CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 04/12/2018 Scarica PDF
Emersione anticipata della crisi: è poi così necessario l'art. 13?
Giampiero Russotto, Dottore commercialista in PratoL’adozione di un sistema che potesse anticipare l’emersione della crisi è senza dubbio la novità più rilevante presente nello Schema di Decreto Legislativo. Ma la scelta di dotare l’ordinamento di un insieme di indici quale parte del sistema di allerta rilevatore di squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, a parere dello scrivente, è stata però sbagliata, perché estremamente complicata, complessa, foriera di probabili molteplici contestazioni e contenziosi e opinabili valutazioni in sede di futura applicazione che di fatto ne depotenzieranno la portata se non, addirittura, ne comprometteranno l’adozione rilevandosi dannosa e inutile.
La pubblicazione dell’esito di alcune ricerche effettuate ha mostrato i numeri impressionanti delle imprese che potrebbero essere interessate all’emersione anticipata della crisi da indici.
Il documento della Banca d’Italia, prodotto in sede di audizione alla Commissione Giustizia del Senato, stima un numero di segnalazioni potenziali compreso tra gli 8 e i 47 mila casi su una popolazione di riferimento di 180 mila imprese, e si parla solo delle s.r.l. obbligate in base al nuovo art. 2477 c.c. all’organo di controllo e non distanti sono i risultati della ricerca Cerved.
Una guerra
E’ evidente che questi numeri stanno maturando il convincimento anche negli aziendalisti più convinti ed in generale, nel mondo professionale, ovviamente con variegate sfumature e prese di posizione, che in realtà l’emersione anticipata della crisi mediante l’adozione degli indici ex art. 13 della bozza di D. Lgs, o di qualunque altro tipo di indici, non sarà cosa facile e soprattutto genererà contenzioso e costi inutili.
Il tentativo quindi di stabilizzare il sistema dell’emersione anticipata della crisi affinché questo, nei ridotti e scanditi tempi indicati dalla bozza di D. Lgs, potesse dall’interno individuare ed eventualmente “curare” quelle situazioni di squilibrio rilevante è senz’altro destinato a naufragare miseramente creando, al contrario, instabilità e incertezza nelle imprese.
Infatti:
1. dall’utilizzo di indicatori della crisi per indici ex art. 13 si ottengono, ormai per unanime dottrina, risultati statici, incapaci di dare un valido segnale di allerta sulla sostenibilità dei debiti e sulla continuazione dell’attività nei sei mesi successivi. In teoria l’analisi per indici potrebbe dare delle indicazioni o delle tendenze in quanto la gestione è tipicamente caratterizzata dal requisito della dinamicità;
2. solo un’indagine per flussi, quindi, potrebbe generare un’attendibile allerta in merito alla continuità aziendale ma non calcolata a posteriori su dati storici, bensì all’interno di un assetto organizzativo capace di generare piani e budget attendibili. E’ intuitivo immaginare quanto questo assetto possa essere dispendioso sia in termini di risorse economiche (software) che personali;
3. qualora la norma dovesse essere confermata, non è dato sapere alla fine del percorso legislativo quali indici verranno adottati (e con quale combinazione tra loro) e quali saranno i valori (o intervalli di valori) degli stessi in esito ai quali la continuità è da considerarsi compromessa nei sei mesi successivi. Ma stante la complessità del tessuto imprenditoriale italiano, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, risulta pressoché impensabile di poter ottenere una sintesi di indici che, presi singolarmente o combinati tra loro, dimostrino con più che buona approssimazione (vorrei dire certezza, così come si conviene ad una norma) la non sostenibilità del debito e le mancate prospettive di continuità aziendale dell’impresa nell’intervallo di sei mesi;
4. inoltre, la gestione, oltre che dai cicli economici e finanziari ordinari, può essere caratterizzata dalla periodicità e stagionalità e pertanto a nulla può valere la norma di apertura di cui all’art. 13, comma 3, perché non può esistere un indice, o più indici combinati tra loro, che si possano perfettamente adattare ad ogni tipologia di impresa in quel particolare momento oggetto di indagine (la tempistica la detta l’art. 24, c. 1, lett c). Anzi, nella pratica, l’analisi aziendale utilizza varie tipologie di indici e flussi per verificare l’economicità della gestione nel suo momento dinamico;
5. qualunque siano i valori degli indici al raggiungimento dei quali si avrà uno squilibrio di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, questi rappresentano sempre un dato valutativo aleatorio preconfezionato e quindi per loro natura controvertibili, opinabili e mai adattabili alle singole fattispecie perché, comunque, massivi e non analitico-empirici e pertanto forieri di falsi positivi e di contenzioso;
6. ecco che gli indicatori per indici altro non saranno, o diverranno, che una specie di studi di settore della crisi con conseguenze analoghe a quelli fiscali in termini di contenzioso generato e risultati ottenuti (scarsi) e destinati ad essere abbandonati per la loro incapacità di descrivere empiricamente le singole realtà ovvero di poter dimostrare l’esistenza o meno di significativi squilibri;
7. la modalità di verifica desumibile dal combinato disposto dell’art. 13 e dell’art. 24 è tale da impedire, di fatto, il raggiungimento delle misure premiali per determinate categorie di imprese rendendo di fatto la norma incostituzionale. Infatti, se la verifica deve essere fatta sul bilancio approvato (art. 24, c. 1, lett. c) e l’esito deve garantire la sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e le prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi (art. 13 c 1), come possono fare le società di persone e le ditte individuali che notoriamente non redigono il bilancio? Devono riclassificare le situazioni contabili? Diverranno anche loro soggette alla disciplina ex art. 2423 e seguenti cc?
Quindi al fine di rendere l’emersione della crisi in via anticipata più asettica, non valutativa e semplice nella sua determinazione, sarebbe opportuna la cancellazione dell’art. 13 e norme collegate.
Detta eliminazionenon deve però essere interpretata come un alleggerimento del sistema. Anzi.
Infatti, ciò che con difficoltà operative e concettuali si sarebbe voluto ottenere dall’art. 13 è possibile conseguirlo molto più facilmente introducendo alcune modifiche al secondo comma dell’art. 15.
Attualmente il meccanismo dell’art. 15, comma 2, lett. a, impone all’Agenzia delle Entrate la segnalazione “quando l’ammontare totale del debito scaduto e non versato per l’imposta sul valore aggiunto, risultante dalla comunicazione della liquidazione periodica di cui all’articolo 21-bis del decreto-legge 31 maggio 2010, n.78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sia pari ad almeno il 30 per cento dei volume d’affari del medesimo periodo e non inferiore a euro 25.000 per volume d’affari risultante dalla dichiarazione modello IVA relativa all’anno precedente fino a 2.000.000 di euro, non inferiore a euro 50.000 per volume d’affari risultante dalla dichiarazione modello IVA relativa all’anno precedente fino a 10.000.000 di euro, non inferiore a euro 100.000, per volume d’affari risultante dalla dichiarazione modello IVA relativa all’anno precedente oltre 10.000.000 di euro”.
In realtà questo meccanismo intercetta solo il debito IVA risultante dalla liquidazione periodica ex art. 21-bis del DL 78/2010 “da versare” (rigo VP14 colonna 1), e non necessariamente quello scaduto e non versato. La comunicazione trimestrale non prevede, infatti, l’indicazione dei versamenti, pertanto, se il debitore non ha versato l’IVA nel periodo precedente, il modello non ne tiene praticamente conto perché l’unico rigo che contempla il riporto del debito del periodo precedente è il VP7, ma sino ad un massimo di € 25,82.
Quindi l’aver individuato la soglia del 30% calcolata sul volume d’affari del periodo precedente quale valore rilevante rende di fatto impossibile ogni segnalazione per il semplice fatto che l’aliquota ordinaria è del 22%.
Praticamente, chiunque può non versare l’IVA perché il sistema non lo individua.
Per non parlare poi dei soggetti che, essendone legittimati, hanno fruito per il periodo di riferimento, agli effetti dell’IVA, delle agevolazioni fiscali previste da particolari disposizioni normative emanate a seguito di calamità naturali o avendo opposto un rifiuto a richieste di natura estorsiva o, comunque, non avendovi aderito, subiscono nel territorio dello Stato un danno a beni mobili o immobili in conseguenza di fatti delittuosi commessi, anche al di fuori di un vincolo associativo, per il perseguimento di un ingiusto profitto, che godono della proroga di tre anni dei termini di scadenza degli adempimenti fiscali ricadenti entro un anno dalla data dell’evento lesivo, soggetti non contemplati dalla norma e che, in caso di segnalazione, dovrebbero sopportare la procedura ed il costo dell’OCRI per dimostrare di essere invece perfettamente in regola con la normativa vigente.
Quindi, le modifiche da apportare, al fine di rendere efficace ed efficiente lo strumento dell’art. 15 comma 1 lett. a, sono, alternativamente:
1.1 cambiare il modello della comunicazione periodica ex art. 21-bis del DL 78/2010 al fine di inserire anche il dato dell’imposta non pagata ampliando la portata del rigo VP7 come tempi ed importo;
1.2 introdurre nel predetto modello un rigo che evidenzi gli importi scaduti non versati ma oggetto di regolarizzazione in corso (oggi limitato ad € 25,82);
1.3 in sostanza, armonizzare il modello con tutte le esigenze che possano scaturire al fine di ottenere un corretto utilizzo di cui all’art. 15 comma 2.
OPPURE[1]
2. introdurre regole analoghe a quelle previste per l’esposizione verso l’INPS (art. 15 comma 2 lett. b), o un limite massimo percentuale, ponendo a confronto due grandezze già in possesso dell’Agenzia delle Entrate:
• il debito IVA scaduto complessivamente non versato dal soggetto passivo;
• il volume d’affari risultante dall’ultima dichiarazione annuale IVA presentata dal contribuente.
E’ evidente che la modifica dell’art. 15 comma 2 nei termini alternativamente sopra previsti, renderà l’obbligo di segnalazione uno strumento semplice, oggettivo, incontrovertibile, efficace ed efficiente in termini di restituzione di falsi positivi o negativi e quindi poco propenso al contenzioso.
Infatti, eventuali situazioni di crisi emergeranno sic et simpliciter senza alcuna necessità di valutazione in relazione all’ammontare dell’importo rilevante con un costo organizzativo, per i debitori coinvolti nell’emersione anticipata della crisi, pari a zero e a intervalli temporali più ravvicinati.
Inoltre la segnalazione al contribuente di cui all’art 15, comma 1, da parte dell’Agenzia delle Entrate potrebbe essere quella già esistente di cui all’art 21-bis comma 5 del DL 78/2010, ovvero la “lettera di compliance” che consente anche oggi all’impresa di sanare la sua posizione con lo strumento del ravvedimento operoso ex D. Lgs 472/1997 mediante l’applicazione di sanzioni ridotte rispetto alla previsione di cui all’art. 15 comma 2 ovvero dell’avviso bonario ex art. 3-bis del D. Lgs 462/1997 dandogli quindi un’opportunità in più.
Conclusioni
Pare quindi che l’eliminazione dell’art. 13, ovvero del sistema di indicatori basato sugli indici, e la correzione degli artt. 15 e 24 con l’armonizzazione della comunicazione ex art. 21-bis del DL78/2010, possa semplificare e migliorare il sistema dell’emersione anticipata della crisi in quanto non più basata su valori opinabili, contestabili e soggetti a valutazione (quantomeno eventuale dell’OCRI con costi a carico dell’imprenditore ancorché falso positivo) ma su dati certi ed incontrovertibili quali l’impagato. Inoltre i dati necessari per verifica dell’esistenza di squilibri ex art. 15 e 24 CCI, sono già in possesso dei creditori pubblici qualificati, da una parte, e dell’impresa in crisi, dall’altro, rendendo quindi la procedura più snella anche in termini di adempimenti da svolgere e di assetti organizzativi da improntare eliminando, per la maggior parte dei casi, tutta la macchinosa procedura di nomina del collegio di esperti dell’OCRI, con i costi che ne conseguono, almeno per la prima fase introduttiva.
Inoltre il sistema basato sui creditori qualificati, pubblici ex art. 15 e privati ex art. 24 c 1 lett. a e b, può essere adottato anche da tutte le realtà imprenditoriali che per natura o limiti dimensionali, non redigono il bilancio o non tengono la contabilità. Mi riferisco alle ditte individuali, le società di persone e le imprese in contabilità semplificata.
Magari, al fine di limitare i possibili “falsi positivi”, si potrebbero prendere in considerazione solo quelle situazioni dove lo squilibrio si manifesta contemporaneamente in almeno una tra le due fattispecie ex art. 24 comma 1 lett. a) e b) e due tra le tre ex art. 15 comma 2 lett. a), b) e c).
[1] Cfr, Michele Bana - Nella riforma fallimentare allerta IVA dell’Agenzia delle Entrate da chiarire. Eutekne.Info 29.11.2018
Scarica Articolo PDF