Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 24/10/2013 Scarica PDF
Patto di famiglia: alcune tra le questioni irrisolte
Domenica Pirilli, Professore Associato - Università Reggio CalabriaSommario: 1. Il patto di famiglia tra successione e impresa: prime riflessioni. 2. La posizione del coniuge. 3. Mutamento nella compagine dei legittimari. 4. Patto di famiglia e impresa familiare.
1. Il patto di famiglia tra successione e impresa: prime riflessioni
La riforma operata dal legislatore del 2006[1] con l’introduzione del patto di famiglia ha dato risposta alle istanze provenienti dalle realtà imprenditoriali, soprattutto di media entità, spesso oggetto di disgregazione nel momento del passaggio generazionale.
L’istituto di cui agli artt. 768 bis ss. consente oggi all’imprenditore di individuare, nella cerchia dei propri discendenti, il soggetto più idoneo a proseguire l’attività[2]; all’assegnatario di valutare se ed entro quali limiti si senta in grado di assumere un impegno (spesso) di vasta portata; al sistema economico di non vedere fallire più imprese di quante l’attuale crisi non stia già decimando, perlomeno non in ragione delle incapacità gestionali dei propri titolari. Tutto ciò senza la necessità di individuare tra le maglie del sistema istituti che, nati in logica altra[3], non sempre riescono a superare indenni la valutazione ex art. 458 c.c.[4].
Le norme sul patto di famiglia devono però essere coordinate, per un verso con un sistema successorio improntato a logiche ferree e stringenti ed ancorato alla inderogabilità della tutela dei legittimari[5] -–che segna i limiti dell’autonomia in questo contesto[6]-; per l’altro con le norme sull’impresa familiare di cui all’art. 230 bis c.c.[7].
Sotto il primo profilo, sebbene il legislatore abbia tentato di immaginare delle soluzioni idonee a ridurre al minimo i rischi[8], purtuttavia non ha potuto evitare di fare i conti con le difficoltà insite nel tentativo di coordinare le norme sul patto di famiglia[9], pensate per realizzare una successione anticipata con riguardo ai beni produttivi, con un’attribuzione che non avviene né causa né tempore mortis[10].
Gli scenari prospettabili, legati alle dinamiche di vita dell’imprenditore[11] e dei soggetti facenti parte a vario titolo della sua cerchia familiare, potrebbero pertanto essere molteplici. Basti pensare al caso in cui venga nei riguardi del disponente esperita vittoriosamente un’azione per la dichiarazione di paternità o maternità, o, ancora, che costui abbia altri figli, ne disconosca taluno, decida di “divorziare” e risposarsi, ecc.[12].
Analizzando pertanto la posizione del coniuge e dei legittimari c.d. sopravvenuti, si tenterà di delineare quali possano essere le implicazioni connesse con le esigenze di coordinamento tra patto di famiglia e sistema successorio, consapevoli che “l’interesse dell’impresa sarebbe alla continuazione e alla miglior gestione; l’interesse della famiglia è al rispetto delle attese e delle regole successorie che la tutelano”[13].
Per quanto diversamente attiene alla compatibilità del patto con le norme di cui all’art. 230 bis, il problema, come vedremo, si pone principalmente con riferimento al diritto di prelazione riconosciuto ai partecipanti in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda, di cui al comma 5° del suddetto articolo.
2. La posizione del coniuge
Una delle questioni aperte attiene alla possibilità che dopo la stipulazione del patto di famiglia, cui ha preso parte il coniuge dell’imprenditore, venga dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio e, al momento dell’apertura della successione del disponente vi sia un diverso legittimo coniuge.
Trattasi di questione dibattuta, emblematica delle reali difficoltà di coordinamento tra la disciplina del patto di famiglia e le regole dettate con riferimento alla successione.
L’imprenditore, nell’arco temporale compreso tra la stipulazione del patto e la propria morte, potrebbe “divorziare” e risposarsi, con la conseguenza che il coniuge del momento dell’apertura della successione sarebbe un soggetto diverso rispetto a quello che ha preso parte alla stipulazione. Secondo quanto disposto dall’art. 768 sexies, il “secondo” coniuge avrebbe diritto di chiedere quanto gli sarebbe spettato aumentato degli interessi. I nodi cruciali sono due: stabilire a chi dovrebbe rivolgersi e capire come possano coordinarsi le norme sulla successione dei legittimari di cui al libro II del codice civile–che ovviamente prevedono una sola quota coniuge- con la possibilità che il coniuge dell’imprenditore al momento della stipulazione del patto sia persona diversa da quello del momento dell’apertura della successione.
Questa è forse una delle maggiori difficoltà con cui si deve confrontare l’interprete, stante il silenzio del legislatore sul punto.
Non appare del tutto convincente l’idea secondo cui il “secondo” coniuge possa rivolgersi al primo solo perché costui ha perso il relativo status, o, diversamente ragionando, il coniuge che ha partecipato al patto sia tenuto a restituire quanto ricevuto. Sebbene infatti si sia sostenuto che in questo caso opererebbe una valutazione ex post della mancanza di causa[14], con necessità pertanto di restituzione sulla base delle norme sull’indebito[15], purtuttavia sembra essere più persuasiva l’impostazione fatta propria da chi[16], focalizzando l’attenzione sulla natura inter vivos della disposizione e rilevando che le disposizioni di cui agli art. 768 bis ss. cod. civ. non prevedono alcuna restituzione da parte di chi abbia perso la qualità di legittimario, prospetta la diversa soluzione di apporre una condizione risolutiva al patto, con conseguente venire meno dell’attribuzione in caso di divorzio.
Nè del tutto probante appare la considerazione secondo cui vi sarebbe differenza a secondo che al momento dell’apertura della successione vi sia o no un coniuge superstite, nell’un caso risultando necessaria e necessitata la richiesta di restituzione avanzata nei confronti di quello che ha preso parte alla stipulazione, nell’altro potendosi concludere per la stabilizzazione degli effetti.
3. Mutamento nella compagine dei legittimari
La difficoltà insita nel tentativo di coordinare la stabilità del patto con le esigenze degli eredi necessari dell’imprenditore trova nella posizione dei legittimari sopravvenuti un importante banco di prova[17].
Il legislatore, consapevole della possibilità di una variazione nella compagine soggettiva dei legittimari dell’imprenditore tra la stipulazione e l’apertura della successione, ha previsto all’art. 768 sexies che “all’apertura della successione dell’imprenditore, il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell’art. 768 quater, aumentata degli interessi legali”[18].
In primo luogo va fatta chiarezza su un punto: pur in assenza dell’appena citato disposto normativo, qualunque soggetto sopravvenuto dopo la stipulazione (per essere, ad esempio, nato dopo o per avere contratto matrimonio con il disponente), avrebbe comunque potuto fare valere in sede successoria, in presenza di una disposizione a titolo gratuito, le proprie ragioni di legittimario[19].
Si deve pertanto ritenere che la scelta del legislatore sia stata dettata dall’esigenza di offrire ai legittimari sopravvenuti una soluzione che, senza ledere (quantitativamente) le quote di riserva e, in logica più generale, le posizioni di eredi necessari, consenta purtuttavia di non minare la stabilità del patto. E’ infatti altamente probabile che il legittimario sopravvenuto preferisca ottenere quanto previsto dall’art. 768 sexies piuttosto che agire in riduzione e collazione[20]; tale soluzione non può comunque essergli imposta.
Sebbene il riferimento primo, allorquando si dibatte sulla eventualità di una variazione nella compagine dei legittimari, sia da individuarsi nella presenza di legittimari sopravvenuti, non va tuttavia taciuto che taluno dei partecipanti al patto, nell’arco di tempo compreso tra la stipulazione e la morte dell’imprenditore, potrebbe perdere lo status che gli dà diritto alla partecipazione al patto di famiglia. La problematica riguarda, con ogni evidenza, sia il coniuge – che divorzia- sia i figli, nei confronti dei quali potrebbe sopraggiungere un disconoscimento di paternità. Stante il silenzio del legislatore sul punto, non sembra potersi sostenere l’esistenza di un obbligo di restituzione in capo a chi ha ottenuto la liquidazione da parte degli assegnatari. Vale la pena però di sottolineare come le due ipotesi (disconoscimento e divorzio) non possono essere del tutto assimilate; in un caso infatti si accerta che non esistevano ab origine i presupposti dello status; nell’altro che i presupposti non esistono più. Caso ancora diverso è costituito dall’annullamento del matrimonio concordatario ad opera dei tribunali ecclesiastici, che cancella il vincolo ab origine (dopo la delibazione della sentenza da parte della competente Corte d’Appello).
4. Patto di famiglia e impresa familiare
Il disposto di cui al I comma dell’art. 768 bis c.c., che consente all’imprenditore di operare il trasferimento ai propri discendenti purché ciò avvenga “compatibilmente con le disposizioni in tema di impresa familiare e nel rispetto delle diverse tipologie societarie”, merita qualche riflessione.
Oggetto di analisi sarà invero il contenuto di cui all’art. 230 bis, in particolare il 5° comma, in quanto foriero di particolari difficoltà interpretative nella logica che ci occupa.
Una precisazione si impone in merito alle diverse finalità dei due istituti: le norme sull’impresa familiare, introdotte dalla legge di riforma del 1975, mirano principalmente a tutelare la posizione di chi presta il proprio apporto all’attività economica, contribuendo ad assicurarne la prosecuzione. Con l’introduzione del patto di famiglia il legislatore ha inteso diversamente raggiungere l’ obiettivo di non vedere disgregate risorse preziose per la collettività e di garantire i diritti dei soggetti coinvolti nella dinamica parasuccessoria, in primo luogo del disponente, posto nelle condizioni di scegliere con una maggiore discrezionalità il discendente al quale trasferire l’azienda.
Pertanto, nella consapevolezza della diversità di ratio tra l’uno e l’altro istituto[21], occorre interrogarsi sulla valenza dell’inciso “compatibilmente”[22] e sulle implicazioni connesse con il coordinamento tra le due discipline.
La scelta del legislatore del 2006, che sembrerebbe indirizzare verso la prevalenza delle norme sull’impresa familiare, ove incompatibili, con quelle di cui agli artt. 768 bis ss. c.c., affonda le proprie radici nella volontà di accordare maggiore considerazione ai soggetti indicati all’art. 230 bis comma 3°, piuttosto che ai discendenti dell’imprenditore, ipoteticamente estranei alla gestione, ma designati quali “successori”.
In questa logica occorre valutare quali potrebbero essere le ripercussioni qualora l’imprenditore decidesse di disporre per patto di famiglia dell’impresa familiare e taluno dei partecipanti, che, evidentemente, potrebbe essere estraneo alla cerchia di coloro che devono prendere parte al patto[23], decidesse di esercitare il diritto di prelazione accordatogli dalla legge. Come è noto l’art. 230 bis c.c. al V comma prevede il diritto di prelazione dei familiari che prendono parte all’impresa da esercitarsi in caso di trasferimento dell’azienda, in ossequio all’apporto in termini di lavoro fornito da ciascun componente negli anni; la ratio della previsione di tale diritto di prelazione, inquadrata per lo più nel contesto delle prelazioni legali improprie, va infatti individuata nell’esigenza di tutela di tali soggetti, esigenza che in ipotesi potrebbe anche arrecare pregiudizio alla circolazione dei beni. In altre parole, si sacrifica la circolazione e, forse, anche la produttività, in ragione di un interesse prevalente, quello alla tutela dei “familiari” che per anni hanno contribuito con il proprio personale lavoro a creare e mantenere l’impresa stessa.
In prima approssimazione si potrebbe essere indotti a ritenere che, trattandosi di un trasferimento a titolo gratuito[24], non si dovrebbe neanche porre un problema di compatibilità tra norme[25] perché non sarebbe ammissibile l’esercizio del diritto di prelazione[26]; ammettere l’esercizio del diritto di prelazione priverebbe il donante della possibilità di perseguire l’intento liberale[27].
Diversamente argomentando, e focalizzando l’attenzione sulla funzione divisoria e di successione anticipata del patto e sul disposto di cui all’art. 732 c.c., relativo come noto alla divisione ereditaria, non può che trarsi la compatibilità con la prelazione di cui alle norme sull’impresa familiare[28].
La prevalenza della prelazione si fonderebbe peraltro sulla già citata esigenza di accordare tutela a chi ha prestato la propria attività nell’impresa e troverebbe conferma nel dato normativo che fa riferimento al trasferimento con ciò consentendo di farvi rientrare anche le disposizioni a titolo gratuito[29].
Questa impostazione, più coerente con la ratio della normativa, consente di delineare due scenari: o si nega che possa adoperarsi lo strumento del patto di famiglia allorquando si sia in presenza di un’impresa familiare cui collaborino anche soggetti che non rientrano nella stretta cerchia dei legittimari, o -ammettendo che debba essere garantita tutela a chi ha prestato la propria attività lavorativa nel contesto dell’impresa ed è titolare del diritto di prelazione- si dovrà immaginare che il coniuge ed i familiari non legittimari debbano rinunciare alla prelazione loro accordata affinché possa legittimamente stipularsi un patto di famiglia. Non altrettanto chiaro appare come pervenire a tale risultato. La possibilità che costoro prendano parte alla stipulazione del patto non sembra trovare alcuna giustificazione nelle norme. Dovrebbe diversamente immaginarsi di creare un collegamento negoziale tra il patto ed un diverso atto con cui i familiari rinunciano alla prelazione[30].
*Trattasi delle prime riflessioni su un tema che costituirà oggetto di un più approfondito studio.
[1] Come è noto, infatti, il patto di famiglia è stato introdotto dalla L. 14 febbraio 2006, n. 55.
[2] L’istituto appare in grado di accrescere comunque la possibilità di prendere liberamente una decisione anche in ragione di valutazioni personali.
[3] Prima dell’entrata in vigore della normativa sul patto di famiglia, l’esigenza di delineare anticipatamente l’assetto di interessi facenti capo al soggetto imprenditore aveva trovato riscontro nella individuazione di istituti, principalmente contrattuali, alternativi al testamento. Cfr. Palazzo, Istituti alternativi al testamento, Napoli, 2003, passim; Amadio, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati, in Patti di famiglia per l’impresa, Quaderni della fondazione italiana per il notariato, 2006, 77 ss.; Del Prato, Sistemazioni contrattuali in funzione successoria: prospettive di riforma, in Riv. not., 2001, 625 ss..
[4] Qualunque soluzione diversa dal patto di famiglia (sul rapporto tra patto di famiglia e patti successori, Calogero, Disposizioni generali sulle successioni, Artt. 456-461, in Commentario Schlesinger, diretto da Busnelli, Milano, 2006, 96 ss.; Vitucci, Ipotesi sul patto di famiglia, in Riv. dir. civ., 2006, 458) non può infatti prescindere da una valutazione alla luce del divieto dei patti successori (cfr. Marella, Il divieto dei patti successori e le alternative convenzionali al testamento, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, fondata da Walter Bigiavi, I contratti in generale, diretto da Alpa e Bessone, Appendice di Aggiornamento 1991-1998, II, Torino, 1999, 1707 ss..) considerato tuttora un baluardo a tutela della libertà di disporre mortis causa.
[5] Amadio, Anticipata successione e tutela dei legittimari, in Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, Milano, 2004, 653 ss..
[6] Rescigno, Autonomia privata e limiti inderogabili nel diritto familiare e successorio, in Familia, 2004, 446 ss.; Fusaro, L’espansione dell’autonomia privata in ambito successorio nei recenti interventi legislativi francesi ed italiani, in Contr. impr. eur., 2009,427 ss..
[7] In questa sede il riferimento sarà circoscritto all’impresa familiare, fermo restando che il problema della compatibilità si pone anche con riguardo alle partecipazioni societarie.
[8] Sui problemi connessi con il carattere asistematico del patto di famiglia, Rossi Carleo, Il patto di famiglia: una monade nel sistema, in Not., 2008, 434 ss..
[9] Zoppini, Profili sistematici della successione anticipata (note sul patto di famiglia), in AA. VV., Studi in onore di Giorgio Cian, Padova, 2010.
[10] O, perlomeno, un trasferimento che operi tempore mortis è residuale. Sulla possibilità che il patto produca effetti al momento della morte dell’imprenditore o del socio disponente, cfr. Balestra, Attività d’impresa e rapporti familiari, Padova, 2009, 565 ss..
Sul rapporto tra patto di famiglia e diritto successorio, cfr. Bonilini, Patto di famiglia e diritto delle successioni mortis causa, in Fam. pers. succ., 2007, 390 ss..
[11] Evidenzia come una delle questioni che crea maggiori difficoltà sia rappresentata non solo dalla varietà e molteplicità dei modelli familiari, ma anche dal superamento dell’indissolubilità del vincolo, Rossi Carleo, Il patto di famiglia: una monade nel sistema, cit., 436.
[12] Valeriani, Il patto di famiglia e la riunione fittizia (Una, due…mille riunioni fittizie?), in Quaderni per la fondazione italiana per il notariato, 2006, 115 ss..
[13] Così OPPO, Patto di famiglia e “diritti della famiglia”, in Riv. dir. civ., 2006, 439.
[14] Cfr. Balestra, Attività d’impresa e rapporti familiari, cit., 504.
[15] V. Delfini, Il patto di famiglia introdotto dalla Legge n. 55/2006, in I Contratti, 2006, 512 ss..
[16] V. Oberto, Lineamenti essenziali del patto di famiglia, in Fam. pers. succ., 2006, 416.
[17] La categoria dei sopravvenuti può comprendere vari soggetti: innanzitutto i figli nati dopo la stipulazione, coloro che acquisiscano lo status in ragione di una pronuncia giudiziale di paternità o maternità, i figli adottivi, il coniuge che non esisteva al momento della stipulazione.
[18] Ferma restando la perplessità in merito alla possibilità di fare rientrare tra i legittimari che non hanno partecipato al patto anche chi, pur esistente, ha scelto di non partecipare, non vi è dubbio in merito all’applicabilità del disposto di cui all’art. 768 sexies ai legittimari c.d. sopravvenuti.
[19] Sul punto Vitucci, Ipotesi sul patto di famiglia, cit., 474 ss.; Landini, Il c.d. patto di famiglia: patto successorio o liberalità, in Familia, 2006, 851 ss..
[20] Sulla collazione d’azienda, Perlingieri, La collazione per imputazione e il criterio di stima al momento dell’apertura della successione. La collazione d’azienda, in Riv. dir. civ., 2011, 85 ss., in particolare 122 con riferimento al patto di famiglia. Nel contesto che ci occupa emerge la difficoltà di coordinare le disposizioni relative al patto di famiglia, in virtù delle quali la quantificazione del valore dell’azienda va operata in sede di stipulazione, con quelle dettate dal legislatore con riferimento alla collazione che prevedono, diversamente, la valutazione al momento dell’apertura della successione.
Sulla collazione cfr. Siclari, Il fenomeno collatizio tra legge e volontà, A proposito della collazione c.d. volontaria, Torino, 2005, passim.
[21] Cfr. Collura, Patto di famiglia e compatibilità con l’impresa familiare, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 105. L’A. individua nei “particolari vincoli di affettività e solidarietà che di norma intercorrono tra i congiunti” il fondamento della disciplina speciale di cui all’art. 230 bis c.c.; diversamente, con riferimento al patto di famiglia si legge che “La disciplina del patto di famiglia, rispetto ai diversi strumenti di regolazione della vicenda successoria nell’attività di impresa alternativi al testamento, costituisce invece un nuovo modo di composizione del conflitto tra due interessi fondamentali: la salvaguardia dell’unità, continuità ed efficienza dell’impresa e le aspettative patrimoniali dei legittimari”.
[22] La norma, come è noto, prevede che la disposizione di beni attraverso patto di famiglia avvenga compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle diverse tipologie societarie. Sul punto Volpe, op. cit., 24 s..
Cfr. Palazzo- Sassi, Trattato della successione e dei negozi successori, vol. II, Torino, 2012, 658 ss. ove si evidenzia quali siano gli interessi soddisfatti dalla previsione di tali clausole; principalmente quello alla non diminuzione del patrimonio sociale ed all’individuazione di determinate caratteristiche che deve avere chi subentra.
[23] Come noto, infatti, ex art. 230 bis, all’impresa familiare possono partecipare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; con riferimento al patto di famiglia, diversamente, l’art. 768 quater dispone che, al contratto, oltre il disponente e l’assegnatario, debbano prendere parte il coniuge e coloro che sarebbero legittimari se in quel momento si aprisse la successione dell’imprenditore.
[24] BONILINI - COPPOLA, Il retratto successorio, in Trattato di diritto successioni e donazioni, diretto da BONILINI, IV, Comunione e divisione ereditaria, Milano, 2009, 112 ss..
[25] Cfr. Scarpa, Riflessioni sulla compatibilità tra patto di famiglia e impresa familiare, in Fam. pers. succ., 2010, 10, il quale ritiene “che il carattere gratuito e liberale dell’attribuzione escluda che in capo ai partecipanti all’impresa familiare sorga il diritto di prelazione sull’azienda trasferita (ex artt. 230 bis, 5 comma e art. 732 c.c.) il quale, per sua natura, spetta solo a fronte di contratti a titolo oneroso”.
[26] Balestra, op. cit., 508; in particolare nota 33.
[27] Balestra, Prime osservazioni sul patto di famiglia, in Nuova giur. civ. comm., 2006, 378.
[28] Di Sapio, Osservazioni sul patto di famiglia (brogliaccio per una lettura disincantata), in Dir. fam. pers., 2007, 300.
[29] Collura, cit., 109.
[30] Palazzo-Sassi, op. cit., 790, ove si prospettano due diverse ipotesi che riguardano i titolari del diritto di prelazione: o costoro “partecipano al patto per rinunciare al proprio diritto di prelazione”, o “il patto di famiglia è parte di un più complesso assetto di interessi, realizzato anche a mezzo di più negozi collegati, in cui vengono ad essere soddisfatti sia i legittimari, sia i non legittimari partecipanti all’impresa familiare”.
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