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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 09/08/2018 Scarica PDF
Le criptovalute non sono (sempre) beni conferibili in società
Sara Terpin, Avvocato in BresciaCon il decreto di rigetto n.ro 7556/2018 del 18 luglio 2018, il Tribunale di Brescia, Sez. Specializzata in materia di Impresa – Vol. Giur. (RG 2602/2018) ha dichiarato non conferibile in una società di capitali una criptovaluta in fase embrionale, in quanto non ancora oggetto di negoziazioni in alcuna piattaforma di scambio tra criptovalute ovvero tra criptovalute e monete aventi corso legale, circostanza ritenuta fondamentale al fine di individuare un attendibile valore della stessa.
Sommario: 1. IL CASO - 2. LA CONFERIBILITÀ ASTRATTA DELLE CRIPTOVALUTE - 3. L’INCONFERIBILITA’ DI UNA CRIPTOVALUTA IN FASE EMBRIONALE NON “ETEROREFERENZIATA”; a- I dubbi circa la liquidabilità della criptovaluta; b- L’incertezza del suo effettivo valore; c- Le difficoltà di un’ipotetica esecuzione forzata - 4. L’IMPORTANZA DELLA PERIZIA NEL CONFERIMENTO DELLE CRIPTOVALUTE
1. Il caso
Con il decreto di rigetto n.ro 7556/2018 del 18 luglio 2018 il Tribunale di Brescia, Sez. Specializzata in materia di Impresa – Vol. Giur. (RG 2602/2018) – ha respinto il ricorso presentato ai sensi dell’art. 2436.3 c.c. dall’Amministratore Unico di una società di capitali (per la precisione in una società a responsabilità limitata) che si era vista rifiutare l’iscrizione al Registro Imprese di una delibera assembleare da parte del notaio verbalizzante.
La delibera, più precisamente, aveva ad oggetto un aumento di capitale sociale a pagamento per complessivi euro 1.400.00,00, da liberarsi con beni in natura, e più precisamente con opere d’arte e diverse unità di una particolare criptovaluta. Entrambi gli insiemi di beni erano stati oggetto di debita perizia, come prescritto dall’art. 2465 c.c..
Tuttavia il notaio verbalizzante negava l’iscrizione al Registro Imprese della suddetta delibera, ritenendola “non essere sufficientemente dotata dei requisiti di legittimità per ordinarne una immediata e incondizionata iscrizione”. In particolare, il Notaio non rinveniva nel conferimento della moneta virtuale in questione i requisiti per un valido conferimento, posto che, nonostante la valutazione peritale, egli riteneva la criptovaluta caratterizzata da una volatilità tale da non consentire una valutazione concreta del quantum destinato alla liberazione dell’aumento di capitale sottoscritto, né di valutare l’effettività del conferimento.
In altri termini, a mente del notaio verbalizzante, non erano rinvenibili in tali beni quei caratteri salienti che ormai la dottrina e la giurisprudenza ritengono necessari affinchè un determinato bene – diverso dal denaro - possa ritenersi conferibile in una società di capitali, ossia:
1- l’acquisibilità uno actu del bene da parte della società conferitaria, e dunque la sua immediata disponibilità per la stessa[1];
2- l’essere passibile di una valutazione di congruità al momento del conferimento con un valore monetario certo e determinato, caratteristica che nelle società di capitali si traduce nella necessaria allegazione della perizia di stima all’atto di costituzione della società ovvero alla delibera di aumento del capitale a pagamento;
3- l’iscrivibilità in bilancio tra le attività del bene conferito – tale requisito a dire il vero è più controverso, essendo per alcuni l’iscrivibilità in bilancio una conseguenza piuttosto che un presupposto della conferibilità di un bene, posto che il bilancio non è altro che la rappresentazione contabile del patrimonio sociale come formato in forza dell’autonomia privata, autonomia che non può certamente da tale rappresentazione essere limitata.
Contro tale censura faceva ricorso la società, la quale appunto allegava la sussistenza dei requisiti in questione, e più precisamente:
- il requisito dell’acquisibilità uno actu alla società sussisteva in quanto erano state immediatamente messe a disposizione della società le credenziali (transaction password) da parte del socio conferente, di talchè il passaggio della titolarità della criptovaluta in questione sarebbe potuto avvenire in forza di una banale attività della società conferitaria, senza alcuna ulteriore necessaria attività collaborativa del conferente;
- la valutazione attuale precisa ed attendibile in termini monetari della criptovaluta risultava dalla perizia di stima che era stata debitamente prodotta ed allegata – del resto, a mente di parte ricorrente, la moneta virtuale in oggetto risultava essere scambiata con discreta diffusione su mercati non regolamentati, ed in particolare su una precisa piattaforma raggiungibile da un preciso indirizzo internet, e che la stessa era soggetta alla valutazione da parte di operatori specializzati;
- l’iscrivibilità in bilancio era certa, potendo essere trattata come qualsiasi altro bene immateriale, al pari ad esempio dei diritti di proprietà industriale.
Sul punto, ancora, la ricorrente sottolineava come ormai l’Agenzia delle Entrate abbia ormai ampiamente riconosciuto anche da un punto di vista fiscale e tributario il valore economico di tali criptovalute, tanto da prevederne l’obbligatorio inserimento nelle dichiarazioni dei redditi.
Il Tribunale di Brescia, tuttavia, con il decreto in oggetto, ha rigettato il ricorso presentato con una motivazione piuttosto interessante.
2. La conferibilità astratta delle criptovalute
Nel decreto di rigetto in oggetto, i Giudici confermano, in sede di obiter dictum, l’idoneità in termini astratti delle cd. “criptovalute” a costituire elemento dell’attivo conferibile in una società di capitali (nel caso di specie una società a responsabilità limitata), soddisfacendo in termini generali i requisiti sopra indicati.
Il Collegio ricollega peraltro la necessità di tali caratteristiche alla funzione “storica” primaria del capitale sociale, ossia la garanzia nei confronti dei creditori, garanzia da intendersi in senso statico e reale, quale suscettibilità ad essere oggetto di espropriazione forzata, da valutarsi al momento del conferimento[2] .
Il richiamo alla suddetta tesi, peraltro, non è frutto di mero vezzo dottrinale, ma è giustificato dalla preoccupazione del Collegio di verificare se i beni da conferirsi possano ritenersi suscettibile di valutazione economica, da intendersi non in senso astratto ma come capacità attuale di essere velocemente liquidabili: a mente del Collegio, infatti, per poter ritenere la criptovaluta conferibile è necessario che essa possa essere convertibile con certezza in una somma preventivabile con un discreto grado di certezza nel dato momento storico del conferimento (se fosse oggetto di esecuzione forzata, tanto sarebbe quanto passibile di distribuzione tra i creditori).
Corollario di tale requisito è la necessità che sussista un mercato di riferimento ove sia individuabile una domanda di acquisto e di vendita del bene, che è il presupposto evidente per qualsiasi attività valutativa (il valore di un bene, infatti, non è altro che il prezzo che un acquirente medio spenderebbe per averlo).
3. L’inconferibilità di una criptovaluta in fase embrionale non “eteroreferenziata”
Ebbene, tanto premesso, e ammessa in termini astratti la conferibilità delle criptovalute, ciò che, a mente del Collegio, non permette l’accoglimento del ricorso è la natura e le caratteristiche della specifica moneta virtuale oggetto del conferimento in esame, o meglio, la natura e le caratteristiche di tale moneta come risultanti dalla perizia giurata di cui all’art 2465 c.c. allegata al verbale assembleare.
E questo risulta essere il fulcro della decisione, e ciò su cui riflettere.
Il Collegio, infatti, pur escludendo che il giudice possa sostituire integralmente la propria valutazione di merito a quella dell’esperto, deve in ogni caso sindacare la completezza, la logicità, la coerenza e la ragionevolezza delle conclusioni da questi raggiunte.
E, nel caso di specie, tenuto conto della novità della questione della conferibilità di criptovalute in società di capitali, il Collegio rileva proprio delle lacune in termini di completezza, ragionevolezza ed affidabilità della perizia di stima prodotta, tali da non permettere un esauriente vaglio di legittimità della delibera assembleare esaminata.
a) I dubbi circa la liquidabilità della criptovaluta
Il Collegio, in particolare, rileva come tale perizia non abbia preso in considerazione un fatto ritenuto fondamentale al fine di dare una valutazione attendibile alla stima: la criptovaluta conferita, infatti, non è ad oggi presente e oggetto di negoziazioni in alcuna piattaforma di scambio tra criptovalute ovvero tra criptovalute e monete aventi corso legale, circostanza che invece avrebbe permesso quantomeno di individuare un mercato di riferimento e dunque un probabile valore di scambio.
Al contrario, la perizia ha ritenuto sufficiente, al fine di valutare la criptovaluta quale effettiva moneta virtuale, l’uso della stessa in un unico “mercato”, costituito da una piattaforma destinata alla fornitura di beni e servizi riconducibile .. ai medesimi soggetti ideatori della criptovaluta.
In pratica, secondo quanto dichiarato dalla ricorrente, coloro che hanno ideato e immesso nel mercato la criptovaluta sarebbero al momento anche gli unici ad accettare la stessa quale mezzo di pagamento per i beni e servizi da loro stessi offerti, con un meccanismo di autoreferenzialità tale da non dare alcuna garanzia di certezza circa il valore intrinseco di tale criptovaluta quale moneta virtuale.
Insomma, se un soggetto crea una criptovaluta, ed è al momento l’unico che la accetta quale idoneo mezzo di pagamento di beni e servizi da lui stesso offerti, vi è il ragionevole dubbio che tale criptovaluta sia un mero intermezzo di una transazione che in realtà avviene tra quanto dato per ottenere la criptovaluta ed i beni e servizi con essa acquistati; si tratterebbe, in altri termini, solo di un artefatto doppio passaggio, ideato per tentare di creare una vera criptovaluta, come del resto ammesso dalla stessa ricorrente, se non addirittura un tentativo di speculazione volto a sfruttare la volatilità delle valutazioni di questo supposto e ancora non chiaro mezzo di pagamento.
In conclusione, a mente del Collegio non ci sono circostanze sufficienti per ritenere tale criptovaluta effettiva moneta virtuale accettata come tale sul mercato globale (o quantomeno su un mercato non autoreferenziale).
b) L’incertezza del suo effettivo valore
Non è irrilevante, poi, l’osservazione del Collegio sul punto circa il fatto che la perizia di stima abbia meramente riportato il “valore normale” di tale criptovaluta tratto da un sito, del quale non è stata riportata alcuna valutazione circa l’attendibilità delle quotazioni ivi riportate, o i metodi utilizzati per effettuarle, o ancora il grado di diffusione del gradimento di tali valutazioni.
Anzi, il Collegio paventa il dubbio che tale sito, vista la sua denominazione, molto simile a quella della criptovaluta conferita, possa essere ricollegato agli stessi ideatori della moneta virtuale, in un meccanismo di autoreferenzialità ancora amplificato.
Del resto, pare riduttivo il lavoro di un perito che meramente riporti una indicazione di valore effettuata da altri, cui viene prestata incondizionata adesione, senza nemmeno alcuna specificazione in adesione dei metodi da questi utilizzati per tale valutazione, tanto più che, rileva il Collegio, l’ultimo valore riportato in tale sito risultava casualmente il più alto fatto registrare dall’inizio della pretesa “quotazione”.
Insomma, sarebbe stato quantomeno doveroso effettuare una qualche valutazione ulteriore, magari indicando – quantomeno a confronto – il valore medio di tale criptovaluta negli ultimi sei mesi (in analogia ad esempio a quanto prescritto dall’art. 2343 ter c.c.), così da stabilizzare in qualche modo una valutazione in sé troppo aleatoria ed evidentemente eccessivamente esposta al rischio di volontarie ed intenzionali manipolazioni di un mercato di fatto monogestito ed autoreferenziale.
c) Le difficoltà di un’ipotetica esecuzione forzata
Infine, il Collegio rileva ancora una lacuna completa della perizia sulle modalità con cui tale criptovaluta potrebbe essere effettivamente oggetto di aggressione da parte dei creditori, non essendo stato indicata alcuna modalità con sui si potrebbe eseguire un ipotetico pignoramento, quando invece la notoria esistenza di dispositivi di sicurezza ad elevato contenuto tecnologico avrebbe al contrario reso necessaria – o quantomeno opportuna - l’individuazione delle procedure atte a superare e disattivare tali dispositivi.
Insomma, preso atto della generale “novità” del bene in questione, il Collegio di fatto ha anche suggerito, al fine di presentare una perizia idonea a superare il controllo di legittimità in questione, l’opportunità di integrare il normale contenuto della medesima con una analisi tecnica espressa di quelle che potrebbero essere le soluzioni alla problematica pratica dell’espropriazione forzata della criptovaluta, così da aiutare gli operatori del diritto ad accettare tale bene virtuale come effettivo e reale bene immateriale, ovvero come moneta virtuale, ossia quale mezzo di pagamento atipico ed alternativo alle monete aventi corso legale emesse dall’autorità monetaria.
4. L’importanza della perizia nel conferimento delle criptovalute
In conclusione, ciò che risulta davvero interessante di questa pronuncia è che, a discapito del provvedimento concreto adottato, il Tribunale di Brescia, Sezione Specializzata in materia di impresa, di fatto pare ammettere con un deciso grado di certezza la conferibilità delle criptovalute purchè esse possano essere definitive “eteroreferenziate”, ossia risulti che le stesse siano accettate come mezzo di pagamento con un discreto grado di diffusione anche da soggetti o enti diversi da quelli che le hanno create, così da poter individuare un effettivo mercato della stessa.
Data la novità della questione, appare tuttavia più che mai opportuno prestare una non usuale attenzione al contenuto della perizia: essa deve essere completa ed affrontare ogni aspetto e problema anche solo preventivabile ed ipotizzabile relativo al bene criptovaluta.
Bisogna infatti considerare che tale perizia avrebbe ad oggetto un bene virtuale nuovo e ancora da molti sconosciuto e non compreso, caratterizzato da una volatilità intrinseca difficilmente controllabile, e che peraltro è chiaramente passibile di comportamenti manipolatori del suo valore.
Non resta che attendere un nuovo caso in materia, così da verificare l’effettiva coerenza delle pronunce giudiziali sul punto.
[1] Non a caso per i conferimenti d’opera (peraltro non ammissibili nelle società per azioni) è prevista una disciplina del tutto peculiare.
[2] Il Collegio richiama pertanto la prima classica ricostruzione dottrinale della funzione del capitale sociale, pur dichiarandosi nello stesso provvedimento consapevole delle evoluzioni che negli anni si hanno avuto della suddetta teoria; si ricordano sul punto le tesi, ad oggi forse prevalenti, che hanno dato al capitale sociale una funzione cd. di garanzia dinamica o di produttività, vincolistica o di regola di organizzazione dell’impresa sociale.
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