Societario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 05/12/2018 Scarica PDF
Le società consortili e la relativa responsabilità nei confronti dei terzi alla luce delle sentenze della recente giurisprudenza di legittimità
Daniele Capolupo, Avvocato in VercelliSommario: 1. Premessa - 2. L’orientamento della Suprema Corte - 3. Società Consortili di capitali costituite per l’esecuzione dei lavori aggiudicati ai soci riuniti in associazione temporanea di impresa da una stazione appaltante pubblica.
1. Premessa
Ai sensi dell’art. 2615 ter del codice civile “Le società previste nei capi III e seguenti del titolo V possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art. 2602 c.c. In tal caso l’atto costitutivo può stabilire l’obbligo dei soci di versare contributi in denaro”.
Ai sensi dell’art. 2602 c.c. “Con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese […]”.
Come emerge dalla lettura del combinato disposto degli articoli 2615 ter e 2602 del codice civile è possibile costituire società lucrative, sia di persone che di capitali[1], che abbiano come oggetto sociale uno scopo consortile. In questo modo la legislazione vigente permette ai soci consorziati di conseguire un vantaggio mutualistico, mettendo in comune un’organizzazione per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi dell’attività produttiva in forma societaria.
L’art. 2615 ter del codice non detta, però, una disciplina autonoma per le società consortili, ne consegue, quindi, un limite di compatibilità tra la disciplina consortile e quella delle società lucrative. A tal fine basti pensare all’incompatibilità tra il carattere e la finalità consortile e le norme che permettono di costituire società di capitali (S.r.l. ed S.p.A.) con un unico socio: la finalità mutualistica della società consortile, infatti, non permette di perseguire l’oggetto sociale in caso di mancanza della pluralità dei soci.
Per molti anni anche la più autorevole dottrina è stata in dubbio nel riconoscere fino a che punto la scelta della forma societaria potesse comportare il sacrificio delle finalità consortili e quali fossero, invece, gli spazi per integrare o derogare la disciplina societaria prescelta in base allo scopo consortile[2].
Corollario di quanto appena accennato concerne la responsabilità dei soci consorziati quale elemento di tensione tra la società consortile e il genus societario prescelto come contenitore in cui costituire la predetta società.
E’ noto come, infatti, ai sensi dell’art. 2615 comma 2 c.c., le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati costringono anche questi ultimi a rispondere solidalmente con il fondo consortile. Una lettura estensiva della citata norma potrebbe comportare che anche qualora sia costituita una società consortile nella forma di società di capitali[3], i soci possano comunque essere chiamati a rispondere con il proprio patrimonio delle obbligazioni contratte dalla società, seppur questa sia stata costituita in forma di S.r.l. o S.p.A.
In un’ottica come quella sopra accennata, si vedrebbe prevalere la natura consortile e la rispettiva normativa sulla natura societaria del consorzio.
Tale aspetto delle società consortili ha creato nel corso degli anni non pochi problemi che sono stati variamente analizzati dalla giurisprudenza e dalla dottrina più attenta giungendo, tuttavia, a differenti e contrastanti conclusioni[4].
Un primo orientamento, oggi minoritario, propende per la severa applicazione, anche per le società consortili, della normativa sui consorzi. Secondo questi autori, le società consortili altro non sono che consorzi in forma societaria, pertanto integranti un contratto associativo misto[5].
Alla luce della predetta interpretazione i soci consorziati sarebbero tenuti a rispondere, unitamente alla società, con il loro patrimonio delle obbligazioni contratte dalla società consortile anche nel caso in cui quest’ultima sia costituita sotto forma di società di capitali.
Un secondo orientamento, invece, propende per l’applicazione della disciplina della forma societaria prescelta dalla società consortile, in quanto, seppur le norme regolatrici del tipo societario possono essere modificate dalle parti, non sarebbe in ogni caso derogabile la struttura societaria nei suoi aspetti fondamentali[6]. Gli autori che propendendo per questa teoria ritengono che non vi sia spazio, se non per un applicazione meramente residuale, delle norme dettate in materia di consorzi.
Altra parte della dottrina ritiene, invece, che le società consortili abbiano una disciplina normativa mista: quella dei consorzi in relazione ai rapporti tra consorziati ed tra i consorziati ed i terzi; quella delle società, nei diversi tipi normativi, per quanto attiene al funzionamento dell’organizzazione associativa[7].
Ad oggi però pare che il problema abbia trovato, almeno nelle decisioni della Giurisprudenza di legittimità, una diversa soluzione che può essere considerato come un quarto orientamento. Chi propende per questa interpretazione ritiene applicabile alle società consortili le norme societarie inderogabili qualificanti il “genus” societario prescelto, nelle quali devono ritenersi comprese l’intangibilità delle norme societarie dettate a tutela degli interessi dei terzi o di interessi generali[8], mentre le restanti norme dettate in materia societaria potranno essere oggetto di deroga e temperamenti previsti statutariamente in forza dello scopo consortile per il quale le società sono state costituite.
In altri termini, chi propende per questo orientamento afferma come vi sia totale autonomia della società consortile rispetto ai soggetti consorziati e la sua specificità anche rispetto ai consorzi non costituiti in forma societaria, ammettendo che la causa consortile possa comportare anche ampie deroghe alle norme che disciplinano il tipo societario adottato. Il tutto fermo restando che la deroga non potrà mai giustificare l’inapplicazione delle norme fondamentali che regolano il genus societario prescelto. Di conseguenza, una società consortile di capitali non potrà mai derogare alle regola dell’autonomia patrimoniale perfetta propria delle società di capitali e, di converso, i soci consorziati non potranno mai essere chiamati a rispondere con il loro patrimonio delle obbligazioni contratte dalla società consortile.
2. L’orientamento della Corte di Cassazione
Come accennato nel paragrafo precedente, la problematica relativa alla responsabilità patrimoniale delle società consortili di capitale e dei soci consorziati per le obbligazioni contratte nei confronti di terzi dalla società sembra aver ormai trovato una definitiva consacrazione nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha escluso, categoricamente, la responsabilità solidale dei soci per le obbligazioni contratte dalla società.
La prima statuizione dei giudici di legittimità in questo senso risale al lontano 2003. In quell’occasione la Suprema Corte fu chiamata a pronunciarsi sull’interrogativo se i soci di una società consortile a responsabilità limitata, costituita al fine di dare esecuzione a un appalto pubblico, fossero tenuti in solido con la società all’adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti di terzi dalla società consortile[9].
La Cassazione evidenziò che, seppur non potesse escludersi che a determinati effetti la causa consortile incardinata nella struttura societaria possa comportare un’implicita deroga ad alcune norme applicabili al tipo societario prescelto, non poteva, comunque, ammettersi che ne fossero stravolti i connotati fondamentali, tra i quali vi era incontestabilmente compresa la regola per la quale nelle società di capitali è unicamente la società a rispondere col proprio patrimonio delle obbligazioni sociali e non i singoli soci [10] [11].
Qualche anno più tardi a decretare definitivamente l’orientamento inaugurato nel 2003 sono intervenute le Sezioni Unite con la sentenza n. 12190 del 14 giugno 2016.
In quest’occasione, la Corte ha richiamato integralmente le motivazioni già esplicitate nel 2003 facendole proprie, evidenziando l’autonomia della società consortile rispetto alle società consorziate e la specificità rispetto ai consorzi non costituiti in forma societaria. La Suprema Corte ha specificato ulteriormente che la causa consortile può comportare la deroga delle norme che disciplinano il tipo adottato, qualora la loro applicazione sia incompatibile con profili essenziali del fenomeno consortile, ma al contempo rimane fermo che la deroga non può giustificare lo stravolgimento dei principi fondamentali che regolano il tipo di società di capitali scelto, al punto da renderlo non più riconoscibile rispetto al corrispondente modello legale[12].
Delineata ormai la strada che ha composto un profilo di incertezza e di dibattito sulle società consortili durato anni[13], la Cassazione è intervenuta nuovamente con la sentenza n. 7473 del 23 marzo 2017, ribadendo ancora una volta che in caso di consorzio costituito in forma di società di capitali, la causa consortile può giustificare la deroga sulle norme che disciplinano il tipo di società scelto, ma non anche le regole fondamentali del tipo. In particolare, la personalità giuridica propria delle società di capitali costituisce un diaframma fra i singoli soci e i terzi creditori della società, e, pertanto, sarà unicamente la società a rispondere con il proprio patrimonio delle obbligazioni sociali e non i singoli soci[14].
A fronte di quanto sopra sembra ormai consolidato, almeno nella giurisprudenza di legittimità[15], l’orientamento che riconosce l’intangibilità dei singoli soci delle società consortili di capitali rispetto alle obbligazioni sociali assunte dalla società.
Tale disciplina appare, a sommesso parere di chi scrive, condivisibile in quanto strutturare un consorzio nella forma societaria e in particolare in una società di capitali, tutela i singoli consorziati dal rischio di impresa ed evita di introdurre nell’ordinamento un genus societario sconosciuto che si andrebbe ad aggiungere alle società di capitali e alle società di persone e sarebbe retto da una disciplina del tutto particolare. Quest’ultima conseguenza non farebbe altro che creare confusione in una materia già particolarmente complessa come risulta essere quella delle società consortili e dei consorzi in genere.
Fermo quanto appena indicato una deroga all’orientamento oggi maggioritario potrebbe emergere nella particolare ipotesi in cui la società consortile di capitali sia costituita da soci che abbiano partecipato in raggruppamento temporaneo ad una gara per l’attribuzione di un appalto pubblico ottenendo l’aggiudicazione ed abbiano, in seguito, costituito per l’esecuzione dell’opera una società consortile ai sensi dell’art. 93 del D.P.R. n. 207 del 2010[16].
Come meglio si vedrà nel paragrafo seguente, in questo caso si potrebbe incorrere in una rilevante eccezione al principio sancito dalla giurisprudenza di legittimità.
3. Società Consortili di capitali costituite per l’esecuzione dei lavori aggiudicati ai soci riuniti in associazione temporanea di impresa da una stazione appaltante pubblica
Non di rado, i soggetti che partecipano ad una gara per l’assegnazione di un appalto pubblico sotto forma di raggruppamento temporaneo, ottenuta l’aggiudicazione dei lavori da parte della stazione appaltante, costituiscono tra loro una società consortile avente ad oggetto esclusivamente l’esecuzione unitaria dei lavori.
Tale possibilità è prevista dall’art. 93 del D.P.R. n. 207 del 2010 e la società consortile così costituita subentra nell’esecuzione del contratto, senza che ciò costituisca ad alcun effetto subappalto o cessione del contratto, ferme restando le responsabilità dei concorrenti riuniti o consorziati ai sensi del codice.
A questo punto, dalla lettura del combinato disposto degli articoli art. 48, comma 5 D.lgs n. 50/2016[17] e 105 sempre del citato D.lgs n. 50/2016[18], si può dedurre che vi sia un’espressa deroga normativa alla disciplina dell’intangibilità dei soci consorziati relativamente alle obbligazioni contratte dalla società consortile di capitali nei confronti di terzi.
Infatti, se i soggetti raggruppati in associazione temporanea di imprese - anche se costituiti in forma di società consortile di capitale - rispondono solidalmente nei confronti dei subappaltatori e fornitori e questi possono richiedere direttamente alla stazione appaltante l’importo dovuto per le proprie prestazioni in caso di inadempimento dell’appaltatore, se ne deve dedurre che via sia un’espressa deroga all’intangibilità dei soci della società consortile per i debiti contratti dalla società stessa.
Deroga che pone nel nulla il cosiddetto “diaframma” societario chiamando a rispondere solidalmente ed illimitatamente anche i soci della società consortile nei confronti dei sub appaltatori e fornitori che hanno assunto obbligazioni esclusivamente con la società consortile.
Da quanto pare emergere dalla normativa in tema di appalti, questi ultimi, non solo potranno richiedere il pagamento delle proprie forniture direttamente alla stazione appaltante nei casi previsti dalla norma, ma potranno anche richiederlo ai singoli soci consorziati che risponderanno solidalmente con tutto il loro patrimonio con la società consortile.
Un esempio aiuterà a comprendere meglio la fattispecie che appare a prima vista complessa.
Il caso al quale ci troviamo di fronte è quello di una società consortile costituita esclusivamente per l’esecuzione di un’opera aggiudicata dalla stazione appaltante ai soci riuniti in raggruppamento temporaneo. La società, meramente esecutrice dei lavori, come è normale, assumerà obbligazioni nei confronti di terzi fornitori o subappaltatori per l’esecuzione dell’opera. Nel caso di suo inadempimento o insolvenza la normativa speciale sugli appalti pubblici pare permettere al terzo fornitore o subappaltatore di richiedere direttamente ai soci consorziati il pagamento del corrispettivo ai sensi del combinato disposto degli artt. 48 e 105 del D.lgs 50/2016 e 93 D.P.R. 207/2010 superando in questo modo l’intangibilità dei soci e l’autonomia patrimoniale perfetta delle società di capitali nella cui forma la società consortile è stata costituita.
A ben vedere, quanto appena indicato appare ancora dibattuto in dottrina e giurisprudenza ma da un’attenta lettura della sentenza della Cassazione del 2003 emerge che già all’epoca tale conseguenza, seppur non applicabile al caso di specie allora deciso, potesse ritenersi una deroga al principio generale di intangibilità dei soci nelle società consortili di capitale[19].
Infatti, leggendo la citata giurisprudenza di legittimità, i Supremi Giudici, dopo aver ammonito che, seppur le società consortili siano in molte ipotesi costituite come società strumento per consentire l’esecuzione dell’appalto, questo non autorizza a ritenere che siffatta peculiarità incida sul regime di responsabilità illimitata dei soci ove non vi siano specifiche disposizioni di legge speciale in deroga. Sembra che tale regime speciale potesse essere individuato nella normativa sugli appalti pubblici che, lungi da essere una regola generale di responsabilità illimitata e solidale dei soci consorziati, amplia nello specifico campo degli appalti pubblici la responsabilità dei soci in deroga al principio generale altrimenti applicabile.
A fronte di quanto sopra la normativa speciale chiuderebbe un cerchio aperto.
Ad oggi, come più volte sancito dalla Suprema Corte, il principio generale del sistema normativo prevede che le società consortili di capitali rispondano esclusivamente con il loro patrimonio delle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi e i soci dovranno ritenersi indenni dalle richieste di chi ha contratto esclusivamente con la società consortile. Eccezione alla regola generale si rinviene nel caso di appalti pubblici dove, per esplicita deroga legislativa, la società consortile di capitali, costituita come mero strumento per l’esecuzione dell’opera aggiudicata dalla stazione appaltante ai soci della stessa, risponde solidamente e illimitatamente con quest’ultimi non applicandosi nel caso di specie l’autonoma patrimoniale perfetta delle società di capitali.
Tale conclusione ha un risvolto pratico importante, poiché non di rado le società consortili costituite esclusivamente per l’esecuzione di un appalto pubblico, non hanno un patrimonio loro proprio ma utilizzano per l’esecuzione dell’opera i capitali e le attrezzature dei soci consorziati. In caso di insolvenza però, se non vi fosse la responsabilità solidale dei soci, i creditori della società consortile difficilmente troverebbero un patrimonio su cui soddisfarsi con evidenti ripercussioni anche in ambito economico.
Da quanto sopra, discende logicamente che i debiti della società consortile saranno anche debiti dei soci consorziati i quali saranno chiamati a rispondere solidalmente nei confronti dei terzi e, nel caso in cui siano i soci ad essere sottoposti a procedura concorsuale nel computo del relativo passivo dovrebbero essere ricompresi anche i debiti della controllata che non potranno essere soddisfatti da quest’ultima.
[1] Non è ammessa la costituzione di consorzi in forma di società semplice in quanto la norma non richiama questo tipo societario, si ritiene, invece, che sia possibile l’utilizzo della forma cooperativa in quanto anche questi soggetti hanno finalità mutualistiche alla luce dell’art. 2538 comma 4 c.c. che espressamente prevede cooperative in cui i soci realizzano lo scopo mutualistico attraverso l’integrazione delle rispettive imprese o di talune fasi di esse e che, quindi, l’atto costitutivo può prevedere che il diritto di voto sia riconosciuto in ragione dello scambio mutualistico.
[2] G. Presti e M. Rescigno, Manuale di Diritto Commerciale, Bologna, 2006, Vol II, 19.
[3] Nessun problema si presenterebbe invece se la società consortile fosse costituita nella forma di società di persone in quanto nel predetto genus societario i soci rispondono già illimitatamente con il proprio patrimonio in caso di insolvenza della società.
[4] G. Ferri, Manuale di Diritto Commerciale, Torino, 2010, 207 ss, G. Cottino, Diritto Commerciale, Bologna, 1997, 59 ss; M. Sarale, Consorzi e società consortili, in Trattato di Diritto Commerciale, G. Cottino, Padova, 2004, 546. In Giurisprudenza tra le più recenti e significative Cass. Sez. Unite n. 12190 del 14 giugno 2016, Cass. Civ. n. 7473 del 23 marzo 2017, Cons. Stato n. 6335 del 15 ottobre 2009.
[5] R. Franceschelli, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna, 1970, 202; G. Ferri, op.cit; G.A. Ferretti, Osservazioni in tema di disciplina delle società consortili, in Riv. Dir. Ind., 1982, I, 411 e ss..
[6] Vedasi Corte di Appello di Milano del 19 marzo 1997; Trib. Milano 12 maggio 1984.
[7] G. Cottino, Diritto Commerciale, Bologna, 1997, 59 ss; G. Capurso, I consorzi e le società consortili dopo le modifiche della l. 10 maggio 1976, n. 277, in Giur. Comm, 1981.
[8] Cass. Sez. Unite n. 12190 del 14 giugno 2016, Cass. Civ. n. 7473 del 23 marzo 2017. In dottrina per tutti Campobasso, Diritto Commerciale, Milano, 2006, 1 274 e ss e M. Sarale, Consorzi e società consortili, in Trattato di Diritto Commerciale Cottino, Padova, 2004, 546.
[9] Cass. Civ. n. 18113 del 27 novembre 2003.
[10] Ibidem.
[11] Per un commento esaustivo alla sentenza della Cass. Civ. n. 18113 del 27 novembre 2003, vedasi I. Gatti, in Notariato, 2004, 6, 599 ss e M. Sarale, in Giurisprudenza italiana, 2004, 6.
[12] Cass. Sez. Unite n. 12190 del 14 giugno 2016.
[13] Ancora con la sentenza n. 6335 del 15 ottobre 2009 il Consiglio di Stato definiva come “un errore” considerare le società consortili cosa ben diversa dai consorzi. Secondo i Supremi Giudici Amministrativi sia la società consortile che il consorzio semplice si caratterizzano per la medesima finalità, e cioè quella di dare luogo ad un’altra figura soggettiva alla quale affidare alcuni compiti della propria vita imprenditoriale; la scelta se procedere all’istituzione di un consorzio dotato di autonomia ma non di personalità giuridica ovvero di una società consortile per azioni, dotata di propria personalità giuridica e capace di assumere in proprio obbligazioni, risulta essere una scelta operativa che non incide sulla natura consortiva dell’ente.
[14] Cass. Civ. n. 7472 del 23 marzo 2017.
[15] Ancora nel 2008 con la sentenza n. 370 del 23 febbraio 2012 il Tar Campania Salerno affermava che la disciplina delle società consortili di cui all'art. 2615 ter c.c. è di tipo misto, nel senso che la personalità giuridica è regolata dalla forma societaria prescelta, mentre per gli aspetti sostanziali è regolata dalla disciplina propria dei consorzi di imprese articolata essenzialmente nel mandato collettivo speciale con rappresentanza, attribuito dai soggetti consorziati all'amministratore del consorzio, e nella responsabilità solidale per le obbligazioni assunte da quest'ultimo per conto ed in nome dei consorziati.
[16] Anche con l’entrata in vigore del D.l.gs n. 50/2016 del 18 aprile che ha abrogato il D.P.R. 207/2010, ad oggi, ai sensi dell’art. 217 lett u) del D.lgs n. 50/2016, l’articolo 93 del D.P.R. 207/2010 risulta ancora in vigore poiché non risultano ancora emanati i decreti attuativi che andranno a sostituire l’abrogato art. 93.
[17] Che prevede espressamente come l’offerta degli operatori economici raggruppati in associazione temporanea di imprese determini la loro responsabilità solidale oltre che nei confronti della stazione appaltante, anche nei confronti del subappaltatore e dei fornitori.
[18] Che a sua volta prevede come la stazione appaltante corrisponda direttamente al subappaltatore l’importo dovuto per le prestazioni dallo stesso eseguite in determinate ipotesi ivi previste (tra cui l’inadempimento dell’appaltatore o, nel caso in cui il contratto lo consenta, su richiesta dello stesso subappaltatore) e che tale normativa si applichi anche ai raggruppamenti temporanei di imprese e alle società consortili.
[19] Naturalmente la Suprema Corte nel 2003 fa riferimento alla legislazione allora vigente ma la stessa è sovrapponibile a quella attuale e il principio di diritto che se ne trae può essere applicato senza problemi alla legislazione vigente.
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