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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 22/12/2019 Scarica PDF
Il principio del divieto di frazionamento del credito in sede processuale: evoluzione giurisprudenziale
Gian Luca De Angelis, Avvocato in RomaSommario: 1. La posizione iniziale delle Sezioni Unite della Cassazione in ordine alla possibilità di un frazionamento processuale del credito e il mutamento di orientamento delle stesse Sezioni Unite del 2007. - 2. L’evoluzione successiva della posizione delle Sezioni Unite del 2017 in relazione al frazionamento processuale di autonomi e distinti crediti scaturiti dal medesimo rapporto obbligatorio: divieto di parcellizzazione, ma solo al ricorrere di determinate condizioni. - 3. Le ultime sentenze della Cassazione del 2019 sul principio del divieto di frazionamento processuale del credito. - 4. Le conseguenze derivanti dalla violazione del divieto di frazionamento processuale del credito: il contrasto tra giurisprudenza di merito e giurisprudenza di legittimità.
1. La posizione iniziale delle Sezioni Unite della Cassazione in ordine alla possibilità di un frazionamento processuale del credito e il mutamento di orientamento delle stesse Sezioni Unite del 2007.
Il principio del divieto di frazionamento o di parcellizzazione del credito in sede processuale è tradizionalmente inquadrato dalla giurisprudenza sotto un duplice angolo di visuale: (i) quale divieto per il creditore che sia titolare di un unico credito di frazionare tale credito in sede processuale chiedendo all’autorità giudiziaria il riconoscimento soltanto di una frazione di esso (con contestuale condanna del debitore al pagamento di tale frazione) per poi ricorrere nuovamente alla detta autorità per ottenere il riconoscimento della parte residuale del medesimo credito che non ha formato oggetto della precedente iniziativa giudiziale (anche in tal caso con contestuale condanna del debitore al pagamento del credito residuo); (ii) quale divieto per il creditore che sia titolare di una pluralità di crediti scaturiti da un medesimo rapporto obbligatorio di azionare tali distinti crediti in differenti giudizi.
In entrambe le ipotesi di cui sopra, l’obiettivo ultimo perseguito dal divieto della parcellizzazione processuale del credito è, sostanzialmente, quello di evitare un aggravamento della posizione del debitore, che, in caso di frazionamento, ossia di moltiplicazione, delle iniziative giudiziali preordinate al riconoscimento della sussistenza del credito o dei crediti vantati dal creditore-attore, verrebbe ad essere esposto, in caso di accoglimento delle molteplici domande esercitate dal predetto creditore-attore, ad una corrispondente moltiplicazione delle spese legali conseguente all’avvio di più controversie in luogo di un unico procedimento giudiziario.
Inizialmente, all’incirca due decadi addietro, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione reputavano perfettamente lecito il frazionamento processuale del credito, anche con riferimento all’ipotesi maggiormente connotata da una dolosa preordinazione del creditore al conseguimento dell’obiettivo di aggravare la posizione del debitore mediante una artificiosa moltiplicazione delle spese legali conseguente ad una corrispondente moltiplicazione dei giudizi avviati dallo stesso creditore, ovvero anche nell’ipotesi in cui non si avesse a che fare con una pluralità di autonomi crediti scaturiti da uno stesso rapporto obbligatorio, bensì con un unico credito, scientemente parcellizzato in sede processuale o, appunto, per incrementare le spese legali a carico del debitore o, anche, per avere la possibilità di adire un giudice invece che un altro in ragione del minor valore delle plurime controversie introdotte (ossia per avere la possibilità di introdurre più giudizi dinanzi al Giudice di Pace invece di avviare un unico giudizio dinanzi al Tribunale). Precisamente, con la sentenza n. 108 del 2000, in sede di composizione di un precedente contrasto, le Sezioni Unite della Cassazione si sono pronunciate in senso affermativo sul tema della frazionabilità della tutela giudiziaria del credito, ritenendo, in quella occasione, "ammissibile la domanda giudiziale con la quale il creditore di una determinata somma, derivante dall'inadempimento di un unico rapporto, chieda un adempimento parziale, con riserva di azione per il residuo, trattandosi di un potere non negato dall'ordinamento e rispondente ad un interesse del creditore, meritevole di tutela, e che non sacrifica, in alcun modo, il diritto del debitore alla difesa delle proprie ragioni".
La questione della ammissibilità del frazionamento in sede processuale del credito – sempre con riferimento all’ipotesi in cui tale frazionamento abbia ad oggetto un unico credito e non già una pluralità di crediti scaturiti da un medesimo rapporto obbligatorio – è stata successivamente riaffrontata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 23726 del15.11.2007 (ud. 23.10.2007, dep. 15.11.2007), con la quale la Corte di Cassazione ha però modificato il proprio, precedente orientamento, arrivando a sconfessare la sentenza n. 108/2000 e ad avallare una tesi diametralmente antitetica rispetto a quella fatta propria da tale pronuncia, ossia arrivando a sancire per la prima volta il divieto di frazionamento processuale del credito mediante l’enucleazione del seguente principio di diritto (cui peraltro si era già conformata la sentenza di merito oggetto del giudizio di legittimità): “è contraria alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., e si risolve in abuso del processo (ostativo all'esame della domanda), il frazionamento giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito unitario”.
Le Sezioni Unite, come si legge nella sentenza n. 23726/2017, sono arrivate alla enucleazione del sopra trascritto principio desumendo la sussistenza nell’ordinamento processualcivilistico di un divieto di frazionamento del credito sulla base di due presupposti: da un lato, muovendo dalla considerazione della “sempre più accentuata e pervasiva valorizzazione della regola di correttezza e buona fede - siccome specificativa (nel contesto del rapporto obbligatorio) degli <<inderogabili doveri di solidarietà>>, il cui adempimento è richiesto dall'art. 2 Cost.”; dall’altro, valutando la pratica della parcellizzazione processuale del credito come confliggente con il principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost.
Più precisamente, secondo le Sezioni Unite, per quanto attiene al primo profilo appena indicato, “viene in rilievo l'ormai acquisita consapevolezza della intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., che a quella clausola generale attribuisce all'un tempo forza normativa e ricchezza di contenuti, inglobanti anche obblighi di protezione della persona e delle cose della controparte, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell'interesse del partner negoziale (cfr., sull'emersione di questa linea di indirizzo, Cass. sez. 1^ n. 3775/94; Id. n. 10511/99; Sez. un. 18128/2005). Se, infatti, si è pervenuti, in questa prospettiva, ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo o integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi (cfr., in particolare, nn. 3775/94 e 10511/99 citt.), a maggior ragione deve ora riconoscersi che un siffatto originario equilibrio del rapporto obbligatorio, in coerenza a quel principio, debba essere mantenuto fermo in ogni successiva fase, anche giudiziale, dello stesso (cfr. Sez. 3^ n. 13345/06) e non possa quindi essere alterato, ad iniziativa del creditore, in danno del debitore”.
Per quanto attiene, invece, al secondo profilo di cui sopra, ossia allo stridente contrasto tra il frazionamento processuale di un credito e il principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., le Sezioni Unite del 2007 hanno sottolineato come “si impone una lettura "adeguata" della normativa di riferimento (in particolare dell'art. 88 c.p.c.), nel senso del suo allineamento al duplice obiettivo della "ragionevolezza della durata" del procedimento e della "giustezza" del "processo", inteso come risultato finale (della risposta cioè alla domanda della parte), che "giusto" non potrebbe essere ove frutto di abuso, appunto, del processo, per esercizio dell'azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale, che segna il limite, oltreché la ragione dell'attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi”; più nel dettaglio, “Oltre a violare, per quanto sin qui detto, il generale dovere di correttezza e buona fede, la disarticolazione, da parte del creditore, dell'unità sostanziale del rapporto (sia pur nella fase patologica della coazione all'adempimento), in quanto attuata nel processo e tramite il processo, si risolve automaticamente anche in abuso dello stesso. Risultando già per ciò solo la parcellizzazione giudiziale del credito non in linea con il precetto inderogabile (cui l'interpretazione della normativa processuale deve viceversa uniformarsi) del processo giusto. Ulteriore vulnus al quale deriverebbe, all'evidenza, dalla formazione di giudicati (praticamente) contraddittori cui potrebbe dar luogo la pluralità di iniziative giudiziarie collegate allo stesso rapporto. Mentre l'effetto inflattivo riconducebile ad una siffatta (ove consentita) moltiplicazione di giudizi ne evoca ancora altro aspetto di non adeguatezza rispetto all'obiettivo, costituzionalizzato nello stesso art. 111 Cost., della "ragionevole durata del processo", per l'evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata”.
E secondo le Sezioni Unite del 2007 il naturale corollario di quanto sopra rappresentato, ovvero della violazione sia della regola generale di correttezza e buona fede sia del principio del giusto processo concretizzata dalla parcellizzazione processuale del credito, è che la domanda giudiziale successiva alla prima e preordinata a far valere un’altra porzione dello stesso credito già oggetto di una precedente iniziativa processuale del creditore è insuscettiva di delibazione da parte dell’autorità giudiziaria successivamente adìta, atteso che “è contraria alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., e si risolve in abuso del processo (ostativo all'esame della domanda), il frazionamento giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito unitario”: in buona sostanza, cioè, il frazionamento processuale del credito rende le domande successive alla prima ‘non esaminabili’ da parte del giudice, il che equivale a dire che tali domande vanno definitivamente qualificate come improponibili o improcedibili e quindi insuscettibili di accoglimento.
2. L’evoluzione successiva della posizione delle Sezioni Unite del 2017 in relazione al frazionamento processuale di autonomi e distinti crediti scaturiti dal medesimo rapporto obbligatorio: divieto di parcellizzazione, ma solo al ricorrere di determinate condizioni.
La questione del divieto di frazionamento processuale del credito è stata nuovamente affrontata dalle Sezioni Unite della Cassazione a distanza di dieci anni con la sentenza del 16.2.2017 n. 4090, che non si è però occupata (come nelle pronunce del 2000 e del 2007) dell’ipotesi di parcellizzazione giudiziaria di un unico credito unitario, bensì della parzialmente differente ipotesi di frazionamento processuale di una pluralità di distinti crediti scaturiti tutti dal medesimo rapporto obbligatorio; le Sezioni Unite del 2017, cioè, hanno dovuto rispondere al quesito se fosse lecito, in presenza di diversi crediti originati da un medesimo rapporto obbligatorio, avviare più giudizi, tanti quanti i crediti, al fine di ottenerne il riconoscimento in sede giudiziale con corrispondenti molteplici pronunce di condanna al pagamento nei confronti del debitore.
Questa la risposta fornita al predetto quesito dalle Sezioni Unite del 2017 (pronuncia che giova riportare quasi per esteso, data l’esaustività motivazionale di essa): “Come emerge con chiarezza dalla lettura delle sentenze suddette, quando le sezioni unite hanno discusso di (in)frazionabilità del credito si sono riferite sempre ad un singolo credito, non ad una pluralità di crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso. Pertanto solo una interpretazione dell'espressione "unico rapporto obbligatorio", avulsa dal contesto nel quale essa è inserita, può indurre a ritenere che nella sentenza n. 23726 del 2007 il principio di infrazionabilità sia stato espressamente affermato non (soltanto) in relazione ad un singolo credito, bensì (anche) in relazione ad una pluralità di crediti riferibili ad un unico rapporto di durata. Risulta inoltre evidente che l'infrazionabilità del singolo diritto di credito (decisamente condivisibile, nella considerazione che la parte può disporre della situazione sostanziale ma non dell'oggetto del processo, da relazionarsi al diritto soggettivo del quale si lamenta la lesione, in tutta l'estensione considerata dall'ordinamento) non comporta inevitabilmente (tanto meno implicitamente) la necessità di agire nel medesimo, unico processo per diritti di credito diversi, distinti ed autonomi, anche se riferibili ad un medesimo rapporto complesso tra le stesse parti. I rilievi che precedono non esimono tuttavia le Sezioni unite dal dare risposta al quesito sopra prospettato (se il lavoratore, una volta cessato il rapporto di lavoro, debba avanzare in un unico processo tutte le pretese creditorie maturate nel corso del medesimo rapporto - quindi, più in generale, se debbano essere richiesti nello stesso processo tutti i crediti concernenti un unico rapporto di durata - e se la proposizione delle domande relative in giudizi diversi comporti l'improponibilità di quelle successive alla prima). Tale risposta non può che essere negativa con riguardo ad entrambi i profili considerati. La tesi secondo la quale più crediti distinti, ma relativi ad un medesimo rapporto di durata, debbono essere necessariamente azionati tutti nello stesso processo non trova, infatti, conferma nella disciplina processuale, risultando piuttosto questa costruita intorno a una prospettiva affatto diversa. Il sistema processuale risulta, invero, strutturato su di una ipotesi di proponibilità in tempi e processi diversi di domande intese al recupero di singoli crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso esistente tra le parti, come autorizza a ritenere la disciplina di cui agli artt. 31, 40 e 104 c.p.c., in tema di domande accessorie, connessione, proponibilità nel medesimo processo di più domande nei confronti della stessa parte. Ulteriori argomenti in tal senso possono trarsi dalla contemplata possibilità di condanna generica ovvero dalla prevista necessità, ex art. 34 c.p.c., di esplicita domanda di parte perché l'accertamento su questione pregiudiziale abbia efficacia di giudicato. D'altro canto, l'elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria in tema di estensione oggettiva del giudicato - in relazione alla preclusione per le questioni rilevabili o deducibili - perderebbe gran parte di significato se dovesse ritenersi improponibile qualunque azione per il recupero di un credito solo perché preceduta da altra, intesa al recupero di credito diverso e tuttavia riconducibile ad uno stesso rapporto di durata tra le medesime parti, a prescindere dal passaggio in giudicato della decisione sul primo credito o comunque dalla inscrivibilità della diversa pretesa creditoria successivamente azionata nel medesimo ambito oggettivo di un giudicato in fieri tra le stesse parti relativo al medesimo rapporto di durata. La mancanza di una specifica norma che autorizzi a ritenere comminabile la grave sanzione della improponibilità della domanda per il creditore che abbia in precedenza agito per il recupero di diverso credito, sia pure riguardante lo stesso rapporto di durata, e, soprattutto, la presenza nell'ordinamento di numerose norme che autorizzano, invece, l'ipotesi contraria, rafforzano la fondatezza ermeneutica della soluzione. Per altro verso, una generale previsione di improponibilità della domanda relativa ad un credito dopo la proposizione da parte dello stesso creditore di domanda riguardante altro e diverso credito, ancorché relativo ad un unico rapporto complesso, risulterebbe ingiustamente gravatoria della posizione del creditore, il quale sarebbe costretto ad avanzare tutte le pretese creditorie derivanti da un medesimo rapporto in uno stesso processo (quindi in uno stesso momento, dinanzi al medesimo giudice e secondo la medesima disciplina processuale); con conseguente indebita sottrazione alla autonoma disciplina prevista per i diversi crediti vantati e perdita, ad esempio, della possibilità di agire in via monitoria per i crediti muniti di prova scritta o di agire dinanzi al giudice competente per valore per ciascuno dei crediti - quindi di fruire del più semplice e spedito iter processuale eventualmente previsto dinanzi a quel giudice-, e con possibile esposizione alla necessità di "scegliere" di proporre (o meno) una tempestiva insinuazione al passivo fallimentare, col rischio di improponibilità di successive insinuazioni tardive per altri crediti. Che la perdita della possibilità di fruire di riti più "snelli" per recuperare i propri crediti costituisca perdita di una importante "caratteristica" di tali crediti (i.e. la pronta "realizzabilità" sul piano processuale), nonché vanificazione della pre-valutazione del legislatore circa la possibilità, in determinate condizioni, di un rito diverso e più spedito, trova conferma in alcune recenti pronunce di questa Corte (v. Cass. nn. 22574 del 2016 e 10177 del 2015), nelle quali si è affermato che il creditore può, finanche in relazione ad un singolo, unico credito, agire con ricorso monitorio per la somma provata documentalmente e con il procedimento sommario di cognizione per la parte residua senza incorrere in un abuso dello strumento processuale per frazionamento del credito. In ogni caso, l'onere di agire contestualmente per crediti distinti, che potrebbero essere maturati in tempi diversi, avere diversa natura (ad esempio - come frequentemente accade in relazione ad un rapporto di lavoro - retributiva e risarcitoria), essere basati su presupposti in fatto e in diritto diversi e soggetti a diversi regimi in tema di prescrizione o di onere probatorio, oggettivamente complica e ritarda di molto la possibilità di soddisfazione del creditore, traducendosi quasi sempre non in un alleggerimento bensì - in un allungamento dei tempi del processo, dovendo l'istruttoria svilupparsi contemporaneamente in relazione a numerosi fatti, ontologicamente diversi ed eventualmente tra loro distanti nel tempo. E' verosimile che per questa via il processo (lungi dal costituire un agile strumento di realizzazione del credito) finisca per divenire un contenitore eterogeneo smarrendo ogni duttilità, in violazione del principio di economia processuale, inteso come principio di proporzionalità nell'uso della giurisdizione. E' infine il caso di evidenziare che l'affermazione di un principio generale di necessaria azione congiunta per tutti i diversi crediti nascenti da un medesimo rapporto di durata, a pena di improponibilità delle domande proposte successivamente alla prima, sarebbe suscettibile di arrecare pregiudizievoli conseguenze per l'economia. Se, infatti, si ha riguardo in prospettiva non solo ai crediti derivanti dai rapporti di lavoro, ma a tutti i crediti riferibili a rapporti di durata, anche tra imprese (consulenza, assicurazione, locazione, finanziamento, leasing), l'idea che essi debbano ineluttabilmente essere tutti veicolati - pena la perdita della possibilità di farli valere in giudizio - in un unico processo monstre (meno "spedito" dei processi adeguati per i singoli, differenti crediti) risulta incompatibile con un sistema inteso a garantire l'agile soddisfazione del credito, quindi a favorire la circolazione del danaro e ad incentivare gli scambi e gli investimenti”.
E sulla base di tali presupposti motivazionali, le Sezioni Unite della Cassazione nel 2017 hanno conseguenzialmente elaborato ed affermato il seguente principio di diritto: "Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. Se tuttavia i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque "fondati" sul medesimo fatto costitutivo - sì da non poter essere accertati separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale -, le relative domande possono essere proposte in separati giudizi solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata".
Dunque, secondo le Sezioni Unite della Cassazione del 2017, il principio generale è quello per cui, a fronte di una pluralità di crediti scaturiti dal medesimo rapporto obbligatorio, il creditore può agire per ottenere la condanna del debitore al pagamento di ogni singolo diritto di credito introducendo per ciascun credito un autonomo procedimento giudiziario; a tale principio generale può derogarsi, con conseguente obbligo del creditore di richiedere il pagamento dei diversi crediti scaturiti dal medesimo rapporto obbligatorio in un unico giudizio, solo ed esclusivamente laddove:
a) i diversi crediti scaturiti da un unico rapporto obbligatorio siano inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo suscettivo di un possibile giudicato unitario o comunque siano fondati sul medesimo fatto costitutivo;
b) ricorrendo la condizione sub a), non sia rinvenibile un interesse del creditore oggettivamente valutabile ad una tutela processuale frazionata.
Per quanto attiene alla condizione di cui al punto a), si può ipotizzarne il difetto, ad esempio, laddove i diversi crediti scaturiscano da un medesimo rapporto obbligatorio di durata come la locazione, ma ciascuno di essi riguardi una distinta mensilità del canone pattuito dalle parti: in tale ipotesi, è evidente che siffatti crediti, sebbene originati da un medesimo rapporto obbligatorio, non sono iscrivibili in uno stesso ambito oggettivo suscettivo di un possibile giudicato unitario né sono fondati sul medesimo fatto costitutivo, in quanto il presupposto, fattuale e giuridico, di ciascuno dei crediti insorti in conseguenza del mancato pagamento di differenti canoni di locazione mensili da parte del conduttore è insuscettivo di formare oggetto di un giudicato unitario (perché, ad esempio, la domanda di pagamento potrebbe essere fondata in relazione ad una mensilità, ma non anche in relazione ad un’altra, perché, per ipotesi, quest’ultima potrebbe essere stata saldata) e, soprattutto, in quanto ciascuno di tali crediti è originato da un differente ed autonomo fatto costitutivo, ossia il mancato pagamento della specifica mensilità del canone locatizio.
Per quanto attiene, invece, alla condizione di cui al punto b), si può ritenere che sussista un interesse del creditore oggettivamente valutabile ad una tutela processuale frazionata, con conseguente effetto ‘scriminante’ della parcellizzazione processuale del credito, ogniqualvolta uno dei crediti originati da un medesimo rapporto obbligatorio possa essere accertato mediante l’utilizzo di uno schema processuale (ad esempio, il procedimento monitorio) potenzialmente di più veloce definizione rispetto a quello necessario per accertare la sussistenza degli altri crediti originati dallo stesso rapporto obbligatorio (si pensi al caso in cui un lavoratore vanti sia un credito per mancato pagamento della retribuzione mensile, sia un credito per differenze retributive per aver svolto mansioni più qualificate rispetto a quelle indicate nel contratto di lavoro: il primo credito è suscettivo di essere accertato con una certa sveltezza mediante l’avvio di un procedimento ai sensi degli artt. 633 e ss. c.p.c. e l’emissione di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, il secondo credito, invece, richiede l’introduzione di un giudizio ordinario di cognizione, per la cui definizione occorrono normalmente anni in ragione della necessità di acquisire al processo prove costituende, quali, ad esempio, le testimonianze di soggetti terzi che comprovino lo svolgimento di mansioni maggiormente qualificate da parte del lavoratore).
Oltre a ciò, va evidenziato che l’applicazione del principio del divieto di frazionamento processuale del credito come circostanziato dalle Sezioni Unite nella sopra richiamata sentenza n. 23726 del15/11/2007 richiede quale presupposto indefettibile, da un punto di vista logico prima ancora che giuridico, che vi sia un soggetto che, in relazione ad uno stesso rapporto obbligatorio, abbia già maturato una pluralità di diritti di credito nei confronti di un certo debitore e che, nonostante ciò, ossia nonostante che i predetti diritti di credito siano già venuti ad esistenza nella sfera giuridica del creditore e siano quindi già tutti esigibili, decida egualmente di azionarli non già in unico procedimento giudiziario, bensì in differenti procedimenti, in tal modo aggravando la posizione del debitore che si vedrà condannato al pagamento delle spese di lite non già di un unico giudizio, bensì di una molteplicità di controversie.
Dunque, perché si possa sensatamente invocare il menzionato principio del divieto di parcellizzazione processuale del credito, è necessario che il creditore sia già titolare di una pluralità di diritti di credito tutti perfettamente esigibili nel momento in cui sceglie di chiederne la tutela processuale in maniera frammentata; per converso – e ovviamente –, tale principio non può in alcun modo trovare applicazione laddove il creditore, sia pure con riferimento ad un medesimo rapporto obbligatorio, azioni in sede giudiziaria solo ed esclusivamente il singolo credito di cui sia già in quel preciso momento storico divenuto titolare (perché, ad esempio, concretizzatasi la scadenza temporale prevista in contratto per la venuta ad esistenza del medesimo credito) e solo successivamente azioni sempre in sede giudiziaria l’ulteriore credito di cui sia divenuto titolare soltanto in un secondo momento in conseguenza della scadenza di un ulteriore e successivo termine temporale contrattualmente stabilito: ebbene, in tal caso, come è incontestabile, non si è al cospetto di alcuna parcellizzazione processuale di più diritti di credito, bensì solo ed esclusivamente della legittima scelta del creditore di richiedere l’accertamento e la tutela processuale dei diritti di credito di cui egli è divenuto titolare mano a mano che tali diritti vengono ad esistenza nella sua sfera giuridica, ossia mano a mano che vengono a spirare i differenti termini temporali contrattualmente pattuiti perché tali diritti diventino anche giudizialmente tutelabili, ovvero esigibili anche in sede processuale.
Tale conclusione è confermata anche da una delle ultime pronunce in ordine temporale della Corte di Cassazione che si è occupata della corretta applicazione del predetto principio del divieto di parcellizzazione processuale del credito; invero, nella sentenza n. 19898 del 27.7.2018, la Cassazione, previo richiamo delle condizioni che devono sussistere al fine dell’applicazione del menzionato principio, ha stabilito che, pur a fronte di diversi crediti scaturiti da un medesimo rapporto obbligatorio (nella fattispecie oggetto della detta pronuncia di legittimità si trattava di crediti maturati da un appaltatore in frangenti temporali differenti in relazione ai diversi SAL di un unico contratto di appalto), si ha indebita parcellizzazione processuale del credito soltanto se, al momento della proposizione della prima domanda, il creditore abbia già acquisito nella propria sfera giuridica tutti i diritti di credito successivamente fatti valere mediante la proposizione di ulteriori e differenti domande giudiziali: “Nel caso in esame, i criteri identificativi delle domande erano gli stessi, il rapporto obbligatorio era identico e le conseguenze derivate dall'inadempimento della società subappaltante già tutte maturate al momento del deposito del primo ricorso in monitorio. Emerge, infatti, dagli atti che, al momento della proposizione della prima domanda davanti all'unico giudice competente, avvenuta con deposito del ricorso per Decreto Ingiuntivo in data 28 maggio 2008, l'odierna ricorrente fosse pienamente conscia della maturazione dei crediti portati nelle successive fatture n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), in quanto relativi, il primo, al SAL dei lavori del febbraio/marzo 2008, il secondo, al SAL dei lavori di aprile 2008. In tale situazione [ossia solo ed esclusivamente laddove i crediti siano già tutti maturati ed esigibili al momento dell’introduzione delle plurime azioni giudiziali da parte del creditore – ndr], alla luce delle considerazioni che precedono, non è giustificabile la disarticolazione della tutela giurisdizionale richiesta mediante la proposizione di distinte domande. La strumentalità di una tale condotta frazionata è - come già detto - evidente, ma non è consentita dall'ordinamento che le rifiuta protezione per la violazione di precetti costituzionali e valori costituzionalizzati, concretizzandosi, in questo caso, la proposizione della seconda domanda, in un abuso della tutela processuale, ostativa al suo esame”.
Al contrario, si evince chiaramente dalla menzionata pronuncia della Cassazione, laddove i crediti scaturenti dal medesimo rapporto obbligatorio vengano ad esistenza e diventino esigibili in momenti differenti, è perfettamente legittimo che il creditore ne richieda una tutela processuale frazionata, introducendo volta per volta differenti e successive azioni giudiziarie preordinate al riconoscimento soltanto dei crediti divenuti già esigibili al momento dell’avvio del singolo giudizio avente ad oggetto siffatti, già scaduti crediti.
Tale conclusione in ordine alla corretta applicazione del principio del divieto di parcellizzazione processuale del credito trova conferma in numerose, altre pronunce della giurisprudenza; si vedano in tal senso:
- Corte di Appello di Milano, sez. IV, 30.10.2014, n. 3871: “L'unica questione da esaminare riguarda la denunciata inammissibilità della parcellizzazione del petitum che, secondo la ricostruzione offerta dalla medesima appellante, avrebbe dovuto comportare abuso del processo e che, come tale sarebbe stata ostativa all'esame della domanda di M.P. COSTRUZIONI s.r.l. L'assunto sostenuto, si riferisce al fatto che l'appellata, dopo l'emissione del decreto ingiuntivo n. 22345/2008, oggetto di giudizio, ottenuto dal Tribunale di Milano aveva richiesto e ottenuto dal Tribunale di Bergamo il decreto ingiuntivo n. 2700/09 attinente sempre all'attività dalla medesima posta in essere presso il cantiere sito in M. di proprietà dell'originaria opponente; così agendo la M.P. COSTRUZIONI s.r.l. aveva frazionato giudizialmente un credito unitario derivante da un unico contratto. […] Secondo l'appellante non vi era stato alcun frazionamento giudiziale del credito: infatti, il decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto dal Tribunale di Milano aveva per oggetto il pagamento di una somma consacrata nella fattura n. (omissis...) emessa in data 4/08/2008 ossia circa due mesi prima di quella riguardante l'ingiunzione disposta dal Tribunale di Bergamo emessa in data 25/09/2008 e con scadenza notevolmente precedente a quest'ultima. Pertanto, diversamente da quanto sostenuto dall'appellante, nel caso in esame non vi era stato frazionamento di un credito unitario interamente esigibile, bensì crediti che, pur originati dallo stesso contratto d'appalto, erano eseguibili, essendo legati alle tappe che scandivano lo stato di avanzamento lavori, in momenti diversi. La Corte rileva che il frazionamento di un credito non costituisce, in astratto e di per sé solo, una condotta creditoria in violazione dei principi di buona fede - come costituzionalizzato attraverso l'art. 2 Cost - e del "giusto processo", lasciando aperto per il creditore uno spiraglio sotto il profilo probatorio, con il riconoscimento implicito della possibilità, anche se da ritenersi configurata in termini di onere ex art. 2697c.c, di dimostrare che nella fattispecie il frazionamento della pretesa risulti legittimo e non rappresenti una violazione dei richiamati principi. A tale, anche se implicita, affermazione, la Corte nell'occasione è pervenuta sul rilievo che nella fattispecie la configurabilità o meno di un rapporto fondamentale sottostante al contratto d'appalto e alla scadenza dei pagamenti scanditi dallo stato di avanzamento lavori costituisce il criterio alla luce del quale valutare la condotta creditoria manifestatasi in plurime richieste di ingiunzione, come conforme ai richiamati principi: è indubbio che di fronte a crediti esigibili in momenti diversi sussiste, per il creditore, quell'interesse ritenuto meritevole di tutela da parte dell'ordinamento giuridico, tale da rendere legittimo il frazionamento della pretesa creditoria”;
- Corte di Cassazione, sez. I, 6.12.2012, n. 21994: “Si deve anzitutto osservare che, nel caso in cui le parti abbiano previsto una penale giornaliera per l'eventuale ritardo nell'adempimento, non ricorre una ipotesi di frazionamento del credito in plurime richieste giudiziali se le stesse vengono avanzate, la prima volta, per l'intero credito maturato in relazione al tempo trascorso dal momento previsto per l'adempimento dell'obbligazione principale rimasta inadempiuta e, successivamente, per l'intero credito maturato dalla data finale del periodo considerato in precedenti richieste. Infatti, la circostanza che il ritardo sia in corso non esclude che sia immediatamente esigibile, salvo diversa specifica pattuizione (nella specie limitata alla corresponsione ogni 15 giorni), il credito man mano maturato, fino al momento dell'adempimento dell'obbligazione principale o del suo definitivo inadempimento”.
In conclusione, come stabilito dalla citata giurisprudenza: si ha violazione del principio del divieto di parcellizzazione processuale del diritto di credito soltanto laddove il creditore, nel momento in cui introduce diverse domande giudiziali preordinate al riconoscimento in suo favore di diversi diritti di credito scaturiti da un medesimo rapporto obbligatorio, abbia già maturato la titolarità di ciascuno di tali diritti di credito, nel senso che essi risultano già tutti perfettamente esigibili; per converso, non si configura alcuna violazione del menzionato principio laddove il creditore introduca un giudizio preordinato al riconoscimento del solo diritto di credito in quel momento già maturato e quindi già esigibile, e poi successivamente introduca un altro giudizio preordinato al riconoscimento di un altro diritto di credito che, sebbene sia scaturito dal medesimo rapporto obbligatorio dal quale è originato anche quello oggetto del primo giudizio, non era ancora maturato e quindi non era ancora esigibile al momento dell’introduzione della prima domanda giudiziale.
Del resto, diversamente ragionando si arriverebbe alla paradossale ed inaccettabile conclusione secondo la quale, ad esempio, laddove due parti abbiano sottoscritto un contratto di durata per la fruizione di un bene e l’utilizzatore del bene non paghi quanto mensilmente previsto entro i termini pattuiti pur continuando ad usufruire del bene medesimo nonostante il suo inadempimento, si dovrebbe reputare che il contraente creditore non potrebbe agire in giudizio per ottenere il riconoscimento e la tutela dei propri crediti in coincidenza di ogni scadenza contrattuale di pagamento, ma soltanto una volta concluso definitivamente il rapporto contrattuale, riconsegnato il bene ad opera del debitore e quindi cristallizzate definitivamente tutte le possibili inadempienze dello stesso contraente debitore (che magari, medio tempore, approfittando di tale ampio lasso temporale, potrebbe anche essersi messo nelle condizioni concrete di non poter essere aggredito patrimonialmente).
3. Le ultime sentenze della Cassazione del 2019 sul principio del divieto di frazionamento processuale del credito.
La posizione della Corte di Cassazione in ordine al divieto di frazionamento processuale del credito di cui alla citata sentenza n. 23726 del15.11.2007 è stata confermata, oltre che da diverse pronunce rese nel corso del 2018, anche da due recenti sentenze del 2019; si veda in tal senso, oltre a Cassazione civile sez. III, 07/03/2019, n.6591[1], anche Cassazione civile, sez. II, 29 Novembre 2019, n. 31308, che ha ribadito le posizioni della Suprema Corte in tema di parcellizzazione processuale del credito sia con riferimento all’ipotesi in cui il frazionamento abbia riguardato un unico credito, sia con riferimento in cui tale frazionamento sia stato invece posto in essere con riferimento ad una pluralità di crediti originati tutti da un medesimo rapporto obbligatorio: “Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto dell'obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione che aggrava la posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale. Ne consegue che le domande giudiziali aventi ad oggetto una frazione di un unico credito sono da dichiararsi improcedibili (o improponibili)”; “Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile ai fini della tutela processuale frazionata”.
4. Le conseguenze derivanti dalla violazione del divieto di frazionamento processuale del credito: il contrasto tra giurisprudenza di merito e giurisprudenza di legittimità.
Da ultimo, va dato conto del fatto che si registra un contrasto tra una parte della giurisprudenza di merito e la giurisprudenza di legittimità in ordine alle conseguenze derivanti dalla violazione del divieto di frazionamento processuale del credito.
Invero, mentre la Cassazione ricollega sempre alla violazione del suddetto principio la conseguenza della improcedibilità o della improponibilità delle domande giudiziali esperite successivamente alla prima, taluni Tribunali e Corti di Appello reputano al contrario che l’unico effetto conseguente alla detta violazione debba essere quello del mancato riconoscimento in favore del creditore delle spese di lite dei giudizi incardinati successivamente al primo, ma giammai la pronuncia di improcedibilità o di improponibilità delle domande oggetto di tali successivi procedimenti.
Si veda, in tal senso, Tribunale Parma sez. II, 10/04/2018, n.502: “Ferma restando la natura abusiva della parcellizzazione giudiziale del credito - la "sanzione" di tale comportamento non può consistere nella inammissibilità delle domande giudiziali, essendo illegittimo non lo strumento adottato, ma la modalità della sua utilizzazione. Sicché il rimedio agli effetti distorsivi del fenomeno della fittizia proliferazione delle cause autonomamente introdotte deve individuarsi - in applicazione di istituti processuali ordinari - vuoi nella riunione delle medesime, vuoi sul piano della liquidazione delle spese di lite, da riguardarsi come se il procedimento fosse stato unico fin dall'origine”; Corte appello Napoli sez. III, 28/02/2019, n.1134: “La riscontrata natura abusiva della parcellizzazione giudiziale del credito non consente di sanzionare tale condotta con la inammissibilità delle domande giudiziali, in mancanza di una specifica norma che autorizzi a ritenere comminabile tale grave sanzione, essendo, peraltro, illegittimo non lo strumento adottato, ma la modalità della sua utilizzazione. In applicazione di istituti processuali ordinari, pertanto, il rimedio agli effetti distorsivi del fenomeno della fittizia proliferazione delle cause autonomamente introdotte deve individuarsi vuoi nella riunione delle medesime, vuoi sul piano della liquidazione delle spese di lite, come se il procedimento fosse stato unico fin dall'origine. Di talché, disposta la riunione dei due procedimenti ritenuti incardinati per l'illegittima parcellizzazione del credito, ipotizzando la unitarietà del rapporto da cui le pretese traggono origine, deve ritenersi priva di ogni fondamento giuridico la decisione di rigetto della domanda, adottata ad esito di tale giudizio, sul rilievo che il frazionamento del credito in relazione ad un rapporto unitario, dà luogo all'abuso del processo, in violazione dei principi di correttezza e buona fede, e determina il rigetto della domanda”; Tribunale Roma sez. II, 04/12/2018, n.23316: “La violazione del divieto di frazionamento del credito – valido anche ove si tratti di distinti crediti originati da un rapporto unitario, di durata – non determina l’inammissibilità della domanda, ma può incidere sulla regolamentazione delle spese processuali, considerando unitariamente a tal fine i vari procedimenti attivati”.
Tra le due soluzioni in ordine alle conseguenze derivanti dalla violazione del divieto di frazionamento processuale del credito, si ritiene di dover preferire quella adottata dalla giurisprudenza di merito, atteso che pare condivisibile l’opinione secondo la quale la violazione della regola di correttezza e buona fede così come del principio del giusto processo determinata da una indebita parcellizzazione processuale del credito non può comportare, in assenza di una esplicita disposizione normativa che preveda espressamente tale radicale sanzione, la pronuncia di improcedibilità o improponibilità delle domande esperite con i giudizi successivi al primo; in tali casi, infatti, la condotta processualmente censurabile del creditore potrà essere sanzionata sia mediante la condanna di quest’ultimo, ancorché parte vittoriosa all’esito della causa, alla refusione delle spese di lite in favore del debitore per violazione dei doveri di lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c. ai sensi della seconda parte del comma 1 dell’art. 93 c.p.c., sia mediante la condanna dello stesso creditore, oltre che alla refusione delle spese di lite, al risarcimento dei danni cagionati al debitore per aver agito in giudizio con mala fede o colpa grave ai sensi del comma 1 dell’art. 96 c.p.c., sia, infine, mediante l’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui all’ultimo comma dello stesso art. 96 c.p.c. considerando il creditore parzialmente soccombente con riferimento alla intervenuta violazione della regola di correttezza e buona fede nonché del principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost.
Se, infatti, l’obiettivo cui è preordinato il divieto di frazionamento processuale del credito è quello di non aggravare la posizione del debitore con riferimento alla moltiplicazione delle spese legali determinata dalla corrispondente moltiplicazione delle iniziative giudiziarie del creditore così come quello di ridurre il numero dei contenziosi artificialmente parcellizzati dal creditore stesso, ecco che la soluzione preferibile pare essere quella non già di negare la tutela giudiziaria ai diritti oggetto delle cause indebitamente frazionate, quanto piuttosto quella di ‘punire’ pesantemente l’improvvido creditore sotto il profilo pecuniario mediante l’adozione degli strumenti processuali – essi sì – a tal fine espressamente contemplati dal codice di rito.
[1] Cassazione civile sez. III, 07/03/2019, n.6591: “Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata”.
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