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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 09/09/2024 Scarica PDF

Sull’applicabilità del termine di decadenza di cui all’art. 14 l. n. 689/1981 ai procedimenti sanzionatori antitrust

Martina Lazzarini, Avvocato


(nota a TAR Lazio, sez. I, ordinanza del 1° agosto 2023 n. 12962)

 

Sommario: 1. La vicenda che ha originato la remissione della questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea. - 2. Il diritto nazionale applicabile alle procedure istruttorie svolte dall’Agcm per accertare e sanzionare gli illeciti anticoncorrenziali (quali l’abuso di posizione dominante contestato con il provvedimento oggetto del giudizio analizzato). - 3. Tesi contraria all’applicabilità dell’art. 14 ai procedimenti sanzionatori antitrust. - 4. Tesi favorevole all’applicabilità dell’art. 14 ai procedimenti sanzionatori antitrust. - 5. La valorizzazione del principio di ragionevolezza quale possibile soluzione della vexata quaestio.


   

1. La vicenda processuale approdata all’attenzione del giudice amministrativo, nel cui ambito è stata sollevata la questione pregiudiziale di cui all’ordinanza in commento, prende le mosse dall’impugnazione di un provvedimento con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato[1] (in breve, Agcm) ha accertato la realizzazione di un abuso di posizione dominante a carico di un operatore economico del settore del trasporto marittimo.

Merita rimarcare la peculiare tempistica di svolgimento del procedimento, definito dal provvedimento impugnato in sede giurisdizionale, di cui dà conto l’ordinanza di rimessione.

In particolare: i) Agcm ha ricevuto in data 24 marzo 2018 una segnalazione da parte di un consumatore; ii) in data 23 aprile 2019 (394 giorni dopo la ricezione della denuncia) l’Agcm ha inviato una richiesta di informazioni all’Autorità portuale di Messina; iii) quest’ultima in data 22 maggio 2019 ha riscontrato solo parzialmente; iv) si è quindi reso necessario un ulteriore sollecito dell’Autorità inviato in data 19 novembre 2019, cui ha fatto seguito l’ulteriore riscontro dell’Autorità portuale in data 26 novembre 2019.

Successivamente, il procedimento è stato avviato mediante notificazione dell’atto propulsivo in data 4 agosto 2020 e si è concluso con un provvedimento di accertamento dell’illecito notificato in data 11 aprile 2022.

Avverso tale provvedimento l’operatore economico ha interposto impugnazione lamentando, tra l’altro, la violazione dell’art. 14, legge 24 novembre 1981 n. 689[2], nella misura in cui l’Autorità avrebbe avviato il procedimento per l’accertamento dell’illecito antitrust oltre il termine (perentorio) di novanta giorni, decorrente dalla segnalazione dell’illecito, previsto da tale disposizione, con la conseguente maturazione della decadenza dal potere di accertare la violazione.

Tale censurato modus procedendi risulterebbe peraltro lesivo del diritto di difesa nonché del legittimo affidamento della parte accusata, che non potrebbe vedersi sottoposta ad un procedimento sanzionatorio quando la notizia criminis sia risalente a più di novanta giorni, pena la violazione dell’art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) e dell’art. 41 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza).

A fronte di tale rilievo, Agcm ha sostenuto, in primo luogo, l’inapplicabilità ai procedimenti antitrust del suddetto termine decadenziale di novanta giorni, dovendosi piuttosto ancorare la tempestività dell’avvio procedimentale ad una compiuta acquisizione del quadro informativo rilevante, secondo un canone di ragionevolezza modulato sulla peculiarità delle singole vicende.

In secondo luogo, Agcm ha rilevato che in nessun altro Stato membro dell’Unione europea le autorità nazionali incaricate di tutelare la concorrenza siano tenute, a pena di decadenza, ad avviare immediatamente il procedimento istruttorio.

Infine, ha eccepito che l’applicazione del detto termine decadenziale contrasterebbe con gli artt. 3 e 4, par. 5, dir. 2019/1/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018, ritenuti ostativi ad una normativa interna che le impone di procedere ad avviare l’istruttoria entro una rigorosa scansione di tempo, senza garantirle la possibilità di individuare autonomamente le proprie priorità d’azione.

Sulla scorta di tale dibattito processuale il Tribunale ha ritenuto necessario rimettere la seguente questione interpretativa alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), concernente la compatibilità con l’ordinamento europeo dell’art. 14 l. 24 novembre 1981, n. 689[3]:

Se l’art. 102 Tfue, letto alla luce dei principi di tutela della concorrenza ed effettività dell’azione amministrativa, debba essere interpretato nel senso che osti ad una normativa nazionale, quale quella discendente dall’applicazione dell’art. 14 l. 24 novembre 1981, n. 689 - come interpretata nel diritto vivente - che impone all’Autorità garante della concorrenza e del mercato di avviare il procedimento istruttorio per l’accertamento di un abuso di posizione dominante entro il termine decadenziale di novanta giorni, decorrente dal momento in cui l’Autorità ha la conoscenza degli elementi essenziali della violazione, potendo questi ultimi esaurirsi nella prima segnalazione dell’illecito[4].

 

2. Il quadro normativo nazionale di riferimento è costituito essenzialmente dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287 “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato[5] il cui art. 31[6] richiama la legge 24 novembre 1981, n. 689 “Modifiche al sistema penale[7].

Inoltre, rileva il decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1998, n. 217 “Regolamento in materia di procedure istruttorie di competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato”, fonte gerarchicamente subordinata alla legge ed emanata ai sensi dell’art. 10, comma 5, l. n. 287/1990[8].

La legge n. 287/1990 - pur disciplinando i poteri istruttori dell’Agcm, i poteri decisori e i diritti delle parti nella fase istruttoria - non contiene previsioni deputate a regolare direttamente i tempi del procedimento[9]; in particolare, difettano previsioni sia in punto di termini di prescrizione, al cui maturare dovrebbe correlarsi l’estinzione del diritto di procedere nei confronti delle imprese che hanno posto in essere una violazione delle norme antitrust ormai cessata, sia in punto di termini decadenziali[10], entro i quali dovrebbe contestarsi l’ipotesi di infrazione alle regole antitrust, sia in punto di definizione della durata delle fasi preistruttoria ed istruttoria del procedimento[11].

Rispetto a tale carenza rilevano le previsioni degli artt. 14 e 28 della l. 689/1981[12].

L’art. 14 prevede che, ove sia possibile, la violazione deve essere contestata al trasgressore e all’obbligato in solido immediatamente o, in mancanza, entro un termine, decorrente dall’accertamento, di 90 giorni per i residenti in Italia e di 360 giorni per i residenti all’estero (commi 1 e 2); tali termini sono qualificati come perentori dal successivo comma 6, secondo cui “l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti è stata omessa la notificazione nel termine prescritto”.

La contestazione della violazione cristallizza l’addebito e consente all’incolpato di contraddire.

Pur non essendo previsto alcun termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio, l’art. 28 stabilisce, per un verso, che “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione” (comma 1); per altro verso, tale termine è soggetto alle stesse regole sulla interruzione previste dal Codice civile (comma 2).

Tanto premesso, la questione dell’applicabilità del termine decadenziale previsto dal citato art. 14 ai procedimenti sanzionatori antitrust ha dato luogo ad un articolato dibattito dottrinale e giurisprudenziale, ben messo in luce dall’ordinanza in commento, che nel prosieguo ci si propone di ripercorrere.

 

3. Un primo orientamento esclude che la disciplina dell’art. 14 della l. 689/1981 sul temine decadenziale per la contestazione degli illeciti sia applicabile in subiecta materia, ciò in ragione della specialità della disciplina antitrust caratterizzata sia dalla complessità e dal tecnicismo delle questioni oggetto di accertamento, sia da una significativa implementazione delle garanzie partecipative endoprocedimentali in favore dei soggetti coinvolti nella vicenda procedimentale, tali da comportare una inevitabile dilatazione dei tempi di definizione del procedimento[13].

In particolare, si esclude un qualsivoglia margine di applicazione dell’art. 14 della l. 689/1981[14] rispetto alla fase istruttoria[15] in quanto detta previsione ha carattere suppletivo e quindi declinabile soltanto ove non esista una normativa speciale incompatibile (anche non di rango primario), che nella specie è rappresentata dal dettato del d.P.R. n. 217/1998, concernente il regolamento in materia di procedure istruttorie di Agcm, che, come noto, non fissa alcun termine per la notifica dell’avvio dell’indagine: da qui la non postulabilità di un onere di immediata contestazione[16]. 

La giurisprudenza amministrativa che si inserisce nel solco di tale ricostruzione ritiene che si debba tenere in massima considerazione l’assoluta peculiarità dei procedimenti antitrust che sommano una pluralità di attività che non constano solo del momento di applicazione della sanzione (si pensi al momento di accertamento dell’illecito o di inibizione degli effetti).

Il principale fil rouge di questo orientamento rimane la conclusione per cui non si può sostenere che all’Agcm sia precluso, in forza dell’applicazione di termini decadenziali, l’esercizio del potere di avviare un’istruttoria e accertare un illecito antitrust al fine di ripristinare le condizioni di legalità del mercato interessato. Invero, applicando l’art. 14 della legge n. 689/1981 si pregiudica l’operatività dell’Autorità, costretta a portare avanti in parallelo una pluralità di procedimenti che, per numero e complessità, potrebbero compromettere il buon esito delle indagini, lasciando inevitabilmente impuniti alcuni illeciti; inoltre, si incide sull’autonomia dell’Autorità posto che l’imposizione di un termine decadenziale di novanta giorni si traduce, nella pratica, nell’obbligo di avviare le istruttorie secondo un criterio meramente cronologico, comprimendo cosi la discrezionalità che caratterizza l’operato dell’Agcm[17].

Si aggiunge altresì che tanto più completa è la conoscenza della vicenda fattuale da parte dell’Agcm prima dell’avvio del procedimento, tanto meno invasiva è la fase istruttoria[18].

La prospettazione ricostruttiva in discorso trae ulteriore linfa dalla giurisprudenza euro-unitaria sviluppatasi in ordine alla disciplina dei procedimenti sanzionatori antitrust di competenza della Commissione UE.

È noto che la disciplina applicativa delle disposizioni in materia di concorrenza di cui agli artt. 101 e 102 TFUE, contenuta nel reg. CE n. 1/2003 del Consiglio e nel reg. CE n. 773/2004 della Commissione, non stabilisce un termine entro il quale la Commissione deve condurre le indagini antitrust e neppure un termine per la comunicazione formale degli addebiti una volta conclusa la fase preistruttoria, ma solo un termine di prescrizione per l’irrogazione delle sanzioni[19].

Ciò non significa che la Commissione possa ritardare a piacimento l’avvio della procedura formale, poiché il procedimento, comunque, resta soggetto al rispetto del principio generale sulla ragionevolezza del termine che è sancito nell’art 41, §1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[20].

Come ricordato dal Tribunale UE[21], secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia “l’obbligo di rispettare un termine ragionevole si applica a ciascuna fase che s’inscriva in un procedimento nonché al complesso da quest’ultimo formato”.

Di conseguenza, nonostante la mancanza della previsione di termini intermedi, l’incolpato è garantito, oltre che dalla prescrizione, anche dal principio del termine ragionevole.

Al fine di verificare la ragionevolezza della durata del procedimento, per la Corte di giustizia occorre prendere in considerazione le circostanze proprie di ciascun caso, la rilevanza della controversia per l’interessato, la complessità del caso nonché il comportamento della parte ricorrente e quello delle autorità competenti[22].

 

4. Secondo una distinta prospettazione ricostruttiva[23] le previsioni contenute nel Capo I della l. n. 689/1981 - che positivizzano il principio di immediatezza della contestazione e comunque di non irragionevole dilazione di essa nel tempo - sono di applicazione generale dal momento che, in base all’art. 12 di tale legge, devono essere osservate con riguardo a tutti i procedimenti amministrativi volti a reprimere violazioni per le quali è comminata la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro.

Per tale orientamento, l’intento del legislatore è quello di assoggettare ad uno statuto unico ed esaustivo, caratterizzato da un medesimo livello di prerogative e garanzie procedimentali per il soggetto inciso, tutte le ipotesi di sanzioni amministrative, sia che siano attinenti a reati depenalizzati, sia che conseguano ad illeciti qualificati ad origine come amministrativi, con la sola eccezione delle violazioni disciplinari e di quelle comportanti sanzioni non pecuniarie.

L’ampia portata precettiva sarebbe esclusa soltanto in presenza di una diversa regolamentazione da parte di una fonte normativa, pari ordinata, che per il suo carattere di specialità si configuri idonea a introdurre una deroga alla norma generale e di principio.

Tanto premesso, l’orientamento in esame sottolinea, per un verso, che l’art. 31 della l. n. 287/1990 prevede l’applicazione delle norme generali di cui alla l. 689/1981 “in quanto applicabili”, per altro verso, che il regolamento in materia di procedure istruttorie dell’Autorità (d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217) non reca l’indicazione di alcun termine per la contestazione degli addebiti; ne consegue che non vi è margine per opinare che sia diversamente stabilita la scansione procedimentale e inapplicabile il termine di cui all’art. 14 della l. n. 689/1981[24].

La mera circostanza che la l. n. 287/1990 ed il regolamento non indichino alcun termine per la contestazione degli addebiti non può indurre l’interprete a ritenere che il legislatore in subiecta materia abbia “diversamente stabilito” rispetto al dettato della l. 689/1981, in ordine alla necessità di una formale e tempestiva contestazione delle infrazioni a pena di decadenza.

Tale orientamento conclude nel senso di ritenere applicabile il richiamato termine per la contestazione delle violazioni come avente natura perentoria in quanto avrebbe la specifica funzione di garantire un tempestivo esercizio del diritto di difesa.

Per questo indirizzo, “tale interpretazione è preferibile anche in quanto orientata dalla sicura ascendenza costituzionale del principio di tempestività della contestazione, posto a tutela del diritto di difesa[25]; la soluzione proposta, rispondente sotto questo aspetto al canone ermeneutico di tipo sistematico, si impone anche alla luce dell’obbligo di interpretazione conforme, quale logico corollario della natura sostanzialmente “penale” delle sanzioni antitrust e della conseguente applicabilità ad esse dei principi fondamentali del diritto punitivo[26].

La giurisprudenza che si inserisce in questo filone interpretativo[27] ha precisato che proprio la “natura afflittiva” delle sanzioni applicate all’esito dei procedimenti antitrust assegna natura perentoria al termine di inizio del procedimento al fine di evitare che l’impresa possa essere esposta a tempo indefinito all’applicazione della sanzione stessa. Invero, la natura afflitivo-sanzionatoria del provvedimento che può essere adottato a conclusione del procedimento avviato dall’Autorità rende applicabile anche a questi procedimenti il principio secondo cui l’esercizio della potestà sanzionatoria di qualsivoglia natura non può restare esposta sine die all’inerzia dell’autorità preposta al procedimento sanzionatorio, ciò ostando ad elementari esigenze di certezza giuridica e di prevedibilità in tempi ragionevoli delle conseguenze dei comportamenti[28]. 

Peraltro, se è un “fine costituzionalmente necessario” assicurare adeguata protezione al diritto di difesa e ai principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione stabilendo un limite temporale per l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione il cui inutile decorso produca la consumazione del potere stesso, allora è possibile dubitare che sia costituzionalmente legittimo il fatto che una autorità indipendente sia svincolata dall’osservanza del termine di decadenza previsto in via generale per contestare gli addebiti, una volta concluso l’accertamento, in modo da disporre, nella sostanza del dies a quo dello stesso termine di prescrizione[29].

Sul tema della compatibilità sistematica o meno della disciplina sul procedimento istruttorio di Agcm rispetto allo statuto generale delle sanzioni amministrative delineato dalla l. n. 689/1981, i sostenitori di questo secondo orientamento valorizzano la recente giurisprudenza sviluppata in materia dalla Corte costituzionale[30].

Chiamata a pronunciarsi con riguardo alla legittimità dell’art. 18 della l. 689/1981, nella parte in cui non prevede un termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio mediante l’emissione dell’ordinanza ingiunzione o dell’ordinanza di archiviazione degli atti, la Corte si è espressa criticamente sull’idoneità del solo termine di prescrizione quinquennale, soggetto a interruzione, a garantire, di per sé solo, la certezza giuridica della posizione dell’incolpato e l’effettività del suo diritto di difesa, ritenendo piuttosto coessenziale a un sistema sanzionatorio - coerente con i parametri costituzionali costituiti dagli artt. 24 e 97 Cost. - la fissazione di un termine per la conclusione del procedimento non particolarmente distante dal momento dell’accertamento e della contestazione dell’illecito, in modo da consentire all’incolpato di opporsi efficacemente al provvedimento sanzionatorio[31].

Sebbene la questione sia stata definita con una statuizione di inammissibilità, “in ragione del doveroso rispetto della prioritaria valutazione del legislatore in ordine alla individuazione dei mezzi più idonei al conseguimento di un fine costituzionalmente necessario”, la Corte ha ammonito che il protrarsi della lacuna normativa - che “colloca l’autorità titolare della potestà punitiva in una posizione ingiustificatamente privilegiata che, nell’attuale contesto ordinamentale, si configura come un anacronistico retaggio della supremazia speciale della pubblica amministrazione” - rende ineludibile un tempestivo intervento legislativo.

Dunque, la necessità di interpretazione conforme a Costituzione convince - alla luce di quanto da ultimo chiarito dalla Corte costituzionale sull’insufficienza del termine di mera prescrizione a garantire l’effettività di diritto di difesa dell’incolpato - circa l’estensione ai procedimenti antitrust della specifica previsione della legge del 1981[32].

 

5. La dicotomia delle prospettazioni sin qui richiamate potrebbe stemperarsi alla luce di una recente giurisprudenza che ha offerto una interessante ricostruzione del sistema al lume del principio di ragionevolezza.

In particolare, è stato evidenziato che il termine di avvio del procedimento può prendere a decorrere allorquando l’Autorità ha completato gli accertamenti propri della fase preistruttoria al fine di formulare la contestazione[33].

Tale impostazione prende le mosse dal rilievo secondo cui, indipendentemente dall’applicabilità del termine di cui all’art. 14, non può razionalmente giustificarsi il compimento di un’attività preistruttoria che si prolunghi per un lasso di tempo totalmente libero da qualsiasi vincolo e ingiustificatamente prolungato.

Ciò tanto più se si considera che i procedimenti condotti dall’autorità antitrust soggiacciono ai principi, sanciti nella l. 7 agosto 1990, n. 241, di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, oltre che al dovere di attribuire certezza al professionista sottoposto al procedimento[34].

Pertanto, sussiste l’obbligo dell’Autorità di accertare una violazione del diritto antitrust e di applicare le relative sanzioni procedendo all’avvio della fase istruttoria entro un termine ragionevolmente congruo “a pena di violazione dei principi di legalità e buon andamento che devono sempre comunque contraddistinguerne l’operato[35].

Dunque, il mancato rispetto di un termine ragionevole per l’avvio del procedimento antitrust rappresenta un vulnus particolarmente grave dei principi amministrativi e dell’interesse dell’operatore nel mercato alla rapidità della formulazione della contestazione.

Siffatta impostazione ha fatto breccia anche in quella parte della giurisprudenza che adotta l’impostazione più rigorosa dell’applicazione del termine decadenziale.

Sul punto è stato rilevato che il dies a quo per il computo del termine di novanta giorni coincide con la conclusione dell’accertamento svolto nella fase preistruttoria e dunque con il momento in cui l’Autorità consegue una piena conoscenza della condotta illecita[36].  

Il dies a quo non è individuabile ex ante in maniera inequivocabile, essendo sempre dipendente dalla completezza degli elementi indicati nella segnalazione, ovvero dagli atti acquisiti immediatamente dopo.

Ne consegue che il dies a quo non coincide necessariamente con la prima segnalazione dell’illecito, bensì con la conclusione del complesso accertamentosvolto nella fase preistruttoria[37].

In ogni caso la tempestività dell’avvio procedimentale è suscettibile di scrutinio da parte del giudice[38]: pertanto, ove dedotta la censura in sede di impugnazione giurisdizionale, il giudice deve procedere ad un giudizio di prognosi postuma, ossia ad immedesimarsi nella posizione dell’Autorità e verificare se gli elementi disponibili in un certo momento fossero o meno sufficienti a formulare la contestazione.   

Tale prospettazione ricostruttiva è idonea ad offrire una soluzione sistematicamente coerente della problematica in quanto permette di addivenire ad una ricostruzione del quadro normativo di riferimento che assicuri un adeguato bilanciamento dei valori e dei principi sottesi agli orientamenti di segno contrario di cui si è dato conto.

Sotto un primo profilo emerge l’esigenza di assicurare un efficace accertamento degli illeciti antitrust di cui sono espressione la normativa euro-unitaria e nazionale di recepimento.

Al riguardo risulta emblematica la recente disciplina introdotta dalla direttiva 2019/1/UE del Parlamento e del Consiglio in data 11 dicembre 2018 (cd. European competition network+), la quale, oltre a porre a carico degli Stati membri l’obbligo di assicurare il principio secondo cui i procedimenti istruttori delle autorità nazionali debbono essere svolti in tempi ragionevoli (art. 3, paragrafo 3), nell’art. 4, paragrafo 5, prevede, da un lato, che “le autorità amministrative nazionali garanti della concorrenza hanno il potere di definire le loro priorità per lo svolgimento dei compiti ai fini dell’applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE”, dall’altro, che esse hanno il potere di respingere denunce formali “a motivo del fatto che non le considerano delle priorità investigative[39].

In attuazione di tale direttiva il d. lgs. 8 novembre 2021, n. 185 ha aggiunto nell’art 12 della l. n. 287/1990 il co. 1-ter, a mente del quale l’Autorità “ha il potere di definire le priorità di intervento ai fini dell’applicazione della presente legge e degli articoli 101 e 102 del TFUE. L’Autorità può non dare seguito alle segnalazioni che non rientrino tra le proprie priorità di intervento”.

Dette previsioni si appalesano incompatibili con una normativa nazionale che impone all’Agcm di procedere con l’avvio dell’istruttoria secondo una rigorosa e assai concentrata scansione temporale.

Sotto altro profilo, l’indicata ratio efficientistica deve necessariamente confrontarsi con i principi di certezza dei rapporti giuridici nonché con le esigenze di tutela della sfera giuridica dei soggetti destinati ad essere incisi dall’esercizio dei poteri di accertamento - che assumono peculiare consistenza ove si consideri la natura sostanzialmente penale delle sanzioni repressive degli illeciti antitrust - le quali impongono che la vicenda procedimentale sia definita in tempi contenuti onde evitare che gli operatori economici restino esposti indefinitamente alla potestà sanzionatoria pubblicistica.

Orbene, un equilibrato bilanciamento dei principi e dei beni giuridici che si contendono il campo, per un verso, induce l’interprete a non obliterare il dato positivo costituito dal richiamo, da parte dell’art. 31, l. n. 287/1990 all’art. 14 della l. n. 689/1981 (incluso nel richiamo alle disposizioni del relativo capo I, sezioni I e II), per altro verso, impone di prediligere una applicazione di tale disciplina in modo conforme ai principi espressi dal legislatore euro-unitario sopra richiamati.

Ciò è possibile sulla scorta di una prospettazione ricostruttiva volta ad ancorare il decorso del termine decadenziale ex art. 14 una volta che l’Autorità abbia conseguito un quadro conoscitivo esauriente della vicenda fattuale in ragione delle iniziative assunte nella fase preistruttoria.

Peraltro, l’attività preistruttoria deve svolgersi nel rispetto di un principio di ragionevolezza temporale, che a sua volta implica, sul piano logico, la necessità di un celere accertamento del fatto, in funzione della decisione sull’avvio del procedimento, necessariamente modulato sulla complessità della vicenda sottoposta all’attenzione dell’Autorità.



[1] Per un inquadramento sull’Autorità Garante sulla concorrenza e del mercato (Agcm) nonché più in generale per un inquadramento del fenomeno delle Autorità amministrative indipendenti v. V. Di Cataldo, L’Autorità garante della concorrenza e del mercato a vent’anni dalla sua istituzione: appunti critici, in Concorrenza e mercato, 2010, 467 ss.; M. Libertini, Nel trentesimo anniversario della legge antitrust italiana. Un bilancio dell’attività dell’Autorità nazionale di concorrenza, in Rivista della Regolazione dei mercati, 2020, 256; M. D’Ostuni, M. Beretta, Il diritto della concorrenza in Italia, Torino, 2021. In particolare, V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, in G. Giappichelli editore, Torino, 2019, 257-272, sottolinea che Agcm, istituita con legge 10 ottobre 1990, n, 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), esercita funzioni cd. antitrust al fine di garantire il corretto funzionamento della concorrenza nel mercato, reprimendo le intese restrittive della concorrenza e gli abusi di posizione dominante, nonché vigilando sulle operazioni di concentrazione. Tale Autorità si occupa anche della tutela del consumatore. È una autorità generalista che ha quindi competenza generale, in quanto riconosciuta a tutela di specifici interessi pubblici di portata generale; è titolare di funzioni essenzialmente di vigilanza, con poteri inibitori e sanzionatori.

In generale le autorità amministrative indipendenti svolgono funzioni di vigilanza e di garanzia nel cui ambito esercitano anche poteri assimilabili a quelli di tipo giurisdizionale, ovvero relativi alla risoluzione di controversie tra soggetti privati. Accanto alle funzioni principali, le Autorità svolgono funzioni ausiliarie, tra cui si annoverano le funzioni consultive. Assumono, infine, particolare rilievo le funzioni di segnalazione che consistono nella possibilità di evidenziare il contrasto tra le norme affidate alla cura dell’Autorità ed altri provvedimenti normativi o amministrativi, eventualmente indicando gli interventi necessari al ripristino della coerenza tra i sistemi di regolazione settoriale (artt. 21 e 21-bis legge n. 287 del 1990). La Corte EDU ha ritenuto di natura sostanzialmente penale le sanzioni inflitte dall’Agcm in ragione del carattere punitivo afflittivo che esse rivestono (Corte eur. Dir. Uomo, 27 settembre 2011, n. 43509/08 Menarini).

[2] Per un inquadramento sulla legge n. 689/1981, v. G. marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale, in Giuffé Francis Lefebvre ottava edizione, 2019, 196-199, secondo cui la legge 24 novembre 1981, n. 689, “Modifiche al sistema penale” ha disciplinato in modo organico l’illecito amministrativo (non disciplinare e non finanziario) per il quale siano previste sanzioni pecuniarie, usando la generica perifrasi “sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro” (art. 12) per identificare l’ “ambito di applicazione” della legge.

In primo luogo, l’illecito amministrativo reprime offese a beni giuridici selezionate in base ai principi di proporzione e di sussidiarietà: il ricorso alla sanzione amministrativa in luogo della sanzione penale è dunque un importante e collaudato strumento di deflazione del sistema penale a disposizione del legislatore. Di tale strumento il legislatore italiano si è avvalso e si avvale ampiamente, sia prevedendo nelle più svariate leggi speciali figure di illecito ad origine amministrativo, sia operando periodici interventi di depenalizzazione (cioè trasferendo tra gli illeciti amministrativi illeciti originariamente configurati come reati).

In secondo luogo, la previsione di illeciti amministrativi è l’unica via che può percorrere il legislatore regionale per la tutela sanzionatoria di beni giuridici: all’utilizzo da parte del legislatore regionale sia di sanzioni penali sia di sanzioni pecuniarie civili si oppone infatti l’art 117 co 2 lett. l) Cost.

In terzo luogo, nel 2001 lo schema della responsabilità amministrativa è stato adottato dal legislatore italiano, con gli opportuni adeguamenti alle peculiarità dei destinatari, per configurare una responsabilità da reato a carico degli enti, dotati o no di personalità giuridica.

Da ultimo, come sottolineato dalla Corte costituzionale (Corte Cost. 5 dicembre 2018, n. 223): “l’impatto della sanzione amministrativa sui diritti fondamentali delle persona non può essere sottovalutato ed è, anzi, andato crescendo nella legislazione vigente”.

La disciplina generale dell’illecito amministrativo, contenuta, nella l. 689/1981, abbraccia profili sia di diritto sostanziale sia di diritto processuale.

Quanto al diritto sostanziale, la scelta di fondo del legislatore del 1981 è stata nel senso di una larga mutuazione di principi penalistici: una soluzione coerente con la funzione di tutela preventiva di beni giuridici assolta dalle sanzioni amministrative (pecuniarie e interdittive) interessate da tale disciplina. In una logica di mutuazione di principi penalistici si collocano i principi di legalità e di irretroattività (art. 1 l. 689/1981), la disciplina della capacità di intendere e di volere (art. 2 l. 689/1981); la disciplina dell’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo (art. 3 l. 689/1981); la disciplina del concorso di persone (art. 5 l. 689/1981); la disciplina del concorso fra norme penali e norme sanzionatorie amministrative (art. 9 l. 689/1981); la disciplina della commisurazione delle sanzioni pecuniarie amministrative (art. 11 l. 689/1981).

Quanto ai profili procedimentali e processuali, la sanzione amministrativa (di fonte statale) viene irrogata, nella forma dell’ordinanza-ingiunzione (art. 18 l. 689/1981), dall’ufficio periferico del Ministero nella cui competenza rientra la materia alla quale si riferisce la violazione, ovvero, in assenza di tale ufficio, dal Prefetto (art. 17 co. 1 l. 689/1981). Contro l’ordinanza-ingiunzione, l’interessato può proporre opposizione davanti al giudice di pace civile, ovvero davanti al tribunale civile (artt. 22 l. 689/1981 e art. 6 d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150).

[3] Osserva S. De Nitto, Sul rinvio del Tar Lazio alla Corte di giustizia (ordinanza n. 12962 del 2023): applicabilità dell’art. 14 l. n. 689 del 1981 ai procedimenti antitrust?, in Amministrazione In Cammino, 2023, che se in linea generale si può ritenere condivisibile il dubbio relativo all’applicabilità del termine decadenziale ai procedimenti antitrust, qualche perplessità riguarda i motivi del ricorso. Sarebbe stata infatti riposta poca enfasi in uno degli argomenti che avrebbe fornito particolare sostegno all’impianto costruito a favore della non applicazione del termine decadenziale ai procedimenti antitrust. Alla base del rinvio alla Corte di giustizia vi è la circostanza che il procedimento, pur se riguardi situazioni interne, alla luce del disposto dell’art 1, co. 4, legge n. 287/1990, assume rilevanza anche sovranazionale. Risulta infatti sussistente un interesse dell’Unione europea alla corretta applicazione delle disposizioni di legge per la repressione degli illeciti anticoncorrenziali, anche in conseguenza di una rilevata “disarmonia nell’avvio delle indagini antitrust in ragione del mercato (nazionale o comune) nel quale si sviluppa l’illecito”. In tal senso si veda Corte giust. CE, 15 ottobre 2002, causa C-254/99 e Corte giust. CU, grande sezione, 11 dicembre 2007, causa C-280/06.

[4] Vale anche per il caso di accertamento di una pratica commerciale scorretta sleale, come affermato nell’ordinanza Tar Lazio, Roma, Sez. I, 2 agosto 2023, n. 13016 che ha anch’essa sollevato questione pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

[5] In particolare, rilevano l’art.1 “Ambito di applicazione e rapporti con l’ordinamento comunitario”, l’art. 3 “Abuso di posizione dominante”, l’art. 12 “Poteri di indagine”, l’art. 14 “Istruttoria”, l’art. 15 “Diffide e sanzioni” e l’art. 31 “Sanzioni”.

[6] L’art. 31 della l. 287/1990 dispone che “per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione della presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689” (la sez. I è rubricata “Principi generali”, la sez. II è rubricata “Applicazione”).

[7] L’art. 12 sancisce, peraltro, la generale applicabilità delle disposizioni contenute nel Capo I in materia di sanzioni amministrative “in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito, per tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale. Non si applicano alle violazioni disciplinari”.

[8] Il quale dispone che “con decreto del Presidente della Repubblica […] sono stabilite procedure istruttorie che garantiscono agli interessati la piena conoscenza degli atti istruttori, il contraddittorio e la verbalizzazione”.

[9] Nella disciplina italiana antitrust, come in quella europea, l’avvio del procedimento istruttorio volto all’accertamento di eventuali violazioni del diritto della concorrenza è preceduto da una fase preistruttoria nella quale l’Agcm, sulla base di segnalazioni, denunce o esposti o di notizie o informazioni autonomamente acquisite, procede in via officiosa a una prima indagine, di tipo preliminare, per verificare la sussistenza dei presupposti per procedere all’avvio dell’istruttoria (è questa la “valutazione” di cui all’inciso del primo comma dell’art 12 della l. 287/1990). Qualora ne emerga un fumus d’infrazione (di “presunta infrazione” parla l’art 14, co. 1, della l. 287/1990) l’Agcm delibera di procedere all’istruttoria finalizzata a verificarne l’esistenza, notificandone l’apertura alle imprese e agli enti interessati (art. 14 l. 287/1990 e art 6 d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217).

[10] G. Chiné, A. Zoppini, Manuale di diritto civile, in Neldiritto Editore, XIII edizione, 2021, 67-79 ricorda che la decadenza è un istituto affine alla prescrizione, caratterizzato anch’esso dall’inerzia del titolare nell’esercizio di un proprio diritto e dalla decorrenza di un determinato periodo di tempo entro il quale tale diritto deve essere esercitato. Il comune denominatore dei due istituti è rappresentato dalla perdita di un diritto dovuta all’azione del tempo. La decadenza, a differenza della prescrizione, non è una causa generale di estinzione del diritto: mentre, infatti ai sensi dell’art. 2934 c.c. “ogni diritto si estingue per prescrizione…”, non altrettanto è stabilito in materia di decadenza, la cui disciplina consta di norme cd. complementari che presuppongono singole ipotesi costitutive di termini di decadenza, prevista da norme del Codice civile, da quelle di diritto processuale e del diritto amministrativo, nonché da quelle che costituiscono espressione dell’autonomia. Dunque, la decadenza può verificarsi solo in presenza di una specifica ed espressa previsione normativa o negoziale. Le disposizioni che contemplano singole ipotesi di decadenza, in quanto speciali, non sono suscettibili di applicazione analogica.

L’inazione che caratterizza la decadenza si differenzia dell’inattività propria della prescrizione, in quanto connessa non ad un generico esercizio del diritto, bensì al compimento dello specifico atto richiesto dalla legge o dal negozio giuridico. Nella decadenza, il compimento dell’atto richiesto esaurisce la vicenda, così come il mancato compimento dello stesso determina l’impossibilità di esercitare il diritto. Il termine è perentorio e acceleratorio: l’esigenza che l’atto sia compiuto entro la scadenza di esso ne implica la sua rigidità e la sua improrogabilità, pur nel rispetto del limite di cui all’art. 2965 cc.

La decadenza è giustificata da molteplici e diverse finalità, sia pubbliche sia private, accomunate dalla necessità che il diritto venga esercitato entro il termine previsto e senza alcuna proroga.

Sul titolare del diritto non incombe né un obbligo di compiere l’atto richiesto, né di compierlo entro il termine previsto, in quanto l’inerzia non costituisce un illecito e la perdita del diritto non si atteggia a sanzione. Il titolare del diritto ha piuttosto un interesse suo proprio a compiere l’atto: si è in presenza, in altri termini di un onere.

Dalle diverse funzioni assolte da prescrizione e decadenza discende la diversità delle rispettive fonti. La prescrizione è prevista solo dalla legge; la decadenza, potendo rispondere anche ad interessi privati del soggetto di un rapporto giuridico, può essere prevista anche in un contratto (decadenza convenzionale o negoziale). Accanto alla decadenza legale e convenzionale, vi è poi la decadenza giudiziale che deriva da provvedimento del giudice (art. 152 c.p.c.).

La natura, legale o contrattuale, della fonte determina la disciplina applicabile alla decadenza: in caso di decadenza legale relativa a diritti indisponibili, le parti non possono né modificare la disciplina, né rinunciare ad essa (art. 2968 cc) e il giudice può rilevarla d’ufficio. Qualora, invece, la decadenza legale sia prevista con riferimento a diritti disponibili delle parti, allora, queste ultime possono non solo modificare la disciplina della decadenza, ma anche rinunciarvi. Questo tipo di decadenza, inoltre, può essere impedita anche dal riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto soggetto a decadenza (art. 2966 cc). Tali ultime osservazioni valgono anche con riferimento alla decadenza convenzionale, il cui unico limite è rappresentato dalla congruità del termine (art. 2965 cc).

Ad una disomogeneità di fonti corrisponde una sensibile diversità di disciplina tra prescrizione e decadenza: ragione per cui si rende necessario stabilire, nei singoli casi, se un termine, non altrimenti qualificato, sia di prescrizione o di decadenza. Il problema qualificatorio si pone per tutte quelle singole ipotesi in cui la legge stabilisce un termine per il compimento di un vero e proprio atto di esercizio di un diritto.

[11] L. Maccarrone, Prescrizione e decadenza nell’esercizio del potere sanzionatorio. Profili di responsabilità erariale, in Judicium, Il processo civile in Italia e in Europa, Pacini Giuridica, 13, afferma che la scansione temporale del procedimento sanzionatorio, così come il termine quinquennale di prescrizione, appaiono necessari da diversi punti di vista: per i soggetti interessati, ponendosi a garanzia della certezza delle loro posizioni giuridiche; per l’amministrazione, portata ad incanalare l’azione sui binari dell’efficienza, garantendo le entrate dovute nei giusti tempi, ma garantendo altresì quella finalità dissuasiva che si realizza specialmente laddove la sanzione arriva in un tempo ragionevole, non troppo distante dal momento in cui si verifica il fatto illecito. Afferma poi che per “mancato esercizio del potere sanzionatorio” ci si riferisce a tre diverse circostanze: il mancato accertamento dell’illecito nel termine quinquennale di prescrizione; l’abbandono del procedimento sanzionatorio, che, pur avviato, non si conclude con l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione, senza che ne sia avvenuta l’archiviazione; l’emanazione del provvedimento sanzionatorio oltre il termine di decadenza, ove previsto. Inoltre, sulla natura del potere sanzionatorio, se non è in discussione la sua doverosità, escludendosi una discrezionalità sull’an, più incerto è, con riguardo al suo esercizio, stabilire se esso implichi o meno valutazioni di tipo discrezionale.

[12] L. Maccarrone, Prescrizione e decadenza nell’esercizio del potere sanzionatorio. Profili di responsabilità erariale, cit. afferma che la sanzione amministrativa è espressione dell’autorità della pubblica amministrazione e incide negativamente e in modo afflittivo nella sfera giuridica dei terzi, è permeata da una accezione sostanziale di legalità. Essa implica altresì la scansione dell’azione amministrativa dal punto di vista temporale. La rilevanza del tempo nei procedimenti sanzionatori ha indotto il legislatore, sin dal 1981 con la legge n. 689, a definire le “tappe” del procedimento amministrativo. Tra i contributi di carattere generale G. Zanobini, Le sanzioni amministrative, F.lli Bocca, Torino, 1924; A. Travi, Sanzioni amministrative e pubblica amministrazione, Cedam, Padova, 1983; A.M. Sandulli, La potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione (Studi preliminari), Napoli, 1981; A.M. Sandulli, Le sanzioni amministrative pecuniarie. Profili sostanziali e procedimentali, Napoli, 1983; M.A. Sandulli, Le sanzioni amministrative pecuniarie, Jovene, Napoli, 1983; A. Vigneri, La sanzione amministrativa, Cedam, Padova, 1984; G. Pagliari, Profili teorici della sanzione amministrativa, Cedam, Padova, 1988; C.E. Paliero, A. Travi, La sanzione amministrativa, Giuffrè, Milano, 1988; E. Casetta, Sanzione amministrativa, in Dig. Pubbl., vol. XII, Utet, Torino, 1997, 599 ss; P. Cerbo, Le sanzioni amministrative, Giuffré, Milano, 1999; G. Colla, G. Manzo, Le sanzioni amministrative, Giuffrè, Milano, 2001; R. Giovagnoli, M. Fratini, Le sanzioni amministrative, Giuffrè, Milano, 2009; A. Cagnazzo, S. Toschei (a cura di), La sanzione amministrativa. Principi generali, Giappichelli, Torino, 2012; E. Cannada Bartoli, Illecito (diritto amministrativo), in Enc. Dir., vol. XX, Milano, 1970, 112 ss.; C.E. Paliero, A. Travi, sanzioni amministrative, in Enc. dir., vol. XLI, Milano, 1989, 345 ss.; D. Siniscalco, Depenalizzazione, in Enc. giur., vol. X, Roma, 1989; M.A.  Sandulli, (voce) Sanzioni. IV) Sanzioni amministrative, in Enc. giur., vol. XXVIII, Roma, 1992; E. Casetta, (voce) Illecito amministrativo, in Dig. Disc. Pubbl., vol. VIII, Torino, 1993, 89 ss., P. Cerbo, Le sanzioni amministrative, in Cassese (diretto da), trattato di dritto amministrativo. Dir. Amm. Spec., tomo I, Milano, II ed., 2003, 579 ss.; P. Cerbo, Vigilanza e sanzioni di natura amministrativa, in Società, 2010, 39.

[13] Questo orientamentoè sposato soprattutto dal Tar Lazio, Sez. I: v, in particolare, 24 marzo 2022, n. 3334; 22 luglio 2021, n. 8815; 30 giugno 2021, n. 7708; 24 novembre 2020, n. 12539; 28 luglio 2017, n. 9048. Si veda C. Police, L’applicabilità dell’articolo 14 della l. 24 novembre 1981, n. 689 ai procedimenti antitrust nell’interpretazione dei giudici amministrativi, in Osservatorio di Aministrativ@mente, febbraio 2023.

[14] Diversamente da quanto previsto dall’art. 14 l. 689/1981, la Corte di giustizia, in relazione alle procedure antitrust condotte a livello europeo, ha statuito l’obbligo per la Commissione europea di concludere il procedimento (inteso come fase preistruttoria e istruttoria vera e propria) entro un termine ragionevole (Corte giust. Ue, 15 ottobre 2002, causa C-254/99).

[15] Cons. Stato, Sez. VI, 21 dicembre 2021, n. 8492, Cons. Stato, Sez. VI, 12 febbraio 2020, n. 1046; Cons. Stato, Sez. VI, 25 giugno 2019, n. 4357, tutte sulla falsariga di Cons. Stato, Sez. VI, 20 giugno 2019, n. 4215, che però riguardava l’Aeegsi oggi Arera.

[16] Cons. Stato, Sez. VI, 12 febbraio 2020, n. 1046, secondo cui “appare condivisibile quell’orientamento giurisprudenziale, per cui i termini perentori previsti dall’art. 14 l. n. 689/1981 non siano applicabili ai procedimenti di competenza dell’Agcm in materia di illeciti anticoncorrenziali, avendo tale norma carattere suppletivo in assenza di una disciplina speciale, nel caso di specie costituita dalla disciplina dei procedimenti di competenza dell’Autorità dettata dal d.P.R. n. 217/1998”. Cons. Stato, Sez. VI, 25 giugno 2019, n. 4357 osserva che tale conclusione non è peraltro suscettibile di esporsi a dubbi di costituzionalità, nel senso di esporre l’interessato senza limiti di tempo al potere sanzionatorio, perché egli potrebbe agire col rito del silenzio contro l’Autorità stessa per costringerla a pronunciarsi in termini certi e perché anche alle sanzioni di competenza dell’Agcm si applicherebbe la previsione generale dell’art. 28 della l. n. 689/1981 sulla prescrizione.

[17] Tar Lazio Roma, Sez. I, 7 aprile 2008, n. 2902.

[18] Nell’ordinanza in commento si rileva che: “atti come le ispezioni possono essere eseguiti dall’Autorità in maniera mirata, essendo già noto l’obiettivo del controllo; viceversa, ove l’Agcm fosse costretta ad aprire il procedimento prima ancora di avere compiutamente inquadrato la vicenda fattuale, inevitabilmente dovrà procedere ad una sorta di pesca a strascico durante l’istruttoria in contraddittorio, acquisendo indistintamente tutti gli elementi in qualche modo collegati all’attività dell’impresa con notevoli “aggravi” per ambedue le parti (da un lato l’Autorità avrà più materiale da verificare, dall’altro l’impresa vedrà maggiormente pregiudicata la propria attività)”.

Secondo S. De Nitto, Sul rinvio del Tar Lazio alla Corte di giustizia (ordinanza n. 12962 del 20203): applicabilità dell’art. 14 l. n. 689 del 1981 ai procedimenti antitrust?, in Amministrazione In Cammino, 2023 aumenterebbe la probabilità di aprire procedimenti prima ancora che si sia capito se si è davanti a un’ipotesi fondata di infrazione. Pertanto, il fattore tempo, seppure meritevole di essere tenuto in considerazione nel contemperamento tra i vari interessi in gioco, non può costituire l’unico elemento da valutare per stabilire l’opportunità di applicare il termine decadenziale ai procedimenti antitrust.

[19] In una prima fase gli uffici della DG Concorrenza, acquisita la notizia della sospetta condotta anticoncorrenziale, provvedono a effettuare accertamenti preliminari esercitando i poteri di cui agli artt. 17 ss. del reg. n. 1/2003. Tale fase va dall’apertura del fascicolo fino alla notifica della comunicazione degli addebiti ai sensi dell’art. 10 del reg. n. 773/2004, il quale prevede che “la Commissione informa le parti interessate degli addebiti mossi nei loro confronti” e che “la comunicazione degli addebiti è notificata per iscritto a ciascuna delle parti nei cui confronti sono mossi gli addebiti” ma non detta alcun termine per l’adempimento. La comunicazione degli addebiti (statement of objections) dà avvio alla procedura aprendo la fase istruttoria, in cui le parti possono esercitare i loro diritti difensivi (prendere visione del fascicolo investigativo, replicare per iscritto agli addebiti, essere sentite). La Commissione stessa ha chiarito che l’avvio del procedimento ha luogo “quando l’iniziale valutazione porta a concludere che il caso merita ulteriori indagini e se la portata dell’indagine è stata definita in modo adeguato”. La fase decisoria segue alla chiusura dell’istruttoria, per la quale pure, non è previsto un termine.

[20] Il quale dispone che “Ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate…entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione”.

[21] Tribunale UE, 9 novembre 2022, T-667/19, Ferriere Nord c. Commissione, punto 255, per il quale: “(v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./ Commissione, C-238/99 P, C-244/99 P, C-245/99 P, C-247/99 P, da C-250/99 P a C-252/99 P e C-254/99 P, EU:C:2002:582, punti 230 e 231, e conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Solvay/Commissione, C-109/10 P, EU:C:2011:256, paragrafo 239)”. 

[22] C.G.U.E., 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./ Commissione, C-238/99 P + a., punti 187-188. Così declinati, questi criteri corrispondono a quelli indicati dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomocon riferimento al diritto a un processo “entro un termine ragionevole” che è riconosciuto dall’art. 6, §1 della Convenzione (secondo cui: “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un Tribunale indipendente e imparziale costituito per legge”). Sul punto si vedano anche: Corte EDU, prima sezione, 15 dicembre 2002, Gherardi Martiri c. San Marino, punto 125; prima sezione, 11 gennaio 2018, Cipolletta c. Italia, punto 42 e Grande sezione, 3 novembre 2022, Vegotex International S.A. c. Belgio, punto 151;

[23] Per più ampi riferimenti, v. Ufficio studi e formazione della Giustizia amministrativa (a cura di F. Guarracino), Parere sul tema della tardività dell’avvio dell’azione sanzionatoria antitrust, in www.giustizia-amministrativa.it; C. Police, L’applicabilità dell’articolo 14 della l. 24 novembre 1981, n. 689 ai procedimenti antitrust nell’interpretazione dei giudici amministrativi, in Osservatorio di Aministrativ@mente, febbraio 2023.

[24] Cons. Stato, Sez. VI, 21 gennaio 2020, n. 512. Inoltre, secondo la gerarchia delle fonti del nostro ordinamento, la norma secondaria regolamentare non può derogare la fonte primaria di rango legislativo, a meno che non sia proprio quest’ultima a prevedere l’effetto abrogativo o derogatorio, si veda Cassazione Civile, Sez. II, 29 ottobre 2010, n. 22199 e Cassazione Civile, Sez. II. 18 aprile 2018, n. 9517, nelle quali si è affermato che un termine previsto da un regolamento interno deve ritenersi inidoneo a modificare le disposizioni di cui alla l. 689/1981.

[25] Cons. Stato, Sez. VI, 21 gennaio 2020, n. 512.

[26] Cons. Stato, Sez. VI, 9 maggio 2022, nn. 3570 e 3572; Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2022, n. 8503, 8504; Cons. Stato, Sez. VI, 15 febbraio 2023, n. 1580.

[27] Cons. Stato, Sez. VI, 11 giugno 2019, n. 3919; nello stesso senso Cons. Stato, Sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2289, Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2019, n. 2874 e Cons. Stato, Sez. V, 3 ottobre 2018, n. 5695. Inoltre, Con. St., Sez. VI, 19 gennaio 2021, 584, afferma che il termine previsto da una Autorità indipendente per la conclusione del procedimento sanzionatorio ha natura perentoria, a prescindere da una espressa qualificazione in tali termini nella legge o nel regolamento che lo preveda.

[28] Si vedano M. Clarich, Presentazione, in Fratini M. (a cura di), Le sanzioni delle autorità amministrative indipendenti, 2011, CEDAM, pp. XXXI-XXXV.; M. Allena, La sanzione amministrativa tra garanzie costituzionali e principi CEDU: il problema della tassatività-determinatezza e la prevedibilità, in Federalismi.it, n. 4/2017; E.L. Camilli, M. Clarich, Poteri quasi giudiziali delle autorità amministrative indipendenti, in Arbitri dei mercati, Bologna, 2010, 108 ss.; P. Lazzara, Funzione antitrust e potestà sanzionatoria. Alla ricerca di un modello nel diritto dell’economia, in Dir. Amm., 2015, 4, 767 ss.; C. Paliero, A. Travi, La sanzione amministrativa. Profili sistematici, Milano, 1998, 243. La conferma della compatibilità con l’art. 6, par. 1, CEDU di un sistema che imponga sanzioni penali attraverso un organo amministrativo, anche a conclusione di una procedura che non offra garanzie procedurali piene di effettività del contraddittorio alla stregue di un processo penale, purché sia assicurata una possibilità di ricorso dinanzi a un giudice munito di poteri di piena giurisdizione è stata di recente affermata dalla stessa Corte EDU, sentenza 10 dicembre 2020, Edizioni Roma Soc. Coop. e S.r.l. contro AGCOM, ric. n.  68957/14- 70495/13.

[29] Così, Ufficio studi e formazione della Giustizia amministrativa (a cura di F. Guarracino), cit., p. 9.

[30] Corte cost. 12 luglio 2021 n. 151 e 28 dicembre 2021 n. 260, in www.giurcost.org. In generale, sulla giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di sanzioni amministrative sostanzialmente punitive, v. F. Bailo, Le sanzioni amministrative punitive e uno “statuto costituzionale” in costruens (tra battute d’arresto e rapide accelerate) nel dialogo tra le Corti, in Federalismi.it, n. 31/2022; A. Travi, Corte europea dei diritti dell’uomo e Corte costituzionale: alla ricerca di una nozione comune di “sanzione”, in Giur. cost., 2010, 2323 ss.

[31] In linea di principio la giurisprudenza costituzionale riconduce le sanzioni amministrative punitive all’ambito applicativo dell’art. 25 co. 2 Cost. La garanzia dell’irretroattività è stata estesa dalla Corte costituzionale alle disposizioni che introducono o inaspriscono sanzioni amministrative (in relazione alle quali il divieto di applicazione retroattiva è stabilito dall’art. 1 co. 1 l. 24 novembre 1981, n. 689). A risultare decisivo è il fondamento costituzionale del principio di irretroattività nella prospettiva del diritto internazionale (art. 117 co. 1 Cost.) in quanto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, formatasi in particolare sull’interpretazione degli artt. 6 e 7 della CEDU, si ricava il principio secondo il quale tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto. Ciò non significa che tutte le garanzie di cui il diritto interno correda la sanzione penale debbano considerarsi estese alle sanzioni amministrative. In proposito, la Corte costituzionale (Corte Cost. sent. 24 febbraio 2017, n. 43) ha affermato che: “L’attrazione di una sanzione amministrativa nell’ambito della materia penale... trascina... con sé tutte e soltanto le garanzie previste dalle pertinenti disposizioni della Convenzione, come elaborato dalla Corte di Strasburgo. Rimane, invece, nel margine di apprezzamento di cui gode ciascuno Stato aderente la definizione dell’ambito di applicazione delle ulteriori tutele predisposte dal diritto nazionale, in sé e per sé valevoli per i soli precetti e le sole sanzioni che l’ordinamento interno considera espressione della potestà punitiva dello Stato, secondo i propri criteri. Ciò, del resto, corrisponde alla natura della Convenzione europea e del sistema di garanzie da essa approntato, volto a garantire una soglia minima di tutela comune, in funzione sussidiaria rispetto alle garanzie assicurate dalle Costituzioni nazionali. Detto diversamente, ciò che per la giurisprudenza europea ha natura “penale” deve essere assistito dalle garanzie che la stessa ha elaborato per la “materia penale”; mentre solo ciò che è penale per l’ordinamento nazionale beneficia degli ulteriori presìdi rinvenibili nella legislazione interna”.

[32] Ufficio studi e formazione della Giustizia amministrativa (a cura di F. Guarracino), cit., p.14.

[33] In termini, Cons. stato, Sez. VI, 22 luglio 2014, n. 3896 afferma che “in linea di principio, quindi, il fatto che l’Autorità antitrust deliberi l’avvio della istruttoria a distanza di vari mesi dalla segnalazione della possibile infrazione non può in alcun modo essere considerato come una violazione dei diritti delle imprese coinvolte, né un superamento dei termini procedimentali, in quanto la stessa valutazione della esigenza di avviare o meno l’istruttoria può presentarsi complessa. L’invocato termine di novanta giorni previsto dal comma 2 dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981 inizia a decorrere solo dal momento in cui è compiuta - o si sarebbe dovuta ragionevolmente compiere, anche in relazione alla complessità della fattispecie - l’attività amministrativa intesa a verificare l’esistenza dell’infrazione, comprensiva delle indagini intese a riscontrare la sussistenza di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi dell’infrazione stessa”. 

[34] Tar Lazio, Sez. I, 1° luglio 2021, n. 7795.

[35] Tar Lazio, Sez. I, 3 ottobre 2022, n. 12507.

[36] In tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 9 maggio 2020, n. 3572, Tar Lazio, Sez. I, 5 giugno 2013, n. 8676 in cui si rinvia a Cons. Stato, Sez. VI, 8 febbraio 2008, n. 420; a Cons. Stato, Sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 341 e a Tar Lazio, Sez. III, 10 ottobre 2012, n. 8367, poi ribaltata in appello con sentenza del Cons. Stato, Sez. VI, 29 maggio 2018, n. 3197; si vada poi Cons. Stato, Sez. VI, 2 febbraio 2012, n. 582; Cons. Stato, Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4085, Cons. Stato, Sez. VI, 22 luglio 2016, n. 3896. Per altro orientamento l’accertamento coinciderebbe con il momento in cui l’Autorità è “in possesso di tutti gli elementi base della fattispecie”, ossia “una volta accertato il presupposto” (Tar Lazio, Sez. I, 23 dicembre 2016, n. 12811). 

[37] Cons. Stato, Sez. VI, 9 maggio 2020, n. 3572, secondo cui “deve però precisarsi che il decorso dei novanta giorni è collegato dall’art. 14 della legge n. 689/1981, non già alla data di commissione della violazione, bensì al tempo di accertamento dell’infrazione. Si fa riferimento non alla mera notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità, ma all’acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita implicante il riscontro […] della sussistenza e della consistenza dell’infrazione e dei suoi effetti”.

[38] In tal senso, v. Cons. Stato Sez. VI, 21 gennaio 2020, n. 512 che ha annullato l’atto impugnato retrodatando il giorno del perfezionamento dell’accertamento, valutando gli atti successivamente acquisiti come non necessari ai fini della contestazione. In termini, Cons. Stato, Sez. VI, 18 dicembre 2023, n. 10914.

[39] Secondo F. Ghezzi, Sui tempi del procedimento in materia di intese ed abusi nell’interpretazione dei giudici amministrativi italiani: un “tentato omicidio” del diritto antitrust?, in Mercato Concorrenza Regole n. 2/agosto 2022. conformemente a quanto previsto anche in diritto europeo, l’eventuale eccessiva durata del procedimento (ab origine o per via di proroghe) non conduce automaticamente all’annullamento del provvedimento, ma eventualmente a forme di risarcimento nei confronti dell’impresa oggetto del procedimento.


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