Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 31/08/2024 Scarica PDF
La prova dello stato di ebbrezza tra criticità ed esigenze di obiettività
Anna Tuniz, Avvocato in UdineSommario: 1. Il quadro normativo e la sua evoluzione; 2. I diversi indirizzi in tema di accertamento dello stato di ebbrezza; 3. Considerazioni conclusive.
1. Il quadro normativo e la sua evoluzione
La guida in stato di ebbrezza, com’è noto, è disciplinata dall’art. 186D.Lgs 30 aprile 1992, n. 285 (di seguito C.d.S.), il quale è stato interessato, nel corso degli anni, da numerosi interventi di riforma che, ai fini che qui rilevano, si tenterà di compendiare senza alcuna pretesa di esaustività. Il fil rouge delle varie riforme succedutesi è senz’altro rappresentato dall’esigenza di mitigare il clima di allarme sociale destato dalle sempre più frequenti notizie di cronaca che quasi quotidianamente vengono diffuse dai mass media, trend peraltro dai dati statistici relativi agli incidenti alcol correlati [1].
Ad ogni buon conto, il D.L. 3 agosto 2007, n. 117 convertito, con modificazioni, dalla L. 2 ottobre 2007, n. 160 ha rappresentato un novum importante, poiché ha introdotto tre distinte fattispecie autonome di reato correlate a tre livelli di tasso alcolemico [2]. Si era, peraltro, posto il problema, sorto dall’espressione “qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a…” utilizzata dal legislatore, se l’accertamento tecnico fosse da considerarsi elemento costitutivo del reato o se fosse attinente esclusivamente al profilo probatorio. Sembra di poter concludere in questo secondo senso, dovendo considerare quale elemento costitutivo lo stato di ebbrezza, legislativamente individuato nel superamento della soglia di 0.5 g/l per la rilevanza amministrativa del fatto e 0,8 g/l per quella penale. L’accertamento del tasso alcolemico, pertanto, va inquadrato nell’alveo della prova del fatto.
Alla novella del 2007 seguivano il D.L. 23 maggio 2008, n. 92 convertito, con modificazioni, dalla L. 24 luglio 2008, n. 125 e la successiva L. 15 luglio 2009, n. 94 che, oltre ad aver inasprito il trattamento sanzionatorio, hanno rispettivamente conferito nuovamente la natura di contravvenzione al rifiuto di sottoporsi all’alcoltest e introdotto al c. 2 sexies l’aggravante ad effetto speciale dell’aver commesso il fatto in orario notturno.
Con la L. 29 luglio 2010, n. 120 è stata riportata poi la soglia di rilevanza penale del tasso alcolemico a 0,8 g/l [3] ed è stato depenalizzato il reato di cui all’art. 186 c. 2 lett. a), trasformato in illecito amministrativo [4]. È stato, poi, introdotto l’art. 186 bis C.d.S. che sanziona la condotta di chi, neopatentato o di età inferiore agli anni ventuno o conducente professionale, si pone alla guida sotto l’influenza di sostanze alcoliche.
Infine, la disciplina attualmente in vigore, così come modificata da ultimo dal D.M. 31 dicembre 2020, prevede le seguenti sanzioni:
a) sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 543 a € 2.170 nonché sospensione della patente di guida da tre a sei mesi, in corrispondenza di un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 g/l;
b) ammenda da € 800 a € 3.200 e arresto fino a sei mesi oltreché sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno, in corrispondenza di un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 g/l;
c) ammenda da € 1.500 a € 6.000 e arresto da sei mesi ad un anno oltreché sospensione della patente di guida da uno a due anni (raddoppiata se il veicolo appartiene a persona estranea al reato), in corrispondenza di un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l. La patente di guida è sempre revocata in caso di recidiva nel biennio. Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato.
A mente del c. 2 bis qualora il conducente in stato di ebbrezza provochi un incidente stradale, le sanzioni di cui al c. 2 dell’art. 186 C.d.S. e al c. 3 dell'articolo 186 bis sono raddoppiate ed è disposto il fermo amministrativo del veicolo per centottanta giorni, salvo che appartenga a persona estranea all'illecito. Qualora per il conducente che provochi un incidente stradale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l, fatto salvo quanto previsto dal quinto e sesto periodo della lettera c) del c. 2 dell’art. 186 C.d.S., la patente di guida è sempre revocata.
Siffatta disamina si è resa necessaria anche al fine di una più proficua analisi della giurisprudenza formatasi in punto di accertamento dello stato di ebbrezza che ci si appresta ad esaminare.
2. I diversi indirizzi in tema di accertamento dello stato di ebbrezza
Prima della riforma introdotta con D.L. 3 agosto 2007, n. 117 che ha inteso modulare lo stato di ebbrezza sulla base di diverse soglie del tasso alcolemico, la giurisprudenza era unanime nel ritenere che il giudice potesse ricavare lo stato di ebbrezza unicamente da elementi sintomatici idonei a far presumere l’esistenza del predetto stato e, soprattutto, significativi al di là di ogni ragionevole dubbio. Siffatta tesi era stata corroborata dalle Sezioni Unite, le quali avevano addirittura affermato la possibilità per il giudice di disattendere l’esito dell’etilometro purché con una motivazione esauriente e logica. Si evidenziava, inoltre, la contraddittorietà dell’obbligo per le forze di polizia di svolgere gli accertamenti in parola necessariamente a mezzo dell’alcoltest o del prelievo ematico rispetto alla mera facoltà di procedere in tal senso riconosciuta dall’art. 186, c. 4 C.d.S. (Cass. pen., SS.UU., 27 settembre 1995, n. 1299). La giurisprudenza successiva ha inteso aderire all’impostazione delineata dalle Sezioni Unite. A titolo esemplificativo, si veda Cass. pen., sez. IV, 13.07.2005 (dep. 12.10.2005), n. 36922, ove si affermava che “La giurisprudenza di legittimità è uniforme nell'affermazione di questo principio che è stato esteso fino al punto di ritenere che il giudice possa disattendere l'esito dell'esame alcoolimetrico”, precisando, tuttavia, che ciò non comporta che qualunque manifestazione riconducibile all'uso di sostanze alcoliche possa far ritenere integrata la fattispecie contestata. Sicchè è necessario che gli elementi sintomatici dello stato di ebbrezza siano significativi, al di là di ogni ragionevole dubbio, di un’assunzione di alcol in quantità tale che si possa affermare esistente il superamento della soglia prevista dalla legge. Non può, pertanto, ritenersi sufficiente l'esistenza di un solo elemento sintomatico di significato ambiguo e non decisivo [5].
L’orientamento della Corte di legittimità non pare mutare neppure all’indomani della riforma del 2007. Tuttavia la giurisprudenza ha focalizzato l’attenzione sulla fattispecie da applicare nelle ipotesi di valorizzazione dei soli elementi sintomatici. Sul punto, è possibile distinguere due categorie: da un lato, vi è chi ammette il ricorso ai soli elementi sintomatici ai fini dell’accertamento dello stato di ebbrezza e, dall’altro, chi ritiene che gli elementi sintomatici costituiscono uno strumento utile a corroborare lo stato di ebbrezza già accertato secondo metodiche caratterizzate da maggiore oggettività.
È possibile poi suddividere la prima corrente in due ulteriori indirizzi. In particolare, a mente di taluna giurisprudenza la valorizzazione degli elementi sintomatici consentirebbe di accertare tutte le fattispecie di cui all’art. 186 c. 2 lett. a) b) c) C.d.S. A questo indirizzo ha aderito la recente Cass. pen., sez. IV, 29.02.2024 (dep. 27.05.2024), n. 20763 che ci si appresta a ripercorrere sinteticamente.
Nulla quaestio, se non fosse che la condanna si fondava unicamente sulla valorizzazione di elementi sintomatici quali lo stato confusionale, gli avvenuti urti dell’autovettura con il cordolo del marciapiede nonché la mancata risposta alle sollecitazioni degli operanti. Gli accertamenti effettuati dai sanitari ai fini di indagine su richiesta della PG, infatti, erano inutilizzabili poiché non preceduti dall’avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p.
La quarta sezione della Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha ritenuto la pronuncia di secondo grado “lineare e congrua, oltreché priva di contraddizioni”. In particolare, dopo aver sottolineato che l’interpretazione delle prove assunte – categoria in cui rientra la doglianza circa l’illegittimità della motivazione con cui è stato desunto da meri dati fattuali riferiti da testi l’avvenuto superamento della soglia di tasso alcolemico necessari per l’integrazione del reato contestato – non è una questione che trova cittadinanza nel giudizio di legittimità, la Suprema Corte ha colto l’occasione per richiamare il principio secondo cui, poiché l’esame strumentale non costituisce una prova legale, l’accertamento della concentrazione alcolica può avvenire in base ad elementi obiettivi e sintomatici per tutte le ipotesi di reato previste dall’art. 186 C.d.S., salvo l’onere in capo al giudice, qualora vengano oltrepassate le soglie di cui alle lettere b) e c), di motivare la decisione in modo congruo.
Nel caso sottoposto al vaglio di legittimità, concludono i Giudici di Piazza Cavour, gli elementi sintomatici riscontrati sarebbero certamente riconducibili ad un uso assai elevato di bevande alcoliche, “certamente superiore alla soglia di 1,50 g/l”.
Nonostante il clamore destato, deve darsi atto che, in verità, non si tratta di una pronuncia innovativa né tantomeno isolata.
Procedendo a ritroso nel tempo, Cass. pen., sez. IV, 05.03.2019 (dep. 12.06.2019), n. 25835 in motivazione dava atto atto della possibilità per il giudice di fondare l’accertamento delle ipotesi di reato di cui all’art. 186 C.d.S. unicamente sugli elementi sintomatici, atteso che l’esame strumentale non rappresenta una prova legale, salvo però l’obbligo in capo al giudice di valutare in modo attento e prudente i sintomi dell’agente. Nella fattispecie era stata ritenuta immune da vizi la decisione della Corte territoriale che aveva valorizzato unicamente i sintomi accertati sull’imputato dal personale medico (tra cui l’alterazione del senso dell’orientamento), giacché “inducono a ritenere in maniera logica che il grado di ebbrezza alcolica raggiunto dal P. fosse superiore a quello previsto nella lettera a) dell’art. 186 C.d.S.”. La Suprema Corte si era spinta oltre ritenendo inconferente l’argomentazione secondo cui “la condizione del ricorrente troverebbe corrispondenza nei sintomi rappresentati nella Tabella ministeriale di cui al D.L. n. 117 del 2008, art. 6, nella fascia che si colloca tra il penalmente irrilevante ed il mero illecito amministrativo”, ciò in quanto si poneva in contraddizione con la sospetta intossicazione acuta da alcol e il disorientamento spaziotemporale certificati dai sanitari [6].
Una seconda corrente appartenente al primo macro orientamento, invece, ritiene che il ricorso esclusivo agli elementi sintomatici possa al più fondare una condanna ai sensi dell’art. 186 c. 2 lett. a) in quanto per le ipotesi di cui alle lettere b) e c) s’impone la verifica tecnica dell’effettivo livello di alcol. Infatti le ipotesi penalmente rilevanti di guida in stato di ebbrezza integrano fattispecie autonome poste in ordine crescente di gravità, modellate sul tasso alcolemico accertato e sono caratterizzate da un rapporto di reciproca alternatività e, quindi, di incompatibilità. Il giudice, invece, potrà formare il proprio libero convincimento circa la sussistenza dello stato di ebbrezza ricorrendo anche ai soli elementi sintomatici riferiti dagli organi di Polizia stradale (quali l’alito vinoso, l’eloquio sconnesso, l’andatura barcollante, le modalità di guida) unicamente con riferimento alla fattispecie meno grave di cui alla lettera a) [7].
Per completezza espositiva si segnala una linea interpretativa emersa in dottrina che suggerisce l’applicazione dell’ipotesi sub b) in tutti i casi in cui siano riscontrabili indici sintomatici dello stato di ebbrezza. Ciò sulla base della considerazione che, in genere, solo concentrazioni alcoliche superiori a 0,8 g/l comportano manifestazioni di sintomi [8].
Concludendo la disamina dei diversi indirizzi, mette conto segnalare l’orientamento più rigoroso secondo cui gli elementi sintomatici costituiscono al più uno strumento atto a corroborare lo stato di ebbrezza previamente accertato mediante l’etilometro o il prelievo ematico. A titolo esemplificativo, la Suprema Corte ha rammentato come, a seguito della novella del 2007, il superamento della soglia sia elemento costitutivo del fatto tipico e, in quanto tale, il suo accertamento debba essere affidato ad accertamenti strumentali e non a valutazioni sintomatiche. Proprio perché a ciascuna distinta soglia corrisponde una diversa risposta sanzionatoria e, dunque, proprio perché la tipicità del fatto non è ancorata al mero stato di ebbrezza bensì anche all’accertamento specifico del superamento delle distinte soglie, affidare tale accertamento a valutazioni sintomatiche finirebbe per violare il principio di legalità anche con riferimento alla pena. Ne consegue che, se lo stato di ebbrezza non risulta da accertamenti strumentali ma da valutazioni meramente sintomatiche, sarà inevitabile l’esito assolutorio dell’imputato [9].
3. Considerazioni conclusive
L’analisi appena condotta circa gli orientamenti della Suprema Corte consente di sviluppare alcune considerazioni in ordine all’accertamento dello stato di ebbrezza.
Come già rappresentato dall’orientamento più rigido, fondare l’accertamento della responsabilità in relazione a ciascuna delle tre fattispecie previste dall’art. 186 C.d.S. sulla base dei soli elementi sintomatici presta il fianco a molteplici critiche.
Anzitutto, è del tutto evidente come gli indici sintomatici siano inevitabilmente privi di oggettività e corrispondenza rispetto all’effettivo tasso alcolemico. Accade sovente che gli organi di Polizia stradale descrivono i sintomi in termini quali “non era in sé”, “presenza di alito vinoso”, “occhi lucidi”, espressioni che certamente non apportano alcun contributo valido in termini di quantificazione del livello di alcolemia. In particolare, l’alito vinoso è certamente indice dell’assunzione di alcol, tuttavia trattasi di un elemento presente anche laddove il soggetto abbia terminato di consumare ad esempio un calice di vino appena un attimo di prima di porsi alla guida del veicolo e di essere sottoposto ad accertamenti. Il suo alito sarà certamente vinoso, ma davvero possiamo escludere che il tasso alcolemico sia almeno compreso tra 0,5 g/l e 0,8 g/l?
Non vanno trascurati, poi, tutti quei fattori che influenzano gli effetti dell’ingestione di sostanze alcoliche e che, appunto, variano da soggetto a soggetto, essendo strettamente connessi alla corporatura, alla tolleranza individuale, al metabolismo, al tipo di sostanza alcolica ingerita ed alle sue modalità di assunzione.
Ancorare l’accertamento della responsabilità per qualsiasi fattispecie di cui all’art. 186 C.d.S. unicamente agli elementi sintomatici rischia di minare l’esigenza di certezza del diritto nonché i princìpi di tassatività della fattispecie penale e di legalità. Insomma, in assenza di un obiettivo riscontro dell’effettivo tasso alcolemico l’unica soluzione praticabile e rispettosa dei summenzionati princìpi è quella incardinata nel brocardo in dubio pro reo.
In tema di obiettività dell’accertamento dello stato di ebbrezza, non può sottacersi come, per vero, anche l’etilometro – strumento che, non effettuando una misurazione diretta, determina la quantità di alcol nel sangue tramite una conversione della quantità di alcol nell’espirato che lo strumento è in grado di rilevare – sia stato messo in dubbio quanto ad affidabilità nell’esprimere l’effettivo tasso alcolemico del conducente. A riguardo, è doveroso il richiamo a Trib. Padova, sent. 26.05.2021, n. 856 in cui il giudice di prime cure, recependo i rilievi critici mossi dal consulente della difesa, esprime perplessità in ordine al fattore di conversione fissato dal D.M. 22 maggio 1990, n. 196 e che consente di ottenere il livello alcolemico presente nel sangue misurando l’alcol nell’espirato.
Tralasciando in questa sede le argomentazioni fornite dal tribunale in merito ai limiti insiti nell’etilometro, sembra si debba concludere che, attualmente, il prelievo ematico risulta il metodo che restituisce un valore più veritiero riguardo al tasso alcolemico del conducente, in quanto consente la determinazione del contenuto alcolico senza l’intermediazione di un fattore di conversione. Anche tale metodo di accertamento, tuttavia, se non eseguito a stretto giro, restituisce un risultato falsato del tasso alcolemico del soggetto nel momento in cui si trovava alla guida del veicolo.
Non può in ogni caso trascurarsi come il ricorso al prelievo ematico ogniqualvolta sia necessario procedere all’accertamento del tasso alcolemico del conducente sollevi ulteriori problematiche, trattandosi appunto di un prelievo che dovrebbe essere eseguito anche al di fuori delle finalità diagnostico-terapeutiche.
[1] Si riportano i dati elaborati dalla Relazione alcol 2022 - Gli incidenti stradali e le violazioni al codice della strada, reperibile sul sito del Ministero della Salute al seguente link:
https://www.salute.gov.it/portale/alcol/dettaglioContenutiAlcol.jsp?lingua=italiano&id=6085&area=alcol&menu=vuoto: “…risulta che, nel 2021, su un totale di 52.459 incidenti con lesioni osservati dai due Organi di rilevazione, sono stati 5.085 quelli con almeno uno dei conducenti dei veicoli coinvolti in stato di ebbrezza e 1.676 quelli per i quali si è rilevato l’effetto di stupefacenti. Il 9,7% e il 3,2% degli incidenti rilevati da Carabinieri e Polizia Stradale nel complesso, è correlato quindi ad alcol e droga, proporzioni in aumento rispetto al 2020, per lo stato di ebbrezza alla guida e in lieve diminuzione per la droga (9,2% e 3,5%). Le percentuali erano pari a 8,7 e 3,4 nel 2019. Dai dati comunicati dalle Polizie Municipali o Locali, infine, risulta che il 36% delle sanzioni per guida in stato di ebbrezza e il 57% di quelle per guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti sono state elevate in occasione di incidente stradale. Focalizzando l’attenzione sui soli dati rilevati dai Carabinieri, più dettagliati nelle informazioni fornite, nel 2021 sono stati 3.542 gli incidenti stradali con lesioni a persone per i quali almeno uno dei conducenti coinvolti era in stato di ebbrezza, pari al 10,6% del totale degli incidenti con lesioni verbalizzati dall’Arma dei Carabinieri (Tabella I.40). Rispetto al 2020 si registra una quota in lieve aumento di incidenti stradali con lesioni alcol correlati sul totale, tale proporzione era, infatti, pari a 10,0 per cento nel 2020 e 9,9 nel 2019. Le vittime coinvolte in incidenti stradali legati alla guida in stato di ebbrezza, nel 2021, sono state 63 (5,3% sul totale) e i feriti 5.602 (11,4% sul totale). Tali percentuali erano rispettivamente 4,8% e 10,8% nel 2020.Passando ad esaminare gli incidenti stradali alcol correlati, disaggregati per tipo di strada e per periodo di accadimento, si rileva che le percentuali citate in precedenza salgono notevolmente di notte. Sono, infatti, il 24,4% gli incidenti stradali alcol correlati, avvenuti di notte, il 24,5% in ambito urbano, il 24,1% in ambito extraurbano, sul totale incidenti notturni Anche le vittime raggiungono il 7,4% su strade urbane, sono l’11% sulle strade extraurbane.Con riferimento alle informazioni fornite dalla Polizia Stradale, dai dati elaborati emerge che il 20,4% delle violazioni al codice della strada per guida sotto l’effetto dell’alcol è registrato in concomitanza di un incidente stradale, con o senza lesioni a persone. Focalizzando l’attenzione sulle violazioni contestate in occasione di incidente stradale con lesioni a persone, si osserva che l’8% degli incidenti stradali nel 2021 è alcol correlato (era 7,0% nel 2019 e 7,9 nel 2020. La percentuale rappresenta in realtà un’approssimazione, ritenuta comunque plausibile. Nel calcolo, infatti, si ipotizza, che ciascuna violazione per guida in stato di ebbrezza, attribuita a un singolo conducente, rappresenti un incidente stradale alcol correlato. 103 Del resto non sono molto frequenti i casi per i quali sono più di uno i conducenti coinvolti per i quali si verifica tasso alcolemico oltre il limite consentito”.
[2] È appena il caso di sottolineare come la giurisprudenza di legittimità abbia immediatamente chiarito la natura di fattispecie autonome di reato e non di una fattispecie base (di cui alla lettera a)) e due circostanziate (lettere b) e c)), in assenza di un rapporto di specialità tra le fattispecie in parole (cfr. Cass. pen., sez. IV, 3 giugno 2008, n. 28547).
[3] Si tratta di un’operazione di ripristino della soglia di rilevanza penale così come prevista prima della riforma operata dal D.L. 20 giugno 2002, n. 121 convertito, con modificazioni, dalla L. 1° agosto 2002, n. 168, il quale, infatti, aveva abbassato la soglia a 0,5 g/l.
[4] Alcuni Autori hanno mostrato perplessità in ordine a tale modifica, sostenendo come gli incidenti più gravi non siano necessariamente collegati a tassi alcolemici elevati. Sul punto, si veda A. Menghini, L’omicidio stradale Scelte di politica criminale e frammentazione del sistema, Collana della facoltà di giurisprudenza, Università degli Studi di Trento, 2016, 11, p. 19.
[5] In motivazione la Suprema Corte ha ritenuto, da un lato, ambiguo l’elemento tratto dalla dichiarazione del verbalizzante secondo cui “l’odierno imputato non sembrava molto in sé” e, dall’altro, non decisivo il sintomo dell’alito vinoso, elemento inidoneo da solo a dimostrare il superamento della soglia.
[6] Su tale linea interpretativa si attestano altresì Cass. pen, sez. IV, 24.04.2019 (dep. 09.08.2019), n. 95933, Cass. pen., sez. IV, 26.05.2015 (dep. 24.06.2015), n. 26562.
[7] Cfr. Cass. pen., sez. IV, 20.02.2015 (dep. 15.04.2025), n. 15705.
[8] Per una diffusa trattazione in merito, si rinvia a A. Menghini, L’omicidio stradale Scelte di politica criminale e frammentazione del sistema, cit., pp. 26 e 27.
[9] V., ex multis, Cass. pen., sez. IV, 16.04.2014 (dep. 04.09.2014), n. 36889.
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