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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 14/10/2013 Scarica PDF

La confisca obbligatoria in ambito societario

Giuseppe Saccone, Ricercatore, incaricato di Procedura Penale presso l'Università Telematica Pegaso


Sommario: 1. Premessa. - 2. La natura giuridica della confisca “societaria”. - 3. Le cose confiscabili. - 4. Segue. Il prodotto del reato ed i beni utilizzati per commetterlo. - 5. Segue. Il profitto. - 6. La “confisca per equivalente”. - 7. La tutela dei terzi.


     

1. Nell’ultimo decennio il panorama legislativo è stato caratterizzato dalla previsione di numerose ipotesi speciali di confisca[1], con l’evidente fine di rafforzare - mediante l’introduzione di strumenti di apprensione delle utilità economiche provenienti dal delitto - la risposta sanzionatoria dello Stato a fronte del proliferare della criminalità economica.

La tendenza ha riguardato anche la disciplina dei reati societari previsti dal codice civile (artt. 2621-2642) nell’ambito dei quali, a seguito della riforma operata dal d. lgs. 11 aprile 2002 n. 61, è stata introdotta, mediante la riformulazione dell’articolo 2641 c.c., una ipotesi speciale di confisca in ordine alla quale si pongono, ancora oggi, problemi interpretativi, spesso differentemente risolti in ambito dottrinale e giurisprudenziale.

Prevista in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei reati contemplati nel titolo XI del codice civile, la confisca oggetto di riforma, sebbene astrattamente qualificabile, secondo il disposto di cui all’art. 240 c.p., come una “misura di sicurezza patrimoniale”, tecnicamente se ne differenzia per la presenza di taluni caratteri - quali la spiccata afflittività e la natura oggettiva dell’applicazione - che la rendono più affine ad una pena accessoria.

E’ da evidenziare fin da subito come l’istituto della confisca prevista dall’art. 2641 c.c., sebbene attuativo degli intenti legislativi espressi nella relazione al progetto di riforma, introduce nel sistema delle misure di sicurezza patrimoniali una vistosa contraddizione, poiché l’estensione dell’ambito applicativo della norma disciplinante la confisca obbligatoria, si accompagna, per converso, alla previsione di conseguenze sanzionatorie e condizioni processuali che rischiano di connotare lo strumento in esame in termini di ineffettività[2].

Infatti, se è vero che l’estensione dell’ambito applicativo della confisca obbligatoria anche al prodotto ed al profitto, nonché agli strumenti che servirono o furono destinati alla commissione del reato ha accentuato la natura afflittiva della misura, ex art. 2641 c.c., è pur vero che, per effetto della stessa riforma del 2002, - in seguito alla depenalizzazione di alcune fattispecie, alla riduzione delle pene, alla previsione di ipotesi perseguibili a querela - è venuta a determinarsi un abbassamento della soglia di attenzione penale nei confronti di alcune fattispecie delittuose e conseguentemente una ridotta risposta sanzionatoria.

Inoltre la condizione processuale prevista per l’applicazione della confisca, cioè il previo intervento di una sentenza di condanna o di patteggiamento, si rivela di non facile verificazione, stante la grande difficoltà di addivenire ad una sentenza di condanna in ragione della larga operatività delle cause estintive del reato e della non facile individuazione degli elementi comprovanti la colpevolezza.

In altri termini le due condizioni citate, cioè la ridotta risposta sanzionatoria, da un lato, edil necessario intervento di una sentenza di condanna o di patteggiamento, dall’altro (conseguenza sanzionatoria la prima e condizione processuale, la seconda) finiscono per compromettere la concreta operatività e, dunque, l’efficacia della misura medesima.

D’altra parte è anche opportuno osservare come, l’effetto principale della confisca in esame - e cioè l’immediata inibizione del diritto di disposizione dei beni -, potendo trovare concreta attuazione già per mezzo del sequestro preventivo (finalizzato alla confisca) e, dunque, a prescindere dall’intervento di una sentenza di condanna o di applicazione della pena a richiesta di parte, finisca col rivalutare, in definitiva, l’efficacia dell’istituto, proprio perché l’indisponibilità dei beni riesce a trovare realizzazione anche antecedentemente al provvedimento di confisca. Invero la misura cautelare del sequestro preventivo consente di anticipare, già nella fase delle indagini preliminari, gli effetti ablativi tipici della confisca.

 

2. Per effetto della riforma attuata dal d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61, l’articolo 2641 c.c.  ha introdotto una ipotesi speciale di confisca.

Secondo un primo orientamento interpretativo[3], la “specialità” verrebbe a connotare la nuova ipotesi di confisca rispetto a quella prevista dall'art. 240 c.p., cui la prima sarebbe apparentata dalla comune natura giuridica, ossia quella di misura di sicurezza patrimoniale. Secondo questo indirizzo esegetico, quindi, la norma riformata contemplerebbe una misura di sicurezza patrimoniale avente connotati speciali.

Di diverso avviso, invece, quanti[4] sostengono che il connotato della specialità della confisca sia ancorato a taluni indici, che servirebbero proprio a differenziare quest’ultima (confisca speciale) dalla misura di sicurezza patrimoniale prevista dall’art. 240 c.p.. Secondo tale orientamento ermeneutico, la differente natura giuridica della confisca speciale dipenderebbe dall’inquadramento della medesima nell’alveo delle pene accessorie.

Ad ogni modo l’indirizzo interpretativo più convincente sembra quello segnalato da numerosi Autori[5], secondo i quali la “specialità” della confisca dipenderebbe da caratteristiche comuni ad un’ampia gamma di istituti, diversamente dislocati nel panorama della recente legislazione penale. Essi sono l’obbligatorietà della ablazione (riferita, a seconda delle disposizioni, non solo al prezzo, ma anche al prodotto ed al profitto, nonché agli strumenti che servirono o furono destinati alla commissione del reato); la previsione di clausole che consentono la confisca per equivalente, nonché l’assimilazione della sentenza di patteggiamento a quella di condanna.

Il confluire di tali elementi, comuni a più istituti, nelle ipotesi speciali di confisca (ivi compresa quella ex art. 2641 c.c.) fa sì che queste ipotesi si distacchino dallo schema tipico della misura di sicurezza patrimoniale di cui all’art. 240 c.p.. Gli elementi speciali, sopra elencati vanno, infatti, a tratteggiare una misura che, pur incline ad assumere alcune caratteristiche proprie della pena accessoria (essendo conseguenza diretta del reato, dotata di carattere afflittivo e di concreta attitudine alla prevenzione generale[6]), non può, tuttavia, essere tecnicamente qualificata come pena accessoria, poiché è capace di superare il divieto di retroattività, che, invece, opera in relazione alla confisca ex art. 322-ter c.p. ed alle ipotesi rinvianti a tale disposizione[7].

In definitiva, l’indirizzo interpretativo più accreditato sostiene la natura ibrida della confisca speciale in esame, non riconducibile interamente né al genus delle misure di sicurezza patrimoniali, né a quello delle pene accessorie.

Peraltro l’ampliamento della confisca alla nozione di  “profitto” (laddove la norma recita: “è ordinata la confisca del prodotto o del profitto”) suscita non poche perplessità, poiché sembrerebbe richiamare i caratteri distintivi della confisca generalizzata dei beni, quasi fosse - la confisca disciplinata dall’art. 2641 c.c. - una misura di prevenzione.

Ad ogni modo la dottrina più attenta[8] sembra non nutrire dubbi sulla natura penale della confisca societaria.


3. L’applicazione dell'art. 2641 c.c. presuppone la pronunzia di una sentenza di condanna o di applicazione di pena su richiesta delle parti (ex art. 444 c.p.p.) per uno dei reati disciplinati nel Titolo XI del codice civile.

Va premesso che, secondo l’articolo 240 c.p., sono oggetto di possibile ablazione il prodotto, il profitto del reato ed i beni che servirono o furono destinati a commettere il reato: si tratta in ogni caso di beni pertinenti al reato, sui quali, secondo quanto disposto in via generale dalla norma del codice penale, possono gravare soltanto il sequestro e la (conseguente) confisca facoltativa. La confisca, dunque, ai sensi della disposizione penalistica citata, è facoltativa, cioè ordinabile dal giudice, solo quando sia destinata a ricadere sulle “cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto” (ai sensi dell’art. 240, 1 comma,c.p.).

Viceversa per le cose costituenti il prezzo del reato[9], la confisca, ai sensi dell’art. 240, 2 comma, c.p., viene prevista obbligatoriamente.

Qualora, invece, si tratti di reati societari, è previsto l’obbligo di disporla, atteso che la norma contenuta nell’art. 2641, 1 comma, c.c. statuisce che sia ordinatala confisca del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo.

Dunque la confisca, in precedenza prevista obbligatoriamente solo per le cose di cui all’art. 240, 2 comma, c.p., in seguito viene estesa dalla norma del codice civile novellata a tutte le cose previste dal medesimo articolo (cioè anche a quelle che servirono o furono destinate a commettere il reato per le quali la confisca è facoltativa ai sensi dell’art. 240, 1 comma, c.p.).

L’estensione dell’obbligatorietà della misura a tutte le cose menzionate da quest’ultimo articolo accredita la tesi della portata maggiormente afflittiva della misura di sicurezza patrimoniale in esame rispetto a quella prevista in via generale dal codice penale.

   

4. La giurisprudenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite[10] è intervenuta per delineare i caratteri delle varie categorie di “proventi”, stabilendo che, mentre il “profitto” si identifica nel vantaggio economico (lucro) ricavato dalla realizzazione del reato, il “prezzo” attiene esclusivamente ai motivi che hanno indotto il soggetto a commettere il reato, rappresentandone il compenso, mentre, infine, il “prodotto” costituisce il risultato proveniente dall’attività criminosa.

Tale posizione giurisprudenziale è generalmente condivisa dalla dottrina[11]. In particolare, riguardo al prodotto del reato si è specificato che esso consiste in ciò che direttamente ed immediatamente derivi dalla realizzazione del reato, ovvero (consiste) nelle cose che furono create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato o ancora che ne costituiscono naturale conseguenza.

Dal prodotto del reato vengono naturalmente distinte le cose che servirono alla commissione del reato. Si è precisato chele cose che servirono alla commissione del reato non possono essere intese come qualunque cosa in qualsiasi modo utilizzata per la commissione del reato, bensì come mezzi collegati all’esecuzione del crimine da un nesso strumentale - deve trattarsi cioè di cose per mezzo delle quali sia stato possibile realizzare il fatto delittuoso -, o anchecome mezzi senza i quali l’esecuzione non sarebbe avvenuta (oppure sarebbe avvenuta, ma con altre modalità).

Si intendono naturalmente esclusi i beni impiegati in attività meramente prodromiche e preparatorie rispetto alla fase esecutiva del delitto, per evitare di togliere valore al richiesto nesso eziologico tra prodotto e reato. Il prodotto del reato, infatti, implica l’avvenuta realizzazione del reato medesimo e, dunque, non può riguardare le attività preparatorie dello stesso.

 

5. Un vivace e complesso dibattito si è sviluppato sui limiti oggettivi del profitto oggetto di confisca, in specie con riferimento all’ipotesi in cui la confisca abbia ad oggetto l’equivalente (si parla in proposito della confisca per equivalente o confisca di valore). E ciò anche avuto riguardo alle ricadute che la norma (riformata) del codice civile ha prodotto in tema di sequestro preventivo.

Anzitutto va chiarito che, in via generale, con il termine “profitto” si tratteggia una nozione molto ampia, i cui confini tendono, ancor più, a dilatarsi con riferimento ai provvedimenti di confisca[12]. Peraltro la giurisprudenza non smentisce tale interpretazione estensiva del concetto di profitto, che viene così ad assumere una pericolosa tendenza alla indeterminatezza.

Per tale ragione la Corte di Cassazione a Sezioni Unite[13] ha inteso chiarire che il “profitto” è costituito dal «vantaggio di natura economica derivante dall’illecito e che tale vantaggio deve essere inteso come un beneficio aggiuntivo di tipo patrimoniale». La Corte ha, inoltre, specificato che il vantaggio economico (profitto) non deve essere necessariamente conseguito da colui che abbia posto in essere l’attività delittuosa, bastando che il profitto si trovi in rapporto di «diretta derivazione causale rispetto alla condotta illecita, indipendentemente da chi lo abbia concretamente conseguito». Ed ancora, la giurisprudenza di legittimità[14] ha ribadito come il profittoillecito debba sostanziarsi in ogni utilità di carattere economico creata, trasformata o acquisita mediante la realizzazione della condotta criminosa, sottolineando come anche rispetto agli illeciti penali tributari occorra rifuggire dalla tentazione di ritenere legittimo il sequestro dell’intero patrimonio del soggetto indiziato, profilandosi, invece, la necessità di individuare e, precisamente quantificare, il profitto proveniente dal reato.

Con riferimento al sequestro preventivo preordinato alla confisca ex art. 322-ter c.p., la stessa Corte di legittimità ha rimarcato l’ampiezza del concetto di profitto, che deve essere comprensivo anche delle «trasformazioni che il danaro illecitamente conseguito subisca, purché tali trasformazioni siano ricollegabili al reato ed al profitto immediatamente conseguitone (il denaro) e siano “soggettivamente” attribuibili all’autore del reato che quelle trasformazioni abbia voluto»[15].

Ora l’estensione del termine “profitto” al concetto di arricchimento complessivo, comprensivo anche dei beni derivanti dall’investimento del danaro proveniente dalla condotta illecita - ossia dei beni acquisiti col profitto (lucro) proveniente dal reato, che sono, dunque, fonte di arricchimento - presuppone che si sia voluta scoraggiare la propensione verso il reato in misura maggiore di quel che si sarebbe ottenuto mediante l’apprensione del mero profitto proveniente dal fatto illecito.

Tale approccio ermeneutico, peraltro, ben si concilia con il carattere general-preventivo che la misura di sicurezza patrimoniale va assumendo ad opera della legislazione italiana e comunitaria, e dà sostegno a chi argomenta in favore della valenza maggiormente sanzionatoria della confisca per equivalente.

La norma civilistica oggetto di riforma (art. 2641) ha, inoltre, prodotto effetti anche in tema di sequestro preventivo, avendo essa concorso ad ampliare sensibilmente la operatività anche di tale misura.

Giurisprudenza e dottrina prevalenti ritengono che il sequestro preventivo “a fini di confisca”, costituendo figura autonoma rispetto a quella “generale” contemplata dall’art. 321, 1 comma, c.p.p., non sia vincolata ai presupposti richiesti per quest’ultima misura, poiché, nel primo caso (nel sequestro preventivo a fini di confisca), la finalità meramente preventiva viene sostituita dalla finalità di garantire l’eventuale futura confisca dei beni.

Ne discende - come unanimemente sostenuto - che l’espressione «altresì», contenuta nell’art. 321, 2 comma, c.p.p., svincoli il giudice dal dovere di verificare la sussistenza del periculum in mora e dell’aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato, imponendo la norma citata, come unica condizione della assoggettabilità a sequestro delle “cose”, che di queste sia consentita la confisca a tenore del codice penale o delle leggi speciali[16].

Dunque, l’art. 321, 2 comma, c.p.p. non impone la verifica del periculum in mora e dell’aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato (accertamento della pertinenzialità tra cosa e reato), ma richiede soltanto che la cosa rientri tra quelle di cui sia consentita la confisca, bastando che la cosa sia confiscabile per essere sottoposta al sequestro preventivo previsto dall’art. 321, 2 comma, c.p.p.. 

In altri termini, la “cosa” costituente (a seconda delle disposizioni) prodotto, profitto, prezzo del reato o strumento utilizzato o destinato a commetterlo, nonché (nei casi in cui sia prevista la confisca di valore) qualunque altro “bene di valore equivalente”, può essere sottratta al soggetto, già in sede di indagini preliminari, purché ricorra il requisito della confiscabilità, indipendentemente da qualunque rapporto di pertinenzialità della res rispetto al reato commesso[17].

In particolar modo, con riguardo alla confisca obbligatoria, il rapporto di pertinenzialità tra res e reato è interamente assorbito nella verifica della “confiscabilità” della cosa, nel senso che se la cosa risulta confiscabile vuol dire, per ciò solo, che essa è pertinente al reato e nessuna valutazione discrezionale è richiesta al giudice della cautela in ordine alla pericolosità della cosa. La pertinenza rispetto al fatto criminoso della cosa esula il giudicante dal valutarne la pericolosità, poiché, per il solo fatto di essere pertinente al fatto criminoso, la res viene supposta pericolosa (presunzione assoluta) e, dunque, non circolabile (cioè assoggettabile a confisca)[18].

In conclusione, siccome - per effetto della norma riformata - pure il profitto, nonché qualunque altro bene di valore equivalente, soggiace a confisca obbligatoria, ne consegue che anche il relativo sequestro preventivo viene ad estendere la sua operatività, non necessitando di alcuna previa valutazione giudiziale.


6. L’art. 2641 comma 2 c.c. prevede che, quando non sia possibile individuare o apprendere i beni indicati nel comma 1, la confisca possa avere ad oggetto una somma di danaro oppure beni di valore equivalente, e ciò al fine di garantire la piena effettività dell’istituto della confisca in un settore, quale è quello del crimine economico, in cui l’individuazione delle risorse e delle ricchezze connesse alla commissione dei reati può rivelarsi particolarmente difficoltosa. Per tale ragione si è deciso di estendere la misura di sicurezza patrimoniale anche ai beni privi di qualsiasi connessione causale con il fatto criminoso[19].

Il presupposto che legittima il ricorso alla confisca per equivalente è rappresentato dall’impossibilità di procedere all’individuazione o all’apprensione dei beni collegati con il reato. A ben vedere, si tratta dell’ipotesi ablativa maggiormente applicata, poiché consente di colpire beni rientranti nella disponibilità diretta o indiretta del soggetto, anche non esplicitamente collegati al fatto criminoso (come, invece, sono il prodotto o il profitto), in relazione ai quali, quindi, non è indispensabile fornire prova del rapporto di derivazione dal reato (nel senso che il rapporto di derivazione tra il bene ed il fatto criminoso può anche restare privo di concreta dimostrazione).

Peraltro il presupposto applicativo della misura ablativa in questione non è oggetto di rigorosa verifica, venendo questa superata dalla generica clausola contenuta nell’art. 2641, 2 comma, c.c. (“Quando non è possibile l’individuazione o l’apprensione dei beni indicati nel comma primo, la confisca ha ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente”).

Ad ogni modo il nesso di pertinenzialità tra res e reato, già affievolito a causa della dilatazione della nozione di “profitto”, perde del tutto valore nella confisca per equivalente e, prima ancora, nel relativo sequestro. In sostanza, grazie al “superamento” dell’obbligo di accertamento del nesso di pertinenzialità tra bene e reato - può trattarsi anche di beni privi di qualsiasi connessione causale con il fatto criminoso -, si addiviene ad una ponderazione forfetaria del valore “equivalente” rispetto ai beni.

E’ per tale ragione che, secondo la dottrina maggioritaria[20], alla confisca per equivalente va attribuita natura di vera e propria sanzione penale, sebbene qualche Autore[21] ne evidenzi la natura compensativa.

Anche la giurisprudenza[22], sebbene ravvisi una significativa valenza “ripristinatoria” nella confisca per equivalente, sostanziandosi essa in «una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti», appare unanime nell’affermare il carattere preminentemente sanzionatorio di tale tipo di confisca[23].

La ratio dell’ablazione conseguente alla confisca consiste, infatti, nel privare il reo di qualunque beneficio sul versante economico e si fonda sulla «capacità dissuasiva e disincentivante di tale tipologia di risposta sanzionatoria»[24]. Restano controversi, invece, i limiti soggettivi di applicazione della confisca in caso di concorso di persone nel reato[25].

   

7. In considerazione delle molteplici differenze di disciplina sussistenti tra la misura ablativa prevista dall’art. 2641 c.c. e quella di cui all’art. 240 c.p., il richiamo a quest’ultima disposizione ad opera del comma 3 della norma civilistica sembra inteso ad estendere ai casi di confisca societaria il disposto delterzo commadella norma penalistica, che esclude la possibilità di apprendere beni che appartengano a persona estranea al reato[26].

Preliminarmente occorre chiarire la nozione di “appartenenza”. Essa è riferita certamente alla proprietà del bene, mentre resta controversa la sua riconducibilità ad un diritto reale di godimento, di garanzia o ad un diritto di credito: secondo la prevalente interpretazione dottrinale e giurisprudenziale (quest’ultima consolidatasi in materia di misure di prevenzione patrimoniali), pur essendo ammissibile l’ablazione del bene ad opera dello Stato, non è possibile fornire una soluzione univoca per quanto riguarda la tipologia di tutela da assicurare ai terzi[27]. Di contro, una parte della dottrina, muovendo dalla ratio della norma, volta proprio alla tutela dei diritti patrimoniali dei terzi, esclude che possa essere oggetto di apprensione il bene in ordine al quale tali soggetti (i terzi) siano titolari di uno dei diritti innanzi citati (e cioè di godimento, di garanzia o di credito).

In ogni caso l’appartenenza fittizia, che cela, cioè, la titolarità effettiva del bene, esclude la possibilità che il terzo possa essere considerato “estraneo”.

L’appartenenza, inoltre, va valutata non rispetto al momento di commissione del reato, bensì rispetto a quello in cui dovrà trovare applicazione l’istituto[28], e ciò in ossequio ad “una evidente esigenza di attualizzazione del giudizio di pericolosità e di tutela del terzo acquirente in buona fede”[29].

Quanto alla nozione di “estraneità al reato”[30], essa non coincide con quella di estraneità al procedimento o al processo in corso. Per tale ragione deve ritenersi ammissibile l’ablazione di beni appartenenti a persona sottoposta a separato procedimento penale.

Pacifica si profila, invece, l’ammissibilità della confisca dei beni “appartenenti” o “rientranti nella disponibilità” di un soggetto indagato a titolo di concorso di persone nel reato.

Del pari non sono ritenuti “estranei al reato” i soggetti che abbiano preso parte ad una condotta finalisticamente connessa, ex art. 61, n. 2, c.p., ovvero ad un reato avvinto da un qualunque vincolo di “accessorietà” e “consequenzialità”. Tale prospettiva interpretativa, tuttavia, non è immune da critiche poiché, stante la natura di conseguenza sanzionatoria della confisca, una tale dilatazione del concetto di “non estraneità” entra in conflitto con il principio di personalità della responsabilità “penale”[31], in violazione del divieto di analogia in malam partem.

È, invece, ritenuta persona estranea al reato la persona offesa, della quale non possono essere confiscati i beni, quand'anche rappresentino profitto del reato[32].

Si è osservato, tuttavia, che la (prospettata) interpretazione “estensiva” della locuzione “persona estranea al reato”, ne determina l’espansione praeter legem o addirittura contra legem, in quanto la locuzione ampliata di “persona estranea al reato”, riferita al soggetto che non abbia preso parte all’azione delittuosa, ben può ricomprendere anche chi, dopo la commissione del reato ed al di fuori dei casi di concorso, ponga in essere condotte di favoreggiamento (reale), senza alcun collegamento con il reato da cui derivi il prodotto, il profitto e il prezzo (e senza alcun nesso con le cose destinate o utilizzate per la commissione del reato).

Si è, altresì, esclusa l'estraneità quando il terzo, pur non avendo a nessun titolo partecipato al reato, abbia, tuttavia, tratto “vantaggi” dall’illecito penale[33].

Da qui il consolidarsi dell’orientamento secondo cui, il collegamento tra la posizione del terzo e la commissione del reato consista proprio nel vantaggio che costui abbia tratto dall’altrui attività criminosa[34].

In ambito dottrinario[35] si ritiene che il principio, enunciato nella sentenza della Corte Cost. del 19.01.1987, n. 2[36], sia un principio di carattere generale, in grado di diventare un criterio ermeneutico comune per quanto riguarda la “posizione” del terzo estraneo al reato.

Due sono, invero, le questioni principali prospettate dalla dottrina[37] con riguardo alla confisca societaria: la “distrazione” del profitto a favore della società “per conto” della quale l'autore agisce e l’apprensione di denaro o beni in molti casi appartenenti a terzi.

Riguardo a tale ultima questione si precisa che, sebbene la cosa “appartenente” a “persona estranea al reato” non possa costituire oggetto di confisca ai sensi dell’art. 240 c.p., tale deroga non opera a favore dei terzi che, pur “estranei” alla condotta criminosa, non vantino titoli di appartenenza sui beni societari: tra essi, ad esempio, i risparmiatori che vedono sfumare le proprie pretese risarcitorie a fronte dell’applicazione della misura ablativa[38]. La disposizione civilistica in esame, infatti, non prevede, al pari dell’art. 19, d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, la clausola di salvaguardia che consente di escludere l’ablazione della «parte che può essere restituita al danneggiato».

Peraltro, proprio a seguito dell’entrata in vigore del d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 - disciplinante la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle associazioni in conseguenza del reato commesso da soggetti incardinati nell’organizzazione dell’ente - anche le società, fermo il disposto dell’art. 240, 3 comma, c.p., possono ritenersi espressamente passibili di confisca in base agli artt. 6, 5 comma e 19 del decreto medesimo, sempre che le società medesime siano ritenute responsabili del reato societario in base a quanto previsto dall’art. 25-ter del d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, introdotto proprio con la riforma del titolo V del codice civile.



[1] Speciali nel senso di diverse ed ulteriori rispetto a quella prevista in via generale dall’art. 240 c.p..

[2] Sul punto v. BARAZZETTA, La confisca nei reati societari (art. 2641), in GIARDA-SEMINARA (a cura di), I nuovi reati societari, Padova, 2002, p. 185.

[3] v. FOFFANI, sub art. 2641, in PALAZZO-PALIERO (a cura di) Commentario breve alle leggi penali complementari, 2a ed., Padova, 2007, p. 2565. Sul punto v., altresì, PALIERO, Nasce il sistema delle soglie quantitative: pronto l’argine alle incriminazioni, in Gdir., 2002, 16, p. 55.

[4] FONDAROLI, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale. Ablazione patrimoniale, criminalità economica, responsabilità delle persone fisiche e giuridiche, Bologna, 2007, p. 227.

[5] v. tra gli altri FORNARI, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale “moderno”, Padova, 1997; MANGIONE, Le misure di prevenzione patrimoniale fra dogmatica e politica criminale, Padova, 1997; MAUGERI, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001.

[6] v. MASULLO, sub art. 2641, in PADOVANI (a cura di), Leggi penali complementari, Milano, 2007, p. 2505.

[7] FONDAROLI, Splendori e miserie della confisca obbligatoria del profitto, in FONDAROLI (a cura di), Principi costituzionali in materia penale e fonti sovranazionali, Padova, 2008, p. 134.

[8] ALESSANDRI, La confisca, in ALESSANDRI (a cura di), Il nuovo diritto penale delle società, Milano, 2002, p. 107; GRASSO, Profili problematici delle nuove forme di confisca, in MAUGERI (a cura di), Le sanzioni patrimoniali come moderno strumento di lotta contro il crimine: reciproco riconoscimento e prospettive di armonizzazione, Milano, 2008, p. 138.

[9] La Legge 15 febbraio 2012, n. 12, che ha introdotto l’art. 240, 2 comma, lettera 1 bis), c.p., ha disciplinato una nuova ipotesi di confisca obbligatoria prevista per i beni e gli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 615-ter, 615-quater, 615-quinquies, 617-bis, 617-ter, 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies, 640-ter e 640-quinquies.

Inoltre, ai sensi dell’art. 240, 2 comma, n. 2), c.p., è obbligatoria la confisca penale “delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna”.

[10] Cfr. Cass. pen., S.U., 3.7.1996, n. 9149, in Cass. pen., 1999, 972, con nota di CARCANO.

[11] Compiutamente ALESSANDRI, Confisca nel diritto penale, in Digesto pen., III, 4a ed., Torino, 1989, p. 51.

[12] Per uno studio approfondito che ne ripercorre la storia, attraverso i passaggi fondamentali, dalla attribuzione del carattere di “profitto” al ricavato della vendita dei beni oggetto di lottizzazione abusiva, alla necessità di individuare criteri di distinzione rispetto al “prezzo”, v. ALESSANDRI, Criminalità economica e confisca del profitto, in DOLCINI-PALIERO (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano, 2006.

[13] Cfr. Cass. pen., S.U., 24.5.2004, n. 29951, in Cass. pen., 2004, 3087.

[14] v. Cass. pen., Sez. II, 15.3.2007, n. 15082, in Riv. pen., 2007, 6, 6126.

[15] Cfr. Cass. pen., S.U., 25.10.2007, n. 10280, in Diritto&Giustizia, 2008.

[16] v. Cass. pen., Sez. III, 13.10.2004, n. 45797, in Arch. nuova proc. pen., 2005, 188.

[17] Cass. pen., Sez. VI, 27.1.2005, n. 11902, in CED Cass., 2005.

[18] Cass. pen., S.U., 29951/2004, cit.

[19] v. BARAZZETTA, La confisca nei reati societari (art. 2641), cit., p. 208.

[20] ALESSANDRI, La confisca, cit., p. 107; GRASSO, Profili problematici delle nuove forme di confisca, cit., p. 138; FONDAROLI, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale. Ablazione patrimoniale, criminalità economica, responsabilità delle persone fisiche e giuridiche, cit., p. 249.

[21] FORNARI, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale “moderno”, cit., p. 249; MACCARI, sub art. 2641, in GIUNTA (a cura di), I nuovi illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali, Torino, 2002, p. 231.

[22] Cfr. Cass. pen., Sez. V, 16.1.2004, n. 15445, in Diritto&Giustizia, 2004, 19, 101.

[23] Cass. pen., Sez. I, 18.9.2008, n. 38650, in CED Cass. pen., 2008.

[24] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 29.3.2006, n. 24633, in CED, 24633.

[25] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 5.6.2007, n. 31690, in Guida al diritto, 2007, 38, 98; Cass. pen., Sez. II, 22.12.2006-14.3.2007, n. 10838, in Arch. nuova proc. pen., 2008, 1, 33.

[26] Da ricordare come la Legge, 15 febbraio 2012, n. 12, ha recentemente novellato l’art. 240, 3 comma, c.p., prevedendo che “Le disposizioni della prima parte e dei numeri 1 e 1-bis del capoverso precedente non si applicano se la cosa o il bene o lo strumento informatico o telematico appartiene a persona estranea al reato. La disposizione del numero 1-bis del capoverso precedente si applica anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale”. Si segnala, altresì, come l’art. 240, 4 comma, c.p., ha stabilito la non applicabilità della confisca ex art. 240, 2 comma, n. 2), c.p., qualora “la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa”.

[27] GRASSO, sub art. 240 c.p., in ROMANO-GRASSO-PADOVANI (a cura di), Commentario sistematico del codice penale, III, Milano, 1994, p. 531; FORNARI, sub. art. 240, in CRESPI-STELLA-ZUCCALA’ (a cura di) Commentario breve al codice penale, 5a ed., Padova, 2008, p. 625.

[28] v. ALESANDRI, Confisca nel diritto penale, cit., p. 54; GRASSO, sub art. 240 c.p., cit., p. 531; FORNARI, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale “moderno”, cit., p. 660.

[29] Cass. pen., Sez. VI, 20.10.1997, n. 4008, in Cass. pen., 1999, 2141.

[30] Per approfondimenti sul punto v. FONDAROLI, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale. Ablazione patrimoniale, criminalità economica, responsabilità delle persone fisiche e giuridiche, cit., p. 382.

[31] ALESSANDRI, Confisca nel diritto penale, cit., p. 55; GRASSO, sub art. 240 c.p., cit., p. 529.

[32] v. FORNARI, sub art. 240 c.p., cit., p. 625.

[33] Corte Cost., 19.1.1987, n. 2, in  Rass. avv. Stato, 1987, I, 204. Mediante una siffatta argomentazione si è superato il tenore testuale delle disposizioni, trascendendo anche i confini imposti in materia ex art. 12 preleggi.

[34] Cass. pen., S.U., 28.4.1999, n. 9, in Riv. pen., 1999, 633.

[35] GRASSO, sub art. 240 c.p., cit., p. 529.

[36] Corte Cost., 2/1987, cit.

[37] ALESSANDRI, La confisca, cit., p. 105.

[38] SGUBBI, Il risparmio come oggetto di tutela penale, in Gco., 2005, p. 360.


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