CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 30/10/2019 Scarica PDF
Azione revocatoria e sentenza non passata in giudicato sul credito da conservare
Giorgio Barbieri e Gaetano Anzani, Avvocati in Reggio EmiliaSommario: 1. Il “credito litigioso” quale declinazione estensiva del “credito” tutelabile con un’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. – 2. Inapplicabilità della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. al giudizio revocatorio. – 3. Interrogativi sui principi giurisprudenziali in materia di “credito litigioso” ai fini dell’art. 2901 c.c. dopo Cass. civ., Sez. Un., 19 giugno 2012, n. 10027. – 4. Il sistema incentrato dalla Cassazione sulla provvisoria efficacia di accertamento dei provvedimenti giudiziari non ancora passati in giudicato. – 5. Accertamento provvisorio in merito all’esistenza o inesistenza di un credito e giudizio revocatorio.
1. L’azione revocatoria ordinaria – com’è noto – è uno dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale generica del diritto di credito ex art. 2740 c.c.
Il primo comma dell’art. 2901 c.c. chiarisce che lo stesso legislatore, laddove ha precisato che il credito tutelabile con un’azione revocatoria può essere soggetto a condizione o a termine, ha espressamente ammesso la conservazione tanto di un credito già esistente ed esigibile, quanto di un credito tuttora inesigibile ancorché esistente oppure, addirittura, di un credito che potrebbe non venire mai ad esistenza o cessare di esistere[1].
Inoltre, in virtù di un’interpretazione estensiva dell’art. 2901, primo comma, c.c., la giurisprudenza accoglie una nozione lata di “credito” suscettibile di conservazione, comprensiva di qualsivoglia “ragione o aspettativa di credito”, ossia anche di “crediti potenziali o eventuali”, con conseguente irrilevanza dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità[2].
Una “ragione di credito”, poi, può assumere la specifica veste del c.d. “credito litigioso”, cioè controverso e – stando all’impostazione tradizionale – non accertato da un provvedimento giudiziario passato in giudicato. Secondo la giurisprudenza ora consolidata, infatti, anche un “credito litigioso”, a prescindere dalla negozialità o meno della sua fonte, è sufficiente a legittimare l’esperimento di un’azione revocatoria[3]: l’orientamento di segno contrario, pur coltivato in passato, può dirsi oggi abbandonato[4].
Semmai, in alcune decisioni viene opportunamente precisato che il “credito litigioso” vantato da chi agisce ex art. 2901 c.c. deve consistere in una pretesa creditoria «non palesemente pretestuosa»[5], e talvolta si richiede pure che la sua fondatezza appaia «probabile»[6]. Anche nella prospettiva meno rigorosa, allora, al Giudice chiamato a decidere sulla domanda di revoca è demandata una delibazione, secondo prudente apprezzamento, intorno alla pretesa addotta a presupposto del rimedio conservativo[7].
2. La rilevanza di un “credito litigioso” ai fini dell’art. 2901 c.c. testimonia che l’incontrovertibile accertamento giudiziario del credito da conservare non è indispensabile, quale antecedente logico-giuridico, alla revoca di un atto patrimoniale pregiudizievole per l’asserito creditore.
L’art. 295 c.p.c.[8] è stato tradizionalmente interpretato dalla giurisprudenza nel senso di richiedere una “definizione” della causa pregiudicante con sentenza passata in giudicato, ha la funzione di evitare un contrasto tra giudicati, e si applica solo nell’ipotesi di due giudizi in rapporto di pregiudizialità (non meramente logica, bensì) logico-giuridica o – come può pure dirsi – tecnico-giuridica. Il disfavore legislativo nei confronti di un meccanismo che dilata i tempi del processo, infatti, ha condotto a subordinare la sospensione necessaria ad una relazione di pregiudizialità “forte”[9].
Pertanto, il giudizio revocatorio, pur distinto da quello deputato ad accertare il credito, non dev’essere necessariamente sospeso in attesa del giudicato sulla situazione giuridica da conservare. Per un verso, la sopravvenienza di un accertamento definitivo in ordine all’inesistenza del credito vantato dall’attore in seno al giudizio revocatorio, quand’anche quell’asserito credito fosse già stato conservato con una pronuncia ex art. 2901 c.c. altrettanto definitiva, non integrerebbe alcun conflitto pratico tra giudicati[10], in quanto la sentenza di revoca, a quel punto, risulterebbe semplicemente inutile in concreto (ancorché abbia comportato un dispendio di attività processuale). Per altro verso, il procedimento di espropriazione forzata su beni oggetto di atti dispositivi revocati ex art. 2901 c.c. presuppone un idoneo titolo esecutivo, che in caso di “crediti litigiosi” potrebbe dover essere ottenuto in sede giudiziaria, sicché l’accoglimento della domanda di revoca, di per sé, non permetterebbe di invocare la tutela esecutiva[11].
3. La tenuta dei principi giurisprudenziali in materia di “credito litigioso” ex art. 2901 c.c., tuttavia, va saggiata con riguardo all’ipotesi in cui, anteriormente al giudizio revocatorio o durante la sua pendenza, un provvedimento giudiziario di primo o di secondo grado, non ancora passato in giudicato, abbia già provvisoriamente accertato la sussistenza o l’insussistenza della pretesa creditoria per la quale sia stata azionata la tutela conservativa.
Inoltre, data l’esistenza di un provvedimento non ancora passato in giudicato in merito al credito da conservare, bisogna interrogarsi sulla possibilità di applicare al giudizio ex art. 2901 c.c. almeno l’istituto della sospensione facoltativa ai sensi dell’art. 337, secondo comma, c.p.c.[12].
Le suddette questioni – così pare – debbono oggi essere esaminate nella prospettiva di un’importante sentenza resa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, ossia Cass. civ., Sez. Un., 19 giugno 2012, n. 10027, in cui il Supremo Collegio, benché abbia preso le mosse da una vicenda nella quale non veniva in rilievo il rapporto tra giudizio volto all’accertamento di un diritto di credito e giudizio volto alla sua conservazione ex art. 2901 c.c., ha enunciato alcuni principi generali.
4. Con l’arresto appena indicato, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che «[i]l diritto pronunciato dal giudice di primo grado qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originano [originario, n.d.r.] di lite e giustifica sia l’esecuzione provvisoria, quando a quel diritto si tratti di adeguare la realtà materiale, sia l’autorità della sentenza di primo grado nell’ambito della relazione tra lite sulla causa pregiudiziale e lite sulla causa pregiudicata»[13]. In quell’occasione, la Corte si è pronunciata su una fattispecie in cui la sentenza emessa nel giudizio pregiudiziale era di primo grado, ma il medesimo principio – come emerge da una successiva decisione di legittimità – vale, a maggior ragione, qualora la sentenza già emessa nel giudizio pregiudiziale sia di secondo grado, in quanto ancor più ponderata ed attendibile[14].
L’orientamento inaugurato nel 2012 è stato ribadito e chiarito con pronunce posteriori[15].
L’insegnamento che proviene da siffatto filone giurisprudenziale di legittimità, dunque, è nel senso che un provvedimento giudiziario può avere autorità provvisoria non soltanto sotto il profilo dell’efficacia esecutiva (o coattiva) ai sensi dell’art. 282 c.p.c., applicabile anche alle sentenze emesse in grado di appello ai sensi dell’art. 359 c.p.c., ma pure sotto il profilo dell’efficacia di accertamento per la definizione di un giudizio dipendente: di un giudizio, cioè, la cui decisione presuppone l’accertamento di un’identica questione affrontata nel provvedimento – pur tuttora impugnabile o già impugnato – reso nel giudizio pregiudicante.
La provvisoria efficacia di un provvedimento giudiziario che sia oggetto di impugnazione, però, può essere eccezionalmente paralizzata con appositi rimedi, i quali sono diversi a seconda che si voglia ostacolare l’efficacia esecutiva piuttosto che quella di accertamento.
L’art. 337, primo comma, c.p.c. stabilisce che la mera impugnazione di un provvedimento non ne sospende l’esecuzione[16]. Nondimeno, l’efficacia esecutiva di un provvedimento può essere sospesa dal Giudice all’uopo competente al ricorrere delle condizioni previste dalla legge[17].
L’efficacia di accertamento del provvedimento emesso in una causa pregiudicante ed investito da una qualunque impugnazione, invece, può essere contrastata, ai sensi dell’art. 337, secondo comma, c.p.c., soltanto con la sospensione facoltativa della causa pregiudicata. Il Giudice chiamato ad occuparsi di quest’ultima, tuttavia, può sospendere il giudizio esclusivamente laddove ritenga di non poter poggiare la propria decisione su quella assunta dal Giudice della causa pregiudicante, anche alla luce di una valutazione prognostica circa la fondatezza delle censure rivolte a quest’ultima decisione dalla parte impugnante, tanto che la sospensione dev’essere motivata adeguatamente[18].
Le due categorie di rimedi appena illustrate non sono interferenti, anche perché i requisiti fattuali e giuridici delle forme di tutela prefigurate dagli artt. 283 e 373 c.p.c., da un lato, e dal secondo comma dell’art. 337 c.p.c., dall’altro, sono eterogenei.
Può darsi che la parte provvisoriamente soccombente cumuli i diversi strumenti offerti dall’ordinamento, così da (tentare di) vanificare l’efficacia del provvedimento impugnato sia sul piano dell’esecuzione, sia su quello dell’accertamento. Può anche darsi, però, che la parte provvisoriamente soccombente utilizzi o soltanto lo strumento teso a sospendere l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, o soltanto quello teso a sospendere il processo in cui tale provvedimento esplicherebbe un’efficacia di accertamento. E la concessione di un rimedio incidente su uno dei profili autoritativi della decisione impugnata non inibirebbe l’altro[19].
Con particolare riguardo al problema della sospensione della causa pregiudicata, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza del 2012, hanno tracciato un innovativo e netto confine tra gli ambiti di applicazione degli artt. 295 e 337, secondo comma, c.p.c., così da restringere lo spettro della sospensione necessaria a favore di un ampliamento di quello della sospensione facoltativa[20].
Al riguardo, peraltro, va notato che, stando ad un certo orientamento di legittimità, le differenti forme di sospensione processuale manterrebbero in comune «la ricorrenza del presupposto della necessaria pregiudizialità logico-giuridica tra i (rapporti giuridici dedotti nei) due giudizi implicati»[21], mentre, stando ad altro orientamento maturato a proposito del collegamento tra lite sull’an di un credito e lite sul quantum della prestazione dovuta, la sospensione facoltativa potrebbe attenere anche ad un rapporto di pregiudizialità in senso solamente logico[22].
Salve le fattispecie tipiche per le quali il legislatore ha espressamente stabilito la sospensione necessaria della lite pregiudicata sino al passaggio in giudicato della decisione sulla lite pregiudicante, l’art. 295 c.p.c. regola ora, unicamente, il rapporto tra due giudizi che siano entrambi pendenti in primo grado nell’ipotesi in cui uno sia pregiudiziale in senso tecnico-giuridico rispetto all’altro, ed impone la sospensione della causa pregiudicata in attesa della decisione su quella pregiudicante al fine di evitare un contrasto di pronunce ed un’inutile attività istruttoria.
La decisione di primo grado intervenuta nel processo pregiudicante, invece, rende inapplicabile l’istituto della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., se una tale sospensione non era stata in precedenza disposta, o ne esaurisce la portata e permette di norma la ripresa del processo pregiudicato, se la sospensione era stata disposta[23]. Il Giudice del processo pregiudicato, infatti, può ormai fondare la propria decisione sull’accertamento, pur ancora impugnabile o già impugnato, compiuto nel processo pregiudicante: quest’ultimo accertamento proviene del pari da un Giudice e si forma nel contraddittorio tra le parti, sicché beneficia di una presunzione di conformità al diritto oggettivo e, quindi, è munito di provvisoria autorità[24].
Il Giudice della causa dipendente, nondimeno, può scegliere, sulla scorta di una specifica valutazione, di non aderire alla pronuncia emessa nell’altro giudizio. Tuttavia, in questa evenienza, Egli non potrà prescindere totalmente dalla decisione proveniente dall’esterno e dovrà sospendere il procedimento avanti a sé, ai sensi del secondo comma dell’art. 337 c.p.c., finché tale decisione passi in giudicato o, almeno, finché si conosca l’esito dell’impugnazione proposta avverso la medesima dal soccombente[25].
5. La provvisoria autorità di accertamento di un provvedimento giudiziario è stata enunciata dalle Sezioni Unite della Cassazione come regola generale e, quindi, non può che valere – così riteniamo – anche nella relazione fra giudizio sull’esistenza di un credito e giudizio revocatorio per la sua conservazione. Di tal ché, laddove nel primo di tali giudizi fosse intervenuta una pronuncia non ancora passata in giudicato, l’unico eccezionale rimedio all’indiscriminata efficacia di accertamento di quest’ultima finirebbe con l’essere la sospensione facoltativa del processo in cui è stata esercitata l’azione ex art. 2901 c.c.
La professata autorità del temporaneo accertamento positivo o negativo del credito da conservare – laddove esso si sia formato in un giudizio diverso da quello revocatorio, ma sia destinato ad operare nel contesto di quest’ultimo – non contraddice la giurisprudenza secondo cui la nozione di “credito” tutelabile con un’azione revocatoria comprende qualsivoglia “ragione di credito”. Piuttosto, detto orientamento deve soltanto essere coordinato ed integrato con quello più recente tracciato da Cass. civ., Sez. Un., n. 10027/2012, cit., il cui insegnamento induce a meglio precisare – e, se si vuole, a circoscrivere – la sufficienza di un “credito litigioso” ai fini dell’accoglimento di una domanda ex art. 2901 c.c.
La Cassazione, d’altronde, ha sì continuato ad avallare la figura del “credito litigioso”, ma in fattispecie nelle quali la situazione giuridica sostanziale dedotta dall’attore nel giudizio revocatorio o non era stata oggetto di alcun accertamento giudiziario di merito[26] o, addirittura, era stata già accertata (talvolta, con efficacia di giudicato)[27].
La pronuncia di accertamento positivo circa un asserito “diritto di credito”, pertanto, vincola il Giudice chiamato a decidere sulla sua conservazione in un altro giudizio a ritenere esistente più di una “ragione di credito”, ossia un diritto pieno, ai fini dell’esperita azione revocatoria.
Per converso, deve allora ritenersi che la pronuncia di accertamento negativo circa un asserito credito vincoli il Giudice del distinto procedimento revocatorio a ritenere insussistente finanche una “ragione di credito”, benché nella veste di “credito litigioso”. Nell’una e nell’altra ipotesi, l’unico strumento idoneo a paralizzare la provvisoria efficacia di accertamento della statuizione in merito all’esistenza o inesistenza del credito da conservare sarebbe, in esito ad una motivata valutazione di inattendibilità di tale statuizione, la sospensione facoltativa ex art. 337, secondo comma, c.p.c. del giudizio revocatorio.
Nulla, infatti, giustifica un trattamento differenziato dell’ipotesi in cui sia stata provvisoriamente accertata l’inesistenza del credito da conservare rispetto a quella in cui sia stata provvisoriamente accertata la sua esistenza.
La stessa Suprema Corte, nel 2016, ha confermato la riferibilità dei principi elaborati nel 2012 alla tutela conservativa ex art. 2901 c.c.: è stato rilevato, infatti, sia che un credito doveva ritenersi sussistente in funzione dell’intentata azione revocatoria in quanto già accertato in grado di appello, sia che al giudizio revocatorio sarebbe stata astrattamente applicabile la sospensione facoltativa[28].
Bisogna dar conto, peraltro, di due pronunce della Terza Sezione della Cassazione che, rispetto a quella supra riportata, sono di segno contrario e speculare. Nel 2016, la Corte ha statuito che l’accertamento circa l’inesistenza di un credito contenuto in una pronuncia giudiziaria priva del crisma del giudicato non escluderebbe la persistenza di un “credito litigioso”, capace di giustificare la tutela conservativa ex art. 2901 c.c.[29]. Nel 2015, la Corte aveva già statuito che un accertamento di questo tipo non consentirebbe neppure la sospensione facoltativa del giudizio revocatorio, perché quest’ultimo e quello sull’accertamento del credito da conservare non sarebbero mai legati da pregiudizialità in senso tecnico-giuridico[30]. Tuttavia, in entrambe le occasioni, il Supremo Collegio pare non aver avuto consapevolezza del proprio precedente reso a Sezioni Unite nel 2012, perché con esso, nemmeno menzionato, non si è minimamente confrontato.
Un nuovo e specifico intervento della Cassazione a Sezioni Unite, dunque, sarebbe sicuramente auspicabile per dissolvere ogni dubbio nella ricostruzione del sistema.
[1] Ai sensi del primo comma dell’art. 2901 c.c., qualora ricorrano determinati presupposti, «[i]l creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni».
[2] Invero, «il riferimento normativo al credito condizionato o a termine consente di ritenere che il legislatore non abbia inteso tutelare soltanto la posizione di chi sia in atto titolare di un diritto di credito attuale, la cui fattispecie costitutiva si sia già compiutamente perfezionata, ma si sia ispirato ad una ratio più ampia, rispondente alla fondamentale esigenza di offrire tutela al soggetto rispetto al quale si sia realizzata una situazione di fatto in presenza della quale la concreta ed effettiva rilevanza, come fonte di garanzia patrimoniale, del patrimonio di altro soggetto, dipenda ormai soltanto dal sopravvenire di ulteriori vicende, estranee alla sua sfera di controllo e di ingerenza» (così si legge in Cass. civ., Sez. Un., 18 maggio 2004, n. 9440, ord.).
Ad esempio, la prestazione di una fideiussione comporta l’acquisto in capo al creditore garantito di una “ragione di credito” nei confronti del garante, sebbene non si siano ancora realizzati i presupposti che consentono di far valere la garanzia: cfr. Cass. civ., 4 dicembre 2013, n. 27117; Cass. civ., 12 dicembre 2012, n. 22878; Trib. Roma, 21 giugno 2013, n. 13691; Trib. Bari, 9 febbraio 2002, n. 423.
[3] Cfr. Cass. civ., 9 febbraio 2012, n. 1893; Trib. Vicenza, 25 febbraio 2019, n. 440; Trib. Reggio Emilia, 27 giugno 2018, n. 974; Trib. Roma, 19 settembre 2011, n. 17868.
[4] Cfr. Cass. civ., 6 febbraio 1996, n. 960. In Cass. civ., 25 maggio 1994, n. 5081, si ribadisce che il Giudice può accogliere la domanda revocatoria solo se abbia accertato l’esistenza del credito garantito.
In Cass. civ., 30 luglio 2001, n. 10414, la Corte di Cassazione, laddove ha affrontato direttamente l’argomento, e dopo aver condottoun’analisi dei precedenti nei quali un credito litigioso era stato ritenuto sufficiente per agire ai sensi dell’art. 2901 c.c., ha finito con il concludere che in tutti quei casi «tratt[avasi] di crediti nascenti da negozi dei quali non viene in contestazione la validità, onde la ragione di credito è certa, sebbene risulti eventuale in quanto ne è sospesa l’efficacia, questa essendo subordinata al verificarsi o meno d’un evento futuro ed incerto e, tuttavia, probabile». La Corte ha aggiunto che «è, in vero, questa certezza della sussistenza del negozio e dei primi elementi costitutivi d’una fattispecie attributiva di diritti che giustifica l’intervento dell’ordinamento volto a garantire la possibilità del verificarsi degli ulteriori elementi della fattispecie stessa». Evidentemente, «[b]en diversa è l’ipotesi del credito litigioso, laddove, essendo in contestazione lo stesso fatto genetico della pretesa, non può legittimamente ravvisarsi un’aspettativa di diritto in ordine al vantato credito…, sibbene, al più, un’aspettativa di fatto…; onde, per i… limiti posti dall’art. 12 dis. prel. c.c., l’evidente obiettiva difformità di tale situazione rispetto a quella, pur già estensivamente interpretata, regolata dall’art. 2901 c.c. non consente d’ulteriormente estendere l’operatività della norma…». Il Supremo Collegio, inoltre, osserva che ad un’interpretazione ulteriormente estensiva dell’art. 2901 c.c. osta anche la rinnovata visione dei rapporti sociali accolta dalla Costituzione, la quale non solo sancisce il dovere di solidarietà sociale (art. 2 Cost.), che nei rapporti tra creditore ed obbligato «impone un reciproco comportamento di buona fede e non consente l’esercizio del diritto dell’uno con danno dell’altro ove non giustificato da un apprezzabile interesse del primo», ma poi «garantisce la proprietà privata (art. 42) e l’iniziativa economica individuale (art. 41), sì che il disporre dei propri beni costituisce espressione d’un diritto di libertà garantito ed insuscettibile di compressione o soppressione se non in ragione dell’interesse collettivo … o della tutela apprestata dall’ordinamento ad un interesse altrui attuale e meritevole».
[5] Cfr. Trib. Bologna, 16 giugno 2015, n. 1756.
[6] Cfr. Cass. civ., 6 giugno 2011, n. 12235; Cass. civ., 18 luglio 2008, n. 20002.
[7] Cfr. Cass. civ., n. 1893/2012, cit.; nonché già Cass. civ., 18 febbraio 1998, n. 1712, in cui si afferma che al Giudice spetta il compito «di vagliare consistenza e serietà della pretesa nell’ambito dell’indagine richiesta dall’art. 2901 c.c.».
[8] «Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa».
[9] La pregiudizialità logico-giuridica si verifica se una situazione giuridica soggettiva abbia come elemento costitutivo un’altra situazione giuridica soggettiva o uno status, cioè un elemento autonomamente dotato di rilevanza giuridica e, quindi, suscettibile di accertamento con effetti di giudicato. Nella pregiudizialità meramente logica, invece, tale autonomia manca.
In dottrina, v. F.P. Luiso, Diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione, 9a ed., Milano, 2017, 233 ss.
In giurisprudenza, sebbene i concetti ora in esame siano spesso espressi non molto chiaramente, cfr., in particolare, Cass. civ., Sez. Un., 26 luglio 2007, n. 14060, in cui si legge che la pregiudizialità logica «indica il rapporto giuridico dal quale nasce l’effetto dedotto in giudizio o, secondo altra convergente accezione, il fatto costitutivo del diritto fatto valere davanti al giudice (ad esempio: il contratto di compravendita rispetto alla richiesta di pagamento del prezzo della cosa venduta), integrante il “punto pregiudiziale”, mentre la [pregiudizialità tecnico-giuridica] indica quella fattispecie che, essendo esterna al fatto costitutivo del diritto, ne integra il presupposto o, come anche si afferma, quella situazione che ugualmente rappresenta un presupposto dell’effetto dedotto in giudizio, ma che si distingue, attesa la sua autonomia, dal fatto costitutivo sul quale si fonda l’effetto (ad esempio: la qualità di erede del creditore rispetto alla domanda di pagamento del prezzo oggetto del contratto di compravendita stipulato dal defunto) ed integra la “questione pregiudiziale”», per la quale sussiste il rischio di un conflitto di giudicati.
Cfr. anche Cass. civ., 26 maggio 2006, n. 12621, nella quale si legge che «[l]a nozione di pregiudizialità, cui fa riferimento quella di “dipendenza” enunciata [nell’art. 295 c.p.c.], ricorre … solo quando una situazione sostanziale rappresenti fatto costitutivo o comunque elemento della fattispecie di un’altra situazione sostanziale, sicché occorre garantire uniformità dei giudicati» e, quindi, «la decisione della questione oggetto della causa pregiudicata non può essere emanata senza la necessaria e preventiva definizione, con sentenza passata in giudicato, della causa pregiudicante»; nonché Cass. civ., Sez. Un., 27 febbraio 2007, n. 4421, in cui si spiega che, ai fini dell’art. 295 c.p.c., la questione affrontata in un giudizio e di carattere pregiudiziale rispetto ad altro giudizio deve consistere in un antecedente della decisione da assumere in quest’ultimo che sia indispensabile non solo sul piano logico, nel senso di porsi come «momento ineliminabile del processo logico della causa dipendente», ma altresì sul piano giuridico, nel senso di venire «postulato con efficacia di giudicato, per modo che non possa eventualmente verificarsi un conflitto di giudicati».
[10] Com’è noto, un contrasto pratico di giudicati si verifica qualora sia impossibile rispettarli contestualmente.
[11] Cfr. Cass. civ., Sez. Un., n. 9440/2004, ord., cit.; nonché, più di recente ed ex multis, Cass. civ., 6 giugno 2011, n. 12235; Cass. civ., 18 luglio 2008, n. 20002; Cass. civ., 10 marzo 2006, n. 5246; Cass. civ., 13 luglio 2005, n. 14709; Cass. civ., 26 luglio 2004, n. 14054; C. Conti, 13 ottobre 2008, n. 301; Trib. Bari, 21 giugno 2010, n. 2222; Trib. Nola, 29 aprile 2008.
[12] «Quando l’autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso se tale sentenza è impugnata».
[13] Così si legge in Cass. civ., Sez. Un., 19 giugno 2012, n. 10027. La sentenza, in cui la Cassazione sembra aver accolto – tra più tesi dottrinali in contrasto – l’impostazione di Tullio Liebman, è annotata da E. D’Alessandro, in Giur. it., 2012, 2601; nonché da J. Polinari, in Giur. it., 2013, 615: si rinvia alle note dei predetti Autori per la ricostruzione del sotteso dibattito.
[14] Cfr. Cass. civ., 10 febbraio 2016, n. 2673.
Con riguardo alla proposizione di un ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che dovrebbe esplicare la propria provvisoria autorità in un distinto giudizio, cfr. T.A.R. Lazio-Roma, 6 giugno 2013, n. 5660.
[15] Oltre ai riferimenti giurisprudenziali che verranno forniti nelle note seguenti, cfr. Cass. civ., 13 novembre 2013, n. 25536; Cass. civ., 19 settembre 2013, n. 21505.
[16] Ai sensi dell’art. 337, primo comma, c.p.c., «[l]’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa, salve le disposizioni degli artt. 283, 373, 401 e 407».
[17] Ai sensi dell’art. 283, primo comma, c.p.c., «[i]l giudice dell’appello, su istanza di parte, proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale, quando sussistono gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione».
Ai sensi dell’art. 373, primo comma, c.p.c., «[i]l ricorso per cassazione non sospende la esecuzione della sentenza. Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione».
Ai sensi dell’art. 401 c.p.c., «[i]l giudice della revocazione può pronunciare, su istanza di parte inserita nell’atto di citazione, l’ordinanza prevista nell’art. 373, con lo stesso procedimento in camera di consiglio ivi stabilito».
Ai sensi dell’art. 407 c.p.c., «[i]l giudice dell’opposizione può pronunciare, su istanza di parte inserita nell’atto di citazione, l’ordinanza prevista nell’art. 373, con lo stesso procedimento in camera di consiglio ivi stabilito».
[18] Tra le altre, anche sull’onere di motivazione, meglio chiarito nella giurisprudenza successiva all’arresto delle Sezioni Unite, cfr. Cass. civ., 22 maggio 2017, n. 12773; Cass. civ., 7 luglio 2016, n. 13823, ord.; Cass. civ., 20 settembre 2016, n. 18358, ord.; Cass. civ., 23 ottobre 2015, n. 21664, ord.; Cass. civ., 9 gennaio 2013, n. 375, ord.; Cass. civ., 18 novembre 2013, n. 25890, ord.
[19] L’eventuale sospensione della provvisoria efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, quindi, non paralizzerebbe la sua provvisoria efficacia di accertamento.
[20] In dottrina, per un quadro istituzionale delle differenze tra sospensione necessaria e sospensione facoltativa, v. C. Mandrioli-A. Carratta, Diritto processuale civile, II, Il processo ordinario di cognizione, 25a ed., Torino, 2016, 358 ss.
[21] Così si legge in Cass. civ., n. 12773/2017, cit.
[22] Cfr. Cass. civ., Sez. Un., n. 14060/2004, cit.; Cass. civ., Sez. Lav., 21 febbraio 2017, n. 4442. Cfr. anche Cass. civ., Sez. Lav., 24 giugno 2014, n. 14274.
[23] Questo è uno dei passaggi fondamentali nella motivazione di Cass. civ., Sez. Un., n. 10027/2012, cit.
Va osservato che, ai sensi dell’art. 297, primo comma, c.p.c., «[s]e col provvedimento di sospensione non è stata fissata l’udienza in cui il processo deve proseguire, le parti debbono chiederne la fissazione entro il termine perentorio di tre mesi … dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa di cui all’art. 295». Il legislatore, dunque, sembra aver previsto la necessità della sospensione fino al passaggio in giudicato della pronuncia sulla causa pregiudicante. Tuttavia, in Cass. civ., Sez. Un., n. 10027/2012, cit., si afferma che il primo comma dell’art. 297 c.p.c. «sopporta un’interpretazione … per cui il passaggio in giudicato della sentenza resa sulla causa pregiudicante segna non già il termine di durata della sospensione, ma solo quello di inizio della decorrenza del termine ultimo oltre il quale il giudizio sulla causa pregiudicata si estingue (art. 307 c.p.c., comma 3), se nessuna delle parti abbia assunto l’iniziativa richiesta per farlo proseguire. La sopravvenienza della decisione di primo grado sulla lite pregiudiziale, pur suscettibile di impugnazione od impugnata, può giustificare che le parti ne attendano la decisione definitiva, ma non impedisce che chi ne rivendichi l’autorità solleciti la prosecuzione del processo …».
[24] Ciò parrebbe comportare la necessità di un’interpretazione elastica dell’art. 2909 c.c., secondo cui, almeno alla lettera, solo «[l]’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa». Bisogna ammettere, pertanto, che, se la pienezza e la stabilità degli effetti di una sentenza discendono dal passaggio in giudicato, è nondimeno possibile attribuire effetti vincolanti provvisori alla sentenza ancora suscettibile di impugnazione o già impugnata.
Del resto, qualunque conflitto teorico tra giudicati sarebbe risolto dall’art. 336, secondo comma, c.p.c., perché la caducazione della pronuncia emessa nel processo pregiudiziale – in virtù del c.d. “effetto espansivo esterno” dell’accoglimento dell’impugnazione – travolgerebbe anche la decisione, coperta da un solo apparente passaggio in giudicato, che fosse nel frattempo intervenuta nel processo dipendente (non sospeso – come sùbito si dirà – ai sensi dell’art. 337, secondo comma, c.p.c.).
[25] Una parte della dottrina e della giurisprudenza, invece, riteneva che l’art. 337, secondo comma, c.p.c. iniziasse ad operare, a discapito dell’art. 295 c.p.c., solo nel momento in cui la controversia pregiudiziale fosse stata decisa con sentenza passata formalmente in giudicato, ma oggetto di impugnazione straordinaria. La sentenza non ancora passata in giudicato, al contrario, avrebbe potuto esplicare esclusivamente un’efficacia di fatto, quale precedente non vincolante e liberamente valutabile dal Giudice della causa dipendente.
La suddetta impostazione, però, è stata già respinta in Cass. civ., Sez. Un., n. 14060/2004, cit.
[26] Cfr. Cass. civ., 27 dicembre 2016, n. 27016; Cass. civ., 13 dicembre 2017, n. 29893, ord.; Cass. civ., 13 luglio 2017, n. 17336; Cass. civ., 28 marzo 2017, n. 7901; Cass. civ., 7 marzo 2017, n. 5618; Cass. civ., 10 febbraio 2015, n. 2477.
[27] Cfr. Cass. civ., 5 dicembre 2017, n. 29112; Cass. civ., 25 gennaio 2017, n. 1993; Cass. civ., 19 novembre 2015, n. 23666.
[28] Cfr. Cass. civ., n. 2673/2016, cit.
[29] Cfr. Cass. civ., 10 novembre 2016, n. 22921.
[30] Cfr. Cass. civ., 18 settembre 2015, n. 18321.
Scarica Articolo PDF