuscisse a far breccia nell’elaborazione giurisprudenziale certamente ne trarrebbe giovamento la novella legislativa in commento, che verrebbe messa al riparo da utilizzi poco conformi a canoni di buona fede.
[1] In giurisprudenza si rinviene un isolato precedente nel quale si è sostenuto essere tardivo ed inammissibile l’appello proposto con atto notificato al di fuori dei termini di cui all’art. 147 c.p.c. (App. Bari, 10 maggio 1994).
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