Bancario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 11/12/2013 Scarica PDF

Mutuo fondiario: superamento dei limiti di finanziabilità e violazione dell'art. 2741 cod. civ.

Giampiero Tronci, Avvocato in Cagliari


Sommario: 1. Recenti interventi della giurisprudenza di merito in materia di credito fondiario. - 2. Il risalente orientamento del Giudice di Legittimità. - 3. La nullità per violazione dell’art. 2741 Cod. Civ.. - 4. Riconducibilità della precedente giurisprudenza alle attuali decisioni. - 5. Le conseguenze derivanti dalla violazione dei limiti di concessione.


     

1. L’ultimo biennio è stato caratterizzato da una rinnovata attenzione, da parte della giurisprudenza di merito[1], al problema dato dal superamento del limite di finanziabilità previsto dall’art. 38 T.U.B. in materia di credito fondiario[2].

La questione, come è ben noto agli addetti ai lavori[3], era già stata affrontata da alcune pronunce di merito e, soprattutto, da una nota (ed unica) decisione del Giudice di Legittimità, resa nell’anno 1995[4].

Gioverà, quindi, per introdurre l’argomento, richiamare i passaggi fondamentali della motivazione che si legge nella Sentenza da ultimo indicata che - sebbene intervenuta in tema di “mutuo di scopo” – enunciava principi perfettamente sovrapponibili all’attuale disciplina[5], espressamente richiamata nella motivazione.

 

2. Ebbe a suo tempo ad osservare la Corte come la normativa dettata (ante novella del 1993) in tema di rispetto del parametro proporzionale tra somma mutuata e valore della garanzia reale, fosse fondata su ragioni ed interessi “che trascendono quelli dell’istituto e dei mutuatari”.

Non v’è dubbio, osservava la Corte di Legittimità, che la ratio di tali norme sia ispirata, in primo luogo ad: “evitare operazioni avventate e poco sicure, tramite un ordinato e limitato esercizio dello strumento creditizio”. E come, ancora, il “carattere di scopo” che aveva storicamente caratterizzato l’istituto avesse ispirato l’esigenza pubblicistica “di evitare operazioni puramente speculative e non sicuramente affidabili”.

La stessa Corte, nel contesto della medesima motivazione, soggiungeva peraltro come l’ulteriore evoluzione legislativa, avesse introdotto “un sistema più duttile, ma che tuttavia non sfugge alla sanzione di nullità, posta dall’art. 117, comma 8°, in caso di difformità dalle prescrizioni della Banca d’Italia”.

In definitiva l’analisi svolta nella sentenza in esame – che si può leggere al punto I) della motivazione – fu quindi che, nel sistema sanzionatorio disegnato dal Testo Unico, alla violazione delle Istruzioni dettate in attuazione dell’art. 38 T.U.B., conseguisse una nullità testuale. Mentre, nel precedente sistema normativo, dalla violazione di analoghi precetti, derivasse la nullità virtuale per contrarietà a norme imperative, di cui all’art. 1418, 1° Comma, Cod. Civ..

Inoltre, sempre secondo la stessa decisione, non sembrava potesse revocarsi in dubbio il principio secondo il quale: “dove la legge ha regolato con limiti e vincoli l’attività creditizia, si tratta di norme inderogabili ed imperative, preordinate al regolare andamento dell’attività stessa, che è essenziale all’economia nazionale”. Principio che la Corte traeva dalle precedenti decisioni del 6 maggio 1977 n. 1724 e del 13 ottobre 1994 n. 8355, espressamente richiamate nel testo.

 

3. Ma la Corte di Legittimità, sempre nel precedente che commentiamo, ebbe ancora ad osservare come la richiamata violazione di legge conducesse, pur con differente percorso, ad una distinta ipotesi di nullità virtuale per violazione di norme imperative.

In tale prospettiva il Collegio evidenziava come l’ipoteca che consegue al finanziamento fondiario «si traduce in una qualità del credito che comporta la preferenza del creditore, nei confronti di altri creditori concorrenti, e quindi in una deroga all’art. 2741 C.C., nel punto in cui enuncia l’eguale diritto di tutti i creditori di essere soddisfatti sui beni del debitore, “salve le cause legittime di prelazione”».

Ed il principio del pari concorso dei creditori, precisava la Corte – «è un principio fondamentale, come si esprime la Relazione al C.C. (n. 1124) e – sulle sue orme – tutta la dottrina; principio che può essere derogato soltanto da cause “legittime” di prelazione».

Svolte le superiori premesse, quindi, il Giudice di Legittimità enunciava una conclusione di carattere sillogistico: “Se la legge prevede che – in caso di mutui come quelli per cui è causa – l’ipoteca sia posta a garanzia di un certo ammontare del credito, e non oltre, rispetto al valore ipotecato, il superamento del limite costituirebbe una causa di prelazione non solo illegale, ma anche contraria alla norma imperativa della prima parte dell’art. 2741 C.C. e perciò nulla”.

Appare, in definitiva, ben chiaro il quadro perimetrato dalla decisione in precedenza commentata: alla violazione delle norme dettate in tema di limiti di concessione del credito fondiario, consegue la nullità sotto un duplice profilo:

- da un lato, nella stipulazione di un mutuo e nella costituzione dell’ipoteca che violi una causa legittima di prelazione deve configurarsi il contrasto con il precetto imperativo di cui all’art. 2741 Cod. Civ.;

- dall’altro, la nuova normativa, se ha modificato e sveltito il sistema, non ha alterato la funzione pubblicistica[6] delle disposizioni dettate in materia e, quindi, la tutela degli interessi coinvolti non potrà essere meramente affidata alle sanzioni amministrative interne al sistema del credito[7].

 

4. L’analisi svolta nelle pagine che precedono non sembra quindi generare dubbi circa la perfetta riconducibilità della decisione n. 9219/1995 alle ipotesi recentemente scrutinate dalla giurisprudenza di merito.

Si è infatti osservato come – secondo quel Giudice – le modifiche introdotte con la promulgazione del T.U.B. fossero irrilevanti al fine della diagnosi di nullità. E come ancor più irrilevante fosse focalizzare l’attenzione sullo “scopo” del mutuo, ove la medesima sanzione fosse riconducibile alla divisata ipotesi di violazione dell’art. 2741 Cod. Civ..

Gioverebbe quindi, tutt’al più, verificare se il sistema sanzionatorio individuato a suo tempo, incentrato sulla nullità testuale di cui all’art. 117, comma 8. T.U.B., sia compatibile con l’attuale elaborazione della dottrina.

Al riguardo, infatti, si potrebbe opinare come sussistano evidenti divergenze nell’interpretazione di quest’ultima norma.

In particolare, a fronte di chi vi ravvisa un generale potere regolamentare, attribuito all’Organo di Vigilanza, avente ad oggetto l’intera materia dei contratti bancari, vi è chi sostiene che la previsione attribuisca alla Banca d’Italia un mero potere di connotazione[8].

Ma il punto appare privo di rilievo pratico poiché, anche l’assenza di una previsione testuale di nullità comporterebbe comunque la riconduzione della fattispecie all’istituto della nullità per violazione di norme imperative di cui all’art. 1418, 1° comma.

Inoltre non sembra proprio che, in argomento, possa avere un qualche rilievo la figura della c.d. nullità di protezione.

I divieti ed i limiti all’operatività delle banche dettati dall’art. 38 T.U.B., infatti, trovano il loro fondamento, secondo l’interpretazione che si commenta, sia nella tutela del “regolare andamento dell’economia nazionale”, sia nella tutela del principio della “par condicio” di cui all’art. 2741 Cod. Civ..

Con la conseguenza che l’analisi dell’eventuale interesse del soggetto finanziato alle sorti del contratto non appare possa incidere nella soluzione del problema.

E’ appena il caso di aggiungere, inoltre, come, di norma, per il soggetto finanziato, sarà irrilevante stipulare un mutuo assistito da garanzia ipotecaria ovvero un finanziamento fondiario. Mentre altrettanto non potrà certo dirsi per la banca finanziatrice.

La previsione di nullità, in definitiva, potrebbe essere superata unicamente prospettando che l’art. 38 T.U.B. sia norma priva di carattere cogente e che la sua violazione, laddove limiti le ragioni di prelazione del creditore fondiario, sia priva di conseguenza giuridica. Ciò anche nell’ipotesi - tutt’altro che improbabile, come si dirà in prosieguo - della lesione della par condicio a scapito di terzi creditori.

E riguardo all’esistenza, o meno, di interessi pubblici tutelati dalla norma chiunque si domanderebbe se, a fronte dell’attribuzione dei privilegi - soggettivi e processuali - correlati alla stipulazione di un finanziamento fondiario[9], consegua una correlata imposizione di limiti da parte dell’ordinamento.

Ovvero se, al contrario, le banche possano erogare mutui con garanzie ipotecarie di importo illimitato e, con un mero richiamo al credito fondiario – espresso nel frontespizio del contratto – garantirsi la limitazione della concorrenza e l’applicazione in proprio favore, pur non ricorrendone i presupposti, degli artt. 39-41 T.U.B..

Ma, in ogni caso, anche se si volesse superare il rilievo espresso in precedenza, non sembra proprio che la violazione di una norma di legge e la correlata realizzazione di una causa non legittima di prelazione, possa sfuggire alla sanzione di nullità che consegue alla violazione del principio di cui all’art. 2741 Cod. Civ..

 

5. E’ opportuno, ancora, richiamare l’attenzione sulle conseguenze concrete derivanti dalla violazione delle percentuali massime di concessione.

La circostanza che la banca, in tema di finanziamento fondiario, non possa mai erogare un credito di importo superiore al valore del bene costituito in garanzia, induce i terzi a ritenere che le ragioni di credito del mutuante non coinvolgeranno il restante patrimonio del mutuatario, che, per legge, (art. 2740, 1° Comma Cod. Civ.), costituisce la garanzia generica attribuita ai creditori.

Ed il problema assumerà ancor più evidenza laddove il mutuatario abbia corrisposto alla banca una rilevante porzione della somma originariamente mutuata. Di guisa che, dall’esterno, chiunque sarebbe indotto a supporre come il bene costituito in garanzia non solo soddisfi interamente le residue ragioni di credito del finanziatore ma, anzi, consenta anche il soddisfacimento di ulteriori creditori.

Si ipotizzi, al contrario, che l’ente finanziatore abbia già percepito una rilevante porzione della somma mutuata e che, per effetto della violazione di legge, il bene costituito in garanzia abbia un valore tale da non garantire il soddisfacimento delle residue ragioni di credito.

In tale contesto appare evidente come la causa di prelazione invocata dalla banca sia palesemente illegittima, poiché in contrasto con il limite quantitativo stabilito dalla Legge.

E, dunque, in tali ipotesi, sembrerebbe quanto mai iniquo ipotizzare che non sussista l’esercizio, da parte della banca creditrice, di una causa non legittima di prelazione, con conseguente violazione del correlato precetto di carattere imperativo dalla cui violazione, salvo specifiche disposizioni contrarie, consegue la nullità del contratto ex art. 1418, 1° Comma Cod. Civ..

Ciò, a maggior ragione, ove si focalizzi l’attenzione sulla circostanza che la tutela dei terzi, sovente identificabili con la massa dei creditori nelle procedure concorsuali, non possa essere assicurata dalla legge con la previsione di rimedi diversi[10].

Infatti, come è noto, la legittimazione del Curatore è limitata alle c.d. azioni di massa, aventi la funzione di ricostituzione del patrimonio del fallito. Di guisa che non potrà dubitarsi circa la carenza di legittimazione, da parte di una procedura concorsuale, a proporre una azione risarcitoria che ipotizzi la lesione aquiliana di un diritto di credito[11].

 


[1] Trib. Lodi 24.04.2013; Trib. Cagliari 04.04.2013; Trib. Venezia 26.07.2013 (tutte su www.ilcaso.it); Trib. Cagliari 14.03.2012 e 28.02.2013, inedite.

[2] La norma dettata dal Testo Unico Bancario, infatti, prevede: “La Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del C.I.C.R., determina l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi”.

A seguito della deliberazione C.I.C.R. 22.04.1995 (G.U. n. 111 del 15.05.1995) la Banca d’Italia ha emanato le relative istruzioni in data 26.06.1995 (G.U. 05.07.1995), ove si prevede che l’ammontare massimo dei finanziamenti fondiari sia pari all’80% del valore dei beni ipotecati o del valore delle opere da eseguire su di essi.

[3] Il problema viene trattato in termini specifici da A.U. Petraglia alle pagg. 131-137 del volume edito dall’ABI, nell’anno 1997, dedicato alla “Nuova disciplina del Credito Fondiario”.

[4] Cass. 01.09.1995 n. 9219.

[5] E’ noto come la norma dettata dall’art. 38 del T.U.B., in vigore a far tempo dal 01.01.1994, abbia modificato la nozione di credito fondiario, eliminando gli specifici vincoli di destinazione delle somme erogate previsti dalla disciplina precedente. Al riguardo, tra tanti, si veda M. Sepe, in Commentario Capriglione, Cedam, 2012, 429-431.

[6]Per Cass. n. 9219 del 1995, la nuova normativa, se ha modificato e snellito il sistema, non ha alterato la funzione pubblicistica”; così C.M. Tardivo, in Banca Borsa, 1997, 259.

[7] Che la previsione normativa fosse dettata non già a tutela di un interesse pubblico, ma della protezione di specifici interessi di settore, di guisa da determinare esclusivamente una responsabilità verso l’Autorità di Vigilanza, era infatti la tesi sostenuta dalla Corte d’Appello di Roma con la Sentenza 11.11.1991-04.05.1992 n. 1298, cassata, appunto, in sede di legittimità.

Si veda, al riguardo, N. Graziano, Il mutuo fondiario, Cedam, 2013, 395.

[8] Si veda, per un’ampia disamina del problema, da ultimo, A. Mirone, La trasparenza Bancaria, Cedam, 2012, 56-59.

[9] E’ noto, infatti, come ai contratti di finanziamento fondiario (contrariamente al semplice mutuo garantito da ipoteca) si applichino, tra l’altro, le esenzioni dalla revocatoria fallimentare di cui all’art. 39, Comma 4°, T.U.B. e l’esenzione dal divieto di esecuzione individuale in costanza di fallimento, secondo la previsione dell’art. 39, comma 2°, T.U.B.. La stipulazione di finanziamenti fondiari, inoltre, non è consentita agli intermediari finanziari, ma è attribuita in via esclusiva alle banche, ai sensi dell’art. 38, comma 1°, T.U.B..

[10] Sull’esclusione della nullità ove la legge assicuri l’effettività della norma imperativa con la previsione di rimedi diversi si veda Cass. 14.02.2010 n. 25222.

[11] Sulla carenza di legittimazione da parte del Curatore in analoghe ipotesi si veda Cass. 23.07.2010 n. 17284.


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