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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 05/11/2018 Scarica PDF

Crisi e risanamento dei gruppi bancari: note a margine di un contributo di Vincenzo Sanasi D'Arpe

Antonio Baldassare, Presidente Emerito della Corte Costituzionale. Già docente di Diritto Costituzionale


La crisi del sistema creditizio presenta tratti assai peculiari vuoi per i fattori macroeconomici e endemici che la connotano vuoi per le singole variabili microeconomiche e strutturali che su di essa ovviamente incidono. Tali particolarità non soltanto hanno legittimato nel tempo una normazione specifica del fenomeno, che è recentemente culminata nell’emanazione della c.d. Banking Recovery and Resolution Directive (BRRD), ma hanno altresì alimentato un profondo interesse della dottrina di settore al tema in esame.

In questo contesto il volume “La vigilanza nella crisi e nel risanamento dei gruppi bancari” (Jovene, Napoli, 2008), a firma di Vincenzo Sanasi D’Arpe, costituisce – specie per le coordinate di metodo che esso è in grado di approntare – un primo compiuto tentativo, ormai risalente ma ancora a distanza di dieci anni attuale, di inquadrare il tema della crisi e del risanamento delle imprese bancarie nella chiave prospettica delle finalità perseguite dal legislatore, attraverso la vigilanza dell’autorità statuale sull’esercizio dell’impresa bancaria. Quivi l’autore esamina infatti un argomento normativamente tecnico ma in una prospettiva metodologicamente funzionale, attraverso cioè il costante bilanciamento tra interessi pubblici e interessi privati, ancorando sempre le proprie valutazioni – anche sotto i profili de iure condendo – alla “vigente” assiologia costituzionale.

Particolare attenzione – a mò di premessa – è dedicata pertanto alle finalità del controllo pubblicistico ed alle modalità con le quali il legislatore persegue il bilanciamento tra i valori potenzialmente conflittuali quali la stabilità del mercato e l’attuazione dei princípi concorrenziali, evidenziandosi come la giustapposizione – negli organismi societari costituiti per l’esercizio dell’attività bancaria – di interessi eterogenei e di natura, rispettivamente, collettiva e individuale, debba costituire il momento di avvio dell’indagine condotta dall’autore.

Nel contesto dell’opera assume particolare pregnanza – anche rispetto alle conclusioni raggiunte – la parte relativa ai fattori determinanti ed alle forme di manifestazione delle crisi bancarie ed agli strumenti di percezione delle medesime nonché ai modelli di gestione di tali patologie ed alle possibili soluzioni endogene ed esogene. Viene inoltre evidenziata l’ampiezza dei poteri attribuiti all’autorità di vigilanza e la rilevanza dei medesimi rispetto all’individuazione della natura giuridica dell’impresa bancaria e delle strutture societarie utilizzate per lo svolgimento di tale attività (a tale profilo sono dedicati i Capitoli 2 e 3).

Si procede quindi all’illustrazione dei tratti funzionali e strutturali degli istituti giuridici (amministrazione straordinaria, gestione provvisoria e liquidazione coatta amministrativa) contraddistinti dal massimo grado di incidenza del controllo pubblico sull’attività bancaria, soffermandosi particolarmente sull’applicazione degli stessi nei riguardi di una o più imprese facenti parte di un gruppo bancario (in particolare, nel Capitolo 4).

Nei rilievi conclusivi del testo si evidenza come l’equilibrio tra le differenti sfere di interesse riconducibili agli organismi societari operanti nel settore creditizio assuma una connotazione certamente dinamica – caratterizzata da un rapporto di proporzionalità inversa tra la sana e prudente gestione e l’incidenza del potere statuale sull’autonomia imprenditoriale dei privati –, rilevandosi come gli istituti preordinati alla normalizzazione della gestione o all’eliminazione dell’impresa dal mercato derivino dalla sostanziale incapacità dei soci di assicurare il regolare svolgimento dell’attività d’impresa, sì che l’assetto normativo introdotto dal T.U.B., al fine di disciplinare i rapporti tra interessi pubblici ed interessi privati nell’esercizio dell’attività bancaria, chiaramente denota una volontà del legislatore di costruire una convergenza (non già una mera composizione) fra gli stessi.

L’opera di Vincenzo Sanasi D’Arpe svolge dunque un’approfondita analisi in chiave normativa concernente il potere di controllo pubblico sull’impresa bancaria in crisi. Tuttavia, il dato normativo di volta in volta richiamato viene continuamente letto dall’autore attraverso il prisma dell’interesse coinvolto nella vicenda patologica e del rimedio da eleggere. L’autore infatti avverte «l’ineludibile problema del bilanciamento tra i contrapposti valori rappresentati dalla garanzia della stabilità del mercato e dall’attuazione dei princípi concorrenziali» (p. 2), a cui corrisponde la difficoltà di definire la natura e la funzione dell’intervento dello Stato nel settore bancario. Indi la giustapposizione – all’interno della società costituita per l’esercizio dell’attività bancaria – di interessi eterogenei e di natura, rispettivamente, collettiva e individuale, costituisce il fulcro dell’analisi del dato positivo, finalizzata all’esatta definizione della natura e delle finalità della vigilanza sulle imprese bancarie. In questo senso la disciplina dedicata alla crisi delle imprese bancarie fornisce un ottimale punto di avvio dell’analisi suddetta poiché è proprio nel momento patologico che si assiste alla piena contrapposizione tra le differenti ragioni ed i diversi interessi riconducibili di volta in volta ai soci, ai creditori, agli operatori del sistema ed alla collettività. Ne è che «l’opzione legislativa – a livello comunitario e nazionale – favorevole all’applicazione di controlli di tipo pubblicistico sulle differenti fasi della vita delle imprese facenti parte sistema bancario (già a partire dal loro ingresso nel mercato) rappresenta un indice inequivoco dell’esigenza di contemperare la forza precettiva e propulsiva di differenti valori di rango costituzionale, quali la libertà di iniziativa economica (art. 41 cost.) – correlata alla natura tipicamente imprenditoriale dell’attività di raccolta del risparmio ed esercizio del credito – e l’esigenza di tutela del pubblico risparmio (art. 47 cost.)» (p. 23). In definitiva, alla luce dei caratteri assolutamente tipici delle crisi bancarie e dei molteplici interessi che le autorità pubbliche – attraverso ampi margini di discrezionalità sotto il profilo economico-politico e talune forme di ingerenza nella vita dell’impresa del tutto ignote al sistema fallimentare – sono chiamate a contemperare nel momento di emersione di tali patologie, viene svolta l’analisi sugli strumenti, formali e informali, di prevenzione e risoluzione delle crisi stesse.

Ciò muovendo dall’assunto ermeneutico che la formulazione delle norme esaminate induce ad escludere ogni possibilità di attribuire all’attività bancaria la natura di pubblico servizio o di funzione pubblica poiché tale attività si configura – anche sul piano strutturale – in termini di impresa privata, e pertanto  «l’interesse pubblico si giustappone, in tal modo, all’interesse della società bancaria, sì che l’applicazione delle specifiche disposizioni regolamentari dell’autorità di vigilanza, lungi dall’esser ricostruita in termini di posposizione delle ragioni dell’impresa rispetto a quelle dell’intero sistema, [viene ad essere interpretata] nel senso della contemporanea attuazione di finalità pubbliche e interessi privati» (p. 54 s.). È dunque lungo le due direttrici, costituite dai controlli interni ed esterni, che viene vagliata dall’autore l’efficienza del modello di previsione delle crisi bancarie previsto dall’ordinamento del credito. In siffatto contesto, inoltre, l’amministrazione straordinaria e la liquidazione coatta amministrativa – accomunate dal fatto di costituire modalità estreme di intervento dell’autorità di vigilanza per la gestione delle patologie bancarie e dalla natura amministrativa della procedura –  costituiscono modalità estreme di intervento, volte a fronteggiare in via preventiva ed anticipata le situazioni di grave crisi della banca. L’opera pone cioè in rilevo dunque il complesso strumentario di Banca d’Italia finalizzato ad attuare interventi caratterizzati da un grado di incisività crescente sull’autonomia delle imprese bancarie: a uno stato più avanzato della crisi corrispondono interventi sempre più penetranti dell’Autorità di Vigilanza.

A concludere infine l’analisi è l’auspicio che il controllo pubblico trovi una qualche forma di limitazione in un contesto idoneo a manifestare maggiore ossequio per le norme di diritto comune, mediante una puntuale delimitazione degli spazi rimessi alla discrezionalità della Banca d’Italia. Ciò sul precipuo presupposto che «l’intervento pubblico sostitutivo – riservato alle ipotesi di grave patologia – si configura come strumento di tutela della stabilità del sistema a carattere suppletivo ed eventuale ma certamente non lesivo degli interessi dei soci» (p. 180).


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